PDL 2796

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7
                        Articolo 8

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2796

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
BELLUCCI, BUTTI, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, GALANTINO, PRISCO, ROTELLI, VARCHI

Modifiche al codice civile e alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di protezione dei minori e di diritto del minore ad una famiglia, nonché deleghe al Governo in materia di condizione dei minori fuori della famiglia e di istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e per i minori presso i tribunali e le corti di appello

Presentata il 20 novembre 2020

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Onorevoli Colleghi! – In Italia, la legislazione vigente in materia di minori fuori della famiglia ha subìto nel corso degli anni una significativa evoluzione: si è passati dalla loro accoglienza presso gli istituti di assistenza pubblici o privati per minori, cosiddetti «orfanotrofi», al loro collocamento presso comunità di tipo familiare, cosiddette «case-famiglia», e al loro affidamento familiare come possibile fase transitoria verso l'adozione.
In particolare, la legge 4 maggio 1983, n. 184, la legge-quadro in materia di adozione e di affidamento del minore, ha sancito definitivamente il «diritto del minore alla propria famiglia», portando a compimento il delicato processo di chiusura e di trasformazione dei vecchi orfanotrofi, con la previsione delle cosiddette «comunità familiari», atte a garantire al minore la convivenza in un ambiente il più possibile simile a quello della famiglia propriamente detta, pur continuando a riconoscere un ampio sistema di misure di tutela dell'interesse primario del minore a crescere e ad essere educato nel proprio nucleo familiare.
Tale principio trova fondamento non solo nella nostra Costituzione (articoli 30 e 31), ma anche nella Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, e nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, che impone agli Stati membri di non interferire nella vita privata di ciascuna famiglia e, nel contempo, di adottare misure atte a garantirne il rispetto effettivo anche attraverso la previsione di misure di supporto in caso di situazioni di criticità.
La sottrazione del minore alla sua famiglia, dopo l'attivazione delle misure di tutela temporanee previste dalla legge, è, in tal senso, considerata una soluzione «limite», che sancisce l'insuperabilità delle difficoltà della famiglia di origine ad assicurare al minore un ambiente familiare idoneo.
In questo contesto si inserisce la normativa speciale di cui alla citata legge-quadro n. 184 del 1983, come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, che stabilisce innanzitutto che «Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia» e, innovando rispetto alla precedente disciplina, prevede espressamente (articolo 1, comma 2) che «Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto».
Numerosi segnali, però, rivelano una serie di perduranti criticità nel sistema di protezione dell'infanzia, che le istituzioni e la società civile non possono più ignorare.
In primis, da tempo è stata denunciata la lacunosità dei dati relativi all'attuazione dell'istituto dell'affidamento, che rende oltremodo difficoltosa un'esatta conoscenza dell'ampiezza del fenomeno. Basti considerare che anche la «Relazione sullo stato di attuazione della legge recante modifiche alla disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori», presentata ogni tre anni alle Camere dai Ministri della giustizia e del lavoro e delle politiche sociali e trasmessa da ultimo nel gennaio 2018, contiene dati aggiornati solo al biennio 2014-2015. Permangono, inoltre, modalità di rilevazione disomogenee tra le diverse regioni e tra le regioni e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, così come l'incomparabilità dei dati è determinata anche dalla non coincidenza temporale delle rilevazioni effettuate dai diversi Ministeri. La stessa Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza ha indicato come obiettivo necessario da raggiungere l'attivazione a livello nazionale di un sistema informativo dei servizi sociali che consenta di disporre di un censimento dei minori accolti in comunità e in affidamento familiare, quale strumento «in grado di restituire dati omogenei, confrontabili e aggiornati in tempo reale».
In particolare, i dati sono fondamentali in quanto indicano la direzione da seguire.
Presupposto fondamentale, poi, perché i diritti dei minori non restino lettera morta è l'ascolto. Ascoltare i bambini e i ragazzi significa dare attuazione a un diritto e non a un diritto qualsiasi, bensì a un diritto sancito dalla citata Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, che al paragrafo 2 dell'articolo 12 dispone che «si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale». Il diritto all'ascolto rappresenta un tassello fondamentale del principio del superiore interesse del minore sancito dall'articolo 3 della stessa Convenzione, che costituisce il perno, la finalità e insieme lo strumento di tutela delle persone di minore età.
L'ascolto del minore è stato, inoltre, oggetto delle raccomandazioni che all'inizio del 2019 il Comitato ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza ha rivolto all'Italia, rammentando l'importanza della partecipazione dei bambini e dei ragazzi a tutte le decisioni che li riguardano e chiedendo al Governo italiano di istituzionalizzare tale coinvolgimento.
L'ascolto dei minori è un presupposto fondamentale perché i loro diritti non restino solo parole sulla carta. Perché a ciascuno sia riconosciuto concretamente quello che nelle singole situazioni è il suo superiore interesse. Ascoltare i bambini e i ragazzi è dare attuazione a un diritto.
Il principio è semplice e, insieme, impegnativo: le persone di minore età devono poter esprimere la propria opinione in tutte le situazioni che le riguardano. Il dovere degli adulti e delle istituzioni è, dunque, ascoltarli sempre, riconoscendo anche ai più piccoli la loro centralità nella famiglia, nella scuola, nella comunità e nei tribunali, con modalità, condizioni e tempi adeguati alla loro età.
In Italia, per una persona di minore età, nelle aule giudiziarie l'ascolto è previsto solo in caso di soggetti di età pari o superiore a dodici anni ed è lasciato, nella migliore delle ipotesi, all'opinione degli esperti, come se le parole dei bambini non bastassero da sole a spiegarne i drammi.
In particolare, nel prevedere l'ascolto il legislatore non ha originariamente disciplinato le modalità per una corretta messa in opera della procedura, nonostante l'esigenza di assicurare al minore la possibilità di esprimere le proprie idee e di far sentire la propria voce. Con la legge 10 dicembre 2012, n. 219, e con il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, sono state introdotte delle norme, seppur minime, di procedura attraverso l'articolo 336-bis del codice civile e l'articolo 38-bis delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318. Le nuove disposizioni normative non hanno, però, coperto tutti gli aspetti metodologici dell'audizione e pertanto, oggi come ieri, buona parte della metodologia è affidata alle prassi virtuose.
La citata Convenzione sui diritti del fanciullo è entrata in vigore, a livello internazionale, il 2 settembre 1990: da allora, se molti sono stati i progressi raggiunti e molto è stato fatto sul piano della sua attuazione, altrettanto resta ancora da fare, soprattutto nei confronti delle persone di minore età in situazione di particolare vulnerabilità.
Ancora, molte perplessità desta l'istituto dell'allontanamento ad opera della pubblica autorità ai sensi dell'articolo 403 del codice civile, che trova applicazione nelle ipotesi in cui l'allontanamento del minore dalla propria famiglia di origine sia considerato particolarmente urgente. Si tratta di una norma ormai obsoleta, essendo espressione di una pubblica attività svolta nell'interesse della «sanità fisica e morale della stirpe» e che mal si concilia, in particolare per la non tempestività del contraddittorio giudiziale, con i princìpi costituzionali del giusto processo. L'articolo 403 del codice civile dovrebbe avere nel nostro ordinamento un'applicazione residuale, nel senso che si dovrebbe ricorrere a esso quando, a fronte di una grave difficoltà per il minore, che ne richiede l'allontanamento da un pericolo imminente, non sia già intervenuta l'autorità giudiziaria in applicazione degli articoli 330 (Decadenza dalla responsabilità genitoriale) o 333 (Condotta del genitore pregiudizievole ai figli) del codice civile. Se, dunque, l'autorità giudiziaria non è ancora intervenuta e della situazione di pericolo in cui versa il minore venga a conoscenza «chiunque altro» (articolo 9 della legge n. 184 del 1983), qualsiasi pubblica autorità può immediatamente intervenire per allontanare il minore dal pericolo. In altri termini, la norma assicura la protezione dei minori anche quando un tempestivo provvedimento del giudice non sia possibile, trovando applicazione solo nelle ipotesi di urgente necessità.
Dopo essere venuto a conoscenza del provvedimento provvisorio, il tribunale per i minorenni provvede in modo definitivo, pronunciandosi ai sensi degli articoli 330, 333 e 336 del codice civile, ovvero degli articoli 4 (procedimento di affidamento familiare) e 10 della citata legge n. 184 del 1983, sempre che – cessata la situazione di pericolo – il minore non debba essere semplicemente ricondotto dai propri genitori.
Le famiglie coinvolte in tali procedure entrano in una sorta di inferno dantesco, dove vi sono operatori spesso oberati di lavoro, che devono occuparsi di minori, di anziani in difficoltà e di disabili. Senza generalizzare, in alcuni casi si trovano operatori bravi e preparati, seppure troppo pochi numericamente rispetto ai casi da seguire, mentre in altri casi, purtroppo frequenti, capita che l'assistente sociale che deve relazionare al tribunale non sia competente o che abbia delle presunzioni del tutto personali circa il concetto, assolutamente non codificato, di capacità genitoriale. Peraltro, la mancata definizione di tale concetto implica una molteplicità di interpretazioni circa il suo effettivo significato. Pertanto, in molte situazioni i tribunali per i minorenni prendono per «oro colato» tali relazioni, che determinano, secondo uno studio condotto dall'Associazione per la tutela dei minori e della persona vittima di violenza, la permanenza in istituto dei minori per più di 48 mesi nel 42 per cento dei casi e da 24 a 48 mesi nel 22 per cento dei casi. Si tratta complessivamente del 64 per cento degli affidamenti a istituti, a comunità familiari o a famiglie affidatarie che si protraggono ben oltre i 24 mesi previsti dalla legge.
Pur riconoscendo l'importanza di un intervento, anche di tipo cautelativo, a tutela di un bambino o di un ragazzo in pericolo, bisogna evitare che il rimedio diventi più dannoso del male e cioè che, per garantire la protezione in queste situazioni di margine, si crei un sistema monstrum che sostanzialmente trasforma l'allontanamento del minore dalla famiglia di origine in un intervento normale e frequente. Le statistiche, per quanto disomogenee, dimostrano non solo che l'intervento di allontanamento è quello più frequente nell'ambito del sistema di protezione, sia amministrativo sia giurisdizionale del minore, ma anche che tale intervento è quello che più frequentemente manifesta una divergenza rispetto alla finalità normativa, che è quella di garantire al minore il diritto a una famiglia e, possibilmente, alla sua famiglia di origine.
L'allontanamento, secondo la giurisprudenza sovranazionale, alla quale sono conformi in modo assoluto la normativa e anche la giurisprudenza costituzionale di legittimità interna, dovrebbe essere l'extrema ratio e dovrebbe essere disposto soltanto allorché si manifesti l'immediata impossibilità di soluzioni alternative, prima di tipo assistenziale (articoli 30 e 31 della Costituzione e articolo 8 della CEDU), poi eventualmente di tipo autoritativo. L'esperienza, invece, conferma che l'allontanamento è disposto inaudita altera parte, quindi come primo provvedimento del procedimento giurisdizionale, e che nella maggior parte dei casi la motivazione dell'allontanamento si rinviene in valutazioni assolutamente generiche.
L'allontanamento per un bambino o per un ragazzo è un danno e si può praticare solo quando il danno sia considerato inferiore al pericolo a cui è esposto il minore.
Nelle decine di migliaia di casi seguiti prima come magistrato, successivamente in qualità di difensore, l'avvocato Morcavallo ha riferito di non aver mai potuto constatare, a fronte dell'allontanamento, la sussistenza di un solo beneficio o anche solo la predisposizione di un «progetto di riavvicinamento», cioè di quegli interventi che il dettato normativo impone per sollecitare il pronto rientro del minore nella sua famiglia di origine. A questo deve aggiungersi, inoltre, la grave carenza di controlli.
Appare necessario, quindi, un intervento riformatore, volto, da un lato, a circoscrivere le ipotesi nelle quali è consentito l'intervento d'urgenza della pubblica autorità e, dall'altro, a prevedere che il provvedimento sia comunicato all'autorità giudiziaria competente, che dovrà instaurare il contraddittorio con i genitori garantendo il rispetto del diritto di difesa dei genitori e il necessario ascolto del minore.
Si deve, poi, sottolineare che oltre il 60 per cento di questi minori è posto in affidamento da oltre due anni e che tale dato è rimasto sostanzialmente stabile dalla fine degli anni '90.
Al riguardo, la legge n. 184 del 1983 prevede esplicitamente che, laddove le famiglie non siano concordi nell'applicazione della misura dell'affidamento, questo può essere disposto con provvedimento del tribunale per i minorenni del quale, tuttavia, deve essere monitorata la durata. Ma l'affidamento dei minori in difficoltà familiare troppo spesso non rappresenta una soluzione temporanea, come invece dovrebbe essere, con la conseguenza che non si raggiunge mai, per quel minore, la situazione di stabilità familiare fondamentale per il suo sviluppo. Il termine di ragionevole durata dell'affidamento, già oggi previsto per legge in ventiquattro mesi prorogabili, dovrebbe essere prolungato solo in base a precise motivazioni, laddove corrisponda a un progetto determinato nell'interesse dello specifico minore per cui è richiesto e, comunque, per un tempo massimo di ulteriori dodici mesi. Utilizzare l'affidamento e l'allontanamento dalla famiglia di origine come misura a tempo indeterminato snatura l'istituto e lo trasforma in una misura definitiva idonea ad aggiungere abbandono all'abbandono.
L'applicazione errata dell'affidamento familiare è un'evidente concausa delle distorsioni alle quali si assiste anche nei casi di cronaca degli ultimi anni, anche perché la verifica delle relazioni periodiche dei servizi che si occupano di monitorare gli affidamenti è demandata interamente agli uffici del pubblico ministero presso i tribunali per i minorenni che, però, non hanno sufficienti risorse umane e soprattutto non dispongono di personale qualificato per effettuare tali controlli e per garantire i diritti dei minori coinvolti.
Un'ulteriore ed evidente criticità riscontrata nell'attuale sistema di affidamento riguarda la frequente esistenza di situazioni di «conflitto di interessi» in capo a molti operatori del settore o agli stessi giudici onorari minorili, come dimostra la circolare di cui alla delibera del Consiglio superiore della magistratura dell'11 luglio 2018 sulla nomina e conferma dei giudici onorari minorili per il triennio 2020-2022, che all'articolo 5 ha previsto una puntuale disciplina sulle incompatibilità.
Inoltre, i tribunali per i minorenni sono stati istituiti nel 1934 e si occupano specificamente di minori per quanto concerne gli ambiti civile e penale. Tale impostazione è, ad oggi, obsoleta e inaccettabile poiché la tutela proposta per la risoluzione delle molte questioni che attengono al delicato contesto familiare appare quanto mai inadatta e frammentaria. In sostanza, non esiste, come invece sarebbe opportuno e doveroso, una sede deputata alla risoluzione di qualsiasi problematica che coinvolga la famiglia – che è il nucleo principale su cui si fonda la società – e a tale lacuna consegue un'inadeguata tutela dei soggetti coinvolti che sono non solo gli adulti, ma anche e soprattutto i minori.
Alla luce delle considerazioni esposte, la presente proposta di legge è volta a dare attuazione ai due princìpi cardine della legislazione in materia di tutela dei minori: il principio del superiore interesse del minore e il diritto dei bambini e degli adolescenti a vivere e a crescere all'interno della loro famiglia di origine.
In particolare, l'articolo 1 prevede una delega al Governo volta a: a) definire e disciplinare giuridicamente dello stato dei minori fuori della famiglia come nuova categoria di vittime sociali; b) prevedere interventi di sostegno e di aiuto a favore delle famiglie indigenti, affinché in tali casi non si ricorra mai all'affidamento; c) istituire una banca di dati centralizzata con informazioni e dati uniformi sui minori collocati fuori della famiglia; d) istituire la figura dell'operatore dell'accoglienza familiare temporanea, un professionista proveniente dal mondo sociale con competenze educative e con esperienza di lavoro nell'ambito del disagio minorile e familiare.
L'articolo 2 modifica l'articolo 336 del codice civile per anticipare la nomina del difensore d'ufficio del minore, attualmente prevista solo nei procedimenti di adottabilità, al momento precedente l'assunzione di ogni provvedimento ex articoli 330 e seguenti del medesimo codice civile, avendo cura che sia specificato con apposite linee guida ogni elemento necessario ai fini della nomina e del concreto funzionamento della figura del difensore d'ufficio del minore, quale soggetto che accompagnerà il minore in tutto il percorso giudiziale che lo porterà al rientro nella famiglia di origine ovvero all'accoglienza in una nuova famiglia.
Il successivo articolo 3 anticipa l'età di ascolto del minore da dodici a otto anni, prevedendone l'ascolto anche in caso di età inferiore qualora capace di discernimento, mentre l'articolo 4 sostituisce l'articolo 403 del codice civile per ricondurre, innanzitutto, le ipotesi di intervento della pubblica autorità a due soli casi: lo stato di evidente abbandono del minore e l'esposizione a sistematica violenza o a un grave pericolo per il suo benessere fisico e psichico. Si prevedono, altresì, il necessario ascolto del minore e, in caso di allontanamento del minore dalla sua famiglia di origine, il suo possibile collocamento presso parenti entro il quarto grado ai fini della tutela del suo interesse. A tale riguardo è stato sottolineato come sia necessario garantire, anche se il minore viene allontanato, il diritto alla continuità affettiva con le figure di riferimento, nel senso che l'allontanamento non deve essere pregiudizievole rispetto alle relazioni emotive del minore, garantendo in tal modo la corretta applicazione della nuova normativa sulla continuità affettiva (modifiche alla legge n. 184 del 1983 introdotte dalla legge 19 ottobre 2015, n. 173). La proposta di modifica, introducendo un terzo comma all'articolo 403 del codice civile, specifica che l'autorità che adotta il provvedimento di allontanamento debba darne notizia al magistrato competente che, verificata la fondatezza delle ragioni dell'intervento della pubblica autorità, promuove tempestivamente i provvedimenti più opportuni, applicando le disposizioni sulle misure a tutela dei minori previste dallo stesso codice civile.
L'articolo 5 reca un'ulteriore delega al Governo per l'istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e per i minori in tutti i tribunali e le corti di appello, favorendo la specializzazione del sistema.
L'articolo 6 modifica gli articoli 4 e 10 della legge n. 184 del 1983 per ridurre i tempi di affidamento a dodici mesi, prorogabili di ulteriori dodici mesi, solo in base a precise motivazioni, laddove corrisponda a un progetto determinato nell'interesse dello specifico minore per cui è richiesto e per evitare che il tutore provvisorio nominato nel corso del procedimento non sia lo stesso responsabile del servizio sociale che ha elaborato la relazione di allontanamento, con un evidente conflitto di interessi.
L'articolo 7 prevede che il Governo raccolga e renda disponibile, con cadenza annuale, secondo criteri uniformi nel territorio nazionale, attraverso un puntuale monitoraggio a livello nazionale e regionale, il numero dei minori fuori della famiglia, compreso qualsiasi minore destinatario di una misura di allontanamento dalla famiglia di origine o anche da un solo genitore, avendo cura di monitorare la durata del collocamento in affidamento familiare, in comunità o presso altre strutture.
Infine, l'articolo 8 prevede il riconoscimento giuridico dell'interesse diffuso rappresentato dalle associazioni di tutela dei diritti dei minori fuori della famiglia.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Delega al Governo in materia di condizione dei minori fuori della famiglia)

1. Al fine di garantire la piena attuazione del principio del superiore interesse del minore e del diritto dei bambini e degli adolescenti a vivere e a crescere all'interno della loro famiglia di origine nonché di impedire un'applicazione errata dell'istituto dell'affidamento familiare, il Governo è delegato ad adottare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a:

a) definire e disciplinare giuridicamente lo stato dei minori fuori della famiglia come nuova categoria di vittime sociali;

b) prevedere interventi di sostegno e di aiuto a favore delle famiglie indigenti al fine di garantire che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale non siano di ostacolo all'esercizio del diritto del minore a crescere nella propria famiglia, in attuazione di quanto disposto dalla legge 4 maggio 1983, n. 184;

c) istituire una banca di dati centralizzata e completa delle informazioni riguardanti i minori collocati al di fuori della famiglia di origine, basata su indicatori uniformi e comuni per tutto il territorio nazionale, al fine di monitorare il numero e le caratteristiche dei minori fuori della famiglia, le tipologie del percorso di accoglienza nonché i tempi e le modalità di uscita dallo stesso;

d) istituire la figura dell'operatore dell'accoglienza familiare temporanea, individuata in un professionista proveniente dal mondo sociale con competenze educative e con esperienza professionale nell'ambito del disagio minorile e familiare. Prevedere che tale figura abbia il compito di rappresentare nelle sedi istituzionali le famiglie di origine, quelle affidatarie e le strutture di accoglienza e di collaborare con esse nella gestione delle attività quotidiane, nel rapporto con il minore e nei percorsi educativi che lo riguardano, ricoprendo anche la funzione di tutor del minore che lascia l'istituto o la comunità di accoglienza e che intraprende una vita autonoma.

Art. 2.
(Istituzione del difensore d'ufficio del minore)

1. È istituita la figura del difensore d'ufficio del minore, individuata in un avvocato iscritto nell'elenco nazionale previsto dall'articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, in possesso di una formazione specifica nel diritto minorile. Nello svolgimento del proprio incarico, il difensore d'ufficio valuta il migliore interesse del minore nel rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti allo stesso e delle Convenzioni internazionali vigenti in materia, agisce in completa autonomia e si ispira al principio di minima offensività per il minore rispetto ai tempi e ai contenuti del procedimento.
2. Il difensore d'ufficio di cui al comma 1 non può assumere la difesa di un minore qualora sia o sia stato, anche in procedimenti aventi un oggetto diverso, difensore di un adulto appartenente allo stesso nucleo familiare del minore interessato.
3. All'articolo 336 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Il minore è assistito da un difensore d'ufficio, nominato ai sensi della legislazione vigente in materia».

Art. 3.
(Disposizioni in materia di età di ascolto
del minore)

1. Al codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 336, secondo comma, le parole: «gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento» sono sostituite dalle seguenti: «gli anni otto e anche di età inferiore ove capace di discernimento, in presenza di uno psicologo infantile»;

b) all'articolo 336-bis, primo comma, le parole: «Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato» sono sostituite dalle seguenti: «Il minore che abbia compiuto gli anni otto e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato, in presenza di uno psicologo infantile,».

2. Alla legge 4 maggio 1983, n. 184, le parole: «anni dodici», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «anni otto».

Art. 4.
(Modifica dell'articolo 403 del codice civile)

1. L'articolo 403 del codice civile è sostituito dal seguente:

«Art. 403. – (Intervento della pubblica autorità a favore dei minori) – Quando il minore si trovi in uno stato, accertato o evidente, di abbandono morale o materiale o, comunque, si trovi esposto, nell'ambito familiare, a sistematica violenza o a grave pericolo per il suo benessere fisico e psichico, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in un ambiente sicuro, fino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione, valutando, in via prioritaria, la possibilità di una collocazione presso parenti entro il quarto grado di accertata idoneità che abbiano rapporti significativi con il minore e garantendo il diritto alla continuità affettiva con le figure di riferimento del minore.
Qualora non sussistano fondati motivi ostativi che possano pregiudicare l'interesse del minore, l'intervento della pubblica autorità deve essere eseguito presso la sua residenza o il suo domicilio, con modalità atte a tutelarne l'equilibrio emotivo e psicologico, previo avviso al magistrato di turno competente e ai genitori o ai soggetti esercenti la responsabilità genitoriale.
Il magistrato, sentiti il minore e i suoi genitori o i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale, accerta la fondatezza delle ragioni dell'intervento della pubblica autorità e promuove, entro quarantotto ore, l'adozione degli opportuni provvedimenti ai sensi dell'articolo 336 del presente codice nonché, ove ne ricorrano le condizioni, degli articoli 9 e 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184.
Contro il provvedimento di cui al terzo comma chiunque vi abbia interesse può proporre reclamo mediante ricorso al tribunale per i minorenni, che si pronuncia in camera di consiglio entro quarantotto ore dal ricevimento del ricorso. Il reclamo deve essere proposto nel termine di cinque giorni dalla notificazione del provvedimento di cui al primo periodo».

Art. 5.
(Delega al Governo per l'istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e per i minori presso i tribunali e le corti di appello)

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per l'istituzione, presso i tribunali e le corti di appello, di sezioni specializzate per la famiglia e per i minori, in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere la devoluzione alle sezioni specializzate della cognizione di tutte le controversie di competenza del tribunale per i minorenni in materia civile, nonché di quelle devolute alla competenza del giudice tutelare e del tribunale ordinario in materia di famiglia e di minori;

b) prevedere che le sezioni specializzate giudichino in composizione collegiale con tre magistrati togati, di cui uno con funzioni di presidente;

c) individuare i tribunali e le corti di appello presso i quali istituire le sezioni specializzate, disciplinare il loro funzionamento e fissare il loro organico, rideterminando l'organico dei tribunali per i minorenni, tenuto conto del residuo carico di lavoro in materia penale;

d) prevedere il coordinamento delle disposizioni dei decreti legislativi adottati nell'esercizio della delega di cui al presente comma con la legislazione vigente e stabilire la necessaria disciplina transitoria.

2. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica ai fini dell'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti legislativi sono adottati anche in mancanza del parere.

Art. 6.
(Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184)

1. Alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 4, comma 4, il secondo periodo è sostituito dal seguente: «Tale periodo non può superare la durata di dodici mesi ed è prorogabile, con provvedimento motivato del tribunale per i minorenni, una sola volta e per un periodo non superiore a dodici mesi, qualora la sospensione dell'affidamento rechi grave pregiudizio al minore»;

b) all'articolo 10, comma 3, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Non può essere nominato tutore il responsabile o qualsiasi altro membro dei servizi sociali, degli enti locali, delle istituzioni scolastiche e dell'autorità di pubblica sicurezza che abbia promosso la segnalazione ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 19 luglio 1991, n. 216».

Art. 7.
(Modifica all'articolo 39 della legge 28 marzo 2001, n. 149)

1. Al comma 1 dell'articolo 39 della legge 28 marzo 2001, n. 149, le parole: «successivamente con cadenza triennale, il Ministro della giustizia e il Ministro per la solidarietà sociale» sono sostituite dalle seguenti: «successivamente con cadenza annuale, il Ministro della giustizia e Ministro del lavoro e delle politiche sociali».

Art. 8.
(Riconoscimento delle associazioni di tutela dei diritti dei minori fuori della famiglia)

1. Il Ministro per le pari opportunità e la famiglia, con proprio decreto, provvede al riconoscimento delle associazioni di tutela dei diritti dei minori fuori della famiglia a carattere nazionale e di quelle operanti in almeno cinque regioni, individuandole sulla base delle loro finalità programmatiche e dell'ordinamento interno democratico previsti dai rispettivi statuti, nonché della continuità della loro azione e della relativa rilevanza esterna.
2. Le associazioni riconosciute ai sensi del comma 1 possono intervenire nei giudizi in materia di affidamento e di adozione dei minori.

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