PDL 2809

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2809

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
TONDO, SANDRA SAVINO, NOVELLI, BUBISUTTI,
PETTARIN, PANIZZUT, RIZZETTO, MOSCHIONI

Disposizioni per la riabilitazione storica attraverso la restituzione dell'onore degli appartenenti alle Forze armate italiane condannati alla fucilazione dai tribunali militari di guerra nel corso della prima Guerra mondiale

Presentata il 1° dicembre 2020

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Onorevoli Colleghi! – In occasione delle celebrazioni della vittoria italiana nella prima Guerra mondiale, proclamata Giornata dell'Unità nazionale e delle Forze armate quale giornata celebrativa del completamento dell'Unità nazionale italiana, spesso si fa riferimento alla disfatta di Caporetto, avvenuta un anno prima della conclusione del conflitto mondiale, e in alcuni articoli e interviste si fa cenno all'offesa all'umanità rappresentata dal cadornismo che diede la colpa della sconfitta alla vigliaccheria dei soldati. Il generale Luigi Cadorna fu anche l'autore di una nefasta circolare che autorizzava fucilazioni e processi per diserzione e per insubordinazione. Purtroppo neppure quest'ultima occasione sembra essere stata colta per risolvere la ferita aperta dalle inique condanne a morte.
Nella scorsa legislatura, l'iter di un analogo progetto di legge si interruppe prima del traguardo finale (atto Senato n. 1935 della XVII legislatura). Sarebbe, pertanto, incomprensibile non trovare una soluzione condivisa che restituisca l'onore alle centinaia di vittime di un militarismo ottuso e incapace. Altri lo hanno fatto, come la Francia e la Gran Bretagna. Il Presidente Sarkozy nel novembre 2008 riabilitò politicamente i 675 militari giustiziati tra il 1914 e il 1918, rendendo omaggio a tutte le vittime del massacro, compresi «i fucilati per l'esempio», che erano stati condannati per ammutinamento, diserzione, disobbedienza o automutilazioni. Un omaggio e una riparazione già suggeriti dieci anni prima da Lionel Jospin, secondo il quale quei soldati dovevano essere reintegrati pienamente nella memoria collettiva nazionale. La Gran Bretagna, con una legge, ha riabilitato la memoria di 306 soldati giustiziati durante la Grande guerra. L'Italia continua a dimenticare 750 soldati condannati a morte e fucilati, a cui vanno aggiunte le vittime delle esecuzioni sommarie.
La soluzione deve avere, quindi, il carattere della riconciliazione.
In alcune regioni, in particolare in Friuli Venezia Giulia, è ancora vivo nella popolazione il ricordo delle tragedie di cento anni fa e le istituzioni, dal consiglio regionale al consiglio della provincia di Udine, hanno chiesto ripetutamente una soluzione di giustizia. Il 20 novembre 2017, l'associazione «La Società della ragione» aveva organizzato a Udine un convegno perché fosse approvata dal Parlamento una legge in materia. In quell'occasione Franco Corleone, che già nel 2000, come Sottosegretario alla giustizia, si era occupato del problema, favorendo l'approvazione di un ordine del giorno della Commissione difesa della Camera dei deputati, aveva presentato un progetto di legge (atto Senato n. 3005 della XVII legislatura) che teneva conto della proposta di legge approvata dalla Camera dei deputati e del testo alternativo, rimasto comunque «nel cassetto» e non discusso e che viene fatto proprio dai presentatori di questa proposta di legge come una sorta di appello alla buona volontà. Costruire una memoria condivisa sulla base dei princìpi della Costituzione, che all'articolo 27 afferma che la pena di morte non è ammessa in nessun caso e senza eccezioni, costituirebbe un segno di forza di tali princìpi.
Una proposta di legge, quindi, tesa a costruire una memoria condivisa di quegli eventi sulla base dei princìpi della Costituzione, potrebbe contribuire a ridare forza a un'esigenza storica e sociale che il consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia – come ha ricordato anche il presidente del consiglio medesimo Piero Mauro Zanin – aveva già formalizzato con una mozione approvata all'unanimità alcuni anni fa e che è stata recentemente ribadita con l'approvazione unanime di un ordine del giorno per continuare a non dimenticare l'ingiustizia subita dagli alpini appartenenti alla 109a compagnia dell'8° reggimento, battaglione Arvenis, fucilati a Cercivento. Se di riabilitazione postuma non si potrà parlare, che sia però un'effettiva, cosciente e fondamentale restituzione dell'onore anche a beneficio di un territorio che ha sempre difeso e onorato i suoi figli caduti, così come evidenziato nel documentario «Cercivento, una storia che va raccontata», realizzato dalla regione e presentato poco più di un anno fa a Roma.
Una proposta di legge condivisa corrisponderebbe anche al sentimento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il senso della presente proposta di legge sta nel richiamare ognuno alla propria responsabilità. Riteniamo utile consegnare alla riflessione il testo dell'orazione civile pronunciata dallo storico Guido Crainz il 1° luglio 2016 a Cercivento in occasione dell'anniversario della fucilazione di quattro alpini in Carnia: «È accaduto qui, un secolo fa: nella prima guerra moderna, che travolgeva imperi e culture, modi di pensare e modi di vivere dell'intera Europa. All'indomani di essa “nulla era rimasto immutato fuorché le nuvole”, scriveva Walter Benjamin».
Di quella guerra stiamo parlando e durante quella guerra si è svolto il dramma di un secolo fa: dentro una tragedia mondiale e al tempo stesso dentro il vissuto di una comunità. Sono molte le ragioni che ci portano a presentare questa proposta di legge: in primo luogo il dovere di onorare Silvio Gaetano Ortis, Giovanni Battista Coradazzi, Basilio Matiz e Angelo Primo Massaro, fucilati ingiustamente ed egregiamente ricordati, insieme ai loro compagni, da Diego Carpenedo nel libro «La compagnia fucilati», che è una preziosa testimonianza del dolore di allora e della sofferenza delle loro famiglie e dei loro discendenti per l'esclusione dei loro cari dalla memoria nazionale. Questo però non è solo un luogo del dolore: è il luogo da cui ha preso forza la richiesta che questa esclusione cessi, all'interno di una riflessione nazionale. È stato un segnale al Paese il cippo piantato venti anni fa dal comune di Cercivento: «un atto di riparazione deciso dal basso, un corale gesto di pietà storica», come ha scritto Maria Rosa Calderoni, che a questa storia si è appassionata. La vicenda di cui trattiamo invita a interrogarsi su grandi nodi: il dolore e la morte, il modo di intendere la patria e l'onore, la vita e il rispetto dell'umanità. C'è tutto, in questa vicenda e sono noti i fatti e il clima in cui si svolse, ricostruiti per la prima volta molti anni fa da Gian Paolo Leschiutta.
Eravamo nel pieno di una guerra che immetteva a forza milioni di uomini nella «grande storia», nei suoi aspetti più terribili e feroci, strappandoli alla loro vita quotidiana, trascinandoli violentemente in una «modernità» che non aveva più come cardine il progresso, come era stato fino ad allora, ma la distruzione e l'annientamento. Un trauma radicale per l'intero occidente. Quella guerra ferocemente moderna fu combattuta – non solo in Italia – con una cultura militare arcaica, con codici autoritari e disumani. Un aspetto a lungo rimosso di quella guerra è stato portato alla luce quasi mezzo secolo fa da un libro scritto da uno storico intensamente cattolico, Alberto Monticone, e da un intellettuale rigorosamente laico, Enzo Forcella. In quel libro, «Plotone di esecuzione», Forcella si interrogava sulle centinaia di migliaia di denunce e sui processi per «discorsi disfattisti, diserzioni, ammutinamenti, ribellioni in faccia o in presenza del nemico» (su questa elegante questione di diritto – annotava – si decide spesso la vita di un uomo). Alberto Monticone ci aiutava, invece, a ricordare le leggi militari di allora: entriamo nella «grande guerra», osservava, con gli stessi codici con cui Carlo Alberto aveva combattuto la prima guerra di indipendenza. Ancora Monticone ci ricordava il clima di quel 1916, con l'offensiva austriaca che a maggio travolse lo schieramento italiano in Trentino (la Strafexpedition). Già allora, come farà dopo Caporetto, il generale Cadorna negò responsabilità ed errori dei vertici militari e rovesciò ogni colpa sulla presunta codardia dei soldati, parlando di uomini che invece si stavano battendo con un enorme senso del sacrificio in una guerra devastante. L'offensiva austriaca provocò l'inasprirsi di misure già durissime: Cadorna ordinò con sempre più forza di ricorrere a processi e a esecuzioni sommarie e il 1° novembre introdusse ufficialmente il sorteggio per procedere alla fucilazione. Fra quelle due date, maggio e novembre 1916, si consumò il dramma.
I fatti sono duri come le rocce, a partire dall'ordine di attacco dato a un plotone del battaglione monte Arvenis: conquistare la cima orientale del monte Cellon, una cresta liscia e priva di elementi che potevano facilitare l'avanzata, e conquistarla in pieno giorno, senza il sostegno dell'artiglieria e senza azioni di appoggio. Un'azione decisa irresponsabilmente dai vertici militari e che agli alpini del plotone apparve subito per quello che era in realtà: un'insensata azione suicida. Quegli alpini conoscevano bene i luoghi: era di Timau Matiz, era di Paluzza Ortis, era della Carnia, di Forni di Sopra, Coradazzi ed era di Maniago Massaro. Ma vogliamo ricordare anche tutti i luoghi di nascita degli alpini di quel plotone: oltre ai comuni già citati, troviamo quelli di Comeglians, Verzegnis, Illegio, Ravascletto, Socchieve, Enemonzo, Cimolais, Claut, Ovaro, Cavazzo, Caneva di Tolmezzo, Caneva di Sacile, Sacile, Fanna, Aviano, Pordenone, Castions e altri ancora. Una vera e propria «geografia del Friuli» completata da una presenza, sia pur esigua, dell'Italia centrale e meridionale. Sono questi alpini che consideravano suicida e insensata quell'azione e che proposero di conquistare la cima in un altro modo (con un'azione notturna, con i necessari appoggi e coperture e, magari, con ai piedi i silenziosi «scarpets» della Carnia invece dei rumorosi scarponi) e che, di fronte all'irresponsabile diniego del comandante, si rifiutarono di uscire dai baraccamenti. A tale rifiuto seguirono l'arresto del plotone e l'accusa di rivolta di fronte al nemico, molto più grave di altre possibili accuse, come l'ammutinamento (un esempio delle «eleganti questioni di diritto su cui si decide spesso la vita di un uomo», per citare una frase, amaramente ironica, di Forcella). Seguirono, poi, i processi e l'esecuzione dei quattro alpini, senza preoccuparsi se fossero realmente responsabili di quei fatti (Matiz non vi partecipò direttamente e non fu neppure accusato di averlo fatto), mentre ad altri ventinove alpini vennero comminate pene da quattro a quindici anni di reclusione. Si proseguì, comunque, con gli attacchi frontali, ma la storia insegna che la tattica suggerita dai «rivoltosi» venne, in seguito, applicata e si rivelò vincente. Ma l'onore dei quattro fucilati, così come quello di tutti coloro che allora furono giustiziati sommariamente e ingiustamente, deve ancora essere restituito.
Nel 1919 un'amnistia ha sì cancellato le sentenze, ma non ha fatto né risorgere i morti né dato loro la giusta riabilitazione. Siamo in ritardo rispetto agli altri Paesi europei belligeranti. Confidiamo che il Parlamento approvi la presente proposta di legge sui militari giustiziati per colpe disciplinari, che ridarà loro almeno la riabilitazione della memoria.
Quattro alpini, con il loro valore, con le loro storie e con il loro amore per la patria: Ortis è stato decorato al valor militare per la guerra di Libia, e Massaro è tornato da Düsseldorf, dove lavorava, per combattere per l'Italia. Uomini in carne e ossa, con le loro vite e con i loro affetti, condannati con un processo sommario: un processo-farsa. Le carte d'archivio non documentano tutto, ma documentano abbastanza per farci comprendere la disumanità e l'enormità di quel processo e di quella sentenza. C'è qualcosa, però, che le carte d'archivio non riusciranno mai a comunicare: lo stravolgimento dei sopravvissuti e le sofferenze delle vittime, dei loro familiari, dei loro commilitoni e dei loro amici. Uno stravolgimento che inizia prima della condanna e prima ancora dell'episodio che porta ad essa. Uno stravolgimento dei princìpi di umanità, e al tempo stesso uno stravolgimento che coinvolge un intero mondo e anche i luoghi, e in questo caso i luoghi erano spesso conosciuti e amati. Questo non riguarda solo il nostro Paese o solo la Carnia. Molte testimonianze europee hanno al centro proprio lo stravolgimento della natura prodotto dalla guerra: «alberi falciati come campi di grano», scriveva Henri Barbusse, antimilitarista convinto ma partito volontario per difendere la Francia invasa; e un soldato tedesco annotava che «il bosco che circonda il campo di battaglia sarà assassinato con la stessa certezza con cui il soldato sarà ucciso mentre guida l'attacco. Il bosco assassinato è il mio compagno». È lo stesso stravolgimento evocato quaranta anni fa da Leonardo Zanier, poeta della Carnia e del mondo, parlando proprio di queste montagne, che nella sua opera «Las Monts» scriveva questi versi: «iù das Gjermanias/ e su das Sicilias/ (giù dalle Germanie e su dalle Sicilie – diceva quella poesia) a emplelas di canonadas/ (a riempirle di cannonate). Las barelas van suvueitas/ e tornin iù cjamadas/ (le barelle salgono vuote e scendono cariche)». Nella stessa raccolta di versi (che richiama la prima Guerra mondiale fin dal titolo, «Che Diaz... us al meriti») Zanier proponeva il suo «Projekt für einen Grabstein al pass di Mont di Cros, Progetto per una lapide al passo di monte Croce», giustamente in due lingue e proponeva di dedicarla a «Joseph Schneider von Mauthen, ch'a ven a stai sartor (Giuseppe Schneider, che vorrebbe dire sarto, di Mauthen) e a Bepo di Lanudesc, murador, ex emigrant in Austria» che si erano uccisi a vicenda sul Freikofel.
Ma dobbiamo ricordare anche che la tragedia del giugno e del luglio 1916 si è ripetuta con altri protagonisti e su altri fronti, come ha raccontato a tutto il mondo, nel 1957, un maestro del cinema quale Stanley Kubrick in un film capolavoro, «Orizzonti di gloria». È difficile dimenticare questo film dopo averlo visto: gli alti comandi vogliono imporre a tutti i costi una missione suicida, un plotone la rifiuta, è accusato di tradimento e durante l'esecuzione è difeso dal suo sensibile comandante, uno straordinario Kirk Douglas. Il film fu vietato in Francia per quasi venti anni, fino al 1975: una grande amarezza per Kubrick, che si attenuò solo pochi mesi prima della sua morte. È infatti del novembre 1998 il discorso del Presidente francese Lionel Jospin che chiedeva di accogliere nella memoria collettiva i soldati fucilati nella prima Guerra mondiale «pour l'exemple»: «soldati che avevano già duramente e gloriosamente combattuto», disse Jospin. Dieci anni dopo, nel 2008, le parole di Jospin sono state fatte proprie dal Presidente Nicolas Sarkozy e alcuni atti simbolici sono stati compiuti: nel Museo dell'esercito, all'Hôtel national des Invalides, oggi vi è uno spazio dedicato ai «fusillés pour l'exemple» (fucilati per l'esempio), un'espressione terribile. In Inghilterra, nel 2006, è stata approvata una legge che considera «caduti per la patria» i fucilati in seguito a sentenze dalle corti marziali (e già in precedenza ad essi era stato dedicato un memoriale). La stessa via era stata già seguita dalla Nuova Zelanda e dal Canada. In questo più ampio scenario si colloca il ripensamento ancora incompiuto dell'Italia, avviato venti anni fa, sostenuto in modo crescente dalle amministrazioni e dalla popolazione di Cercivento, della Carnia e della regione Friuli Venezia Giulia. Con i primi risultati, a partire dalla risoluzione del 2000 della Commissione difesa della Camera dei deputati che auspicava un processo di revisione (risoluzione fatta propria dal Governo: poteva annunciarlo con soddisfazione il Sottosegretario alla giustizia di allora, Franco Corleone, che si era impegnato per questa causa). In tempi più recenti sono aumentati gli appelli e le iniziative – si sono espressi anche il consiglio regionale dello stesso Friuli Venezia Giulia e quello della provincia di Udine – fino alla citata proposta di legge per la riabilitazione dei soldati fucilati per atti di indisciplina e diserzione, approvata all'unanimità dalla Camera dei deputati nel maggio 2015 e rimasta ferma, poi, al Senato della Repubblica. Non c'è dubbio: «la memoria dei mille e più italiani uccisi dai plotoni di esecuzione interpella la nostra coscienza di uomini liberi e il nostro senso di umanità», come è stato autorevolmente affermato. Li interpella, perché chiedere questa riflessione e chiedere atti ufficiali che la rendano pubblica e condivisa non significa certamente voler riscrivere la storia con uno spirito orwelliano, come qualcuno ha detto per opporsi alla legge. Non significa, cioè, volerla modificare a proprio arbitrio, annullando ogni altro pensiero. Riflettere su questi eventi non significa neppure mettere in discussione la disciplina in sé, o l'esercito in sé, come forse qualcuno ha paventato o paventa. Lo affermiamo pensando alle parate che si tengono il 2 giugno di ogni anno: questo è l'esercito di un Paese democratico e proprio per questo è giusto chiedere che le ingiustizie e le disumanità del passato siano condannate in modo fermo e chiaro e che le vittime incolpevoli siano almeno riabilitate agli occhi del Paese: l'unica consolazione, purtroppo, che possiamo offrire ai loro discendenti. Non si chiederebbe questa revisione se non si avesse un vero amore per la patria: una patria che deve identificarsi con la giustizia e con l'umanità. Anche per questo dobbiamo essere molto grati a chi ha avviato questa riflessione con il coraggioso cippo posto in quei luoghi venti anni fa. Anche per questo, un secolo dopo, rendiamo onore a Silvio Gaetano Ortis, a Giovanni Battista Coradazzi, a Basilio Matiz e ad Angelo Primo Massaro.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. La Repubblica, in attuazione del divieto della pena di morte stabilito dall'articolo 27 della Costituzione, dispone la restituzione dell'onore degli appartenenti alle Forze armate italiane che, nel corso della prima Guerra mondiale, furono fucilati sulla base di sentenze emesse dai tribunali militari di guerra, anche straordinari, e promuove ogni iniziativa volta al recupero della memoria di tali caduti e, in particolare, ricerche storiche volte alla ricostruzione delle drammatiche vicende del primo conflitto mondiale con specifico riferimento ai tragici episodi dei militari condannati alla pena capitale.

Art. 2.

1. I nomi dei militari delle Forze armate italiane che risultano essere stati fucilati nel corso della prima Guerra mondiale in attuazione dell'articolo 40 del codice penale per l'esercito, di cui al regio decreto 28 novembre 1869, e della circolare del Comando supremo n. 2910 del 1° novembre 1916 sono inseriti, su istanza di parte presentata al Ministro della difesa, nell'Albo d'oro del Commissariato generale per le onoranze ai caduti.
2. Dell'inserimento di cui al comma 1 è data comunicazione al comune di nascita del militare per la pubblicazione nell'albo comunale.
3. Nel complesso del Vittoriano in Roma è affissa la seguente iscrizione: «Nella ricorrenza del centenario della Grande guerra e nel ricordo perenne del sacrificio di un intero popolo, l'Italia onora la memoria dei propri figli in armi, vittime della crudele giustizia sommaria. Offre la testimonianza di solidarietà ai soldati caduti, ai loro familiari e alle popolazioni interessate, come atto di riparazione civile e umana». La stessa iscrizione è esposta, con adeguata collocazione, in tutti i sacrari militari del territorio nazionale.

Art. 3.

1. Ai fini della conoscenza degli eventi oggetto della presente legge relativi alle fucilazioni e alle decimazioni, il Ministero della difesa assicura la piena fruibilità degli archivi delle Forze armate e dell'Arma dei carabinieri per tutti gli atti, le relazioni e i rapporti legati alle operazioni belliche, alla gestione della disciplina militare nonché alla repressione degli atti di indisciplina o di diserzione, ove non già versati agli archivi di Stato.

Art. 4.

1. Al fine di promuovere una memoria condivisa del popolo italiano sulla prima Guerra mondiale, il Ministero della difesa provvede alla pubblicazione dei lavori del Comitato tecnico-scientifico per la promozione d'iniziative di studio e ricerca sul tema del «fattore umano» nella prima Guerra mondiale, di cui al decreto del Ministro della difesa 16 ottobre 2014, in forme idonee ad assicurarne la massima divulgazione.

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