PDL 2528

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2528

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
CARFAGNA, BAGNASCO, BATTILOCCHIO, BIANCOFIORE, CASINO, CASSINELLI, FIORINI, FITZGERALD NISSOLI, LABRIOLA, MARROCCO, MUGNAI, MULÈ, NAPOLI, ORSINI, PENTANGELO, PETTARIN, PITTALIS, POLIDORI, ROTONDI, RUFFINO, PAOLO RUSSO, SACCANI JOTTI, SARRO, ELVIRA SAVINO, SPENA, MARIA TRIPODI

Modifiche alla legge 11 agosto 2014, n. 125, in materia di sicurezza nella gestione degli interventi umanitari all'estero e di formazione del personale impiegato nelle attività di cooperazione internazionale allo sviluppo in aree soggette a elevato rischio

Presentata il 29 maggio 2020

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Onorevoli Colleghi! – La vicenda del lungo sequestro durato diciotto mesi e conclusosi con la liberazione della giovane cooperante Silvia Romano, partita come volontaria per il Kenya tramite l'organizzazione non lucrativa di utilità sociale «Africa Milele», ha messo in luce, più di altri casi verificatisi in passato, la necessità di riflettere sui rischi legati a tali tipi di attività, che non sempre sono adeguatamente valutati dalle organizzazioni di volontariato che operano in aree ad alto rischio o comunque potenzialmente pericolose.
Gli interventi umanitari internazionali e la cooperazione allo sviluppo svolgono un ruolo decisivo e, in quanto proiezione del nostro Paese all'estero, sono definiti dalla legge 11 agosto 2014, n. 125, quale «parte integrante e qualificante della politica estera dell'Italia», in particolare laddove tali interventi contribuiscono a sviluppare e a consolidare relazioni solidali, umanitarie, politiche ed economiche con Paesi considerati prioritari e strategici per l'Italia. Tuttavia, in un mondo in rapida evoluzione e contrassegnato da nuovi fattori di rischio a livello globale, occorre ripensare le regole, i comportamenti e le misure di sicurezza concernenti l'intervento umanitario all'estero e, in particolare, le attività di volontariato che, spesso caratterizzate dall'improvvisazione sotto il profilo organizzativo, delle competenze e del rispetto dei protocolli di sicurezza richiesti, rischiano di esporre i giovani volontari a gravi rischi in aree del mondo molto pericolose.
Il proliferare di nuove situazioni di conflitto e di pericolo a livello mondiale ha determinato l'insorgere di minacce di vario tipo e spesso imprevedibili, non solo in contesti tradizionalmente critici, ma anche in aree fino a qualche anno fa considerate sicure, nei cosiddetti «soft target», sempre più esposti al rischio di attentati terroristici di matrice jihadista.
Di fronte a tali mutamenti a livello internazionale, anche l'Unità di crisi del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI) sta cambiando le sue metodologie di lavoro, improntandole maggiormente sul ruolo dell'informazione e sui fattori di rischio anche potenziali, rafforzando la sua struttura, per quanto riguarda sia i compiti che le collaborazioni, oltrepassando il perimetro stesso del Ministero. Dell'Unità di crisi fa parte, infatti, anche il Comitato operativo della protezione civile, che mette in atto collaborazioni istituzionali e operative con la cooperazione in sede europea e, in modo costante e permanente, con il mondo della cooperazione internazionale e delle organizzazioni non governative (ONG) italiane. Proprio grazie a questa collaborazione, già dal 2015 le reti di rappresentanza delle ONG (AOI, CINI e LINK 2007) si sono dotate di un codice di autoregolamentazione interno, nel rispetto dei princìpi di imparzialità, neutralità, non discriminazione e indipendenza delle stesse ONG e delle organizzazioni della società civile, che costituiscono il carattere fondante e la premessa per la loro collaborazione con il MAECI.
Anche se il tema della sicurezza è da tempo oggetto di dialogo tra le ONG e l'Unità di crisi del MAECI, è necessaria una maggiore presa di coscienza dei pericoli ai quali si può andare incontro nello svolgimento di attività umanitarie all'estero. Istituzioni e ONG hanno fatto proprie alcune interpretazioni del concetto di sicurezza nelle particolari tipologie di contesto a rischio e hanno adottato, come già ricordato, un codice di autoregolamentazione che le mette in contatto e in dialogo costante con l'Unità di crisi della Farnesina (si vedano, ad esempio, i princìpi per una collaborazione in materia di sicurezza tra le ONG e le organizzazioni della società civile e l'Unità di crisi, ai quali hanno aderito con assenso formale tramite il sito del MAECI www.dovesiamonelmondo.it le ONG e le altre organizzazioni della società civile impegnate in interventi solidaristici e di cooperazione all'estero). L'adozione di specifiche procedure e di rigorosi codici di sicurezza vincola l'attività del personale per quanto concerne la gestione dei rischi, in coordinamento con ONG internazionali, con l'Unità di crisi, con le ambasciate di riferimento e le Agenzie delle Nazioni Unite presenti nei Paesi in cui si svolge l'attività di cooperazione.
Non tutti i soggetti che operano nella cooperazione internazionale, tuttavia, interpretano allo stesso modo il concetto di rischio e non tutti adottano le stesse misure o condividono le stesse priorità, pur trovandosi di fronte al medesimo evento.
I pericoli per il personale impegnato in interventi umanitari all'estero sono spesso legati alla sua preparazione ad affrontare contesti nei quali è necessario assumere comportamenti adeguati e prendere decisioni anche avvalendosi di una spiccata capacità di dialogo, al fine di non correre il rischio di diventare un facile bersaglio di organizzazioni terroristiche fondamentaliste e jihadiste.
In sintesi, è indispensabile garantire l'equilibrio tra l'imperativo umanitario che spinge a perseverare nell'azione di aiuto e la protezione e la valutazione del rischio.
Il tema della sicurezza è strettamente legato anche a quello della responsabilità, cioè a un tema che, già in seguito all'attacco alla sede dell'ONU a Baghdad nel 2003, aveva portato a una riflessione sulla responsabilità giuridica degli Stati nei confronti del personale umanitario operante in un territorio ad alto rischio, anche in riferimento alle organizzazioni non profit e alle ONG.
Non tutte le organizzazioni non profit hanno, infatti, la consapevolezza e la competenza necessarie per affrontare le diverse realtà e i contesti socio-politici e religiosi in cui operano, anche a causa della penetrante presenza, soprattutto nel continente africano, di efferate organizzazioni terroristiche internazionali a carattere jihadista. In alcune organizzazioni non profit, il «training» risulta assente o impartito con codici di comportamento insufficienti rispetto ai contesti in cui si opera. Questo è quanto emerge dall'attività della citata ONLUS «Africa Milele», che ha inviato la giovane Silvia Romano in zone ad altissimo rischio senza dotarla di un'adeguata preparazione e disattendendo gravemente le prescrizioni e i protocolli in materia di sicurezza; un'attività improvvida che ha portato al rapimento della giovane cooperante da parte dell'efferata organizzazione terroristica Al-Shabab, durato quasi due anni, e all'intervento oneroso dello Stato italiano per arrivare alla sua liberazione.
Il fatto che non tutte le organizzazioni impegnate in attività umanitarie all'estero siano all'altezza dei loro compiti è confermato anche dal documento redatto dalle citate reti di rappresentanza delle ONG (AOI, CINI e LINK 2007), intitolato «La sicurezza degli operatori delle ONG e delle altre organizzazioni della società civile impegnate nella cooperazione e solidarietà internazionale. Gestione dei rischi», laddove si segnala che «Se alcuni di questi enti hanno già acquisito una buona esperienza anche nei contesti di crisi dove negli anni hanno realizzato proficui partenariati e attività solidaristiche e di cooperazione, altri devono ancora approfondire la cultura dell'emergenza e della gestione del rischio, al fine di garantire la sicurezza del personale. Esistono gruppi di volontariato e talvolta singoli volontari che, pur nella positività delle loro azioni e nella generosità e fratellanza che esprimono, possono mettersi inavvertitamente in situazioni di rischio eccessivo se non sono inseriti o collegati ad un'organizzazione preparata, con esperienza in contesti di conflitto e conoscenza delle dinamiche conflittuali, politiche, sociali, economiche, claniche, se cioè non formati alle misure e procedure di sicurezza nello svolgimento della loro azione».
L'attenzione maggiore deve essere rivolta, dunque, al mondo variegato delle organizzazioni non profit, alle quali è stata aperta la possibilità di iscriversi nell'elenco delle ONG, in seguito alla riforma della cooperazione allo sviluppo prevista dalla legge 11 agosto 2014, n. 125, che ha sostituito la precedente legge 26 febbraio 1987, n. 49, e che ha aperto il sistema italiano della cooperazione internazionale allo sviluppo a molti soggetti non profit della società civile, oltre alle tradizionali ONG di sviluppo e umanitarie.
Pertanto, è necessario migliorare gli standard di sicurezza e assicurare che i volontari siano dotati di una preparazione adeguata ai difficili contesti culturali, politici e sociali nei quali dovranno operare, prevedendo che le organizzazioni umanitarie collaborino in modo proficuo con il MAECI, con l'Unità di crisi dello stesso Ministero e con le ambasciate italiane all'estero per quanto riguarda la scelta di operare in aree cosiddette «sconsigliate» e ad alto rischio, pena l'assunzione di una piena responsabilità circa le conseguenze, anche di carattere economico, alle quali si può andare incontro.
A tale proposito, la presente proposta di legge introduce nuovi princìpi volti a rafforzare alcune disposizioni della legge n. 125 del 2014, nel caso di invio di operatori in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose, nel rispetto dell'obbligo di comunicazione al MAECI e nell'osservanza dei protocolli di sicurezza dello stesso Ministero e del codice di autoregolamentazione delle ONG.
Si prevede che, in relazione a tali ipotesi, le ONG e le organizzazioni umanitarie debbano rispondere in proprio dei costi economici conseguenti a incidenti, rapimenti o eventi avversi che mettano in pericolo l'incolumità dei loro cooperanti e volontari.
Nel contempo, la presente proposta di legge mira a rafforzare e a incentivare la formazione dei cooperanti e dei volontari, prevedendo che essi siano dotati di competenze specifiche, in particolare per quanto concerne i soggetti privi di esperienza nella gestione delle attività all'estero in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose, nel rispetto dei protocolli di sicurezza, introducendo, altresì, specifiche norme per assicurare il monitoraggio, la verifica e il controllo delle competenze acquisite.
In particolare, l'articolo 1 indica le finalità della legge.
L'articolo 2 introduce l'articolo 23-bis della legge n. 125 del 2014, rubricato «Formazione», allo scopo di migliorare le competenze dei volontari e dei cooperanti che decidono di partecipare a progetti e programmi di cooperazione internazionale, prescrivendo che i soggetti iscritti nell'elenco di cui all'articolo 26, comma 3, della stessa legge provvedano alla formazione dei propri operatori mediante appositi corsi, predisposti in base ai diversi contesti geopolitici e culturali; tale formazione si conclude con il rilascio, da parte dei medesimi soggetti, di un patentino di «solidarietà in sicurezza», quale certificazione necessaria per operare all'estero e per gestire in sicurezza situazioni emergenziali e ad alto rischio.
L'articolo 3 introduce il comma 10-bis dell'articolo 28 della legge n. 125 del 2014 , in tema di responsabilità; il comma prevede specifici obblighi per i soggetti iscritti nell'elenco di cui all'articolo 26, comma 3, della stessa legge, quali l'obbligo di comunicare al MAECI l'invio di cooperanti o di volontari in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose e l'obbligo di rispettare i protocolli di sicurezza dello stesso Ministero. La medesima disposizione prevede che in caso di oneri sostenuti dallo Stato a seguito di incidenti, rapimenti o altri eventi avversi che hanno messo a rischio l'incolumità dei cooperanti o dei volontari, lo Stato possa rivalersi sui soggetti responsabili del loro invio. A tale proposito è utile ricordare che il codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, stabilisce, all'articolo 18, comma 1, che «Gli enti del Terzo settore che si avvalgono di volontari devono assicurarli contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività di volontariato, nonché per la responsabilità civile verso i terzi». Nell'elenco degli enti del Terzo settore sono comprese anche le associazioni di cui al citato articolo 26 della legge n. 125 del 2014, oggetto della presente proposta di legge, le quali dovranno inserire l'acronimo «ETS» (enti del Terzo settore) nei propri statuti (anche se tale obbligo è stato più volte prorogato e, da ultimo, l'articolo 35 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, cosiddetto decreto «cura Italia», a seguito delle misure di contenimento in vigore nel periodo emergenziale conseguente alla diffusione del virus COVID-19, lo ha ulteriormente rinviato al 31 ottobre 2020).
L'articolo 4, al comma 1, modifica l'articolo 16, comma 3, della legge n. 125 del 2014, prevedendo che tra gli obiettivi della Conferenza pubblica nazionale, indetta dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ogni tre anni per favorire la partecipazione dei cittadini nella definizione delle politiche di cooperazione allo sviluppo, sia inserito anche quello di monitorare lo stato di attuazione dei protocolli di sicurezza e del codice di autoregolamentazione delle ONG, al fine di migliorare la gestione degli interventi in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose.
Il medesimo articolo, al comma 2, sostituisce il comma 3 dell'articolo 26 della legge n. 125 del 2014 prevedendo che, nell'ambito della verifica almeno triennale delle capacità e dell'efficacia delle organizzazioni di solidarietà e cooperazione da parte del Comitato congiunto (di cui all'articolo 21 della stessa legge n. 125 del 2014), ai fini dell'inserimento delle stesse in un apposito elenco pubblicato e aggiornato periodicamente dall'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, sia disposto un ulteriore accertamento circa i profili di adeguatezza delle citate organizzazioni nella gestione in sicurezza di interventi umanitari internazionali emergenziali in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità)

1. La presente legge reca disposizioni finalizzate a garantire un'adeguata formazione dei cooperanti e dei volontari delle organizzazioni non governative e delle organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionale che operano all'estero in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose, mediante misure volte a prevedere una maggiore responsabilità a livello individuale e delle organizzazioni, nonché a garantire la sicurezza nella gestione delle attività umanitarie in situazioni di emergenza.

Art. 2.
(Formazione)

1. Dopo l'articolo 23 della legge 11 agosto 2014, n. 125, è inserito il seguente:

«Art. 23-bis. – (Formazione)1. I soggetti della cooperazione allo sviluppo, le organizzazioni della società civile e gli altri soggetti senza finalità di lucro che svolgono attività di volontariato e solidarietà internazionali, iscritti nell'elenco di cui all'articolo 26, comma 3, si impegnano a garantire un'adeguata formazione dei volontari e degli operatori destinati allo svolgimento di attività all'estero in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose, attraverso:

a) la predisposizione di corsi di formazione di base e avanzata, in relazione a compiti, attività e norme di comportamento conformi ai modelli adottati dalle agenzie internazionali e adeguati ai mutati contesti geopolitici ad alto rischio o potenzialmente pericolosi, avvalendosi anche di docenti esperti in materia di aiuti internazionali in situazioni di emergenza umanitaria in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose e in materia di sicurezza personale;

b) la verifica del possesso di titoli specifici, nonché della frequenza con esito positivo di tirocini e apprendistati sotto la guida di cooperanti esperti, avendo riguardo ai diversi contesti geopolitici e alle differenti culture, ideologie, religioni e assetti sociali;

c) l'apprendimento di norme di comportamento e di prevenzione, che prevedano anche le modalità di reazione e di risposta in ordine alla gestione delle emergenze in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose;

d) la predisposizione di corsi tenuti da esperti, psicologi e psicoterapeuti, regolarmente iscritti ai rispettivi albi professionali, finalizzati a garantire l'acquisizione delle capacità necessarie per gestire interventi di natura emergenziale in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose.

2. La partecipazione con esito positivo ai corsi di formazione di cui al comma 1 dà diritto al rilascio, da parte dei soggetti di cui al medesimo comma 1, di un patentino di solidarietà in sicurezza in favore degli operatori e dei volontari che intendano svolgere attività umanitarie internazionali in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose.
3. Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in collaborazione con l'Agenzia, monitora lo stato di adesione e di applicazione dei protocolli di sicurezza e dei codici di autoregolamentazione delle organizzazioni non governative, nonché l'effettiva acquisizione delle competenze specifiche attestate mediante il rilascio del patentino di solidarietà in sicurezza, di cui al comma 2, ai fini della sicurezza nella gestione degli interventi umanitari in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose».

Art. 3.
(Responsabilità)

1. Dopo il comma 10 dell'articolo 28 della legge 11 agosto 2014, n. 125, è inserito il seguente:

«10-bis. Nel caso di invio di cooperanti o di volontari da parte dei soggetti iscritti nell'elenco di cui all'articolo 26, comma 3, in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose, spetta agli stessi soggetti ogni responsabilità conseguente al verificarsi di incidenti, rapimenti o eventi avversi che mettano a rischio l'incolumità dei cooperanti o dei volontari. I medesimi soggetti sono tenuti a comunicare all'Unità di crisi del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale l'invio di cooperanti o di volontari in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose e ad attenersi ai protocolli di sicurezza indicati dalla medesima Unità di crisi e dal codice di autoregolamentazione delle organizzazioni non governative. In caso di oneri sostenuti dallo Stato a seguito di incidenti, rapimenti o altri eventi avversi che hanno messo a rischio l'incolumità di cooperanti o di volontari, lo Stato ha diritto di rivalersi nei confronti dei soggetti responsabili dell'invio degli stessi cooperanti o volontari».

Art. 4.
(Monitoraggio)

1. Al comma 3 dell'articolo 16 della legge 11 agosto 2014, n. 125, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La Conferenza provvede al monitoraggio dello stato di attuazione dei protocolli di sicurezza e del codice di autoregolamentazione delle organizzazioni non governative e, in collaborazione con i soggetti di cui al comma 1, promuove l'adesione a strumenti volti a migliorare la sicurezza nella gestione di interventi in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose».
2. Il secondo periodo del comma 3 dell'articolo 26 della legge 11 agosto 2014, n. 125, è sostituito dal seguente: «La verifica delle capacità e dell'efficacia dei medesimi soggetti riguarda anche i profili di adeguatezza rispetto alla gestione in condizioni di sicurezza di interventi umanitari internazionali emergenziali in aree ad alto rischio o potenzialmente pericolose ed è rinnovata con cadenza almeno triennale».

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