PDL 2659

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2659

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
MULÈ, ANZALDI

Disposizioni concernenti il divieto di utilizzazione dei proventi derivanti dalla vendita di spazi pubblicitari da parte della società RAI-Radiotelevisione italiana Spa per il finanziamento del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale

Presentata il 10 settembre 2020

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Onorevoli Colleghi! – La RAI-Radiotelevisione italiana Spa, società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, è caratterizzata da un modello di finanziamento che vede la compresenza di risorse di natura pubblica (canone) e commerciali (pubblicità). In tale contesto, la certezza degli introiti garantiti dal canone di abbonamento, in misura assai rilevante (oltre 1,2 miliardi di euro), garantisce condizioni di sicurezza e di operatività impensabili per altri operatori del mercato.
La società concessionaria, in merito alla vendita degli spazi pubblicitari, sia nel daytime sia nella fascia più importante, il prime time, sta ponendo in essere, con segnali sempre più evidenti, una politica orientata su una linea diametralmente opposta ai princìpi di concorrenza, di trasparenza e di non discriminazione. Un vero e proprio dumping pubblicitario che l'azienda pubblica opera da anni con politiche di prezzo non sostenibili dalle imprese concorrenti o comunque tali da ridurre eccessivamente, o addirittura azzerare, i loro margini, grazie alla risorsa pubblica costituita dal canone.
La politica al ribasso della RAI è, infatti, in corso da anni (almeno dal 2012) come si evince dai dati relativi all'andamento medio dei prezzi, rilevato dalle ricerche di mercato effettuate dalla società Nielsen. In tutti questi anni, l'azienda pubblica ha costretto tutti i concorrenti ad adeguarsi, ovviamente in differente misura e maniera, in relazione alle dimensioni economiche e alle strategie di ognuno. Nello specifico, l'analisi dell'andamento degli sconti sia nel periodo 2010- 2018, sia nel triennio 2017-2019 (dati della Nielsen), mostra una costante tendenza all'incremento degli sconti medesimi e quindi alla riduzione dei prezzi da parte di tutti gli operatori, con la RAI che, su ambedue gli archi temporali, riduce i prezzi in misura maggiore rispetto ai suoi concorrenti, nonostante i più ridotti quantitativi che può offrire, a causa degli indici di affollamento e della almeno teorica maggior attrattiva della programmazione di servizio pubblico.
L'analisi di lungo periodo relativa al 2010-2018, secondo i dati della Nielsen, mostra che nel biennio 2012-2014 la RAI ha provocato uno shock di mercato non recuperato più negli anni successivi. In questo modo la strategia al ribasso ha assunto caratteri di sistematicità a prescindere dall'audience, tanto che, dall'andamento sugli sconti nel periodo dal 2017 al 2019, si evince che nel 2019 è stata superata la soglia media del 90 per cento di sconto con sconti mensili, pubblicati dalla Nielsen, che sfiorano il 94 per cento.
A tale proposito, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), in esito all'iter procedimentale concernente il mercato pubblicitario, ha evidenziato l'assenza di parametri certi e obiettivi per l'analisi delle negoziazioni della società concessionaria e degli effetti sulla gestione complessiva del servizio pubblico radiotelevisivo. In particolare, l'AGCOM ha rilevato che è stato impossibile risalire ai criteri di formazione dei prezzi di vendita degli spazi pubblicitari e individuare la «connessione» tra il listino e il prezzo effettivo, non risultando evidenti, chiari e univoci i parametri la cui applicazione conduce alla rilevazione della necessità di risorse pubblicitarie ulteriori e in misura non prevalente rispetto alle entrate del canone al fine di svolgere la missione di servizio pubblico. Ciò anche, e ancora di più, in ragione del mancato riscontro da parte della RAI alle numerose richieste di fornire dati, formulate proprio allo scopo di analizzare l'iter di formazione dei prezzi effettivi. A tale riguardo, l'AGCOM ha avviato nei confronti della RAI un procedimento sanzionatorio ai sensi dell'articolo 1, comma 30, della legge 31 luglio 1997, n. 249, per non avere provveduto, nei termini e con le modalità prescritti, alla comunicazione dei documenti, dei dati e delle notizie richiesti dall'Autorità. Tale procedimento si è concluso con la delibera n. 60/20/CONS del 13 febbraio 2020 di archiviazione per intervenuta oblazione: è noto che, secondo una giurisprudenza consolidata, accedere a tale beneficio implica il riconoscimento, pur se implicito, dell'illegittimità della condotta posta in essere e oggetto di contestazione e, conseguentemente, della legittimità del provvedimento.
Accertato che la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo aveva posto in essere un sistema non oggettivo e non trasparente per la formazione dei prezzi di vendita degli spazi pubblicitari, per fascia e per programma, e che una rilevante differenza tra prezzi effettivi e condizioni di listino avrebbe potuto provocare discriminazioni tra inserzioni e inserzionisti, oltre che non dare evidenza della corretta destinazione del canone, l'AGCOM, sempre il 13 febbraio 2020, ha adottato la delibera n. 61/20/CONS.
La violazione rilevata e sanzionata ai sensi dell'articolo 48 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, con la citata delibera n. 61/20/CONS, consiste nell'adozione di pratiche non improntate ai princìpi della trasparenza e della non discriminazione nella vendita degli spazi pubblicitari e, dunque, in una condotta incompatibile con le disposizioni riconducibili al contratto di servizio, che obbligano la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo all'applicazione di parametri e di condizioni certi e trasparenti nella costruzione dei prezzi di vendita degli spazi pubblicitari, in grado di fornire all'AGCOM le informazioni e i dati necessari alla misura dell'efficienza della gestione e del corretto utilizzo del canone. Nelle premesse del provvedimento si rileva come la mancanza di trasparenza nelle pratiche di formazione dei prezzi praticati per la vendita degli spazi pubblicitari sia suscettibile di «(...) favorire una politica commerciale ambigua e potenzialmente lesiva di un corretto assetto di mercato, anche consentendo la messa in opera di pratiche di discriminazione di prezzo. In particolare, rileva anche la considerazione che la RAI, in quanto operatore pubblico finanziato dal canone, potrebbe utilizzare le entrate da canone per finanziare attività diverse e in virtù di tale sovra-compensazione ridurre le entrate da pubblicità, attraverso scelte strategiche volte a praticare sconti elevati sui prezzi di listino a parità di affollamento orario, anziché ridurre l'“affollamento”, generando possibili effetti distorsivi anche sulla dinamica dei prezzi di mercato».
L'AGCOM, dopo aver rilevato nei fatti una palese distanza tra i prezzi di listino e gli sconti effettivamente praticati, ai sensi del comma 7 del citato articolo 48 del testo unico, ha pertanto diffidato «la concessionaria del servizio pubblico affinché cessi la condotta contestata e assuma iniziative idonee a garantire il rispetto dei princìpi di trasparenza e non discriminazione nella vendita degli spazi pubblicitari, anche tenuto conto degli sconti adottati sul mercato pubblicitario da un operatore efficiente». Conseguentemente, ne ha accertato il mancato rispetto e ha imposto alla RAI di cessare «immediatamente comportamenti analoghi a quelli oggetto dell'infrazione accertata, assicurando il rispetto dei princìpi di non discriminazione e di trasparenza nella conclusione dei contratti di diffusione pubblicitaria, anche al fine di consentire all'Autorità di verificare il corretto utilizzo delle risorse pubbliche destinate al finanziamento delle attività e della programmazione di servizio pubblico».
Successivamente, il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sospeso in sede cautelare gli adempimenti di produzione documentale in un momento di difficoltà legata all'emergenza sanitaria causata dalla pandemia di COVID-19, lasciando dunque pienamente valida la parte relativa all'inibitoria sul comportamento non trasparente e discriminatorio.
Nonostante l'intervento dell'AGCOM, la politica di dumping pubblicitario è stata perpetrata dalla RAI anche durante i mesi di cosiddetto lockdown a causa dell'emergenza sanitaria. Il dato trimestrale rilevato dalla Nielsen relativo ai mesi gennaio-marzo 2020, in piena esplosione dell'emergenza sanitaria, evidenzia come la RAI sia passata da uno sconto medio pari all'89,4 per cento nel periodo gennaio-marzo 2019 a uno pari al 91 per cento nel periodo gennaio-marzo 2020. In termini di impatto diretto sul prezzo, un aumento di 1,6 punti di sconto si traduce in una flessione del 15,1 per cento del prezzo medio degli spazi pubblicitari.
La smisurata e aggressiva politica degli sconti adottata dalla RAI ha come unico effetto quello di svilire la pubblicità stessa e il valore dei suoi contenuti, oltre che, ovviamente, l'effetto di sottrarre risorse necessarie alla sopravvivenza delle altre emittenti televisive e degli altri mezzi di comunicazione, a partire dalla carta stampata. A tale proposito è, dunque, necessario e non più procrastinabile un intervento legislativo.
La presente proposta di legge stabilisce per la RAI il divieto di percepire, direttamente o indirettamente, per il funzionamento del servizio pubblico generale radiotelevisivo, i proventi derivanti dalle operazioni di vendita degli spazi pubblicitari. Con apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e sentita l'AGCOM, da adottare entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge, sono definiti i criteri e le modalità volti ad assegnare la somma corrispondente all'ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita degli spazi pubblicitari nella misura massima del 70 per cento al Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 26 ottobre 2016, n. 198. Tale misura si rende necessaria al fine di assicurare l'indipendenza e il pluralismo dell'informazione, nonché di incentivare l'innovazione dell'offerta informativa (articolo 1). Conseguentemente, è prevista l'opportuna abrogazione del comma 1 dell'articolo 38 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 177 del 2005, che prevede il limite di affollamento pubblicitario per la società concessionaria del servizio pubblico (articolo 2).

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Disposizioni in materia di vendita degli spazi pubblicitari)

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, è fatto divieto alla società RAI-Radiotelevisione italiana Spa di percepire, direttamente o indirettamente, per il funzionamento del servizio pubblico generale radiotelevisivo, i proventi derivanti dalle operazioni di vendita degli spazi pubblicitari.
2. Al fine di assicurare l'indipendenza e il pluralismo dell'informazione, nonché di incentivare l'innovazione dell'offerta informativa, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentita l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti i criteri e le modalità per l'assegnazione dei proventi derivanti dalla vendita degli spazi pubblicitari di cui al comma 1 del presente articolo, nella misura massima del 70 per cento, al Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 26 ottobre 2016, n. 198.

Art. 2.
(Abrogazione)

1. Il comma 1 dell'articolo 38 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, è abrogato.

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