PDL 2216

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2216

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato ORFINI

Abrogazione degli articoli 19, 19-ter, 21, 21-bis, 21-ter, 21-quater e 23 e del capo III del titolo II del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, in materia di sicurezza pubblica e di occupazioni arbitrarie di immobili, degli articoli 6, 7 e 16 del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2019, n. 77, in materia di ordine pubblico e di sicurezza delle manifestazioni sportive, e degli articoli 9 e 10 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, in materia di sicurezza e decoro urbano

Presentata il 24 ottobre 2019

torna su

Onorevoli Colleghi! – Il decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata», convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, e il decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, recante «Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica», convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2019, n. 77, i cosiddetti «decreto sicurezza» e «decreto sicurezza-bis», prevedono, tra le altre, norme relative alla sicurezza pubblica.
Si parte dal presupposto, sbagliato, che la sicurezza dei cittadini si riduca ad una mera questione di ordine pubblico. Al tempo stesso, l'impianto della normativa punta ad aggravare pene già importanti, come se questo fosse sufficiente a risolvere i problemi, mentre si tratta solo di mera propaganda.
In alcuni casi, si vuole attaccare il diritto a manifestare il dissenso, nonché criminalizzare chi lo esprime. Basti pensare alle norme relative al «DASPO urbano» o alla reintroduzione del divieto di blocco stradale. Con altre disposizioni si colpiscono le fasce di disagio sociale ed economico, come nel caso delle occupazioni, ad esempio con l'aumento delle pene e il divieto di eseguire gli arresti domiciliari nelle abitazioni occupate. Più in generale, quello che emerge nei due decreti è un irrigidimento generalizzato delle norme volte al mantenimento dell'ordine pubblico, anche a discapito delle libertà individuali, che decisamente non equivale automaticamente ad una maggiore sicurezza per i cittadini. Ispirati ad un simile orientamento sembrano anche alcuni articoli del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città», convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48.
Nessuno può e deve avallare o giustificare gli atti di violenza gratuiti, ma un impianto approssimativo, che si concretizza in un inutile inasprimento delle norme, non giova neppure al lavoro delle Forze dell'ordine.
Vale qui la pena richiamare il secondo rilievo del Capo dello Stato nella lettera che ha inviato ai Presidenti del Senato, della Camera e del Consiglio dei ministri all'atto della promulgazione del decreto sicurezza-bis: «Il secondo profilo riguarda la previsione contenuta nell'articolo 16, lettera b), che modifica l'articolo 131-bis del codice penale, rendendo inapplicabile la causa di non punibilità per la “particolare tenuità del fatto” alle ipotesi di resistenza, violenza e minaccia a pubblico ufficiale e oltraggio a pubblico ufficiale “quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni”. Non posso omettere di rilevare che questa norma – assente nel decreto-legge predisposto dal Governo – non riguarda soltanto gli appartenenti alle Forze dell'ordine ma include un ampio numero di funzionari pubblici, statali, regionali, provinciali e comunali nonché soggetti privati che svolgono pubbliche funzioni, rientranti in varie e articolate categorie, tutti qualificati – secondo la giurisprudenza – pubblici ufficiali, sempre o in determinate circostanze. Tra questi i vigili urbani e gli addetti alla viabilità, i dipendenti dell'Agenzia delle entrate, gli impiegati degli uffici provinciali del lavoro addetti alle graduatorie del collocamento obbligatorio, gli ufficiali giudiziari, i controllori dei biglietti di Trenitalia, i controllori dei mezzi pubblici comunali, i titolari di delegazione dell'ACI allo sportello telematico, i direttori di ufficio postale, gli insegnanti delle scuole, le guardie ecologiche regionali, i dirigenti di uffici tecnici comunali, i parlamentari. Questa scelta legislativa impedisce al giudice di valutare la concreta offensività delle condotte poste in essere, il che, specialmente per l'ipotesi di oltraggio a pubblico ufficiale, solleva dubbi sulla sua conformità al nostro ordinamento e sulla sua ragionevolezza nel perseguire in termini così rigorosi condotte di scarsa rilevanza e che, come ricordato, possono riguardare una casistica assai ampia e tale da non generare “allarme sociale”. In ogni caso, una volta stabilito, da parte del Parlamento, di introdurre singole limitazioni alla portata generale della tenuità della condotta, non sembra ragionevole che questo non avvenga anche per l'oltraggio a magistrato in udienza (di cui all'articolo 343 del codice penale): anche questo è un reato “commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni” ma la formulazione della norma approvata dal Parlamento lo esclude dalla innovazione introdotta, mantenendo in questo caso l'esimente della tenuità del fatto».
Il codice penale prevedeva pene anche molto dure per le fattispecie previste dagli articoli che si propone di abrogare. Ulteriori inasprimenti, fino a superare le pene previste per reati ben più gravi, non migliorano la situazione e, anzi, vanno in contrasto con il principio di proporzionalità e di razionalità.
Sulla necessità di mantenere un'equa proporzionalità anche nel rapporto tra cittadini e autorità rispetto ai pubblici ufficiali, vale la pena di citare la sentenza n. 140 del 1998 della Corte costituzionale, che ci spiegava, già allora, se pure in un contesto in parte diverso (in merito al riconoscimento della scriminante della reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale), che il rischio che si corre con provvedimenti del genere è quello di tornare ad orientamenti che hanno caratterizzato periodi storici del nostro Paese i cui rischi e danni dovremmo conoscere bene: «Presente nel codice penale Zanardelli del 1889, la causa di giustificazione venne abolita dal codice penale del 1930, in nome di una malintesa tutela del prestigio e della “infallibilità” degli agenti della pubblica autorità, per essere poi reintrodotta, ancor prima della fine della guerra di Liberazione, dal decreto legislativo luogotenenziale 14 settembre 1944, n. 288, unitamente ad altre significative modifiche dell'ordinamento penale, ritenute coessenziali al passaggio dal regime autoritario al nuovo ordinamento democratico e alla nuova impostazione dei rapporti tra autorità e cittadino. Le vicende storiche della causa di giustificazione della reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale sono dunque sintomatiche della diversa disciplina dei rapporti tra cittadino e autorità rispettivamente negli ordinamenti liberal-democratici e nei regimi totalitari: in particolare, riflettono le garanzie e le forme di tutela che i primi riconoscono ai privati in caso di comportamenti abusivi dei pubblici ufficiali. Rientra perciò nei poteri-doveri dell'interprete tenere conto dello sviluppo storico dell'istituto che egli è chiamato ad applicare, attribuendogli il significato più consono alla struttura complessiva dell'ordinamento vigente, alla luce dei princìpi e dei valori espressi dalla Costituzione».
È una questione di equità e proporzionalità, ed insieme di democrazia.
E allora, in conclusione, occupiamoci della sicurezza nel nostro Paese, ma facciamolo con gli strumenti giusti, che non possono e non devono essere dettati dalla propaganda elettorale né da una presunta urgenza, ma, piuttosto, dalla responsabilità istituzionale e dal senso della realtà.
All'articolo 1 si propone l'abrogazione degli articoli 19, 19-ter, 21, 21-bis, 21-ter, 21-quater e 23 nonché degli articoli da 30 a 31-ter del decreto-legge n. 113 del 2018.
All'articolo 2 si propone l'abrogazione degli articoli 6, 7 e 16 del decreto-legge n. 53 del 2019.
All'articolo 3 si propone l'abrogazione degli articoli 9 e 10 del decreto-legge n. 14 del 2017.

torna su

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifiche al decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132)

1. Gli articoli 19, 19-ter, 21, 21-bis, 21-ter, 21-quater e 23 nonché il capo III del titolo II del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, sono abrogati.
2. L'articolo 633 del codice penale, gli articoli 266 e 284 del codice di procedura penale, gli articoli 1 e 1-bis del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, l'articolo 4 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'articolo 8 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, l'articolo 8 del decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 ottobre 2014, n. 146, e l'articolo 11 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, riacquistano efficacia nel testo vigente prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113.
3. L'articolo 669-bis del codice penale e l'articolo 13-bis del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, sono abrogati.

Art. 2.
(Modifiche al decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2019, n. 77)

1. Gli articoli 6, 7 e 16 del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2019, n. 77, sono abrogati.
2. Gli articoli 61, 131-bis, 339, 340, 341-bis, 343, 419 e 635 del codice penale e l'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, riacquistano efficacia nel testo vigente prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53.
3. L'articolo 5-bis della legge 22 maggio 1975, n. 152, è abrogato.

Art. 3.
(Modifiche al decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48)

1. Gli articoli 9 e 10 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, sono abrogati.

torna su