PDL 2059

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2059

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
COSTA, SISTO, BARTOLOZZI, CASSINELLI, CRISTINA, FERRAIOLI, PITTALIS, SIRACUSANO, ZANETTIN

Modifiche alla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in materia
di prescrizione del reato

Presentata il 1° agosto 2019

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Onorevoli Colleghi! – La presente proposta di legge mira a sopprimere le modifiche in materia di prescrizione del reato introdotte dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, recante «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici», che, all'articolo 1, comma 1, lettere d), e) e f), modifica gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale.
In sintesi, la riforma introdotta dalla legge n. 3 del 2019 (inserita in fase emendativa nel corso dell'esame in sede referente alla Camera dei deputati, con un'operazione di «ampliamento del perimetro del provvedimento» del tutto discutibile) individua nel giorno di cessazione della continuazione il termine di decorrenza della prescrizione in caso di reato continuato (si tratta di un ritorno alla disciplina anteriore alla cosiddetta «legge ex Cirielli» n. 251 del 2005) e sospende il corso della prescrizione dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di condanna che di assoluzione) o dal decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto.
La stessa legge n. 3 del 2019, all'articolo 1, comma 2, fissa l'entrata in vigore della riforma della prescrizione al 1° gennaio 2020. Lo stesso esecutivo aveva infatti preannunciato in maniera chiara la volontà di realizzare entro tale termine un intervento riformatore del codice di procedura penale volto alla drastica riduzione dell'irragionevole durata dei processi in Italia, intendendo così marginalizzare l'impatto concreto dell'eliminazione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado.
Lo stesso Ministro della giustizia, onorevole Bonafede, aveva parlato di un «accordo politico» che «prevede che approfittiamo di questo anno anche per scrivere la riforma del processo penale. Il Governo avrà la delega dal Parlamento con scadenza 2019».
Dall'approvazione della riforma della prescrizione ad oggi, non è stata però esaminata dalle Camere alcuna proposta normativa concreta in tal senso. Solo a fine luglio scorso è stato approvato dal Consiglio dei ministri «salvo intese» un disegno di legge delega che avrebbe dovuto stabilire i princìpi e criteri direttivi per riformare il processo civile, il processo penale, l'ordinamento giudiziario, la disciplina sull'eleggibilità e il ricollocamento in ruolo dei magistrati, il funzionamento e l'elezione del Consiglio superiore della magistratura e la flessibilità dell'organico dei magistrati.
L'evoluzione in atto del quadro politico, lascia facilmente immaginare che non si riuscirà ad approvare alcun testo prima della fine dell'anno.
Senza dunque entrare nel dettaglio della riforma del processo penale è evidente che questa non potrà certamente essere operativa prima del 1° gennaio 2020, termine dal quale dispiegherà la sua efficacia la soppressione – di fatto – della prescrizione.
A giudizio dei proponenti della presente proposta di legge ciò travolge e fa venire meno il presupposto politico che era stato dato per giustificare l'entrata in vigore posticipata della soppressione della prescrizione.
Tra l'altro, nel Documento di economia e finanza dello scorso aprile, il Governo aveva scritto nero su bianco che i decreti delegati per riformare la giustizia civile sarebbero stati approvati entro il mese di giugno 2019: cosa che non è stata fatta.
Come si può quindi consentire che entrino in vigore le nuove norme sulla prescrizione che, in assenza di nuove regole acceleratorie, determinerebbero di fatto processi eterni?
Le critiche alla riforma, unanimi da parte degli operatori della giustizia, hanno evidenziato come le nuove norme in materia di prescrizione comportano necessariamente un allungamento della durata dei processi, proiettando così numerosi e gravi profili d'illegittimità costituzionale sul sistema penale.
Il problema più evidente è la palmare lesione del principio della ragionevole durata del processo, ai sensi degli articoli 111 della Costituzione e 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955.
L'obiettivo dichiarato – del tutto condivisibile – è assicurare che i colpevoli siano puniti, che non si sottraggano alla giustizia sfruttando escamotage processuali e, più in generale, contenere gli sprechi di attività della macchina giudiziaria.
Con l'intervento ipotizzato, però, non si fa che scaricare sull'imputato tutto il peso delle inefficienze del sistema giudiziario: ogni ritardo, dilazione o rinvio dovuto a carichi di lavoro eccessivi o mal distribuiti, alle carenze di personale, dai magistrati ai cancellieri, diviene processualmente irrilevante e, anzi, normativamente legittimato e coperto da questo provvedimento. Quasi come se il legislatore, anziché cercare di risolvere queste problematiche, le assumesse come una costante invariabile e immodificabile.
Tutte queste disfunzioni, ataviche nel nostro sistema e per nulla presidiate da adeguate sanzioni disciplinari, non avranno più alcuna conseguenza neanche di ordine processuale: si tratta di una sorta d'impunità dell'apparato, a integrale detrimento delle persone offese e degli imputati, che si vedono destinati a languire nel limbo di una vicenda processuale senza termini.
A fronte del sacrificio indubbio che si opera nella sfera degli utenti della giustizia, non si può invocare alcun beneficio che valga a controbilanciarlo. La misura in questione, infatti, non farà che allungare ulteriormente la durata dei processi, acuendo vieppiù, anziché risolverle, le notorie patologie del sistema della giustizia. Molti procedimenti e processi oggi vedono una conclusione perché il magistrato preposto ha degli orizzonti temporali predeterminati da osservare e delle «ghigliottine» perentorie da evitare. È chiaro, quindi, che ove si introducesse una sospensione sine die della prescrizione, la scansione temporale del processo verrebbe sfumata, così come ogni interesse «acceleratorio» alla sua rapida definizione. Proprio qui sta il rischio di eterogenesi dei fini: l'intento di assicurare i colpevoli alla giustizia non viene conseguito allungando i tempi del processo, né sottoponendo indiscriminatamente colpevoli e innocenti alla pretesa punitiva dello Stato per un periodo indefinito.
Esiste, poi, anche un problema di metodo.
Se, infatti, si vuole – come è doveroso – ricondurre il funzionamento della giustizia italiana entro un binario conforme sia all'esigenza di punire i colpevoli, sia ai parametri costituzionali e convenzionali dell'equo processo, non è certo dalla prescrizione che si deve partire, ma da altri aspetti «di apparato», a monte: la disciplina dei termini e dei rinvii del processo, l'organizzazione e le dotazioni degli uffici delle procure e dei tribunali, una graduazione dei reati da perseguire in via prioritaria, la responsabilità disciplinare dei magistrati per i ritardi ingiustificati. Insomma, tutti quegli aspetti rispetto ai quali innumerevoli volte la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato il nostro Paese. Torna alla mente il monito delle sentenze Bottazzi, Ferrari, AP e Di Mauro del 1999, in cui si afferma: «la reiterazione delle violazioni constatate dimostra che vi è un accumulo di inadempienze di identica natura e troppo numerose perché si possa considerarle incidenti isolati. Tali inadempienze riflettono una situazione che perdura, alla quale non si è ancora rimediato (...) tale accumulo di inadempienze è pertanto costitutivo di una prassi incompatibile con la Convenzione».
In tale quadro, l'intervento sulla prescrizione dovrebbe rappresentare un complemento, un posterius da innestare sul tronco di una riforma organica del sistema, non certo la riforma salvifica cui affidare le sorti della giustizia. Di tutto questo, però, non v'è traccia, se non il citato disegno di legge delega, peraltro approvato «salvo intese» dal Consiglio dei ministri.
Peraltro, le peculiari e problematiche coordinate che caratterizzano la realtà della giustizia italiana privano di pregio l'evocazione dell'argomento comparatistico secondo il quale anche in altri ordinamenti occidentali sono previste cause di sospensione della prescrizione analoghe a quelle che oggi si vogliono introdurre. Lo slancio esterofilo può facilmente arrestarsi se a condizioni di puro diritto si sommano elementari osservazioni basate sul principio di realtà, cui da sempre la politica è più attenta dell'accademia. Negli altri Paesi presi a paragone (Francia e Germania in primis) i processi durano da metà a un terzo rispetto a quelli italiani, come dimostra il rapporto dell'OCSE 2013, più volte aggiornato. Ogni riforma va ovviamente valutata e meditata rispetto allo specifico contesto fattuale, prima ancora che giuridico, nel quale si immagina di inserirla: in questa prospettiva è fin troppo facile osservare come una riforma della prescrizione così strutturata ha senso in ordinamenti in cui i processi hanno una durata fisiologica e in cui esistono risorse interne (giuridiche ma anche culturali) di autocorrezione e di stimolo verso gestioni virtuose dei procedimenti; non altrettanto può dirsi per l'Italia, in cui, come si anticipava, l'intervento, se non accompagnato da correttivi che si muovano su un piano più generale e organico, sarebbe una comoda foglia di fico per coprire e aggravare ulteriormente disfunzioni già radicate.
Un secondo aspetto critico si coglie a livello del diritto di difesa, del principio del giusto processo e del principio di parità delle armi: il passare del tempo, infatti, rende più difficile per l'indagato apprestare difese in fatto e in diritto rispetto a contestazioni specifiche, raccogliere o conservare elementi di prova e contestare le produzioni dell'accusa. In poche parole, il tempo, come una clessidra rovesciata, gioca a sfavore di chi si difende, erodendone gli strumenti di difesa e proprio per questo non può consentirsi che l'accusa possa brandire l'arma dell'atemporalità.
Un terzo aspetto, infine, riguarda la compatibilità della misura con la funzione rieducativa della pena stabilita dall'articolo 27 della Costituzione.
In questa prospettiva, il problema è duplice.
Da un lato, la sospensione a tempo indeterminato della prescrizione mina la funzione rieducativa della pena, poiché la sanzione, potendo intervenire anche a distanza di molto tempo dal fatto, incide su una personalità del reo inevitabilmente mutata nelle more nel senso che la rieducazione e il riallineamento alla tavola dei valori sociali sono avvenuti spontaneamente o comunque che il disvalore del fatto si è perso nella notte dei tempi e non è dunque più possibile mettere in atto un percorso rieducativo effettivo ed attuale.
Dall'altro lato, la sospensione generalizzata dalla prescrizione per tutte le tipologie di reato, alla luce della portata afflittiva che essa indubbiamente possiede, potrebbe rappresentare una irragionevole e sproporzionata omogeneizzazione di trattamento per fattispecie anche marcatamente differenti sotto il profilo del disvalore e dell'allarme sociale.
A queste considerazioni di principio altre se ne possono aggiungere su un piano più specifico e pragmatico. La causa di sospensione «definitiva» dopo la pronuncia di primo grado non opera differenze rispetto alla tipologia di sentenza emessa e non presuppone la ripresa del corso della prescrizione stessa. Inoltre, le modifiche normative non appaiono risolutive del problema legato al fatto che la maggiore incidenza del decorso dei termini di prescrizione si registri nella fase delle indagini preliminari. Se da un lato non vengono introdotte previsioni acceleratorie del processo penale, dall'altro, nel momento in cui si «blocca» la prescrizione, si incide su uno dei maggiori fattori di accelerazione dei gradi di giudizio successivi al primo, essendo il rischio di prescrizione uno dei criteri di priorità, con conseguenze negative anche in termini di risposta alla domanda di giustizia delle vittime del reato, di garanzia del diritto di difesa e della ragionevole durata del processo (di cui al citato articolo 111 della Costituzione) per l'imputato, di incremento del cosiddetto «rischio legge Pinto» (legge 24 marzo 2001, n. 89) con ripercussioni anche economicamente rilevanti per lo Stato e di sovraccarico delle corti di appello per l'incremento dei processi ivi pendenti.
Per tutte queste ragioni, la presente proposta di legge mira a sopprimere le modifiche in materia di prescrizione introdotte con la legge n. 3 del 2019.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. All'articolo 1 della legge 9 gennaio 2019, n. 3, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, le lettere d), e) e f) sono abrogate;

b) il comma 2 è abrogato.

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