PDL 252

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 252

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
FEDRIGA, GIORGETTI, CASTIELLO, INVERNIZZI, GUIDESI,
GRIMOLDI, BIANCHI, ANDREA CRIPPA, MATURI, MOLINARI,
MOLTENI, ALESSANDRO PAGANO, PICCHI, SALTAMARTINI

Disposizioni per contrastare la delocalizzazione
delle attività produttive

Presentata il 23 marzo 2018

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Onorevoli Colleghi! — Il caso dell'azienda K-FLEX di Roncello in provincia di Monza e Brianza riporta in evidenza una problematica annosa che, nonostante le nostre denunce, non si è ancora provveduto a risolvere. L'azienda, nata in Lombardia e presente ormai in Europa, Asia, Medio Oriente e Nord America con un totale di 11 stabilimenti produttivi e in 60 Paesi con sedi logistiche e commerciali, ha deciso infatti di delocalizzare la sede italiana in Polonia, nonostante abbia ricevuto, tramite la Società italiana per le imprese all'estero (SIMEST) Spa, diversi milioni di fondi pubblici per attività di ricerca e sviluppo.
Nonostante l'azienda si difenda asserendo che si tratti di prestiti in buona parte restituiti, è doveroso ricordare, come già denunciato dal gruppo Lega Nord, che spesso, dietro le attività di internazionalizzazione finanziate dalla SIMEST Spa con i soldi dei contribuenti, si nascondono casi di vera e propria delocalizzazione e messa in cassa integrazione guadagni di lavoratori in Italia da parte delle aziende in crisi e conseguenti assunzioni di personale all'estero, dove il costo del lavoro è più basso rispetto a quello sostenuto dalle stesse aziende in Italia.
Sono molte le aziende coinvolte e fra queste, solo per citarne alcune, figura la Ducati energia Spa, di proprietà della famiglia Guidi, che, dal 2005 al 2009, secondo dati dell'Agenzia nazionale stampa associata (ANSA), avrebbe messo in cassa integrazione guadagni 95 dipendenti, ottenendo da parte della SIMEST Spa un finanziamento di 6 milioni di euro per uno stabilimento in Croazia; la Montefibre Spa che ha licenziato 10 dipendenti in Italia e ne ha messi 290 in cassa integrazione guadagni, ottenendo un finanziamento da parte della SIMEST Spa di 2 milioni di euro per uno stabilimento in Cina; il gruppo Marcegaglia che, nel 2013, ha messo in mobilità 134 dipendenti e ha ottenuto un finanziamento, sempre da parte della SIMEST Spa, di 32 milioni di euro per gli stabilimenti in Russia, Brasile e Cina. L'elenco è fitto e riporta tanti altri casi di aziende che hanno ottenuto finanziamenti pubblici per delocalizzare all'estero. L'ultimo caso è quello della FIAT, forse il più importante per il peso che ha rivestito nella storia industriale italiana, il cui amministratore delegato ha annunciato di voler delocalizzare in Polonia la produzione della Panda ora realizzata negli stabilimenti di Pomigliano. Eppure, dal 1977 al 2012, la FIAT ha ricevuto dallo Stato, come riportato da uno studio della Confederazione generale italiana artigianato (CGIA) di Mestre, circa 7,6 miliardi di euro, esclusi gli ammortizzatori sociali.
La delocalizzazione, ossia la dislocazione dei processi produttivi o parte di essi in Paesi diversi da quello di origine, rappresenta oggi la minaccia più grande alla tenuta del patrimonio industriale italiano.
Essa sta portando a un lento e profondo depauperamento delle risorse produttive e occupazionali presenti sul territorio, con conseguenze disastrose sulla tenuta del sistema produttivo italiano, anche con particolare riferimento alle imprese che operano nell'indotto, le quali si sono sviluppate per fornire materie prime, servizi, forza lavoro e competenze alle imprese delocalizzanti.
La presente proposta di legge nasce quindi dalla volontà non di contrastare l'internazionalizzazione delle imprese in sé, ma dalla volontà di evitare che soldi pubblici dei cittadini vengano utilizzati o spesi da imprese che poi, una volta ricevuto il contributo o l'agevolazione, scappano in altri Paesi con una pressione fiscale più bassa, licenziando o mettendo in mobilità i nostri lavoratori soltanto per accrescere o mantenere sugli stessi livelli i loro profitti, tornando poi in Italia per rivendere il prodotto a costi eccessivamente più alti rispetto a quelli di produzione. È inaccettabile che oggi se una persona investe nel nostro Paese debba sottostare a una pressione fiscale pari ad oltre il 68 per cento, mentre basta spostarsi in Slovenia, e non in Cina o in India, per abbassarla al 34 per cento o in Austria al 50 per cento. Quindi, così come è necessario contrastare le imprese che delocalizzano, lo è altrettanto mantenere ancorato al Paese il nostro tessuto produttivo, attraverso la previsione a regime di agevolazioni fiscali per le imprese che svolgono sul territorio nazionale tutte le fasi di lavorazione del processo produttivo, impiegando forza lavoro locale.
Il fenomeno della delocalizzazione non è soltanto di dimensione globale, ma anche europea, proprio a causa delle sperequazioni economiche che esistono tra i Paesi membri, così come quelle esistenti tra i Paesi più ricchi e quelli in via in di sviluppo e che permettono di mantenere o, più spesso, di aumentare i profitti delle aziende e di abbattere i costi del fattore produttivo più esoso, ossia quello della forza lavoro, e gli oneri fiscali.
Le dichiarazioni della Cancelliera Merkel sull'Europa a più velocità consistono in una vera e propria rinuncia al progetto di un'Europa che cresca armonicamente allo stesso ritmo in tutti i Paesi membri. Proprio in virtù di questa Europa a geometria variabile, è necessario, almeno fino al completamento dell'unione doganale e di un maggior livellamento di tutti i Paesi membri, soprattutto sotto il profilo dello sviluppo economico e del livello di tassazione, adottare un modello diverso da quello orientato esclusivamente a un sistema di mercato concorrenziale puro. In tal senso, la presente proposta di legge prevede anche l'introduzione di un dazio, in deroga a quanto previsto dalla vigente normativa europea in materia doganale, sulle merci delle imprese che delocalizzano per poi riportare il prodotto finito nel nostro Paese.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Contrasto della delocalizzazione).

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che beneficiano di contributi pubblici in conto capitale o di agevolazioni fiscali e che delocalizzano la propria produzione dal sito incentivato, ovvero i beni e i servizi oggetto di benefìci, a uno o più siti ubicati nel territorio di un altro Stato, anche appartenente all'Unione europea, o qualora la delocalizzazione abbia come effetto la riduzione o la messa in mobilità del personale, decadono dal beneficio stesso e hanno l'obbligo di restituire i contributi in conto capitale ricevuti.
2. La disposizione del comma 1 si applica anche nei casi in cui la delocalizzazione di siti o di beni e servizi avvenga tramite cessione di un ramo d'azienda o di attività produttive appaltate a terzi.
3. I fabbricati industriali acquistati o realizzati con contributi pubblici in conto capitale ovvero con agevolazioni fiscali, in caso di delocalizzazione dell'impresa beneficiaria, sono soggetti a un'imposizione tributaria relativa all'imposta municipale propria pari al doppio rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente.
4. In caso di vendita dei fabbricati industriali di cui al comma 3 entro cinque anni dalla delocalizzazione, il venditore è tenuto al versamento di una somma pari al doppio di ciascun importo dovuto a titolo di imposte di registro, ipotecaria e catastale. Resta fermo il versamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale dovute dall'acquirente.
5. Le maggiori entrate derivanti dai commi 3 e 4 sono trasferite al comune ove sono ubicati i fabbricati medesimi.

Art. 2.
(Imposta aggiuntiva).

1. Nelle more della completa attuazione del codice doganale comunitario di cui al regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, le merci nazionali ed estere che vengono esportate nei territori di altri Stati, anche appartenenti all'Unione europea, per essere sottoposte a un'ulteriore fase del processo produttivo e che vengono definitivamente importate nel territorio nazionale sono sottoposte a un'imposta sulla circolazione calcolata sul valore della merce comprensiva di spese di spedizione con aliquota pari al 10 per cento.

Art. 3.
(Incentivi fiscali).

1. A decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, alle imprese che svolgono sul territorio nazionale tutte le fasi di lavorazione del processo produttivo, con l'impiego di forza lavoro locale, è attribuito un credito d'imposta pari al 30 per cento sul reddito d'impresa imponibile fino a un importo massimo di 1.000.000 di euro per ciascun periodo d'imposta. Il mancato rispetto dei requisiti di cui al periodo precedente comporta la decadenza dal diritto al beneficio e la restituzione del credito d'imposta percepito nei cinque periodi d'imposta precedenti ovvero, nel caso in cui l'impresa abbia beneficiato del credito di imposta per un periodo inferiore, la restituzione di credito d'imposta ricevuto a cui si aggiunge un importo calcolato sulla media dei valori del credito d'imposta ricevuti moltiplicata per il numero di anni di mancato rispetto del requisito fino al quinto.

Art. 4.
(Disposizioni finanziarie).

1. Le maggiori entrate derivanti dall'attuazione delle disposizioni dell'articolo 2 sono destinate a compensare i maggiori oneri derivanti dall'attuazione delle disposizioni dell'articolo 3.
2. Sulla base dell'effettivo andamento degli oneri di cui all'articolo 3, da verificare ogni anno entro il 31 dicembre, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, si provvede ad apportare le occorrenti variazioni dell'aliquota dell'imposta sulla circolazione di cui all'articolo 2 in misura corrispondente alla differenza tra le risorse occorrenti per la concessione del credito d'imposta di cui all'articolo 3 e le risorse rivenienti dalla nuova entrata di cui all'articolo 2.

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