PDL 2424

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2424

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
FUSACCHIA, MURONI, PALAZZOTTO, QUARTAPELLE PROCOPIO, LATTANZIO

Disposizioni per il superamento del divario retributivo tra donne e uomini

Presentata il 5 marzo 2020

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Onorevoli Colleghi! – Per affrontare in modo efficace la questione del divario retributivo tra donne e uomini è necessario un approccio multidimensionale, essendo tale questione strettamente connessa a quelle dell'occupazione femminile, della distribuzione del lavoro di cura tra donne e uomini, dell'efficacia dei servizi pubblici per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, dell'apprendimento permanente, della formazione dedicata al rientro dopo la maternità, della denatalità, del congedo di paternità lungo (tre mesi) e obbligatorio e di molti altri temi centrali per il progresso del nostro Paese.
Premesso questo, con la presente proposta di legge si intende affrontare il tema della disparità salariale tra donne e uomini e mettere in atto possibili azioni correttive per favorire un cambiamento culturale e l'adozione di strumenti operativi che possano contribuire a raggiungere l'obiettivo della parità nella remunerazione delle donne e degli uomini basandosi sul lavoro che viene già fatto nell'ambito della contrattazione collettiva nazionale.
Si tratta di una questione dalle enormi implicazioni sociali ed economiche. Secondo i dati forniti da Eurostat (2018), in Europa il costo del divario di genere nell'occupazione è di 370 miliardi di euro, pari al 2,8 per cento del prodotto interno lordo (PIL) europeo. La questione dell'emancipazione economica femminile e del superamento del divario retributivo è, pertanto, una questione che interessa la collettività nel suo insieme e non solo le lavoratrici. Nasce, quindi, l'esigenza di avviare un processo culturale e legislativo che renda più trasparenti le politiche retributive e faccia emergere possibili discriminazioni salariali.
A livello internazionale, l'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) è intervenuta sul tema del divario retributivo legato al sesso (gender pay gap) e nel rapporto del 2018 ha denunciato una differenza salariale a livello mondiale pari al 20 per cento. Nei Paesi dell'Unione europea le donne mediamente hanno una retribuzione oraria del 16 per cento in meno rispetto agli uomini (fonte: Eurostat, 2018).
Colmare il divario retributivo è una priorità politica per la Commissione europea, che ha promosso negli ultimi anni molte azioni per combatterlo. Il 7 marzo 2014 è stata adottata la raccomandazione 2014/124/UE sulla trasparenza salariale, ma essa non è stata rispettata in pieno e, pertanto, la Commissione sta valutando la possibilità di rendere vincolanti alcune misure in materia di trasparenza, di aumentare le sanzioni per le aziende e di prevedere degli indennizzi a favore delle vittime di discriminazione.
Ad oggi, sono solo sette i Paesi membri dell'Unione europea che hanno adottato norme sulla trasparenza retributiva. La Svezia è il Paese con la normativa più completa, non solo per quanto concerne la legislazione nazionale ma, come ha raccomandato la Commissione, anche per quanto concerne la contrattazione collettiva e gli audit aziendali. Altri Stati hanno approvato una legge nazionale e, tra questi, l'Islanda e la Francia: in quest'ultimo Paese il Governo ha stabilito che le aziende con un numero di dipendenti superiore a 250 debbano essere dotate di un software per controllare il divario salariale.
L'Italia ha sistematicamente disatteso le raccomandazioni adottate dall'Unione europea e dall'ILO e ha anche disatteso la Carta costituzionale che, all'articolo 37, prevede: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore».
Le donne occupate in Italia risultano essere circa il 20 per cento in meno degli uomini e sono penalizzate nell'ingresso nel mondo del lavoro a causa della sbilanciata divisione dei ruoli all'interno della coppia, su cui serve intervenire con urgenza, a partire dall'introduzione nel nostro ordinamento di un congedo di paternità obbligatorio di tre mesi. Secondo le stime della Banca d'Italia, se il tasso di occupazione femminile si ampliasse fino al 60 per cento, il PIL aumenterebbe del 7 per cento.
Inoltre, nel nostro Paese la media dei salari delle donne è inferiore del 17 per cento rispetto a quelli degli uomini a parità di mansioni nel settore privato. Il settore pubblico evidenzia una situazione migliore, probabilmente per alcune caratteristiche specifiche: un accesso governato per concorso e retribuzioni definite con rigore per classi salariali del contratto pubblico.
Infine le donne, avendo minori possibilità di avanzamento salariale, hanno un gap pensionistico pari al 39 per cento in meno rispetto agli uomini (fonte: JobPricing 2018/ISTAT 2017).
È giunto quindi il momento di affrontare la questione del divario retributivo per trasformarla in una battaglia sui diritti e sul futuro della nostra economia e della nostra società.
La presente proposta di legge è basata sull'assunto che l'informazione sui livelli retributivi è un elemento essenziale per consentire alle imprese di acquisire consapevolezza ed eventualmente modificare le proprie prassi e adottare misure opportune per garantire equità ai lavoratori e alle lavoratrici.
Il raffronto delle retribuzioni tra lavoratori e lavoratrici deve in ogni caso essere svolto all'esterno dell'impresa, da un organismo terzo. L'invio dell'informazione sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti all'ente esterno dovrebbe essere previsto come obbligatorio per tutte le imprese, a prescindere dal numero di dipendenti, e quindi affidato allo Stato che già riceve tale dato, senza gravare ulteriormente sull'amministrazione aziendale.
La verifica deve essere effettuata dall'organismo terzo, che la presente proposta di legge individua nelle consigliere di parità, a campione o su segnalazione del personale aziendale, preso atto che l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) possiede già gli strumenti per consentire a chi effettua la verifica di monitorare, confrontare ed evidenziare discordanze attraverso l'analisi dei dati.
La presente proposta di legge prevede, quindi, l'esercizio di tre funzioni: 1) una funzione di verifica esercitata dalle consigliere di parità sulla base dei dati (anonimizzati) resi disponibili dall'INPS; 2) una funzione sanzionatrice esercitata dall'ispettorato territoriale del lavoro; 3) una funzione premiale esercitata dal Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL).
In particolare, l'articolo 1 sancisce il diritto alla parità retributiva tra lavoratore e lavoratrice a parità di funzioni o di mansioni.
L'articolo 2 prevede che l'INPS metta a disposizione delle consigliere di parità i dati (anonimizzati) sulle retribuzioni dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti di imprese private di qualsiasi dimensione.
Viene stabilito che se la consigliera di parità rileva, mediante un'indagine a campione o dopo una verifica a seguito della segnalazione di una lavoratrice o di un lavoratore, una forma di disallineamento salariale superiore al 5 per cento o sospetta una forma di discriminazione salariale, può chiedere un colloquio con il datore di lavoro o con le lavoratrici interessate. Il colloquio può essere richiesto anche direttamente da queste ultime. Il confronto è volto a far emergere situazioni in cui – di fatto – alle lavoratrici vengono assegnate funzioni con una retribuzione diversa da quella riconosciuta ai lavoratori a parità di qualifica o di mansioni.
All'articolo 3 si prevede che al termine della verifica la consigliera comunichi all'impresa i casi di divario retributivo riscontrati e richieda in quale modo e in quali tempi – stabilendo comunque un arco temporale massimo di due anni – l'impresa intenda porvi rimedio. La valutazione della risposta e, quindi, del modello di adeguamento deve essere sostenibile e deve consentire all'impresa di sanare le possibili inadempienze senza mettere a rischio bilanci e soprattutto posti di lavoro.
In caso di mancata risposta da parte dell'impresa entro un tempo congruo, o di inottemperanza rispetto all'impegno preso, la consigliera di parità segnala l'impresa all'ispettorato territoriale del lavoro competente, che commina una sanzione amministrativa commisurata alla natura e alla gravità del divario retributivo accertato, sulla base del «risparmio» conseguito dall'impresa nel mantenere negli ultimi cinque anni una situazione di discriminazione salariale (articolo 4). È inoltre previsto che le imprese inadempienti non possano partecipare a gare pubbliche fino al momento in cui non abbiano adempiuto e siano state riconosciute come imprese che non discriminano sulle retribuzioni. Le somme derivanti dalle sanzioni sono destinate al Fondo per l'attività delle consigliere e dei consiglieri di parità, da anni senza una reale dotazione finanziaria. La presente proposta di legge ha, infatti, anche lo scopo di valorizzare l'importante lavoro svolto dalle consigliere di parità e che oggi operano de facto quasi a titolo volontario.
All'articolo 5 si introduce un sistema premiale per le imprese più virtuose, che dimostrano impegno nel superamento del divario retributivo di genere (pay gap). Le imprese che rispettano i parametri di equità riceveranno una certificazione da parte del CNEL, che redige una relazione annuale in materia di divario retributivo tra lavoratori e lavoratrici.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità)

1. La presente legge è finalizzata a garantire l'effettiva parità delle retribuzioni dei dipendenti delle imprese private svolgenti le medesime o analoghe mansioni ovvero inquadrati nel medesimo livello lavorativo e a superare il divario retributivo tra lavoratori e lavoratrici.

Art. 2.
(Compiti delle consigliere di parità regionali e provinciali)

1. L'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) assicura alle consigliere di parità regionali e provinciali l'accesso ai dati relativi alle retribuzioni dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti delle imprese private del territorio di competenza, disponibili nelle proprie banche di dati, in formato anonimo.
2. Le modalità di accesso alle banche di dati di cui al comma 1 del presente articolo sono stabilite dal regolamento di cui all'articolo 6, comma 2.
3. Il raffronto tra le retribuzioni dei lavoratori e delle lavoratrici è effettuato, in caso di medie imprese, dalle consigliere di parità regionali e, in caso di micro e piccole imprese, dalle consigliere di parità provinciali competenti per territorio, sulla base dei criteri dimensionali definiti dal decreto del Ministro delle attività produttive 18 aprile 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 238 del 12 ottobre 2005.
4. Le consigliere di parità effettuano il controllo sui livelli retributivi a campione o su richiesta di una o più lavoratrici o lavoratori dell'impresa interessata, sulla base dei dati acquisiti ai sensi del comma 1.
5. Qualora la consigliera di parità ravvisi un ingiustificato scostamento, superiore al 5 per cento, tra le retribuzioni dei lavoratori e quelle delle lavoratrici svolgenti le medesime mansioni nell'impresa o inquadrate nel medesimo livello lavorativo, può chiedere un colloquio con il datore di lavoro. La consigliera di parità può, inoltre, chiedere un colloquio con le lavoratrici interessate per verificare l'eventuale esistenza di situazioni individuali o generalizzate in cui sussista un divario retributivo ingiustificato, dovuto all'assegnazione di mansioni superiori al livello di inquadramento delle lavoratrici senza corresponsione del relativo riconoscimento economico o alla presenza di condizioni di lavoro pregiudizievoli per l'avanzamento di carriera delle stesse lavoratrici.

Art. 3.
(Contestazione del divario retributivo)

1. A seguito delle verifiche di cui all'articolo 2, la consigliera di parità chiede all'impresa di fornire, entro un mese dalla richiesta, una specifica e motivata giustificazione del divario retributivo, con particolare riferimento ai criteri adottati per la determinazione di ciascuna componente, fissa e variabile, della retribuzione.
2. Qualora l'impresa non ottemperi alla richiesta di cui al comma 1 o fornisca una risposta considerata non idonea a giustificare il divario retributivo, la consigliera di parità chiede all'impresa di comunicare in quali tempi, comunque non superiori a ventiquattro mesi, e con quali modalità intenda provvedere a rimuovere il divario retributivo.
3. Nel caso in cui l'impresa non provveda ad adempiere, la consigliera di parità segnala l'inadempimento all'ispettorato territoriale del lavoro competente.
4. Nel caso in cui una lavoratrice intenda stipulare un accordo transattivo con l'impresa ai fini della risoluzione del suo rapporto di lavoro, può chiedere alla consigliera di parità di verificare l'esistenza di un divario retributivo ai sensi del presente articolo. In caso di accertata esistenza di tale divario, l'impresa è tenuta a erogare alla lavoratrice le somme relative a tale divario.

Art. 4.
(Compiti dell'ispettorato territoriale
del lavoro)

1. L'ispettorato territoriale del lavoro, ricevuta la segnalazione di cui all'articolo 3, comma 3, effettua, entro sessanta giorni, una verifica sull'impresa interessata e, qualora ravvisi il mancato rispetto del principio di parità retributiva di cui all'articolo 1, commina all'impresa, entro sessanta giorni, una sanzione amministrativa pecuniaria commisurata alla natura e alla gravità del divario retributivo accertato, fino al doppio del risparmio conseguito dall'impresa a seguito di tale divario.
2. Le imprese oggetto della sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 1 non possono partecipare a gare pubbliche fino a quando persista la situazione di divario retributivo contestata.
3. Le risorse derivanti dall'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui al comma 1 del presente articolo affluiscono al Fondo per l'attività delle consigliere e dei consiglieri di parità previsto dall'articolo 18 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198.

Art. 5.
(Compiti del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro)

1. Il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) pubblica nel proprio sito internet istituzionale buone prassi aziendali in materia di applicazione del principio di parità retributiva tra lavoratori e lavoratrici ai sensi dell'articolo 1.
2. Le buone prassi di cui al comma 1 del presente articolo sono comunicate al CNEL dalle consigliere di parità sulla base di quelle esaminate a campione ai sensi dell'articolo 2, comma 4.
3. Le imprese che adottano le buone prassi di cui al presente articolo ricevono dal CNEL, previa verifica da parte delle consigliere di parità competenti, un'apposita certificazione.
4. Il CNEL pubblica nel proprio sito internet istituzionale una relazione annuale sulla situazione del divario retributivo tra lavoratori e lavoratrici.

Art. 6.
(Disposizioni finanziarie e regolamento di attuazione)

1. Ai maggiori oneri derivanti dallo svolgimento dei compiti di cui alla presente legge da parte delle consigliere di parità si provvede mediante l'utilizzo delle risorse del Fondo per l'attività delle consigliere e dei consiglieri di parità previsto dall'articolo 18 del codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, come integrato dalle somme di cui all'articolo 4, comma 3, della presente legge.
2. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, adotta il regolamento di attuazione della medesima legge.

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