PDL 2102

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2102

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
BAZOLI, VAZIO, VERINI, BORDO, MICELI, ZAN

Delega al Governo per la revisione delle disposizioni
concernenti l'affidamento dei minori

Presentata il 24 settembre 2019

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Onorevoli Colleghi! — Il tema dell'affidamento dei minori è molto delicato e, negli ultimi mesi, è tornato al centro del dibattito pubblico per il verificarsi di gravi fatti di cronaca che confermano l'esigenza di una revisione dell'attuale sistema senza arrivare al paradossale effetto di snaturare e depotenziare strumenti importanti per l'interesse del minore, interesse che è e deve rimanere il perno della nostra azione.
Già nella XVII legislatura, dall'approfondita e ampia indagine conoscitiva svolta dalla Commissione Giustizia della Camera dei deputati per verificare lo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni e affido, anche alla luce della legge 19 ottobre 2015, n. 173, recante «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare», e dalla Relazione sullo stato di attuazione della legge recante modifiche alla disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile, presentata dal Governo alle Camere il 16 dicembre 2013 (Doc. CV, n. 1), è emersa l'indifferibile esigenza di affrontare le criticità concernenti l'applicazione concreta della normativa.
Al termine della menzionata indagine conoscitiva fu votato all'unanimità un documento conclusivo che, per quanto concerneva l'istituto dell'affidamento familiare, di cui al titolo I-bis della legge n. 184 del 1983, ribadiva come esso avesse e dovesse conservare una presenza centrale nelle forme di intervento a favore dei minori e come fosse necessario garantirne un'applicazione conforme alla sua funzione.
Sebbene previsto per sopperire alle situazioni in cui il minore si trovi temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, l'affidamento familiare inserisce il minore in una famiglia che deve assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno (articolo 2, comma 1, della legge n. 184 del 1983). Gli enti e le strutture giuridiche non sono in grado di assolvere questi compiti e soprattutto non sono in grado di garantire la cura affettiva che può essere prestata solo attraverso uno stabile rapporto personale. Di questa cura il minore ha essenziale bisogno per la sua crescita armoniosa. Si ritiene, inoltre, che la concreta applicazione dell'istituto non sia adeguata rispetto a quanto è previsto dalle norme di diritto internazionale e interno dirette alla tutela dei minori.
Ci si riferisce, in particolare, a quanto sancito dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 a New York e ratificata dall'Italia ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, che prescrive la protezione dell'unità familiare, imponendo, tra l'altro, agli Stati parti di rispettare il diritto del fanciullo separato dai propri genitori a intrattenere rapporti regolari e personali con essi, salvo che ciò non sia in contrasto con l'interesse preminente del fanciullo.
Vi è, inoltre, il quadro normativo europeo e internazionale di riferimento, al quale la normativa italiana deve conformarsi. Da un lato, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, all'articolo 24, riconosce il diritto dei bambini «alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere», nonché il principio secondo cui «In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente»; dall'altro la Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta all'Aja il 29 maggio 1993 e resa esecutiva dall'Italia con la legge 31 dicembre 1998, n. 476, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che impone agli Stati membri di non intromettersi nella vita privata di ciascuna famiglia e, nel contempo, di adottare misure atte a garantirne il rispetto effettivo anche attraverso la previsione di misure di supporto nell'ambito delle situazioni di criticità riguardanti l'esercizio dei compiti genitoriali.
A livello nazionale ogni intervento del legislatore non può che assumere come punto di riferimento il superiore interesse del minore quale soggetto portatore di diritti fondamentali garantiti dall'articolo 2 della Costituzione. La centralità della posizione del minore è chiaramente evidenziata dall'articolo 1 della legge n. 184 del 1983, che prevede il diritto dello stesso a crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia, riprendendo testualmente i princìpi affermati dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. Il diritto del minore di crescere ed essere educato nel proprio nucleo familiare rientra tra quelli assoluti, tutelati nei confronti di tutti i terzi, compreso lo Stato, verso il quale il minore stesso vanta la pretesa a non subire provvedimenti di adozione, affidamento e allontanamento al di fuori dei casi previsti dalla legge. Nel solco di tali princìpi, la novella operata dal decreto legislativo n. 154 del 2013 all'articolo 1, comma 2, della legge n. 184 del 1983 testualmente prevede che «Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto». La legislazione vigente prevede, inoltre, che il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo sia collocato presso una famiglia, preferibilmente con figli minori, o presso una persona singola in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive necessarie, e che solo quando l'affidamento eterofamiliare non sia possibile è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza.
La concreta attuazione di tale legislazione rivela però una realtà purtroppo molto diversa: eccessiva durata – oltre il biennio previsto – della permanenza di minori soprattutto nelle comunità familiari e casi nei quali bambini e adolescenti sono allontanati dalle loro famiglie per ragioni legate all'indigenza familiare, sebbene la legge 28 marzo 2001, n. 149, lo vieti espressamente. Si registra inoltre una differenza tra le regioni per quanto concerne il livello dei servizi e dell'assistenza assicurati nonché il livello dei costi per ciascun minore ospitato.
La presente proposta di legge ha lo scopo di intervenire per porre rimedio a tali gravi criticità nella consapevolezza che l'affidamento familiare ha e deve conservare, come già ribadito, una presenza centrale nelle forme di intervento a favore dei minori, ma garantendone l'applicazione in modo conforme alla sua funzione. È pertanto opportuno che il minore sia dato in affidamento ai servizi sociali o ad altri enti solo nei casi di urgenza e comunque in via del tutto provvisoria.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei minori, in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) procedere alla revisione della disciplina concernente l'affidamento familiare prevedendo:

1) la presentazione presso il tribunale per i minorenni delle domande delle coppie e delle persone singole che si rendono disponibili all'affidamento familiare di uno o più minori;

2) l'istituzione di un albo delle persone disponibili all'affidamento familiare di minori;

3) l'inserimento della cura affettiva del minore tra gli obblighi degli affidatari;

4) l'introduzione di un sistema integrato di raccolta di dati al fine di consentire la conoscenza costante dei dati effettivi sul numero dei minori dati in affidamento eterofamiliare ovvero collocati in comunità di tipo familiare e sulle modalità di affidamento;

b) prevedere la permanenza dei minori presso i genitori in caso di difficoltà della famiglia o di crisi del rapporto tra i genitori stessi, salvo che ciò sia di sicuro pregiudizio per il minore;

c) stabilire che i minori in situazioni di abbandono, di difficoltà della famiglia o di crisi del rapporto tra i genitori possano essere affidati ai servizi sociali solo in casi di urgenza e in via strettamente provvisoria e temporanea, prevedendo misure di sostegno di tipo economico e sociale da applicare alle famiglie, al fine di prevenire gli allontanamenti, in particolare quelli determinati dalle condizioni di indigenza del nucleo familiare, e di favorire nella massima misura possibile il ritorno del minore presso la famiglia di origine;

d) escludere che il potere di decisione sulle questioni di maggior interesse dei figli, insorte tra i genitori nei casi di divorzio ovvero di separazione legale o di fatto, possa essere delegato a soggetti diversi dall'autorità giudiziaria;

e) prevedere che, nei casi di cui alla lettera d), la decisione sulle questioni di ordinaria amministrazione relative ai figli rimanga attribuita esclusivamente ai genitori o a uno solo di essi;

f) prevedere un sistema per l'accreditamento, da parte dell'autorità governativa, delle organizzazioni di volontariato dotate dei necessari requisiti di professionalità in materia di affidamento familiare;

g) prevedere che le domande di affidamento familiare, le domande di adozione e le dichiarazioni dello stato di adottabilità siano inserite in una rete informatica nazionale consultabile da parte dei giudici dei tribunali per i minorenni;

h) prevedere un sistema per l'accreditamento delle case famiglia da parte del tribunale per i minorenni;

i) prevedere sistemi di controllo sulle famiglie affidatarie, sulle case famiglia e sulle comunità di accoglienza dei minori nonché sull'adempimento dell'obbligo di comunicazione di cui all'articolo 9, comma 2, della legge 4 maggio 1983, n. 184;

l) determinare i requisiti professionali degli operatori dei servizi sociali impiegati nelle attività di assistenza dei minori e della famiglia e nei procedimenti di affidamento.

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