PDL 2148

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2148

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
SERRACCHIANI, GRIBAUDO, ROTTA, CARNEVALI, PEZZOPANE,
VISCOMI, CARLA CANTONE, SOVERINI

Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di congedo obbligatorio di paternità e di flessibilità della prestazione lavorativa, per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza

Presentata il 7 ottobre 2019

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Onorevoli Colleghi! – Il nostro mercato del lavoro è ancora fortemente condizionato da molti fattori di carattere economico, sociale e culturale i quali fanno sì che l'obiettivo della parità tra i sessi, in termini di opportunità lavorative e di trattamento economico, sia ben lungi dall'essere raggiunto o, quanto meno, dall'essere vicino. Se nell'ambito dell'Unione europea il tasso di occupazione registra un divario di circa l'11,5 per cento a danno delle donne, in Italia questo gap raggiunge quasi 19 punti percentuali. Infatti, secondo i dati riportati dall'Istituto nazionale di statistica nella Nota trimestrale sulle tendenze dell'occupazione per il secondo trimestre 2019, mentre il tasso di occupazione medio tra i 15 e i 64 anni di età è pari al 59,1 per cento e quello maschile è pari al 68 per cento, quello femminile raggiunge solo il 50,2 per cento.
Nel confronto con i partner europei l'Italia resta il fanalino di coda insieme alla Grecia, molto lontana dal 61,6 per cento della media dei 28 Paesi europei e ancora di più dai record della Svezia (74,6 per cento), della Norvegia (71,9 per cento) e della Germania (71,0 per cento).
A pesare sul dato dell'occupazione femminile italiana c'è anche la difficoltà nel conciliare il lavoro con la famiglia: nel 2016, 30.000 donne hanno rassegnato le dimissioni dal lavoro in occasione della maternità. Per non parlare dell'odiosa pratica della lettera di dimissioni in bianco, da far «scattare» al momento dell'annuncio della gravidanza, che spesso veniva imposta alle giovani donne lavoratrici. Quelle che continuano a lavorare sono molte volte costrette a lavorare part time e pertanto i redditi medi delle donne sono inevitabilmente più bassi di quelli dei loro compagni: 25.000 euro annui contro 45.000, secondo il Global Gender Gap Report 2018 del World economic forum. A risentire di questa situazione è tutta l'economia: l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico calcola che dimezzare il gap di genere farebbe crescere il prodotto interno lordo italiano dello 0,2 per cento in più ogni anno.
Questi dati, così come certificato da molti studi e indagini, derivano principalmente dall'inadeguatezza delle politiche nazionali (ed europee) in materia di conciliazione delle esigenze familiari e del lavoro.
Su questo fronte il nostro ordinamento, con fatica e con estremo ritardo rispetto ai cambiamenti culturali che si andavano affermando nella società, ha progressivamente adeguato il quadro giuridico, introducendo importanti istituti per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e per la condivisione degli obblighi genitoriali. In particolare, nella precedente legislatura, con il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, in materia di conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro, sono state introdotte importanti misure per la tutela della maternità delle lavoratrici e per favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ampliando e integrando le tutele già previste dal testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
Lo scorso 20 giugno, anche le istituzioni europee hanno assunto un'importante iniziativa normativa su questi temi, approvando la direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio.
Tra i principali istituti che la direttiva disciplina vi è il congedo di paternità obbligatorio, per una durata non inferiore a dieci giorni lavorativi, quale strumento «Per incoraggiare una più equa ripartizione delle responsabilità di assistenza tra uomini e donne, nonché per consentire un'instaurazione precoce del legame tra padre e figlio».
Come noto, nel nostro ordinamento tale misura fu introdotta in forma sperimentale dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, per un solo triennio e riconoscendo un solo giorno obbligatorio di congedo di paternità, al quale si sarebbero potuti aggiungere altri due giorni, su base volontaria e, comunque, solo in sostituzione della madre. Con successivi provvedimenti legislativi si è poi protratta la suddetta sperimentazione fino all'anno in corso, per il quale il numero di giorni riconosciuti è pari a cinque.
Con l'articolo 1 della presente proposta di legge, anche in ottemperanza alle disposizioni della citata direttiva (UE) 2019/1158, si intende superare l'attuale fase di incertezza normativa dettata dal suo carattere sperimentale e rendere definitiva la fruibilità del congedo di paternità obbligatorio, portandone la durata al limite di dieci giorni previsto dalla normativa europea.
Con il successivo articolo 2 si intende dare attuazione ad altre previsioni della disciplina europea introdotte dalla medesima direttiva, rafforzando alcuni istituti già presenti nel nostro ordinamento. In particolare, si propone di riconoscere un diritto di precedenza alla madre lavoratrice e al padre lavoratore, fino ai primi dodici anni di vita del figlio, e a prescindere dall'età in caso di figlio disabile grave ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nel caso di stipulazione di un accordo per lo svolgimento del lavoro agile disciplinato dall'articolo 18 della legge 22 maggio 2017, n. 81, o di accordi per lo svolgimento della prestazione lavorativa con orari flessibili.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Congedo di paternità obbligatorio)

1. Al capo IV del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, dopo l'articolo 31 è aggiunto il seguente:

«Art. 31-bis. – (Congedo di paternità obbligatorio) – 1. Al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno della coppia, e di favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, a decorrere dal 1° gennaio 2020 il padre lavoratore dipendente ha l'obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di dieci giorni entro cinque mesi dalla nascita, dall'adozione o dall'affidamento del figlio. Per tale periodo è riconosciuta un'indennità giornaliera a carico dell'INPS pari al 100 per cento della retribuzione. Il padre lavoratore comunica in forma scritta al datore di lavoro i giorni scelti per astenersi dal lavoro almeno quindici giorni prima della data di fruizione del congedo».

2. Agli oneri derivanti dall'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 si provvede a valere sulle disponibilità del Fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

Art. 2.
(Flessibilità della prestazione lavorativa)

1. Al capo X del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, dopo l'articolo 65 è aggiunto il seguente:

«Art. 65-bis. – (Flessibilità della prestazione lavorativa) 1. La madre lavoratrice e il padre lavoratore, fino ai primi dodici anni di vita del figlio, e a prescindere dall'età in caso di figlio disabile grave ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, hanno diritto di precedenza ai fini:

a) della stipulazione dell'accordo per lo svolgimento del lavoro agile disciplinato dall'articolo 18 della legge 22 maggio 2017, n. 81;

b) della stipulazione di accordi per lo svolgimento della prestazione lavorativa con orari flessibili».

Art. 3.
(Tutele)

1. Gli atti e i provvedimenti adottati dal datore di lavoro volti a limitare direttamente o indirettamente la fruizione dei diritti previsti dalle disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 sono nulli.

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