PDL 2632

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2632

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
COSTANZO, INVIDIA, CUBEDDU, DE LORENZO, SEGNERI, CIPRINI, DAVIDE AIELLO, TRIPIEDI, TUCCI, AMITRANO, COMINARDI, VILLANI

Modifica dell'articolo 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, in materia di indennità dovuta al lavoratore in caso di licenziamento affetto da vizio formale o procedurale

Presentata il 6 agosto 2020

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Onorevoli Colleghi! – L'articolo 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, recante «Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183», prevede un criterio legato alla sola anzianità di servizio per la determinazione dell'indennità da corrispondere nell'ipotesi di licenziamento viziato dal punto di vista formale o procedurale.
Con l'ordinanza del 18 aprile 2019, iscritta al numero 214 del registro delle ordinanze del 2019, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 1a Serie speciale – Corte costituzionale n. 49 del 4 dicembre 2019, il tribunale ordinario di Bari, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 4, primo comma, 24 e 35, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale del citato articolo 4.
In particolare, il meccanismo di determinazione dell'indennità parametrato alla sola anzianità di servizio si porrebbe anzitutto in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, sotto un duplice profilo:

a) violazione del principio di eguaglianza, poiché «anche le violazioni procedurali possiedono diverse gradazioni di gravità, e anche un licenziamento illegittimo per questioni di forma può produrre pregiudizi differenziati in base alle condizioni delle parti, all'anzianità del lavoratore, alle dimensioni dell'azienda»;

b) violazione del canone di ragionevolezza, in quanto «il diritto a essere licenziati solo all'esito di un regolare procedimento disciplinare, o comunque in virtù di un provvedimento chiaro, espresso, specifico, motivato, non riceverebbe adeguata tutela da un meccanismo risarcitorio che consentisse di predeterminare in maniera fissa l'importo dell'indennità sulla base del solo criterio dell'anzianità del dipendente». Tale rimedio non sarebbe neppure «congruo rispetto alla finalità di dissuadere i datori di lavoro dal porre in essere licenziamenti affetti da vizi di forma».

Secondo la citata ordinanza «una tutela inadeguata a fronte di un licenziamento illegittimo sotto il profilo procedurale» si rivelerebbe «lesiva del diritto al lavoro quanto l'analoga inadeguata tutela, ormai dichiarata incostituzionale, prevista per i licenziamenti illegittimi sotto il profilo sostanziale».
L'indennità per il licenziamento affetto da vizi formali e procedurali, prevista dal citato articolo 4 del decreto legislativo n. 23 del 2015, avrebbe dovuto essere modificata in coerenza con l'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2018, n. 96, recante «Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese», che ha elevato a trentasei mensilità l'ammontare massimo dell'indennità per il licenziamento affetto da vizi sostanziali. Il mancato intervento genera una discrasia che rende ancora più irragionevole la disparità di trattamento tra le due discipline.
Una disciplina che applichi il regime sanzionatorio parametrandolo all'anzianità di servizio, senza tenere conto della «situazione di bisogno» e delle «caratteristiche individuali», relative ai carichi di famiglia e all'età, penalizza, inoltre, i «soggetti più deboli nel mercato del lavoro».
Infine, si ricorda che con l'ordinanza del 9 agosto 2019, iscritta al numero 235 del registro delle ordinanze del 2019, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 1a Serie speciale – Corte costituzionale n. 1 del 2 gennaio 2020, anche il tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, per violazione degli articoli 3, 4, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 23 del 2015, «limitatamente alle parole “di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”».
La presente proposta di legge si prefigge di modificare il citato articolo 4 del decreto legislativo n. 23 del 2015, secondo un orientamento di tipo costituzionale, poiché l'attuale meccanismo di predeterminazione dell'indennità si risolve in un ristoro inadeguato del danno prodotto dal licenziamento e in una dissuasione inefficace per il datore di lavoro e pregiudica, pertanto, l'interesse del lavoratore alla stabilità dell'occupazione, tutelato dalla Carta fondamentale.
La modifica proposta prevede un ristoro pari a quindici mensilità, parametrate all'ultima retribuzione percepita dal lavoratore licenziato, cui si aggiunge una mensilità per ciascun anno di anzianità di servizio. L'indennità di quindici mensilità può essere elevata fino a un massimo di trentasei, sulla base dell'accertamento, in sede di giudizio, dei presupposti relativi alla condizione economica e al comportamento delle parti, alla gravità della violazione formale commessa, al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa e alla condizione del mercato del lavoro locale in riferimento all'occupabilità del lavoratore, desunta principalmente dalle allegazioni delle parti. A tale fine il giudice può chiedere informazioni anche alle associazioni sindacali e datoriali.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. L'articolo 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, è sostituito dal seguente:

«Art. 4. – (Vizi formali e procedurali)1. Fatta salva la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle tutele di cui agli articoli 2 e 3 del presente decreto, in conformità ai princìpi di eguaglianza, di ragionevolezza e del diritto al lavoro, di cui agli articoli 3, 4, primo comma, 24 e 35, primo comma, della Costituzione, nell'ipotesi in cui il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, o della procedura di cui all'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione, più una mensilità per ciascun anno di anzianità di servizio. Ferme restando le mensilità relative all'anzianità di servizio, l'indennità di quindici mensilità è elevabile fino a un massimo di trentasei mensilità, sulla base dell'accertamento, in sede di giudizio, dei presupposti relativi alla condizione economica e al comportamento delle parti, alla gravità della violazione formale commessa, al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa e alla condizione del mercato del lavoro locale in riferimento all'occupabilità del lavoratore desunta principalmente dalle allegazioni delle parti. A tale fine il giudice può chiedere informazioni anche alle associazioni sindacali e dei datori di lavoro».

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