PDL 2893

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2893

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
MAGI, FASSINA

Modifiche alla legge 7 aprile 2014, n. 56, concernenti l'ordinamento della città metropolitana di Roma, capitale della Repubblica

Presentata il 12 febbraio 2021

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Onorevoli Colleghi! – La presente proposta di legge riproduce il disegno di legge atto Senato n. 2214 presentato dai senatori Tocci e Astorre nella XVII legislatura. I centocinquanta anni dalla proclamazione di Roma capitale impongono una nuova attenta riflessione sull'ordinamento che il legislatore statale ha voluto definire per la capitale della Repubblica, in attuazione dell'articolo 114 della Costituzione, come sostituito dall'articolo 1 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
La norma costituzionale portava a compimento il dibattito parlamentare avviato fin dalla prima legislatura, quando furono presentati diversi progetti di legge sull'assetto ordinamentale della capitale.
Per oltre mezzo secolo, la «specialità» della capitale della Repubblica fu segnata – sul piano normativo – solo dalla previsione, nella legge 28 febbraio 1953, n. 103, di un contributo statale di parte corrente al comune di Roma, «in relazione alle esigenze derivanti dall'essere la città di Roma sede della Capitale della Repubblica» e, nella successiva legge 15 dicembre 1990, n. 396, di specifici «interventi per Roma, capitale della Repubblica». Per promuovere uno sviluppo equilibrato e moderno della città, ci si affidò, con alterni risultati, ai benefìci (e alla legislazione di sostegno) dei «grandi eventi»: le Olimpiadi del 1960, i Campionati mondiali di calcio del 1990, il Grande giubileo del 2000. Del resto, ben si comprende la difficoltà del Parlamento ad affrontare la «specialità» di Roma, dopo l'orgia retorica del ventennio fascista e alla luce dell'esperienza del Governatorato, simbolo e in qualche modo «apripista» della compressione di ogni modello di autogoverno locale da parte della dittatura.
Nel 2001, con la riscrittura dell'articolo 114 della Costituzione, emergono due importanti novità: sono riconosciute, da un lato, la necessità di un ordinamento «speciale» per la capitale della Repubblica e, da un altro lato, l'urgenza di un assetto nuovo e più efficace per il governo delle maggiori aree urbane del Paese, con la previsione delle città metropolitane quali «elementi costitutivi» dell'edificio repubblicano, insieme ai comuni, alle province, alle regioni e allo stesso Stato. Anche la concreta istituzione delle città metropolitane era attesa da tempo, almeno dall'entrata in vigore della legge 8 giugno 1990, n. 142.
In verità, per Roma le due dimensioni – la «capitalità», che ne fa ovviamente un unicum nel panorama nazionale, e la «metropolitanità», condivisa con le altre grandi città italiane – si intrecciano in modo inestricabile. Roma ha bisogno di un ordinamento differenziato perché è chiamata ad assolvere compiti e funzioni che riguardano l'intera comunità nazionale (e in qualche misura il mondo intero, per la presenza della Santa Sede e di alcune importanti istituzioni, anche internazionali), ma anche di un modello efficace di governo metropolitano, in quanto perno e snodo di una vasta area abitativa. A ciò si aggiunge che alcune delle sue più importanti e moderne infrastrutture sono necessariamente collocate in un territorio extra-comunale e che, da almeno quattro decenni, l'area della vecchia provincia ha assistito a un progressivo riequilibrio della residenzialità, senza che tale fenomeno fosse accompagnato né da un analogo riequilibrio delle opportunità di lavoro o di studio né da un sufficiente potenziamento della mobilità pubblica e privata.
Dunque, Roma-capitale della Repubblica (e centro della cattolicità) e Roma-città metropolitana: due volti della stessa realtà territoriale, di cui il legislatore doveva e deve ancora oggi necessariamente tenere conto. Del resto, se c'è un tratto che accomuna tutte le capitali moderne – in ordinamenti pur tanto diversi tra loro – è proprio l'essere a un tempo città «speciali» e città «normali»: speciali, per le funzioni che in esse si esercitano, e per le implicazioni che ne derivano anche sull'ordinario e quotidiano esercizio di compiti amministrativi; normali, per la necessità di assicurare ai propri cittadini servizi comparabili, per la quantità e per la qualità, a quelli spettanti agli altri cittadini del Paese, in una (appunto) normale dimensione di autogoverno locale.
Il legislatore ordinario, dopo la novella costituzionale del 2001, ha tardato a trovare una sintesi tra queste due esigenze, procedendo dapprima con la legge 5 maggio 2009, n. 42 (legge delega sul federalismo fiscale), poi con alcuni decreti legislativi concentrati sulla «specialità» del comune di Roma e, da ultimo, con la legge 7 aprile 2014, n. 56, cosiddetta «legge Delrio», che finalmente – sia pure con limiti e forzature – si è proposta di trarre fuori dalle secche, ormai quindicennali, la rotta delle città metropolitane.
Alla città metropolitana di Roma capitale l'articolo 1 della legge n. 56 del 2014 riserva i seguenti tre commi:

«101. Salvo quanto previsto dai commi 102 e 103, la città metropolitana di Roma capitale è disciplinata dalle norme relative alle città metropolitane di cui alla presente legge.
102. Le disposizioni dei decreti legislativi 17 settembre 2010, n. 156, 18 aprile 2012, n. 61, e 26 aprile 2013, n. 51, restano riferite a Roma capitale, come definita dall'articolo 24, comma 2, della legge 5 maggio 2009, n. 42.
103. Lo statuto della città metropolitana di Roma capitale, con le modalità previste al comma 11, disciplina i rapporti tra la città metropolitana, il comune di Roma capitale e gli altri comuni, garantendo il migliore assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli organi costituzionali nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri, ivi presenti, presso la Repubblica italiana, presso lo Stato della Città del Vaticano e presso le istituzioni internazionali».

Pur non essendo questa la sede per esaminare i pregi e i difetti della citata legge, si ritiene opportuno evidenziare la coerenza dei tre commi richiamati: con il comma 101 si riconosce che Roma è (anche) una città metropolitana e condivide le difficoltà, le necessità e le speranze delle altre maggiori aree urbane del Paese; con il comma 102 si ricorda che, a norma dell'articolo 114 della Costituzione, il legislatore statale ha il diritto-dovere di disciplinare in modo appropriato l'ordinamento di Roma per quanto riguarda la sua «unicità» di capitale (lo ha già fatto con i decreti legislativi attuativi della legge n. 42 del 2009 ed evidentemente lo potrà fare ancora); infine, con il comma 103 si richiamano tutti gli enti locali del contesto metropolitano a una prova di consapevolezza, perché l'assetto più efficace di una moderna capitale in uno Stato democratico è il frutto della convergente responsabilità delle istituzioni dello Stato e delle istituzioni territoriali (enti locali e regione).
D'altra parte, pur scegliendo senza esitazioni un modello di città metropolitana come «comunità di comuni», affidata a organi di governo di secondo grado, la legge n. 56 del 2014 ha lasciato alle singole realtà territoriali la possibilità di optare per una diversa forma di governo, con organi legittimati direttamente dal corpo elettorale e con una più netta e forte assunzione di responsabilità da parte dell'autorità metropolitana. Infatti, il comma 22 del citato articolo 1 della legge n. 56 del 2014 recita:

«22. Lo statuto della città metropolitana può prevedere l'elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano con il sistema elettorale che sarà determinato con legge statale. È inoltre condizione necessaria, affinché si possa far luogo a elezione del sindaco e del consiglio metropolitano a suffragio universale, che entro la data di indizione delle elezioni si sia proceduto ad articolare il territorio del comune capoluogo in più comuni. A tal fine il comune capoluogo deve proporre la predetta articolazione territoriale, con deliberazione del consiglio comunale, adottata secondo la procedura prevista dall'articolo 6, comma 4, del testo unico. La proposta del consiglio comunale deve essere sottoposta a referendum tra tutti i cittadini della città metropolitana, da effettuare sulla base delle rispettive leggi regionali, e deve essere approvata dalla maggioranza dei partecipanti al voto. È altresì necessario che la regione abbia provveduto con propria legge all'istituzione dei nuovi comuni e alla loro denominazione ai sensi dell'articolo 133 della Costituzione. In alternativa a quanto previsto dai periodi precedenti, per le sole città metropolitane con popolazione superiore a tre milioni di abitanti, è condizione necessaria, affinché si possa far luogo ad elezione del sindaco e del consiglio metropolitano a suffragio universale, che lo statuto della città metropolitana preveda la costituzione di zone omogenee, ai sensi del comma 11, lettera c), e che il comune capoluogo abbia realizzato la ripartizione del proprio territorio in zone dotate di autonomia amministrativa, in coerenza con lo statuto della città metropolitana».

Lo statuto della città metropolitana di Roma capitale, approvato nei termini e con i modi stabiliti dalla legge, ha indicato senz'altro questa prospettiva, sollecitando anche la trasformazione in comuni degli attuali municipi, anche se non indispensabile a norma del sesto periodo del citato comma 22. Ovviamente lo statuto immaginava che il percorso si sarebbe completato entro la primavera dell'anno 2018, quando sarebbe giunto al termine il mandato del sindaco di Roma; ciò non è stato possibile a causa della fine anticipata della consiliatura. Purtroppo neppure in quella successiva si sono fatti passi in avanti sul tema; spetta dunque al legislatore statale dare completa attuazione alle disposizioni legislative e statutarie, proponendo il superamento del «vecchio» modello comunale. Se ne auspica una rapida approvazione parlamentare, al fine di consentire, già in occasione del prossimo rinnovo degli organi elettivi, di andare a votare direttamente per la città metropolitana.
Non avrebbe, infatti, senso tornare a votare per gestire la «vecchia» macchina comunale che ormai non è più in grado di funzionare, indipendentemente da chi la guidi. Sarebbe meglio predisporre una nuova istituzione della capitale da affidare all'indirizzo di governo della classe politica che gli elettori sceglieranno alla scadenza elettorale della prossima primavera.
La crisi politica e amministrativa che ha investito il comune di Roma negli ultimi anni ne ha fatto esplodere le disfunzioni; in realtà si tratta di una struttura amministrativa già da tempo obsoleta. È insieme troppo grande e troppo piccola: è troppo grande per il governo di prossimità dei servizi ai cittadini e della vita di quartiere ed è troppo piccola per il governo dei processi demografici, economici, infrastrutturali, ambientali e urbanistici ormai dilagati su scala regionale.
La città metropolitana, quale ente territoriale di area vasta, è ormai decollata ed è bene che essa, al fine di semplificare l'assetto istituzionale, non si sovrapponga all'ente comunale capitolino ma ne acquisisca le competenze. Tale «unificazione» funzionale e amministrativa è necessaria per governare le grandi politiche infrastrutturali, per guidare una credibile politica di sviluppo economico locale e per promuovere uno sviluppo urbanistico socialmente ed ecologicamente sostenibile. Alla nuova istituzione di area vasta occorre assicurare una compiuta legittimazione popolare mediante l'elezione diretta, come già previsto nello statuto metropolitano.
A tale fine, la presente proposta di legge interviene direttamente sulla legge n. 56 del 2014 apportando poche modifiche sostanziali in materia di governo della città metropolitana di Roma. In particolare, si colma il vuoto normativo in materia elettorale, esplicitando l'applicazione delle norme per le elezioni degli organi provinciali previste inizialmente dalla legge 25 marzo 1993, n. 81, e successivamente trasfuse negli articoli 74 e 75 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. In sostanza si intende «riattivare» un sistema basato sui collegi che per quindici anni ha dato ottima prova di sé. Si ritiene necessario riportare il numero dei consiglieri metropolitani a quarantacinque, non solo per semplificare la definizione dei collegi, ma anche per restituire al consiglio metropolitano un grado di adeguata rappresentatività delle comunità locali che concorrono a costituire la più grande comunità metropolitana. Resterà, ovviamente, la conferenza metropolitana, composta da tutti i sindaci del territorio.
Si propone di affidare la dimensione locale del governo cittadino agli attuali municipi, trasformandoli in comuni metropolitani al fine di metterli in grado di rispondere direttamente ai cittadini senza rimpalli di competenze.
Del resto, sono passati quarantacinque anni dalla prima legge sul decentramento infracomunale (legge 8 aprile 1976, n. 278) e mezzo secolo dalla prima sperimentazione di decentramento capitolino: un arco di tempo molto lungo, in cui molto è stato fatto, fino però a toccare un punto critico difficilmente risolvibile nello schema del mero decentramento. L'ordinamento metropolitano offre una nuova possibilità: un governo forte di area vasta, per governare con efficacia le funzioni di interesse comune, e molti comuni, autonomi e autogovernati, vere «amministrazioni di prossimità» che possono essere più efficaci e vicine ai bisogni dei cittadini proprio perché affidano all'autorità metropolitana l'esercizio di funzioni altrettanto importanti. Lo statuto metropolitano ha la possibilità (e quello di Roma capitale l'ha colta appieno) di assicurare un'adeguata flessibilità nel riparto di funzioni tra comuni e città, anche in modo asimmetrico. È, insomma, possibile che la città metropolitana eserciti in modo più incisivo e diretto le sue funzioni nel cuore della conurbazione (a cominciare dal territorio dei «vecchi» municipi di Roma capitale trasformati in comuni) e che ne eserciti anche altre, delegate dagli stessi comuni, riconoscendo invece un più ampio spazio di autonomia ai comuni più distanti, caratterizzati da una più spiccata identità territoriale.
Si può, dunque, e per questo si deve sperimentare una forma di governo metropolitano inedita, che sappia coniugare le molte sfide che a Roma si intrecciano: la capitale e la metropoli, il governo di prossimità e il governo di area vasta.
La presente proposta di legge, quindi, sviluppa quanto aveva già indicato – sia pure come mera opzione – la legge n. 56 del 2014, valorizzando una scelta già fatta propria dalle istituzioni metropolitane romane. A tale fine si rende necessario e urgente un nuovo «patto repubblicano» tra lo Stato, la regione Lazio e le istituzioni locali, ciascuno chiamato a fare la propria parte per realizzare il nuovo modello di governo metropolitano. Del resto, è la Costituzione a rammentarci che solo la legge regionale può formalizzare l'istituzione di nuovi comuni ed è la legge dello Stato (legge n. 56 del 2014) a sollecitare, nei limiti del possibile, la ricerca di un'intesa tra istituzioni locali e regione per la definizione delle «zone omogenee»; sarà la legge regionale a procedere al riparto delle funzioni amministrative di cui all'articolo 118 della Costituzione, a «riempire di contenuti» l'indicazione delle funzioni fondamentali metropolitane e comunali (stabilita dal legislatore statale rispettivamente con la legge n. 56 del 2014 e con il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135), a governare il complesso processo di riparto del patrimonio, delle risorse e dei rapporti giuridici attivi e passivi del comune di Roma verso i nuovi comuni, nati sulle ceneri dei vecchi municipi, e verso la stessa città metropolitana.
Ci sarebbero, ovviamente, molti altri aspetti dell'ordinamento metropolitano meritevoli di correzione, alla luce della prima sperimentazione, ma essi interessano, ovviamente, tutte le città metropolitane e devono essere affrontati dal Parlamento in modo organico; un'anticipazione in questo provvedimento risulterebbe incongrua e inopportuna.
Si tratta, invece, di aprire una nuova stagione di governo per Roma e per il suo territorio metropolitano, per ripartire con regole nuove e con uno spirito nuovo dopo le enormi difficoltà, le crisi e gli errori degli anni passati.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifiche alla legge 7 aprile 2014, n. 56)

1. All'articolo 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 101, dopo le parole: «previsto dai commi» sono inserite le seguenti: «101-bis, 101-ter, 101-quater,» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Per quanto non espressamente previsto nella presente legge e nelle disposizioni dei decreti legislativi di cui al comma 102, agli organi della città metropolitana di Roma capitale e ai loro componenti si applicano le disposizioni di cui ai capi I, II e IV del titolo III della parte prima del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per quanto compatibili»;

b) dopo il comma 101 sono inseriti i seguenti:

«101-bis. Il consiglio metropolitano della città metropolitana di Roma capitale è composto dal sindaco, che lo presiede, e da quarantacinque consiglieri.
101-ter. Il sindaco e il consiglio della città metropolitana di Roma capitale sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori residenti nel territorio della medesima città metropolitana con il sistema elettorale previsto dagli articoli 74 e 75 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e durano in carica cinque anni.
101-quater. Alla data di proclamazione del sindaco metropolitano, la città metropolitana di Roma capitale subentra al comune di Roma capitale, succede a esso in tutti i rapporti attivi e passivi e ne esercita le funzioni, salvo quelle espressamente conferite ai comuni che ne fanno parte e in aggiunta a quelle proprie di cui ai commi da 44 a 46, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica e degli obiettivi del patto di stabilità interno. Alla data di cui al primo periodo, gli organi di governo del comune di Roma capitale cessano di esistere e ad essi subentrano gli organi della città metropolitana di Roma capitale; il sindaco e il consiglio metropolitani assumono rispettivamente le funzioni e i poteri, altresì, del sindaco di Roma capitale e dell'assemblea capitolina»;

c) al comma 102, le parole: «restano riferite a» sono sostituite dalle seguenti: «in materia di ordinamento di» e sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, si intendono riferite alla città metropolitana di Roma capitale»;

d) al comma 103, le parole: «, il comune di Roma capitale e gli altri comuni» sono sostituite dalle seguenti: «i municipi di Roma capitale e i comuni che la compongono».

Art. 2.
(Disposizioni finali e transitorie)

1. L'assemblea capitolina provvede, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, secondo quanto previsto dall'articolo 1, comma 22, secondo periodo, della legge 7 aprile 2014, n. 56, e in deroga a quanto previsto dal terzo periodo del medesimo comma, ad articolare il territorio di Roma capitale in più comuni, nonché ad assegnare agli stessi le risorse umane, finanziarie e strumentali necessarie per l'esercizio di tali funzioni.

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