PDL 2880

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2880

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
CANTALAMESSA, MOLINARI, BAZZARO, BIANCHI, CAFFARATTO, COIN, COLLA, DARA, FIORINI, FOGLIANI, LORENZO FONTANA, FOSCOLO, FRASSINI, GOLINELLI, LUCENTINI, PATASSINI, PATELLI, PRETTO, TATEO, TONELLI, ZORDAN

Disposizioni sulla formazione e sull'attività degli imam
e istituzione del Consiglio nazionale degli imam

Presentata il 2 febbraio 2021

torna su

Onorevoli Colleghi! – Le evidenze investigative e giudiziarie, oltre che la cronaca quasi quotidiana, individuano nelle moschee il luogo privilegiato per la formazione dei nuovi terroristi islamici, che si addestrano in Italia e poi partono dal nostro Paese per colpire in tutta Europa.
Ormai il jihadismo è diventato un fenomeno autoctono e la sua capacità di prosperare incontrastato dipende, molto spesso, da una sorta di vuoto normativo sulla natura delle caratteristiche dell'islam, un vuoto che si intende colmare con la presente proposta di legge. Imam, nella religione islamica, è colui che primeggia nella fede, è la guida.
La concezione dell'imamato differisce nelle due anime dell'islam – sunnismo e sciismo – entrambe presenti in Italia. Per gli sciiti, diversamente dal califfato contemplato dagli altri musulmani, l'imam incarna sia l'autorità temporale che quella spirituale ed è considerato la continuazione del «ciclo della profezia».
Nell'islam sunnita, imam è il termine comunemente usato per indicare chi guida la preghiera e il sermone del venerdì nella moschea.
In entrambe le accezioni l'imam riveste sia un ruolo religioso che politico, come nella natura intrinseca dell'islam quale religione e progetto politico allo stesso tempo.
Negli ultimi anni è emerso in modo sempre più insistente il problema relativo alla presenza e alla regolarizzazione delle moschee in Italia, eppure l'argomento continua a essere caratterizzato da un approccio troppo generico e approssimativo. Quando si discute sull'opportunità di costruire una moschea o di concedere terreni a questo scopo, è necessario anzitutto non dare per scontata la conoscenza dell'oggetto della discussione. La moschea non è una «chiesa» musulmana, ma un luogo che ha nell'islam la sua funzione e le sue norme: pertanto non è più ammissibile la mancanza di norme idonee per la sua disciplina.
La moschea (giâmi') è il luogo dove la comunità si raduna per esaminare tutto ciò che la riguarda: questioni sociali, culturali e politiche e anche per pregare. Non esiste una decisione della comunità che non sia stata prima stabilita durante un incontro nella moschea. Voler limitare la moschea a «un luogo di preghiera» è fare violenza alla tradizione musulmana.
Gli islamici si radunano a mezzogiorno per la preghiera pubblica, seguita dal khutbah, cioè il discorso o sermone, che non consiste nella predica come può essere intesa nel linguaggio proprio della religione cattolica. Nel khutbah vengono approfondite le questioni del periodo che si sta vivendo: politiche, sociali e morali. Il venerdì non è il giorno in cui non si lavora, come la domenica dei cristiani, ma il giorno in cui i musulmani si ritrovano insieme come comunità. Nei Paesi islamici, come in Arabia Saudita, il venerdì è un giorno lavorativo e tutte le attività, compresi gli esercizi commerciali, chiudono soltanto all'ora del raduno nella moschea a mezzogiorno.
Il jihâd, cioè «la guerra sul cammino di Dio» (fì sabîl Allâh), che obbliga ogni musulmano a difendere la comunità, è proclamato sempre nella moschea, durante il khutbah del venerdì. In alcuni Paesi musulmani, il testo del khutbah deve essere presentato prima alle autorità civili poiché gli imam (che presiedono le riunioni della comunità) sono funzionari statali.
Una moschea è una realtà multivalente – sia religiosa che politica e culturale – e, pertanto, risulta scorretto fare riferimento alla libertà di costruire moschee e di non controllare la figura dell'imam guardando alla libertà religiosa sancita dall'articolo 8 della Costituzione italiana.
Non si deve, inoltre, dimenticare che il luogo dedicato alla preghiera del venerdì è considerato dai musulmani uno spazio sacro e rimane per sempre appannaggio della comunità, la quale decide chi ha facoltà di esservi ammesso e chi invece lo profanerebbe.
Tenuto conto, ancora, della natura polivalente e spesso politica della moschea nella tradizione musulmana, la costruzione di moschee, contrariamente a quella della chiesa, può essere un atto politicamente ambivalente.
È dunque scorretto, guardando alla moschea e all'imam che la anima, parlare unicamente di «luogo di culto» e risulta evidente l'urgenza di regolarizzare tale figura in Italia, così come stanno facendo i Governi di tutta Europa.
Probabilmente, nel nostro Paese si tende a non «accendere i riflettori» sulle moschee frequentate da fanatici per non colpevolizzare un'intera comunità di fedeli, nonostante gli esempi di connessioni fra jihadisti e centri di culto siano numerosi e palesi in tutto il territorio nazionale, come risulta da oltre dieci anni: era il 2007 quando fu scoperta a Perugia una scuola di terrorismo in una moschea.
In Italia la popolazione musulmana raggiunge circa i 3 milioni. Il Ministero dell'interno ha rilevato oltre 1.200 luoghi dove le comunità islamiche si riuniscono, ma non si conosce il numero di imam. Risulta inoltre evidente, anche allo stesso Ministero, il legame che tali luoghi hanno con l'estero. Solo dal 2013 al 2017, la Fondazione caritatevole del Qatar ha investito 25 milioni di euro per i centri islamici in Italia. Molte associazioni musulmane hanno la propria sede presso appartamenti privati, negozi, garage e magazzini che non potrebbero venire utilizzati come moschee: centri abusivi di culto dove si annida il pericolo della «serpe» jihadista. Le regioni più a rischio risultano la Lombardia e il Lazio e il triangolo pericoloso resta sempre quello costituito da Milano, Brescia e Bergamo. I centri islamici abusivi, però, si stanno insediando anche in provincia.
In Lombardia, nel Lazio e nella Campania si è concentrato il 60 per cento delle 12.034 intercettazioni effettuate dal personale dell'antiterrorismo dal 2005 al 2017. Solo in Lombardia i «bersagli» sospetti monitorati, nello stesso periodo, sono stati 4.567.
Regolarmente il Ministero dell'interno fornisce l'elenco delle moschee a rischio di radicalizzazione. Il Marocco, la Turchia e l'Arabia Saudita risultano essere i Paesi maggiormente interessati a finanziare l'islam in Italia e a inviare imam nella nostra penisola.
Risulta altresì evidente, anche se mai scontato, che se un imam viene finanziato lo è in quanto dipendente di un Governo straniero in Italia.
All'inizio del 2018, in Francia, Mohamed Tataiat, l'imam della moschea di Empalot, fu deferito al tribunale penale di Tolosa per incitamento all'odio razziale a seguito di un controverso sermone sugli ebrei nel dicembre 2017.
Abbiamo letto «fiumi» di inchiostro su tutti i terroristi che hanno usato l'Italia come terra di passaggio o retrovia logistica, ma mai nulla sulle moschee che li hanno ospitati. Questo perché nella narrazione degli islamisti italiani o dei terroristi di passaggio manca sempre un tassello che riguarda una moschea (spesso abusiva). Si descrivono gli islamisti come delinquenti radicalizzati in carcere, giovani sbandati o balordi finiti nelle reti dell'ISIS per ricevere indicazioni su come condurre la guerra santa all'occidente, ma non si va oltre. Quasi sempre, infatti, si trovano un centro di culto e un predicatore casuale, un imam. Quindi, continuare a separare i sostenitori dell'islam radicale dal contesto in cui si muovono serve solo a limitare la lotta al terrorismo islamico.
Prima di tutto, è importante ricordare che gli imam, generalmente, non padroneggiano la lingua italiana e che, pertanto, è indispensabile e urgente richiedere la conoscenza della lingua italiana a diversi livelli e il possesso di specifici requisiti prima di consentire loro di predicare nel nostro Paese. Il Consiglio nazionale degli imam, del quale la presente proposta di legge prevede l'istituzione, rappresenta una sorta di consiglio dell'ordine sul modello di quello degli avvocati e un organo di garanzia del loro operato.
Nelle linee guida su «Moschee e imam in Italia» redatte dall'Unione delle comunità islamiche d'Italia (UCOII) sono degni di attenzione due articoli che, oltre a confermare, sintetizzano le considerazioni già riportate.
L'articolo XII recita così: «Per quanto riguarda il rapporto tra i dirigenti delle moschee o delle associazioni e l'Imam, si dovrebbe prestare attenzione a definire lo status sociale e giuridico dell'Imam stesso. In particolare, si dovrebbe provvedere ad una retribuzione adeguata, che consenta di poter svolgere l'incarico con la massima dedizione e disponibilità, ed evitare che l'Imam debba svolgere attività lavorative che possano svilire il suo ruolo all'interno ed all'esterno della comunità». Continua, pertanto, il pericolo che gli imam possano essere stipendiati da Stati esteri o da organismi non bene definiti.
All'articolo XXII si legge: «Il fattore linguistico incide in modo determinante sulla qualità di un sermone. Sarà dunque un “khatib” migliore colui che conosce ed utilizza al meglio la lingua italiana, che è fondamentale al pari della lingua araba, necessaria per accedere alle fonti islamiche originali. Il Corano stesso ci avverte dell'importanza del linguaggio in questo senso, come nel versetto (Non inviammo alcun messaggero se non nella lingua del suo popolo, affinché li informasse. Allah svia chi vuole e guida chi vuole ed Egli è l'Eccelso, il Saggio) (Corano Ibrahim 4). Si raccomanda inoltre agli Imam di impegnarsi nello studio delle altre lingue, in aggiunta alla lingua italiana, che vengono parlate nel contesto della realtà dei musulmani in Italia».
A seguito anche di quanto disposto dalle citate linee guida dell'UCOII, la presente proposta di legge intende regolamentare, per la prima volta in Italia, la figura dell'imam, prevedendo, tra l'altro, l'obbligo della conoscenza della lingua italiana, al fine di monitorare l'eventuale diffusione di discorsi d'odio da parte degli stessi imam e di impedire che essi siano finanziati da Paesi esteri.

torna su

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità)

1. La presente legge reca disposizioni sulla formazione e sull'attività degli imam autorizzati a esercitare la loro funzione nel territorio nazionale, al fine di tutelare la libertà di culto e la sicurezza nazionale.

Art. 2.
(Requisiti per l'esercizio della funzione di imam)

1. L'imam che intende esercitare la propria funzione nel territorio nazionale deve possedere un'adeguata conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER).
2. L'imam che non ha sottoscritto l'accordo di integrazione previsto dall'articolo 4-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e che non è titolare del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato ai sensi dell'articolo 9 del medesimo testo unico è tenuto ad attestare il possesso di un titolo di studio rilasciato da un istituto di istruzione pubblico riconosciuto dal Ministero dell'università e della ricerca.

Art. 3.
(Obbligo di recitare il khutbah in italiano)

1. Quanti esercitano la funzione di imam o sono responsabili della direzione di una moschea o di un centro islamico hanno l'obbligo di recitare il khutbah, o sermone, in italiano.

Art. 4.
(Istituzione del Consiglio nazionale degli imam)

1. Presso il Ministero dell'interno è istituito il Consiglio nazionale degli imam, di seguito denominato «Consiglio nazionale».
2. I soggetti che esercitano la funzione di imam ovvero che sono responsabili della direzione di una moschea o di un centro culturale islamico sono tenuti a richiedere al Ministro dell'interno l'iscrizione al Consiglio nazionale mediante apposita domanda presentata alla prefettura-ufficio territoriale del Governo competente per il territorio in cui è situata la moschea o il centro culturale, secondo le modalità stabilite dalla presente legge, pena il divieto di esercitare l'imamato o di presiedere la preghiera e il khutbah.

Art. 5.
(Domanda di iscrizione al Consiglio nazionale)

1. La domanda di iscrizione al Consiglio nazionale deve contenere, a pena di nullità, dichiarazioni riguardanti:

a) la conoscenza della lingua italiana ai sensi dell'articolo 2, comma 1;

b) il possesso della cittadinanza italiana e il domicilio in Italia da almeno quattro anni;

c) il compimento della maggiore età;

d) l'assenza di sentenze definitive di condanna, pronunziate o riconosciute in Italia o all'estero, per delitti commessi con dolo ovvero di sottoposizione a un procedimento penale;

e) la conoscenza e la condivisione dei diritti e dei doveri contenuti nella Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione, di cui al decreto del Ministro dell'interno 23 aprile 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 137 del 15 giugno 2007.

2. Alla domanda di iscrizione al Consiglio nazionale, soggetta all'imposta di bollo ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, devono, altresì, essere allegati:

a) l'esposizione dei princìpi religiosi ai quali si ispira l'attività svolta presso la moschea o il centro culturale islamico;

b) l'indicazione di eventuali attività di insegnamento esercitate, comprese quelle relative a corsi di istruzione superiore, delle materie e dei princìpi oggetto dell'insegnamento;

c) l'indicazione dell'autorità religiosa dalla quale eventualmente si dipende

d) l'elenco delle altre sedi italiane o estere presso le quali eventualmente si esercita la funzione.

3. Ai fini dell'iscrizione al Consiglio nazionale, il prefetto, avvalendosi degli organi di pubblica sicurezza, verifica l'estraneità del soggetto richiedente a ogni collegamento con organizzazioni terroristiche ovvero legate o contigue al terrorismo.
4. In qualsiasi momento il prefetto, avvalendosi degli organi di pubblica sicurezza, può verificare il possesso dei requisiti previsti dalla presente legge da parte di un soggetto iscritto al Consiglio nazionale. In caso di mancanza dei requisiti, il prefetto può chiedere la revoca dell'iscrizione al Consiglio nazionale, informando il Ministro dell'interno, e la chiusura della moschea o del centro culturale.
5. L'imam che esercita la propria funzione nel territorio nazionale è tenuto a rinnovare la domanda di iscrizione al Consiglio nazionale ogni tre anni, corredandola dei dati di cui ai commi 1 e 2.
6. L'istigazione all'odio o alla violenza commessa da parte di un imam è punita con cinque anni di reclusione e con la chiusura della moschea o del centro culturale. In caso di colpevolezza, sono altresì disposti la revoca dell'iscrizione dell'imam al Consiglio nazionale, il divieto di presentare una nuova richiesta di iscrizione e la decadenza dalla funzione.

Art. 6.
(Riunioni di carattere politico)

1. L'imam che intende tenere riunioni di carattere politico presso una moschea o un centro culturale islamico ovvero presso i luoghi che ne costituiscono pertinenze ha l'obbligo di presentare al prefetto competente per territorio la relativa richiesta entro dieci giorni dalla data dell'evento.
2. La violazione dell'obbligo di cui al comma 1 è punita con una multa di 15.000 euro e con la sospensione dalla funzione di imam per sei mesi.

Art. 7.
(Disposizione transitoria)

1. I soggetti che esercitano la funzione di imam ovvero che sono responsabili della direzione di una moschea o di un centro culturale islamico sono tenuti ad adempiere a quanto disposto dagli articoli 2, 3, 4 e 5 entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

torna su