PDL 2981

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2981

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
SANGREGORIO, BORGHESE, COLUCCI, FITZGERALD NISSOLI, LONGO, LUPI, TONDO

Modifica all'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza per nascita delle donne che l'hanno perduta a seguito del matrimonio con uno straniero e dei loro discendenti

Presentata il 29 marzo 2021

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Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge mira a richiamare l'attenzione del Parlamento sull'esistenza, nel nostro ordinamento, di un'anacronistica disparità di trattamento in materia di cittadinanza, proprio in questo periodo nel quale si è riacceso il dibattito sullo iure sanguinis e sullo iure soli.
Ripercorrendo la complessa evoluzione normativa della materia, non si può non ricordare, in primo luogo, la legge 13 giugno 1912, n. 555, il cui articolo 10, terzo comma, prevedeva l'automatica perdita della cittadinanza italiana per la donna che contraeva matrimonio con un cittadino straniero, determinando così effetti discriminatori nei rapporti di filiazione e di coniugio e sullo stato di cittadinanza, effetti che purtroppo ancora oggi perdurano, nonostante gli interventi succedutesi nel tempo della Corte costituzionale e della Suprema Corte di cassazione.
Nel 1975, il citato articolo 10 – che si riporta testualmente e che prevedeva, appunto, che «La donna cittadina che si marita a uno straniero perde la cittadinanza italiana, sempreché il marito possieda una cittadinanza che pel fatto del matrimonio a lei si comunichi (...)» – è stato dichiarato incostituzionale. La Corte costituzionale, infatti, con la sentenza n. 87 del 16 aprile 1975, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della predetta norma poiché in contrasto con gli articoli 3 e 29 della Costituzione, in quanto la stessa stabiliva che, rispetto all'ordinamento italiano, la perdita della cittadinanza italiana avvenisse automaticamente per il fatto stesso del matrimonio, indipendentemente dalla volontà della donna, anche se questa avesse manifestato una volontà contraria, determinando così una gravissima disuguaglianza morale, giuridica e politica dei coniugi, in quanto poneva la donna in uno stato di evidente inferiorità, privandola automaticamente dei diritti del cittadino italiano per il solo fatto del matrimonio.
Successivamente, nel 1983, è stata dichiarata incostituzionale anche la norma che stabiliva che soltanto l'uomo potesse trasmettere ai figli la cittadinanza italiana, ovvero l'articolo 1, primo comma, numero 1°, della stessa legge n. 555 del 1912. La Corte costituzionale, infatti, con la pronuncia n. 30 del 9 febbraio 1983, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della menzionata disposizione, sempre per contrasto con gli articoli 3 e 29 della Costituzione, in quanto, prevedendo l'acquisto originario della cittadinanza da parte del figlio soltanto dalla cittadinanza del padre, ledeva da più punti di vista la posizione giuridica della madre nei suoi rapporti con lo Stato e con la famiglia; la Corte pertanto ha riconosciuto che anche il figlio di madre cittadina sia considerato cittadino per nascita.
Tale sentenza, tuttavia, ha lasciato inalterate alcune situazioni discriminatorie, consentendo in effetti l'attribuzione della cittadinanza italiana «solo ai figli di madre italiana e di padre straniero nati dopo il 1° gennaio 1948» in quanto, a seguito del parere del Consiglio di Stato n. 105 del 15 aprile 1983, la retroattività dell'incostituzionalità dell'articolo 1 della legge n. 555 del 1912 non può andare oltre il momento in cui si è verificato il contrasto tra la norma di legge anteriore all'entrata in vigore della Costituzione dichiarata illegittima e la norma o il principio della Costituzione.
Di conseguenza, i consolati e i comuni, in mancanza di una riforma testuale della normativa, continuano ad applicare gli articoli 1 e 10 della legge n. 555 del 1912 – dichiarati incostituzionali – a tutte le situazioni riguardanti le posizioni antecedenti al 1° gennaio 1948.
Quindi, se una donna italiana risulta essersi coniugata con un cittadino straniero prima del 1948, per l'amministrazione essa ha perso la cittadinanza, non la recupera e non la trasmette al discendente.
Nonostante in molti Paesi la cittadinanza non si comunichi alla moglie straniera automaticamente con il matrimonio, per cui le donne in questione non hanno mai perso lo status di cittadine, la legge italiana non tiene conto di questa circostanza, lasciando che siano le sentenze a stabilire chi ha diritto, caso per caso, a vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana iure sanguinis in presenza di una progenitrice donna.
Succede, così, che due fratelli, nati uno prima del 1948 e l'altro dopo, debbano seguire iter diversi per vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana. Tempi diversi ma anche esiti che rischiano di essere diversi, vista l'imprevedibilità del giudizio, in assenza di una legge chiara e univoca.
Davanti alla legge italiana, dunque, anche due fratelli cessano di avere gli stessi diritti.
Persino la successiva legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante «Nuove norme in materia di cittadinanza», ha stabilito che è possibile attribuire la cittadinanza solo alle persone nate dopo il 1° gennaio 1948 da una cittadina italiana.
La Corte di cassazione, invece, con la nota sentenza n. 4466 del 25 febbraio 2009, ha stabilito che per effetto delle citate sentenze della Corte costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983 deve essere riconosciuto il diritto allo «status» di cittadino italiano al richiedente nato all'estero dal figlio di una donna italiana che aveva perduto la cittadinanza a seguito di matrimonio con un cittadino straniero, anche se contratto antecedentemente al 1° gennaio 1948, dando così finalmente concreto riscontro al principio di parità già affermato dalle precedenti sentenze della Corte costituzionale.
La Corte, pur condividendo il principio dell'incostituzionalità sopravvenuta, secondo il quale la declaratoria di incostituzionalità delle norme precostituzionali produce effetto soltanto sui rapporti e sulle situazioni non ancora esaurite alla data del 1° gennaio 1948, non potendo retroagire oltre l'entrata in vigore della Costituzione, ha affermato che il diritto di cittadinanza in quanto «status» permanente e imprescrittibile – salva l'estinzione per effetto di rinuncia da parte del richiedente – è giustiziabile in ogni tempo, anche in caso di pregressa morte dell'ascendente o del genitore dai quali deriva il riconoscimento, per l'effetto perdurante anche dopo l'entrata in vigore della Costituzione dell'illegittima privazione dovuta alla norma discriminatoria dichiarata incostituzionale.
Nonostante la Corte di cassazione si sia più volte pronunciata a favore della discendenza anteriore al 1948, la pubblica amministrazione non si è mai adeguata e continua a prevedere che una madre italiana trasmetta la cittadinanza solo a far data dall'entrata in vigore della Costituzione.
Anche il Parlamento, purtroppo, ad oggi, non ha trasfuso tali princìpi giurisprudenziali nella normativa e quindi non risulta possibile ottenere la cittadinanza jure sanguinis per via materna promuovendo la relativa istanza al consolato di appartenenza o al competente ufficio di stato civile di uno dei comuni italiani, poiché l'amministrazione concede la cittadinanza se la donna che la trasmette possedeva lo status di cittadina alla data del 1° gennaio 1948 e se non si tratta di una donna coniugata prima del 1948 con un cittadino straniero il cui ordinamento prevedeva l'automatica trasmissione della cittadinanza; analogamente per ottenere la cittadinanza italiana, il figlio della donna medesima deve essere nato rigorosamente dopo il 1948, altrimenti, per quelli nati antecedentemente a tale data, la cittadinanza italiana potrà essere ottenuta solo ed esclusivamente tramite un'azione giudiziaria da proporre in Italia.
La soluzione normativa proposta consente di rimuovere i problemi insorti a causa di una legislazione discriminatoria verso le donne e consente di superare odiose e ingiustificabili conseguenze di ordine pratico che vedono, ad esempio, come già osservato, i figli di una stessa madre ottenere in via amministrativa la cittadinanza se nati dopo il 1° gennaio 1948 e, viceversa, non ottenerla se nati prima.
Per i figli nati prima, si ribadisce, non rimane altra possibilità che ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana in via giudiziale, con l'immaginabile sacrificio ed esoso esborso di denaro che comporta il giudizio presso il tribunale di Roma, procedimento, questo, particolarmente penalizzante per i discendenti di donne italiane che, nel periodo di maggiore intensità dell'emigrazione, hanno vissuto in Paesi lontani attualmente in profonda crisi economica; queste donne, anche se coniugate con stranieri e sebbene per la loro madre patria abbiano perso il diritto di trasmettere ai figli la cittadinanza italiana, non hanno tuttavia mai perso le radici italiane e non hanno mai tagliato del tutto i loro rapporti con l'amata Italia.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. Dopo il comma 1 dell'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è inserito il seguente:

«1-bis. È altresì cittadino:

a) la donna cittadina italiana per nascita che ha perduto la cittadinanza a seguito di matrimonio con uno straniero contratto prima del 1° gennaio 1948;

b) il figlio della donna di cui alla lettera a), sebbene deceduta, anche se nato prima del 1° gennaio 1948;

c) il figlio di uno dei genitori cittadino, anche se nato prima del 1° gennaio 1948».

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