PDL 2305-A-bis - Relazione di minoranza

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2305-A-bis

DISEGNO DI LEGGE

APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 16 dicembre 2019 (v. stampato Senato n. 1586)

presentato dal ministro dell'economia e delle finanze
( GUALTIERI )

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022 e relativa nota di variazioni (2305/I)

Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica
il 17 dicembre 2019

(Relatrice di minoranza: LUCASELLI )

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Onorevoli Colleghi! – Ciascun gruppo di opposizione valuterà, alla fine dei nostri lavori, quale giudizio dare del provvedimento in esame, anche alla luce della disponibilità di Governo e maggioranza ad accogliere quanto meno gli ordini del giorno, nel caso oramai certo e anticipatamente annunciato di piena, quanto ingiustificata, indisponibilità ad accogliere proposte emendative.
E ciascuno lo farà con le proprie specifiche motivazioni e in coscienza.
Il gruppo di Fratelli d'Italia ha già espresso, durante i lavori delle Commissioni, se così si possono considerare, il proprio giudizio sull'iter legislativo, del tutto irrituale, per non dire illegittimo, che sta accompagnando alla sua approvazione definitiva il disegno di legge in esame, il bilancio dello Stato italiano.
Anche in questa sede, vogliamo segnalare le ripetute e gravi violazioni delle prerogative del Parlamento a cui abbiamo assistito in queste ore, perché di giorni non si può parlare, di esame in Commissione.
In primis, vogliamo denunciare il mancato rispetto del ruolo riservato dalla Costituzione al Parlamento nel procedimento di formazione delle leggi. L'articolo 70 della Costituzione affida la funzione legislativa alle due Camere e il successivo articolo 72 regola i meccanismi di presentazione ed approvazione dei progetti di legge, configurando un doppio passaggio di esame, in Commissione e in Aula. Tutto ciò per consentire al meglio a tutte le forze politiche, di maggioranza e di minoranza, di svolgere in pieno la loro funzione, e permettere alle stesse e ai singoli parlamentari che ne fanno parte di espletare la relativa attività legislativa ed emendativa. E tutto ciò deve valere, a maggior ragione, per l'esame della legge di bilancio, laddove si decide della contribuzione dei cittadini allo Stato e dell'allocazione delle risorse disponibili, secondo priorità che esprimono precise scelte e sensibilità politiche, che non dovrebbero essere appannaggio esclusivo del Governo.
Nulla di tutto questo si ritrova nella attuale discussione sulla legge di bilancio, che viene di fatto proposta blindata e impermeabile alle proposte di modifica avanzate dalle opposizioni.
A riguardo, peraltro, l'articolo 119, comma 2, del Regolamento della Camera riconosce espressamente che la sessione di bilancio «ha la durata di trentacinque giorni a decorrere dalla effettiva distribuzione dei testi delle eventuali modifiche apportate dal Senato». È superfluo ricordare che il maxiemendamento votato in Senato è arrivato alla Camera martedì e oggi, a distanza di soli cinque giorni, è stato assegnato all'esame dell'Assemblea!
Del resto, lo stesso Presidente Fico aveva annunciato il voto di fiducia all'articolo unico della legge di bilancio, ancora prima che il testo arrivasse alla Camera, disattendendo ogni procedura regolamentare.
Lo stesso ricorso da parte del Governo al maxi emendamento appare quanto meno irrituale: la presentazione di un maxi emendamento, esteso per 307 pagine e composto di 884 commi racchiusi in un unico articolo, di cui i deputati non hanno avuto la possibilità di conoscere il contenuto e di discuterlo, né in Commissione, né in Aula, tradisce, complice anche la questione di fiducia che il Governo porrà su di esso, la ratio dell'articolo 72, primo comma, della Costituzione, a norma del quale le Camere approvano i disegni di legge «articolo per articolo e con votazione finale». Il riferimento al voto «articolo per articolo» non ha un valore solo formale, ma esige una certa omogeneità del contenuto di ciascun articolo, in modo che i parlamentari possano esprimere in modo libero e consapevole il proprio convincimento riguardo alle singole determinazioni legislative.
Sulla prassi del ricorso al maxi emendamento per comprimere l'attività legislativa in occasione della discussione della legge di bilancio, si è espressa recentemente con accenti di forte criticità la stessa Corte costituzionale, su ricorso proprio del Partito democratico, che allora sedeva tra i banchi dell'opposizione e, solo un anno fa, scriveva «l'approvazione della legge di bilancio attraverso un “maxi-emendamento” sul quale il Governo ha posto la questione di fiducia avrebbe comportato un'inaccettabile totale compressione del ruolo delle Camere e delle loro articolazioni, in favore di un'accelerazione del procedimento legislativo, che avrebbe visto anche respingere la richiesta delle minoranze di una nuova calendarizzazione dei lavori in una data compatibile con la prevista votazione della Camera dei deputati».
Passando al merito della legge di bilancio, si tratta di una manovra pari a 31,7 miliardi per il 2020 con un deficit prodotto di 16,3 miliardi: oltre la metà degli interventi previsti, infatti, è coperta attraverso nuovo indebitamento, generando un deficit aggiuntivo per il 2020 pari a circa 16,3 miliardi di euro, e portando il deficit complessivo del prossimo anno a 40,9 miliardi di euro. L'indebitamento prodotto direttamente dalla manovra di bilancio, quindi, determinerà un aumento del rapporto deficit/PIL di 0,9 punti percentuali rispetto a quanto previsto a legislazione vigente e dall'1,4 per cento previsto pre-manovra, il rapporto deficit/PIL salirà al 2,3 per cento.
Nel passaggio al Senato, sono state quantificate attorno ai 2,6-2,8 miliardi di euro le modifiche apportate tra Commissione bilancio e approvazione del maxi emendamento finale. Il tutto, a saldi invariati rispetto a quanto previsto dal disegno di legge di bilancio presentato dal Governo. I principali effetti delle modifiche approvate riguardano le micro-tasse previste dalla legge di bilancio e oggetto di discussione all'interno stesso della maggioranza di Governo, con in alcuni casi la revisione del peso dell'imposta inizialmente prevista e/o il differimento della loro entrata in vigore. Basti pensare alla plastic tax che, secondo la prima versione del disegno di legge di bilancio, avrebbe dovuto portare nel 2020 un gettito pari a 1,1 miliardi di euro. Gettito che, dopo le modifiche introdotte, è sceso a circa 140 milioni di euro, rinviando, di fatto, la problematica, senza affrontarla.
Per compensare l'alleggerimento delle micro-tasse, il Governo ha apportato correttivi alla manovra che comportano maggiori entrate, quali ad esempio quelle derivanti dalla Robin tax sui concessionari pubblici autostradali, aeroportuali, autorizzazioni e concessioni portuali e ferroviarie (addizionale IRES di 3,5 punti percentuali applicata a partire dal periodo d'imposta 2019) o dall'inasprimento della tassazione sulle vincite al gioco ma, soprattutto, è intervenuto pesantemente sulle accise sui carburanti, utilizzate, al pari di quanto avviene con l'IVA, come clausole di salvaguardia.
Per il 2021, il Governo ha più che triplicato le entrate previste derivanti dalle accise sui carburanti, che passano dai 400 milioni previsti dalla legge di stabilità 2015 a 1.221 milioni. Stessa cosa per gli anni successivi, per i quali la legge di stabilità 2015, fissava il maggior gettito da accise sui carburanti sempre in 400 milioni di euro, divenuti, con il maxi emendamento, 1.683 milioni di euro nel 2022, 1.954 milioni di euro nel 2023, 2.054 milioni di euro nel 2024 e 2.154 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025.
Si tratta di una vera e propria stangata sui carburanti, con un enorme aumento delle clausole di salvaguardia sulle accise che graveranno pesantemente sui prossimi anni. Da interventi come questi, naturalmente fatti passare in sordina, emerge il paradosso e l'ipocrisia di un Governo che, dal giorno del suo insediamento, non ha fatto altro che rimarcare il proprio senso di responsabilità per essersi fatto carico del peso di disattivare le clausole di salvaguardia sull'IVA lasciate in eredità dai precedenti Governi, mentendo due volte: in primo luogo, per il fatto di essere sempre loro a capo dei «precedenti Governi» che hanno utilizzato le clausole di salvaguardia, Governi a guida PD e MoVimento 5 Stelle (il Conte ha disattivato le clausole per il 2019 e aumentato il peso delle clausole di 3,9 miliardi per il 2020 e di 9,2 miliardi per il 2021); infine, per aver mantenuto le clausole gravanti sull'IVA nei prossimi anni e aver enormemente aumentato quelle sui carburanti, in perfetta continuità con quanto avevano fatto in passato.
La manovra, come detto, è finanziata per oltre il 50 per cento attraverso nuovo deficit. Le restanti coperture derivano principalmente da lotta all'evasione fiscale per 3,2 miliardi, spending review per 3,3 miliardi e maggiori imposte per 6,1 miliardi. Per il 2020 l'ammontare delle nuove imposte sarà quindi di 6,1 miliardi, con la pressione fiscale che aumenta rispetto al 2019, raggiungendo il 42 per cento del PIL. Considerando che alcune imposte entreranno in vigore da metà anno, l'aumento è quantificabile in circa il doppio. Nel 2021 l'aumento previsto è, infatti, di quasi 11,2 miliardi.
Le principali micro-tasse sono l'imposta sulla plastica: 140 milioni di euro nel 2020 (introduzione da luglio, anziché aprile), che diventano 521 milioni nel 2021; l'imposta sulle bevande zuccherate (sugar tax): 58 milioni (introduzione da ottobre 2020, anziché aprile), che diventano 328,5 milioni nel 2021; auto aziendali: 1 milione di euro nel 2020, 5 nel 2021; tassa sulla fortuna: 473 milioni di euro; tabacchi: 109 milioni di euro; accise su gasolio: 24 milioni di euro nel 2020, 117 milioni nel 2021; buoni pasto aziendali: 51 milioni di euro.
Troppo poco si è parlato, poi, della stretta sul regime forfetario, sulla quale il Governo ha dovuto fare parziale retromarcia, ma ha mantenuto paletti che ne limitano l'accesso e vale 894 milioni.
Non c'è traccia nella legge di bilancio di impegni, anche solo possibili, volti ad affrontare i nostri più urgenti problemi sistemici: dalle tante crisi aziendali alle carenze delle infrastrutture materiali ed immateriali, alla nostra presenza nel tormentato mercato internazionale, all'ambiguo rapporto fra pubblico e privato e nella dinamica del sistema di imprese.
In compenso, il provvedimento è pieno di piccoli interventi spot, denominati spesso con il termine di bonus: per i bebè, per le mamme, per i giardini intorno casa, per le facciate degli edifici, per i rubinetti di cucina e del bagno, per gli assorbenti femminili, con finale lotteria nazionale sugli scontrini delle spese; e tanto altro ancora, rinunciando a ogni ambizione di programmare un futuro di sistema per demandarlo alla politica internazionale e comunitaria, e poi lamentarsene.
Questa manovra è una dichiarazione di guerra a chi produce e lavora, che non prevede nulla per far ripartire l'Italia, nulla per sostenere la crescita economica e per creare nuova occupazione. Anche nel 2020 l'Italia sarà così condannata ad essere il fanalino di coda dell'Europa per crescita economica, come risulta dalle previsioni economiche di autunno appena pubblicate dalla Commissione europea. L'UE crescerà dell'1,4 per cento, i Paesi dell'area euro dell'1,2 per cento. Per l'Italia le previsioni indicano un +0,4 per cento, rispetto allo 0,6 previsto dal nostro Governo.
È una manovra deficit e tasse, in perfetta continuità con quanto fatto dai Governi a guida PD. Deficit fatto per finanziare la spesa corrente, per mantenere strumenti quali il reddito di cittadinanza (spacciato per misura di politica del lavoro, ma che non ha prodotto nemmeno un nuovo occupato) o altre mance varie (es. bonus cultura per i 18enni), che costano allo Stato e quindi agli italiani circa 10 miliardi l'anno. Relegando in un angolo gli investimenti pubblici, principale volano di sviluppo economico e strumento per creare lavoro.
Il deficit non è per noi un tabù, ma riteniamo che ad esso si debba ricorrere non per finanziare la spesa corrente ma per realizzare gli investimenti di cui necessita l'Italia.
Il Governo ha sterilizzato l'aumento IVA, ma lo ha sostituito con una serie di piccole imposte che vanno ad incidere sulle imprese e sul portafoglio delle famiglie, dalla tassa sulla plastica a quella sulle bibite con zuccheri aggiunti, sui buoni pasto e le auto aziendali. E tutto nascosto dietro l'immagine di imposte educative o etiche.
Un Governo serio utilizza lo strumento degli investimenti o degli incentivi per difendere l'ambiente e la salute degli italiani, non pretende ipocritamente di voler educare a forza di tasse.
Per non parlare della imposta sulla plastica: una riforma che andava fatta in maniera graduale e di pari passo con incentivi per l'utilizzo di prodotti alternativi e soprattutto per la riconversione dei processi produttivi delle imprese che ne fanno uso, dei processi produttivi delle imprese che li producono e delle imprese della filiera del packaging. Va infatti ricordato che l'Italia è prima in Europa nella produzione degli articoli monouso; è leader mondiale nella fabbricazione di macchine per il confezionamento e l'imballaggio, con un fatturato 2018 di oltre 7,8 miliardi di euro (+9,4 per cento rispetto al 2017) e un settore fatto di 631 aziende che danno lavoro a 32.626 persone.
Circa una macchina su cinque venduta nel mondo è italiana. La maggior parte delle aziende è localizzata in Emilia Romagna (228 aziende pari al 36 per cento del totale), danno lavoro a circa 17 mila persone, concorrono per oltre il 60 per cento al fatturato totale. Una tassa come quella prevista ad oggi dalla legge di bilancio, seppur rivista rispetto alla prima versione, rischia di produrre gravi danni imprenditoriali e occupazionali per le nostre imprese.
Infine, la lotta all'evasione fiscale. Anche in questo caso, in perfetta continuità con gli ultimi Governi, sarà fatta a scapito dei cittadini, dei commercianti, degli artigiani e delle piccole imprese, senza andare minimamente ad aggredire la grande evasione, se non con spot di facciata come le tanto declamate manette per i grandi evasori.
A Fratelli d'Italia non interessano gli spot elettorali: siamo invece fermamente convinti che sia assolutamente necessario e urgente invertire la rotta e avviare nuove e più incisive politiche per lo sviluppo economico e sociale del Paese. Un'inversione di rotta però possibile solo con una maggioranza che, legittimata dal voto popolare, abbia il coraggio di guardare al futuro con interventi strutturali, anziché tirare a campare confidando esclusivamente sull'effimero consenso che una distribuzione clientelare di risorse può produrre.

Ylenja LUCASELLI

Relatrice di minoranza

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