PDL 311

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 311

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
MELONI, CIRIELLI, RAMPELLI, ACQUAROLI, BELLUCCI, BUCALO, BUTTI, CARETTA, CIABURRO, CROSETTO, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FIDANZA, FOTI, FRASSINETTI, GEMMATO, LOLLOBRIGIDA, LUCASELLI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI, ZUCCONI

Modifica all'articolo 10 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, in materia di separazione tra le banche commerciali e le banche d'affari

Presentata il 23 marzo 2018

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Onorevoli Colleghi! — Dopo la grande crisi del 1929, nella quale l'economia americana crollò a seguito dell'esplosione di una bolla speculativa, meramente cartacea, e fino al 1933, gli Stati Uniti d'America vissero un periodo di crescente povertà e disoccupazione, soprattutto perché la prima reazione del Governo americano fu quella di «lasciar fare il mercato». Lasciato senza freni, il mercato crollò su se stesso, innanzitutto perché i cittadini, persa ogni fiducia nel sistema creditizio, corsero a ritirare i propri risparmi. A porre fine alla crisi, soprattutto per quanto atteneva al sistema bancario, intervenne, sotto la presidenza di Franklin Delano Roosevelt, appunto nel 1933, l'introduzione del Glass-Steagall Act.
Il Glass-Steagall Act prevedeva la netta separazione delle attività bancarie e fu preceduto dall'ordine presidenziale di chiudere tutte le banche per una settimana, affinché gli ispettori del Tesoro americano ne potessero valutare la robustezza finanziaria e la conformità dei conti. Queste due iniziative ridiedero fiducia al pubblico, che tornò a depositare i propri risparmi agli sportelli delle banche superstiti.
La soppressione del principio di separazione tra banche del Glass-Steagall Act, avvenuta nel 1999 durante l'amministrazione Clinton con l'adozione del Gramm-Leach-Bliley Act, su pressione delle banche d'affari, è stata considerata al tempo stesso causa e moltiplicatore del processo di finanziarizzazione dell'economia che, insieme alla mancanza di controlli adeguati, ha determinato gli squilibri che sono alla base dell'attuale crisi. La finanza di carta e dei prodotti derivati, pari a 700.000 miliardi di dollari contro un prodotto interno lordo (PIL) mondiale di 60.000 miliardi di dollari, ha prevalso sull'economia reale.
In Italia la normativa redatta da Donato Menichella nel 1936, (regio decreto-legge n. 375 del 1936, convertito, con modificazioni, della legge n. 141 del 1938), oltre a stabilire una separazione analoga a quella contenuta nel Glass-Steagall Act, poneva dei limiti molto stretti tra attività bancarie a breve e a medio-lungo termine. Alle banche commerciali era poi proibito detenere quote di partecipazione (ancora meno di controllo) nelle aziende non bancarie ed era altresì vietata qualsiasi attività di trading su titoli e valute.
Tuttavia, nel 1993 la normativa è stata profondamente riformata con l'approvazione del nuovo testo unico in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, di seguito «TUB», che ha rivoluzionato l'intera struttura del sistema bancario, eliminando la distinzione introdotta nel 1936: da una regolamentazione rigorosa si è passati alla «banca universale», alla quale sono stati lasciati enormi margini di azione. L'articolo 10, comma 3, del TUB prevede infatti che «Le banche esercitano, oltre all'attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali».
Tornare di nuovo ad una separazione di ruoli non è così semplice: da un lato, la legislazione bancaria è ormai così complessa da renderla difficile sotto il profilo legislativo e regolamentare, e, dall'altro, le banche d'affari fanno pressione sulle istituzioni nazionali ed europee per impedire il verificarsi di questa ipotesi; i depositi dei cittadini e i proventi del credito all'economia sono, infatti, valori reali e come tali sono oggetto di interesse da parte dei creatori di valori fittizi, ne sia prova l'aggressione nei confronti delle banche popolari, alle quali si chiede in questi anni di espandersi e diversificare gli utilizzi.
Tuttavia, è noto che uno dei maggiori ostacoli alla ripresa della nostra economia nel difficile momento che stiamo vivendo è che, nonostante le frequenti iniezioni di liquidità nel nostro sistema bancario da parte della Banca centrale europea, peraltro a bassissimo costo, con l'obiettivo di far ripartire i prestiti all'economia reale, sono anni che il credito non arriva più alle famiglie e alle imprese.
La principale causa del perdurare e dell'aggravarsi della drammatica stretta creditizia è da ricercare nella logica di «massimizzazione del profitto» che ispira le grandi banche sistemiche e le spinge a dedicarsi, in prevalenza, ad attività puramente speculative (trading proprietario) anziché investire nella tradizionale attività di prestiti alla clientela.
La «massimizzazione del profitto» e la ricerca di guadagni – a breve termine e speculativi – riducono, infatti, gli incentivi a effettuare l'attività del credito tradizionale a cittadini e a imprese che, ormai, offre rendimenti piuttosto contenuti a fronte di costi elevati.
Questa scelta, drammaticamente negativa per l'economia reale e lesiva dei più elementari princìpi di salvaguardia dei presupposti sociali ed etici dell'economia, è resa possibile dalla grande dimensione delle banche sistemiche e dalla commistione, nel medesimo soggetto bancario, dell'attività di intermediazione creditizia tradizionale con quella delle banche d'affari e del trading speculativo proprietario.
La possibilità di svolgere, contemporaneamente, le due antitetiche tipologie di attività consente, infatti, alle banche sistemiche di avere una parte di attività tradizionale relativamente stabile e meno rischiosa che si occupa di concessione di crediti, mentre quella dedita al trading proprietario e speculativo, fortemente instabile e più rischiosa, è suscettibile di far fallire l'intero «conglomerato». In tutto ciò l'aspetto più grave consiste nel fatto che l'attività di trading proprietario è finanziata, in realtà, con i fondi sottratti ad attività a basso rischio e rendimento (i depositi bancari) e, quindi, poco costose per le banche; se, infatti, il trading proprietario fosse scorporato dall'attività ordinaria, la banca per svolgere quella specifica attività dovrebbe chiedere fondi sui mercati e sarebbe costretta a remunerarli a tassi molto più elevati.
A ciò bisogna aggiungere che, in caso di fallimento, la banca sistemica può chiedere e ottenere facilmente il salvataggio a opera delle autorità di vigilanza – a spese dei contribuenti – sulla base della motivazione che, dal suo fallimento, verrebbero travolti i soggetti depositanti della banca.
Di fatto, dunque, i risparmiatori che effettuano i propri depositi nelle banche che mischiano attività tradizionale con trading speculativo proprietario sono due volte vittime: dapprima perché del loro denaro viene fatto un uso improprio e, di nuovo, nel momento in cui le banche devono essere «salvate» perché altrimenti i risparmiatori perderebbero i propri depositi.
Questo determina il cosiddetto azzardo morale, in quanto la banca, consapevole di ciò, è ancora meno restia a limitare il rischio delle proprie operazioni speculative per massimizzare il profitto, confidando in un eventuale salvataggio che, comunque, avverrà per proteggere i soggetti depositanti.
È evidente, quindi, che l'unica soluzione seria e realmente efficace per porre fine a questa inaccettabile situazione consiste nel rompere il «cordone ombelicale» tra depositi dei clienti e risorse che le banche utilizzano per svolgere il trading speculativo di natura proprietaria, distinguendo nettamente le due tipologie di banche: quella commerciale ordinaria e tradizionale e quella speculativa che svolge attività di commercio in proprio di strumenti finanziari.
Il principio, del resto, come abbiamo visto, era già previsto nel nostro ordinamento giuridico, ed era alla base della normativa sostituita dal TUB del 1993. Negli ultimi anni il tema della separazione delle banche è stato al centro di un acceso dibattito anche in sede europea: nel novembre 2011 la Commissione europea ha incaricato una commissione di esperti indipendenti, presieduta dal Governatore della Banca centrale finlandese Erkki Liikanen, di approfondire la tematica e sviluppare una proposta.
Il gruppo ha presentato le proprie conclusioni nell'ottobre dell'anno successivo, optando per una riforma strutturale complessiva del sistema bancario che preveda, tra gli altri punti, anche e specificamente la separazione dell'attività di banca ordinaria da quella speculativa in proprio, seppure con la previsione di una soglia limite.
Le conclusioni del gruppo di Liikanen sono state sottoposte a un processo di consultazione pubblica e la Commissione europea sta valutando se trasformarle in proposte normative vere e proprie. Dal punto di vista normativo, tuttavia, prevedere la semplice separazione delle attività fra le banche commerciali e quelle d'affari non è sufficiente, posto che non supera la criticità di un unico soggetto che esercita, seppure con limitazioni, la duplice attività. Occorre quindi intervenire in modo incisivo, distinguendo tra le due tipologie di banche e separando nettamente i soggetti che operano in una delle due categorie da quelli che operano nell'altra.
Conseguentemente, la proposta di legge intende introdurre nel TUB il principio della separazione dell'attività di commercio in proprio di strumenti finanziari dalle restanti attività esercitate dalle banche, attribuendo alle banche il termine di un anno per esercitare l'opzione in favore dell'attività che intendono svolgere e per adeguare ad essa il proprio assetto societario.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifica all'articolo 10 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385).

1. All'articolo 10 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«3-bis. Le banche che svolgono attività di commercio in proprio di strumenti finanziari non possono svolgere anche le altre attività previste dal presente articolo».

Art. 2.
(Disposizione transitoria).

1. Le banche che operano ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge, entro dodici mesi dalla medesima data di entrata in vigore devono dichiarare quale tipo di attività intendono svolgere e procedere, ove necessario, alla riorganizzazione del proprio assetto societario.

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