PDL 1852

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7
                        Articolo 8
                        Articolo 9
                        Articolo 10
                        Articolo 11
                        Articolo 12

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1852

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
MOLINARI, BENVENUTO, LUCCHINI, ANDREUZZA, BADOLE, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BIANCHI, BINELLI, BISA, BOLDI, CANTALAMESSA, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COVOLO, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FOSCOLO, FRASSINI, GASTALDI, GIACOMETTI, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, LATINI, LAZZARINI, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, MAGGIONI, MARCHETTI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PATASSINI, PATELLI, PETTAZZI, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RIBOLLA, SASSO, STEFANI, SUTTO, TATEO, TIRAMANI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZOFFILI, ZORDAN

Modifiche alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di gestione dei rifiuti

Presentata il 16 maggio 2019

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Onorevoli Colleghi! – La normativa in tema di rifiuti, contrariamente al ruolo che dovrebbe svolgere, lascia spesso smarriti gli operatori del settore (piuttosto che orientarli), non tanto per i suoi tecnicismi, ma per un regime di applicazione a intermittenza, confusionario e spesso lasciato all'interpretazione – e alla responsabilità – di chi deve operare. La parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006, anche noto come «testo unico ambientale» (TUA), recante norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, infatti, presenta vuoti normativi, carenze applicative e pone perplessità in relazione al regime intertemporale delle principali norme del TUA a seguito dell'intervenuta soppressione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI).
Quanto alle carenze applicative si evidenzia che, nell'ottica di un'economia circolare, il riciclo dei rifiuti (End of Waste) ha già subìto una pesante battuta di arresto che, giorno per giorno, tende a diventare sempre più insostenibile. Tutto ciò è in evidente contrasto con quanto previsto dalla direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008. Tale situazione si è determinata a seguito della sentenza n. 1229 del Consiglio di Stato del febbraio 2018, in virtù della quale le regioni non sarebbero titolate alla concessione delle autorizzazioni alla cessazione della qualifica di rifiuto «caso per caso», fino a quando la Commissione europea o il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non abbiano adottato specifici atti normativi recanti i criteri al riguardo.
Al contempo, gli spazi in discarica si stanno esaurendo, stanno aumentando i costi di gestione dei rifiuti per le famiglie e le imprese, per cui si rischia il collasso non solo del settore del riciclo e della raccolta differenziata, ma, indirettamente, anche di altri settori produttivi, se il Paese non riesce a collocare e a gestire i rifiuti in linea con i princìpi dell'economia circolare, di cui l’End of Waste costituisce una colonna portante.
L'urgenza di provvedere, dopo la sentenza del Consiglio di Stato n. 1229 del 28 febbraio 2018, in materia di cessazione della qualifica di rifiuto dopo operazioni di riciclaggio, coincide ormai con il recepimento della direttiva (UE) 2018/851 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che ha modificato l'articolo 6 della direttiva 2008/98/CE in materia di cessazione della qualifica di rifiuto. Non avrebbe senso, a questo punto, stabilire un diverso regime, che dovrebbe poi essere modificato nuovamente entro pochi mesi.
Si propone, quindi, in linea con la citata pronuncia del Consiglio di Stato e con le indicazioni dell'articolo 15 del disegno di legge di delegazione europea 2018, proposto dal Governo e già approvato in prima lettura dalla Camera (A.C. 1201) e attualmente all'esame del Senato (A.S. 944), di recepire il citato articolo 6 della direttiva 2008/98/CE nel testo modificato dalla direttiva (UE) 2018/851, introducendo, con legge dello Stato, oltre alle condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto, anche i criteri specifici per la loro uniforme applicazione nell'intero territorio nazionale da parte delle autorità competenti. Tali criteri sono già significativamente esaustivi e includono: l'individuazione dei materiali di rifiuto in entrata, ammissibili ai fini dell'operazione di recupero; i processi e le tecniche di trattamento consentiti; i criteri di qualità per i materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di recupero, in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi, se necessario, i valori limite per le sostanze inquinanti; i requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo di qualità, l'automonitoraggio e l'accreditamento, se del caso; e un requisito relativo alla dichiarazione di conformità.
Le autorizzazioni caso per caso, espressamente previste dall'articolo 6 della citata direttiva 2008/98/CE, non possono che essere affidate, applicando le condizioni e i requisiti definiti dalla legge dello Stato e come di recente affermato dall'Avvocatura generale presso la Corte di giustizia dell'Unione europea, alle autorità regionali competenti per le autorizzazioni di cui agli articoli 208, 209 e 211 del TUA. Si fa altresì presente che tali autorizzazioni vanno pubblicate insieme agli esiti dei controlli delle autorità competenti.
Le presenti disposizioni sono immediatamente applicabili e consentono di superare le criticità già riscontrate sul territorio nell'ottica della semplificazione.
Gli irrinunciabili princìpi di pubblicità e di trasparenza, che informano di sé tutta la res publica e presiedono allo svolgimento delle attività reputate di pubblica utilità (come la gestione dei rifiuti), rendono non più procrastinabile l'istituzione di un pubblico registro degli impianti autorizzati allo svolgimento delle operazioni di recupero, ossia di tutte le operazioni il cui principale risultato è permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, in linea con i criteri di priorità nella gestione dei rifiuti e con i princìpi sottesi a un'economia circolare.
Tale registro è da considerare vieppiù indispensabile in quanto costituisce, altresì, uno strumento utile per individuare prontamente gli impianti cui conferire i rifiuti, nel rispetto delle quantità e del codice europeo dei rifiuti (CER) autorizzato, al fine di ridurre gli errori volontari o involontari nel conferimento dei rifiuti, contrastare le attività di illecito smaltimento dei rifiuti, nonché accelerare le tempistiche connesse all'individuazione degli impianti cui conferire i rifiuti, a beneficio dell'ambiente.
Ai fini dell'istituzione di tale registro presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, tuttavia, appare fondamentale la collaborazione delle autorità deputate al rilascio delle relative autorizzazioni, soprattutto in ordine alla comunicazione dei nuovi provvedimenti autorizzatori emessi e delle autorizzazioni già rilasciate in corso di validità, affinché il registro fornisca i dati effettivi relativi alla situazione attualmente esistente.
La distinzione – e, conseguentemente, la differenziazione – a oggi esistente, tra le terre e le rocce da scavo, le matrici ambientali da riporto e i materiali edili contenenti amianto legato in matrici cementizie o resinoidi (i primi due esentati dalla possibilità di un loro conferimento presso le discariche di rifiuti non pericolosi senza essere sottoposti a prove, possibilità, invece, prevista per gli ultimi) non trova alcuna giustificazione logica.
Infatti, l'amianto compatto si deve considerare rifiuto non pericoloso in quanto, per sua natura, tende a non rilasciare fibre, a prescindere che sia contenuto all'interno di materiale da scavo, nelle matrici materiali da riporto o nei materiali edili. Dal momento che i materiali con amianto in matrice compatta presentano un rischio più basso per la salute pubblica e per l'ambiente, è a tali caratteristiche che occorrerà guardare e non anche ai materiali contenenti lo stesso.
La modifica proposta, quindi, crea le condizioni affinché anche i rifiuti stabili e non reattivi costituiti da materiale da scavo e da matrici materiali da riporto con presenza di amianto legato in matrici cementizie o resinoidi – al pari dei materiali edili contenenti amianto legato in matrici cementizie o resinoidi – possano essere smaltiti in discariche per rifiuti non pericolosi, senza essere sottoposti a prove, fermo restando il rispetto degli ulteriori requisiti di ammissibilità in discarica, secondo i criteri di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 27 settembre 2010.
Onde evitare contaminazioni, tale conferimento si ritiene tuttavia possibile unicamente laddove la discarica per rifiuti non pericolosi sia dedicata ai soli beni con presenza di amianto o dotata di cella monodedicata per tipologie di rifiuti, in modo che i residui contenenti amianto (anche se compatto e, quindi, legato in matrici cementizie o resinoidi) risultino sempre separati dagli altri.
La discarica, inoltre, deve presentare idonea barriera geologica naturale ed essere dotata di idonea copertura finale, atta a garantire l'isolamento dei rifiuti dall'ambiente esterno e la minimizzazione delle infiltrazioni d'acqua e dei fenomeni di erosione.
Ai sensi dell'articolo 184, comma 3, lettera g), del TUA, qualsiasi operazione di trattamento e gestione dei rifiuti potrebbe, in astratto, produrre rifiuti speciali; tuttavia, in sede di recepimento della direttiva dell'Unione europea, si deve privilegiare, tra più interpretazioni, quella conforme al diritto dell'Unione. A tal fine, al rifiuto risultante da un'operazione di trattamento può essere legittimamente attribuito un codice CER nuovo rispetto a quello che il rifiuto aveva in origine solo se i due rifiuti sono diversi, cioè se l'operazione di recupero o di smaltimento ha prodotto un nuovo rifiuto.
La disciplina dell'Unione europea e quella nazionale non stabiliscono quali operazioni di trattamento possono produrre un nuovo rifiuto, purtuttavia l'articolo 183, comma 1, lettera f), del TUA definisce come produttore di rifiuti «(...) chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti». Conseguentemente, un'operazione di trattamento produce un rifiuto nuovo solo se la natura o la composizione che il rifiuto aveva prima del trattamento era diversa da quella del rifiuto trattato.
Sulla base della citata definizione di «nuovo produttore», il trattamento effettuato negli impianti deve mutare la composizione merceologica e le caratteristiche chimico-fisiche del rifiuto per potersi ritenere di avere prodotto un nuovo rifiuto.
La giurisprudenza nazionale sviluppatasi in occasione della contestazione di reati gravi ha sul punto evidenziato la necessità di un intervento al fine di impedire il fittizio cambio di classificazione del rifiuto da urbano in speciale, conseguito senza gli idonei presupposti e impropriamente utile a sfruttare la possibilità di aggirare il principio di autosufficienza e di prossimità di cui all'articolo 182-bis del TUA. I giudici del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 5242 del 23 ottobre 2014, tra le altre cose hanno, infatti, statuito che «un'operazione di trattamento produce un rifiuto nuovo solo se la natura o la composizione che il rifiuto ha prima del trattamento sono diverse da quelle del rifiuto trattato».
La medesima giurisprudenza ha evidenziato che, nonostante il prodotto derivante dall'attività di triturazione, vagliatura primaria e vagliatura secondaria sia stato considerato come un nuovo prodotto presso gli stabilimenti per la tritovagliatura o l'imballaggio (STIR) quali nuovi produttori di rifiuti ai sensi dell'articolo 183 del TUA, lo stesso, tuttavia, non ha in concreto perduto le caratteristiche di rifiuto urbano e, come tale, deve essere sottoposto al principio dell'autosufficienza regionale per il relativo smaltimento.
Pertanto, si ritiene utile l'inserimento di una disposizione atta a recepire i su esposti orientamenti, con la precisazione che i rifiuti provenienti dagli STIR o da quegli impianti che esercitano trattamenti inidonei a trasformare il rifiuto in ingresso in un nuovo e diverso rifiuto devono continuare a essere assoggettati al regime dei rifiuti urbani.
Quanto all'articolo 190 del TUA sussiste incertezza in ordine alla versione in concreto applicabile. Invero, se, da un lato, l'articolo 6, comma 2, lettera a), del decreto-legge n. 135 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 12 del 2019, ha abrogato l'articolo 16 del decreto legislativo n. 205 del 2010, eliminando così la «nuova» versione dell'articolo 190 dallo stesso introdotta (di fatto mai entrata in vigore, in quanto il comma 2 del citato articolo 16 prevedeva che la disposizione sarebbe entrata in vigore solo quando il SISTRI sarebbe diventato pienamente operativo) dall'altro lato, nulla si dice delle disposizioni che medio tempore sono andate a impattare sull'articolo 190. Nel tempo, infatti, sono state emanate ulteriori modifiche, tuttavia non attribuibili né alla vecchia (prima del decreto legislativo n. 205 del 2010) né alla nuova versione (post SISTRI) in maniera specifica.
Ci si riferisce, in particolare, al comma 3-bis dell'articolo 190, inserito dalla legge n. 221 del 2015, che prevede delle particolari agevolazioni per la conservazione del registro di carico e scarico per i rifiuti derivanti dalla manutenzione delle infrastrutture a rete.
In particolare, la legge n. 221 del 2015 non è stata interessata dalle abrogazioni di cui al decreto-legge n. 135 del 2018 e l'articolo 60 della stessa legge incide direttamente, modificandolo, sull'articolo 190 (e non sul decreto legislativo n. 205 del 2010). Ciò sembrerebbe far presumere una sua perdurante vigenza.
Tuttavia, il comma 3 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 135 del 2018, nel testo precedente alle modifiche apportate in sede di conversione, prevedeva che i soggetti precedentemente obbligati al SISTRI «(...) garantiscono la tracciabilità dei rifiuti effettuando gli adempimenti di cui agli articoli 188, 189, 190 e 193 del medesimo decreto, nel testo previgente alle modifiche apportate dal decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 (...)», con ciò facendo dubitare della correttezza della interpretazione sopra esposta.
Onde fugare qualsivoglia dubbio, si ritiene pertanto opportuno prevedere una disposizione specifica, atta a reintrodurre in maniera chiara ed espressa le previsioni di cui al comma 3-bis dell'articolo 190 del TUA.
Inoltre, con l'abrogazione del SISTRI e della conseguente «nuova versione» dell'articolo 190 del TUA vengono a mancare quelle nuove, ma mai attuate, disposizioni contenenti gli indici di progresso e di razionalità della normativa di settore, onde adeguarla e adattarla alla mutata realtà.
Si ritiene pertanto opportuno reintrodurre, in maniera esplicita, oltre al previgente comma 3-bis dell'articolo 190 del TUA, così come inserito dall'articolo 60 della legge n. 221 del 2015, anche il regime di favore che il legislatore riconosceva ai centri di raccolta di cui all'articolo 183, comma 1, lettera mm), del TUA, proprio in virtù della peculiare attività effettuata, consistente unicamente nel raggruppamento differenziato, all'interno di aree debitamente allestite e presidiate, di rifiuti urbani effettuato per frazioni omogenee. Nello specifico, si prevede l'onere di tenuta dei registri di carico e scarico per i centri di raccolta per i soli rifiuti pericolosi e con modalità semplificate che consentano una registrazione contestuale (del carico e dello scarico) al momento dell'uscita dei rifiuti stessi dal centro di raccolta e in maniera cumulativa per ciascun codice dell'elenco dei rifiuti.
La reintroduzione di tali disposizioni – che non esistono di uguale tenore nel nostro ordinamento – è di fondamentale importanza, in quanto evita agli operatori di fare un passo indietro, costringendoli ad adeguarsi nuovamente a una normativa oramai obsoleta e non propriamente in linea con l'evoluzione delle forme di gestione esistenti dei rifiuti.
Anche l'intervento sull'articolo 188 del TUA si giustifica con la necessità di fugare ogni dubbio in ordine alla versione applicabile di tale articolo.
Analogamente a quanto previsto per l'articolo 190 del TUA, infatti, anche l'articolo 188 ha subìto nel tempo modifiche non attribuibili né alle vecchia (ante decreto legislativo n. 205 del 2010) né alla nuova versione (post SISTRI) in maniera specifica.
Ci si riferisce al comma 1-bis dell'articolo 188 del TUA, introdotto dall'articolo 30 della legge n. 221 del 2015, che impone gli ordinari obblighi di gestione ai produttori iniziali di rifiuti in rame o di metalli ferrosi e non ferrosi, che non provvedono direttamente al loro trattamento.
Anche tale norma non è stata interessata dalle abrogazioni di cui al decreto-legge n. 135 del 2015; purtuttavia, perdurando l'applicazione degli articoli sulla tracciabilità «nel testo previgente alle modifiche apportate dal decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205», non può che ritenersi che anche la citata modifica risulti in qualche modo sospesa o, comunque, dispersa nel misterioso «limbo» delle norme ambientali, pensate ma mai applicate.
La modifica della rubrica dell'articolo, poi, si ritiene opportuna per conformarla al contenuto dello stesso, afferendo tale norma alla responsabilità della gestione dei rifiuti e non ai soli oneri dei produttori e dei detentori.
Inoltre, dal momento che il produttore/detentore del rifiuto è tenuto a provvedere alla sua classificazione e al conseguente avvio al trasporto, recupero o smaltimento, per il tramite di soggetti autorizzati a gestire quello specifico codice CER, si ritiene corrispondere a una regola di buon senso quella di prevedere che il trasportatore sarà responsabile per le eventuali difformità tra la descrizione dei rifiuti e la loro effettiva natura e consistenza solo se queste siano riscontrabili usando la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico. Ciò onde contemperare il principio di corresponsabilità nella gestione dei rifiuti con i princìpi propri della responsabilità e, quindi, evitare forme di imputazione oggettiva. Il trasportatore sarà quindi responsabile unicamente se, con la diligenza propria del suo incarico, poteva avvedersi della difformità tra il rifiuto dichiarato e quello conferito.
Le medesime considerazioni valgono per alcune delle disposizioni presenti nell'articolo 193 del TUA.
Anche in tale caso, infatti, a seguito dell'abrogazione del SISTRI, sono venute a mancare alcune disposizioni contenute nella «nuova versione» dell'articolo 193 (mai entrata in vigore), che si ritiene di dover salvare, in quanto indice di progresso e di razionalità e in quanto tese a evitare l'obbligo per gli operatori del settore di adeguarsi nuovamente a una normativa oramai obsoleta e non propriamente in linea con l'evoluzione delle forme di gestione esistenti.
Ci si riferisce, in particolare, alla definizione di trasporto occasionale e saltuario che genera incertezza, posto che vi è chi ha chiaramente inteso i 30 chili o litri ivi richiamati come riferiti alla produzione totale giornaliera dell'impresa, a fronte di chi, invece, ha inteso riferirli al quantitativo del singolo trasporto effettuato, con conseguente possibile applicazione di sanzioni ambientali a seconda dell'interpretazione seguita dall'autorità di controllo e in spregio ai basilari princìpi della certezza del diritto.
Ci si riferisce anche alla reintroduzione della disposizione che prevede l'esenzione dalla compilazione del formulario di identificazione del rifiuto (FIR) anche per la movimentazione dei rifiuti verso i centri di raccolta, in ragione del fatto che non si è ancora realizzata una fase di gestione del rifiuto, ponendosi tale spostamento in un momento antecedente, ancora afferente alla fase della produzione del residuo.
Nel medesimo solco si pongono le specificazioni relative alle operazioni di trasbordo: ossia quella che prevede che tra le operazioni di trasbordo per soste tecniche rientrano anche quelle «effettuate con cassoni e dispositivi scarrabili», onde garantire una più fruibile ottimizzazione dei carichi e dei viaggi; nonché quella relativa alla previsione di tempi di sosta più ampi per trasporti intermodali, maggiormente conforme alle tempistiche di tali operazioni. La reintroduzione di tali precisazioni si ritiene indispensabile in quanto, in loro assenza, le predette attività potrebbero ingenerare confusione e venire qualificate come stoccaggio, con conseguente impropria applicazione delle sanzioni connesse a una gestione non autorizzata dei rifiuti.
La previsione specifica della possibilità per gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile di delegare alla tenuta ed alla compilazione del formulario di identificazione la cooperativa agricola di cui sono soci, che abbia messo a loro disposizione un sito per il deposito temporaneo, afferisce invece alla necessità di riaffermare in maniera espressa la perdurante vigenza di tale disposizione.
Anche in tale caso, infatti, la previsione dell'articolo 29, comma 6, della legge n. 221 del 2015, che direttamente modifica l'articolo 193 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (nei termini esposti nel periodo precedente) e che non è stata espressamente abrogata dal decreto-legge n. 135 del 2018, sembrerebbe rientrare nel limbo delle norme ambientali. Ciò in quanto la gestione semplificata dei FIR per gli imprenditori agricoli, seppur non espressamente eliminata, si scontra con la previsione che sancisce l'applicazione degli articoli sulla tracciabilità «nel testo previgente alle modifiche apportate dal decreto-legge 3 dicembre 2010, n. 205», che non contempla siffatta possibilità.
Di qui l'esigenza di reintrodurre tale disposizione, onde evitare agli operatori di fare un passo indietro, costringendoli a riadeguarsi a una normativa desueta e non più in linea con l'evoluzione delle forme di gestione esistenti.
Ulteriori riflessioni riguardano l'articolo 230 del TUA, relativo alla manutenzione delle infrastrutture a rete.
Tale norma consente, invero, di considerare quale luogo di produzione del rifiuto un luogo diverso, spazialmente distinto da quello nel quale il rifiuto è materialmente prodotto, potendosi identificare altresì con la «sede locale del gestore dell'infrastruttura nelle cui competenze rientra il tratto di infrastruttura interessata dai lavori di manutenzione ovvero con il luogo di concentramento dove il materiale tolto d'opera viene trasportato per la successiva valutazione tecnica».
Ebbene, uno dei punti critici riguarda la gestione dei rifiuti derivanti dalla manutenzione delle infrastrutture a rete, laddove tale manutenzione venga affidata dal gestore della rete a un soggetto terzo. La norma in commento, nel prevedere il regime derogatorio in ordine al luogo di produzione del rifiuto e al conseguente deposito temporaneo, effettuato nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti, stabilisce che lo stesso possa essere svolto presso «la sede locale del gestore dell'infrastruttura», nulla dicendo dell'ipotesi in cui tale servizio venga affidato dal gestore a un soggetto terzo.
Alla luce della predetta norma sembrerebbe evincersi che, anche laddove la manutenzione venga effettuata da un soggetto terzo appaltatore, lo stesso possa movimentare i rifiuti esclusivamente nella sede del gestore e, quindi, del committente. Spesso tale indicazione si scontra, però, con le clausole dei disciplinari di gara e dei capitolati di appalto, che, invece, pongono a carico dell'appaltatore gli oneri connessi al recupero e allo smaltimento dei rifiuti, con ciò, di fatto, non permettendo che il terzo possa avvalersi dei luoghi nella disponibilità del committente. Alla luce di siffatta prassi risulta, quindi, necessario che, laddove l'attività di manutenzione dell'infrastruttura a rete venga esternalizzata dal gestore sia conseguentemente data la possibilità al manutentore di movimentare i rifiuti presso la propria sede.
Altro problema sorge in relazione al «luogo di concentramento dove il materiale tolto d'opera viene trasportato per la successiva valutazione tecnica», ove nulla si dice circa il luogo dove il materiale tolto d'opera deve essere movimentato, con conseguente confusione negli operatori del settore.
Infine, l'articolo 230 del TUA nulla dice in ordine alle concrete modalità di movimentazione dei rifiuti derivanti dall'attività di manutenzione. Più puntualmente, si rende necessario specificare la documentazione che deve accompagnare detta movimentazione derogatoria, posto che siffatta lacuna ha sovente creato confusione in sede di controlli, portando all'applicazione delle sanzioni ambientali a seconda dell'interpretazione seguita dalle autorità preposte al controllo e in spregio agli elementari princìpi di certezza del diritto.
La tesi è priva di soluzioni univoche, che dividono gli interpreti in due schieramenti posti su posizioni antitetiche: a fronte di una corrente più possibilista, che reputa sufficiente la compilazione di un documento di trasporto analogo suscettibile di dare contezza delle peculiarità della movimentazione derogatoria, vi è chi si pone su posizioni più intransigenti, stabilendo la necessità dell'utilizzo del FIR anche per la «movimentazione» dei rifiuti dal luogo di effettiva produzione al luogo scelto per il deposito temporaneo, in considerazione del fatto che in ogni caso, anche se si è giuridicamente all'interno di una fase antecedente al deposito temporaneo, nel momento in cui si effettua l'instradamento si deve già parlare di trasporto di rifiuti.
La scelta verso la predisposizione di un documento di trasporto analogo, in sostituzione del FIR appare, tuttavia, quella maggiormente rispondente a una lettura sistematica delle norme. Infatti, imporre la compilazione del FIR creerebbe rilevanti difficoltà nella sua compilazione in relazione alle voci contenute nel decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 145 del 1998. Lo schema di modello di FIR, di cui all'articolo 193 del TUA e al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 145 del 1998, infatti, non contempla la tracciabilità di tali fattispecie, prevedendo quali possibili destini del rifiuto esclusivamente gli impianti autorizzati al suo smaltimento o recupero. Inoltre, verrebbe richiesta l'indicazione di un'attività (recupero o smaltimento), che non viene e non deve essere svolta nel luogo di deposito.
Si rendono altresì necessarie delle puntualizzazioni in merito all'obbligo di iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali del mezzo tenuto a fare la movimentazione derogatoria. A ben vedere, non si è in presenza di un vero e proprio trasporto di rifiuti, rientrando la fattispecie in una fase antecedente alla gestione e più propriamente riconducibile a quella della produzione del rifiuto e, pertanto, tale adempimento potrebbe risultare esorbitante.
Per quanto riguarda il comma 5 dell'articolo 230 del TUA, la modifica proposta ha lo scopo di risolvere le criticità e le incertezze operative riscontrate dagli operatori del settore delle manutenzioni e dello spurgo di reti fognarie e idriche, con specifico riferimento alla pulizia delle fosse settiche. Le modifiche introdotte mirano, anzitutto, a raggiungere una maggiore certezza in ordine alla necessaria individuazione del soggetto produttore del rifiuto da classificare con il CER 20 03 04 (fanghi delle fosse settiche), di cui all'allegato D alla parte quarta del TUA; ulteriormente, l'intervento permetterà di non coinvolgere i privati committenti le attività di pulizia, spesso evidentemente ignari della complessa normativa in materia di gestione dei rifiuti, nella compilazione della documentazione necessaria al trasporto e alla gestione di tale tipologia di rifiuto.
A ciò si aggiunga che l'introduzione di uno specifico riferimento all'articolo 193, comma 12, si rende necessaria proprio in virtù della peculiare tipologia di rifiuti derivanti dalle attività di pulizia di cui all'articolo 230, comma 5: tali rifiuti, infatti, lungi dal poter essere destinati al deposito temporaneo, di cui all'articolo 183, comma 1, lettera bb), vengono immediatamente raccolti per il trasporto sin dal momento della loro produzione e contestuale aspirazione sul veicolo cisterna.
La disciplina di cui all'articolo 266, comma 4, del TUA si presenta agli interpreti e agli operatori del settore particolarmente scarna, dati anche i rilevanti effetti che la stessa produce negli adempimenti connessi a una corretta gestione dei rifiuti. Infatti, l'applicazione di tale disposizione consente di derogare alle regole ordinarie di gestione dei rifiuti, potendo considerare i rifiuti giuridicamente prodotti (sebbene materialmente prodotti altrove) presso la sede legale/unità locale più prossima del soggetto manutentore, con la conseguenza che il deposito temporaneo potrà essere effettuato in tale luogo e da tale luogo partiranno tutti gli adempimenti connessi a una corretta gestione del rifiuto, primi fra tutti quelli inerenti alla tracciabilità.
Tuttavia, tale disposizione, in primo luogo, non chiarisce il suo ambito applicativo, ossia cosa si intenda per manutenzione, se cioè la stessa faccia riferimento ai soli interventi che producono esigue quantità di rifiuti o anche agli interventi manutentivi produttivi di ingenti quantitativi di rifiuti; o se si riferisca alle sole attività di ordinaria amministrazione o anche a quelle di straordinaria amministrazione.
Analogamente alla disposizione di cui all'articolo 230 del TUA, l'articolo 266, comma 4, del medesimo TUA non specifica le concrete modalità di movimentazione dei rifiuti derivanti dall'attività di manutenzione, cioè se sia necessario un documento di trasporto analogo o un FIR, ovvero se sia necessaria l'iscrizione del mezzo che effettua la movimentazione derogatoria all'Albo nazionale gestori ambientali.
Infine, si riscontra un ulteriore vuoto in materia di delega di funzioni ambientali, istituto a oggi applicabile solo grazie all'incessante opera interpretativa della giurisprudenza, che ne ha disegnato i confini applicativi, mutuandone la disciplina da quella prevista in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro, di cui all'articolo 16 del decreto legislativo n. 81 del 2008. Vuoto che si ritiene opportuno colmare con una specifica disposizione atta a circoscrivere, sulla base degli attuali approdi ermeneutici e del principio di non contraddizione dell'ordinamento giuridico, i confini applicativi per far sì che la stessa abbia piena efficacia scriminante.
In particolare, appare necessaria la compresenza di molteplici requisiti: la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale; il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; la delega deve riguardare non solo le funzioni, ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa; infine, l'esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo.
L'intervento si giustifica, dunque, con la ravvisata esigenza di positivizzare, anche in materia ambientale, l'istituto della delega di funzioni, al fine condivisibile di adeguare il tessuto normativo al cosiddetto diritto vivente.
Relativamente all'abrogazione dell'articolo 234 del TUA, occorre premettere che la normativa in tema di consorzi di filiera presenta numerosi vuoti e carenze applicative, che ne rendono necessaria una pronta riorganizzazione, anche nell'ottica di un'economia sempre più circolare, cui è stato dato recente impulso con le quattro direttive europee costituenti il cosiddetto «pacchetto sull'economia circolare».
Nello specifico, le inefficienze dell'attuale sistema si palesano in tutta la loro evidenza in relazione all'istituzione e alla gestione del Consorzio nazionale per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene (Consorzio PolieCo).
Infatti, in mancanza di una puntuale definizione dei beni ricadenti nel raggio di azione di detto Consorzio, anche a seguito dell'abrogazione del comma 2 dell'articolo 234 del TUA ad opera dell'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, se ne è perduta di fatto l'identità.
Lo dimostrano anche i numerosi contenziosi in materia, moltiplicatisi nel corso degli ultimi anni, volti a circoscrivere il raggio di azione del Consorzio PolieCo – nei confronti degli altri consorzi di filiera quali il CONAI o il COREPLA – con un approccio caso per caso, che certamente non aiuta a far chiarezza sulla vicenda (a titolo d'esempio di citano Cassazione civile, Sezione 1, n. 19312 del 19 luglio 2018, tribunale ordinario di Roma, n. 19252 del 13 ottobre 2016, tribunale ordinario di Roma, n. 8131 dell'8 aprile 2014).
A ciò si aggiunga una gestione non sempre trasparente del Consorzio in relazione alle disposizioni del suo statuto, che si presentano, nella migliore delle ipotesi, solo formalmente rispettose del dato normativo, fino addirittura ad arrivare a discostarsene del tutto, nelle ipotesi più estreme; e, ancora, in relazione alla legittimazione nei confronti dei non consorziati, spesso fatta valere dal Consorzio sulla base di una presunta obbligatorietà di iscrizione, o alla destinazione dei contributi consortili, spesso distratti per finalità diverse da quelle normativamente imposte, o, infine, in relazione alla scarsa conoscibilità dell'organizzazione consortile e del suo operato.
L'intervento si giustifica, dunque, con la ravvisata esigenza di un ripensamento dell'intera gestione dei «rifiuti di beni in polietilene», al fine di garantire una normativa più chiara e, quindi, una loro gestione più efficiente e trasparente, nell'ottica di non gravare troppo sulle aziende che, per tale incertezza, sono sottoposte a contributi multipli e, pertanto, ingiustificati.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Cessazione della qualifica di rifiuto)

1. L'articolo 184-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è sostituito dal seguente:

«Art. 184-ter. – (Cessazione della qualifica di rifiuto) – 1. Il rifiuto sottoposto a un'operazione di riciclaggio o di recupero di altro tipo cessa di essere considerato tale se soddisfa tutte le seguenti condizioni:

a) la sostanza o l'oggetto è destinato a essere utilizzato per scopi specifici;

b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non comporta impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana.

2. Con uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono adottati i criteri dettagliati per l'applicazione uniforme delle condizioni di cui al comma 1 nelle operazioni di riciclaggio o recupero dei rifiuti. Tali criteri devono garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e della salute umana e agevolare l'utilizzo accorto e razionale delle risorse naturali, tenendo conto dei possibili effetti negativi della sostanza o dell'oggetto sull'ambiente e sulla salute umana. L'operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano le condizioni e i requisiti così definiti. I decreti di cui al presente comma individuano in particolare:

a) i materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell'operazione di recupero;

b) i processi e le tecniche di trattamento consentiti;

c) i criteri di qualità dei materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi, se necessario, i valori limite per le sostanze inquinanti;

d) i requisiti necessari affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo di qualità, l'automonitoraggio ed eventualmente l'accreditamento;

e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformità.

3. Qualora la Commissione europea adotti gli atti di esecuzione previsti dall'articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/98/CE, come sostituito dalla direttiva (UE) 2018/851, si applicano i criteri dettagliati in essi stabiliti in luogo di quelli previsti dai decreti di cui al comma 2 del presente articolo.
4. Nelle more dell'adozione dei decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'allegato 1, suballegato 1, al decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e ai regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269, e l'articolo 9-bis del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210. Mantengono efficacia i decreti ministeriali vigenti e le autorizzazioni rilasciate in materia di cessazione della qualifica di rifiuto alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Le autorizzazioni rilasciate sono rivalutate dalle autorità competenti in sede di rinnovo o di riesame secondo i criteri di cui ai commi 2 e 3, salva la verifica dell'assenza di violazioni non regolarizzate.
5. Qualora non siano stabiliti criteri specifici ai sensi dei commi 2 e 4, le autorità competenti di cui agli articoli 208, 209 e 211 e quelle di cui al titolo III-bis della parte seconda del presente decreto provvedono caso per caso, adottando misure appropriate al fine di verificare che determinati rifiuti abbiano cessato di essere tali in base alle condizioni di cui al comma 1 e ai criteri di cui al comma 2».

Art. 2.
(Registro nazionale degli impianti di recupero)

1. Dopo l'articolo 216-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è inserito il seguente:

«Art. 216-quater. – (Registro nazionale degli impianti di recupero) – 1. È istituito, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Registro nazionale degli impianti di recupero dei rifiuti ove sono annotate le autorizzazioni rilasciate agli impianti di recupero dei rifiuti, nel rispetto dei princìpi di trasparenza e di pubblicità. A tal fine, le autorità competenti al rilascio dell'autorizzazione comunicano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i nuovi provvedimenti autorizzatori emessi e i provvedimenti adottati in esito alle richieste di riesame nonché a quelle di rinnovo. Le medesime autorità comunicano altresì, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, le autorizzazioni già rilasciate e in corso di validità».

Art. 3.
(Disposizioni sull'ammissibilità in discarica per rifiuti non pericolosi)

1. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare provvede a modificare la lettera c) del comma 7 dell'articolo 6 del decreto ministeriale 27 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 281 del 1° dicembre 2010, nel senso di prevedere che possono essere smaltiti nelle discariche per rifiuti non pericolosi, oltre ai rifiuti di cui alle lettere a) e b) del citato comma 7 dell'articolo 6, anche i materiali edili, le terre e le rocce da scavo e le matrici materiali da riporto contenenti esclusivamente amianto legato in matrici cementizie o resinoidi, in conformità con l'articolo 7, comma 3, lettera c), del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, senza essere sottoposti a prove, nonché di prevedere che le discariche che ricevono tali materiali sono tenute a rispettare i requisiti indicati all'allegato 2 del medesimo decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 27 settembre 2010 e che, in tale caso, le prescrizioni stabilite nell'allegato 1, punti 2.4.2 e 2.4.3 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, possono essere ridotte dall'autorità territorialmente competente.
2. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare provvede a modificare la lettera b) del punto 1 dell'allegato 2 del decreto ministeriale 27 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 281 del 1° dicembre 2010, nel senso di prevedere che la tipologia di discarica presso la quale possono essere conferiti i rifiuti di amianto o contenenti amianto, prevista dalla medesima lettera b), deve essere una discarica per rifiuti non pericolosi, dedicata o dotata di cella monodedicata per le tipologie di rifiuti individuati all'articolo 6, comma 7, lettera c), del medesimo decreto 27 settembre 2010, o una discarica per le altre tipologie di rifiuti contenenti amianto, purché sottoposti a processi di trattamento ai sensi di quanto previsto dal decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 29 luglio 2004, n. 248, e con valori conformi alla tabella 1, verificati con periodicità stabilita dall'autorità competente presso l'impianto di trattamento.

Art. 4.
(Classificazione dei rifiuti urbani indifferenziati)

1. All'articolo 181 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo il comma 5 è inserito il seguente:

«5-bis. Al rifiuto urbano indifferenziato conferito in un impianto di trattamento può essere legittimamente attribuito un codice CER nuovo rispetto a quello che il rifiuto possedeva al momento del conferimento solo a seguito di un trattamento idoneo a modificarne la natura o la composizione e a produrre un nuovo rifiuto, ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera f). I rifiuti urbani indifferenziati non mutano classificazione all'esito dell'effettuazione di operazioni di mero ricondizionamento o di riduzione volumetrica per tritovagliatura meccanica».

Art. 5.
(Tracciabilità dei rifiuti)

1. All'articolo 190 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 3-bis è sostituito dal seguente:

«3-bis. I registri di carico e scarico relativi ai rifiuti prodotti dalle attività di manutenzione delle reti relative al servizio idrico integrato e degli impianti a queste connessi possono essere tenuti presso le sedi di coordinamento organizzativo del gestore, o altro centro equivalente, previa comunicazione all'autorità di controllo e vigilanza»;

b) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«10. Le operazioni di gestione dei centri di raccolta di cui all'articolo 183, comma 1, lettera mm), sono escluse dagli obblighi del presente articolo limitatamente ai rifiuti non pericolosi. Per i rifiuti pericolosi la registrazione del carico e dello scarico può essere effettuata contestualmente al momento dell'uscita dei rifiuti stessi dal centro di raccolta e in maniera cumulativa per ciascun codice dell'elenco dei rifiuti».

Art. 6.
(Responsabilità della gestione dei rifiuti)

1. L'articolo 188 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è sostituito dal seguente:

«Art. 188. – (Responsabilità della gestione dei rifiuti)1. Il produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provvedono direttamente al loro trattamento, oppure li consegnano ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti, in conformità agli articoli 177 e 179.
2. Il produttore iniziale o altro detentore dei rifiuti di rame o di metalli ferrosi e non ferrosi che non provvede direttamente al loro trattamento deve consegnarli unicamente ad imprese autorizzate alle attività di trasporto e raccolta di rifiuti o di bonifica dei siti o alle attività di commercio o di intermediazione senza detenzione dei rifiuti, ovvero a un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti, in conformità all'articolo 212, comma 5, ovvero al recupero o smaltimento dei rifiuti, autorizzati ai sensi delle disposizioni della parte quarta del presente decreto. Alla raccolta e al trasporto dei rifiuti di rame e di metalli ferrosi e non ferrosi non si applica la disciplina di cui all'articolo 266, comma 5.
3. Al di fuori dei casi di concorso di persone nel fatto illecito e di quanto previsto dal regolamento (CE) n. 1013/2006, la responsabilità del produttore iniziale e del detentore è esclusa:

a) a seguito del conferimento dei rifiuti al servizio pubblico di raccolta previa stipulazione di apposita convenzione;

b) a seguito del conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento, a condizione che il produttore sia in possesso del formulario di cui all'articolo 193 controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore, ovvero alla scadenza del predetto termine abbia provveduto a dare comunicazione all'autorità competente della mancata ricezione del formulario.

4. I costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale dei rifiuti, dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti.
5. Il trasportatore non è responsabile per quanto indicato nel formulario di identificazione di cui al comma 1 dell'articolo 193 dal produttore o dal detentore dei rifiuti e per le eventuali difformità tra la descrizione dei rifiuti e la loro effettiva natura e consistenza, fatta eccezione per le difformità riscontrabili con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico».

Art. 7.
(Trasporto dei rifiuti urbani)

1. All'articolo 193 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il comma 4 è sostituito dal seguente:

«4. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano alla raccolta di rifiuti urbani effettuata dal soggetto che gestisce il servizio pubblico, né ai trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la quantità di 30 chilogrammi o di 30 litri, né al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal produttore degli stessi ai centri di raccolta di cui all'articolo 183, comma 1, lettera mm). Sono considerati occasionali e saltuari i trasporti di rifiuti effettuati complessivamente per non più di quattro volte l'anno non eccedenti i 30 chilogrammi o 30 litri al giorno e, comunque, i 100 chilogrammi o 100 litri l'anno».

Art. 8.
(Trasporto dei rifiuti)

1. All'articolo 193 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. Il formulario di identificazione di cui al comma 1 deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal produttore dei rifiuti e controfirmato dal trasportatore che in tal modo dà atto di aver ricevuto i rifiuti. Gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile possono delegare alla tenuta e alla compilazione del formulario di identificazione la cooperativa agricola di cui sono soci che abbia messo a loro disposizione un sito per il deposito temporaneo ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera bb); con apposito decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le organizzazioni di categoria più rappresentative, possono essere previste ulteriori modalità semplificate per la tenuta e la compilazione del formulario di identificazione, nel caso in cui l'imprenditore agricolo disponga di un deposito temporaneo presso la cooperativa agricola di cui è socio. Una copia del formulario deve rimanere presso il produttore e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al predetto produttore dei rifiuti. Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni».

2. All'articolo 193 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il comma 12 è sostituito dal seguente:

«12. Gli stazionamenti dei veicoli in configurazione di trasporto o in attesa del conferimento dei rifiuti presso l'impianto di destinazione, nonché le soste tecniche per le operazioni di trasbordo, comprese quelle effettuate con cassoni e dispositivi scarrabili per l'ottimizzazione dei carichi o dei viaggi, non rientrano nelle attività di stoccaggio di cui all'articolo 183, comma 1, lettera aa), purché le stesse siano dettate da esigenze di trasporto e non superino le quarantotto ore, escludendo dal computo i giorni interdetti alla circolazione».

3. All'articolo 193 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«14. Nel caso di trasporto intermodale di rifiuti, le attività di carico e scarico, di trasbordo, nonché le soste tecniche all'interno dei porti e degli scali ferroviari, degli interporti, impianti di terminalizzazione e scali merci non rientrano nelle attività di stoccaggio di cui all'articolo 183, comma 1, lettera aa), purché siano effettuate nel più breve tempo possibile e non superino comunque, salvo impossibilità per caso fortuito o per forza maggiore, il termine massimo di sei giorni a decorrere dalla data in cui hanno avuto inizio le predette attività. Ove si prospetti l'impossibilità del rispetto del predetto termine per caso fortuito o per forza maggiore, il detentore del rifiuto ha l'obbligo di darne indicazione nello spazio relativo alle annotazioni del formulario di cui al comma 1 e informare, senza indugio e comunque prima della scadenza del predetto termine, il comune e la provincia territorialmente competente indicando tutti gli aspetti pertinenti alla situazione. Ferme restando le competenze degli organi di controllo, il detentore del rifiuto dovrà adottare, senza indugio e a proprie spese, tutte le iniziative opportune per prevenire eventuali pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana. La decorrenza del termine massimo di sei giorni resta sospesa durante il periodo in cui perduri l'impossibilità per caso fortuito o per forza maggiore. In caso di persistente impossibilità per caso fortuito o per forza maggiore per un periodo superiore a trenta giorni a decorrere dalla data in cui ha avuto inizio l'attività di cui al primo periodo del presente comma, il detentore del rifiuto è obbligato a conferire, a proprie spese, i rifiuti ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti, in conformità agli articoli 177 e 179».

Art. 9.
(Rifiuti derivanti da attività di manutenzione delle infrastrutture)

1. All'articolo 230 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Il luogo di produzione dei rifiuti derivanti da attività di manutenzione alle infrastrutture, effettuata direttamente dal gestore dell'infrastruttura a rete e degli impianti per l'erogazione di forniture e servizi di interesse pubblico o tramite terzi, può coincidere con la sede del cantiere che gestisce l'attività manutentiva o con la sede locale del gestore della infrastruttura nelle cui competenze rientra il tratto di infrastruttura interessata dai lavori di manutenzione o con la sede e il domicilio del soggetto terzo cui viene esternalizzato dal gestore il servizio di manutenzione, ovvero con il luogo di concentramento dove il materiale tolto d'opera viene trasportato per la successiva valutazione tecnica, finalizzata all'individuazione del materiale effettivamente, direttamente ed oggettivamente riutilizzabile senza essere sottoposto ad alcun trattamento. Il luogo di concentramento deve essere localizzato nella sede operativa più prossima del gestore o del terzo rispetto all'effettivo luogo di produzione del materiale tolto d'opera».

2. All'articolo 230 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo il comma 1-bis è inserito il seguente:

«1-ter. Il trasporto dei rifiuti di cui al comma 1 dal luogo di produzione alla sede locale del gestore della infrastruttura nelle cui competenze rientra il tratto di infrastruttura interessata dai lavori di manutenzione o alla sede e al domicilio del soggetto terzo cui viene esternalizzato dal gestore il servizio di manutenzione, ovvero al luogo di concentramento dove il materiale tolto d'opera viene trasportato per la successiva valutazione tecnica, deve essere accompagnato, invece che dal formulario di identificazione di cui all'articolo 193, da un documento di trasporto che indichi il luogo di produzione e quello di destinazione e la quantità e la tipologia di materiale tolto d'opera. Il mezzo utilizzato per il trasporto di cui al presente comma non necessita dell'iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali».

3. All'articolo 230 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il comma 5 è sostituito dal seguente:

«5. I rifiuti provenienti dalle attività di pulizia manutentiva delle reti fognarie di qualsiasi tipologia, sia pubbliche che asservite ad edifici privati, comprese le fosse settiche, i manufatti analoghi ed i sistemi individuali di cui all'articolo 100, comma 3, si considerano prodotti dal soggetto che svolge l'attività di pulizia manutentiva. Tali rifiuti possono essere conferiti direttamente ad impianti di smaltimento o recupero o, in alternativa, raggruppati temporaneamente presso la sede o l'unità locale del soggetto che svolge l'attività di pulizia manutentiva, nel rispetto delle condizioni di cui all'articolo 193, comma 12. Il soggetto che svolge l'attività di pulizia manutentiva è comunque tenuto all'iscrizione all'Albo dei gestori ambientali, prevista dall'articolo 212, comma 5, per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti».

Art. 10.
(Gestione speciale dei rifiuti)

1. All'articolo 266 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il comma 4 è sostituito dal seguente:

«4. I rifiuti provenienti da attività di manutenzione o di assistenza sanitaria si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività. Ai sensi del presente articolo, si considerano manutenzioni con gestione dei rifiuti in deroga quelle che generano modeste quantità di rifiuti, prelevabili direttamente dal manutentore con propri mezzi e personale in occasione dell'intervento manutentivo che non giustificano il deposito temporaneo da parte del manutentore presso i luoghi in cui viene eseguita la manutenzione. Il trasporto di tali rifiuti, dal luogo di produzione alla sede o al domicilio del manutentore, deve essere accompagnato, anziché dal formulario di identificazione di cui all'articolo 193, da un documento di trasporto che indichi il luogo di produzione e quello di destinazione, la quantità e la tipologia di materiale tolto d'opera. Il mezzo utilizzato per tale trasporto non necessita di iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali».

Art. 11.
(Delega di funzioni in materia ambientale)

1. Dopo l'articolo 188 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è inserito il seguente:

«Art. 188-bis. – (Delega di funzioni in materia ambientale) – 1. La delega di funzioni in materia ambientale, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:

a) che risulti da atto scritto recante data certa;

b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

c) che attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, di gestione e di controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

d) che attribuisca al delegato l'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate;

e) che sia accettata dal delegato per iscritto.

2. Alla delega di cui al comma 1 deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità.
3. La delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. L'obbligo di vigilanza si intende assolto in caso di adozione e di efficace attuazione di specifici protocolli da adottare nell'ambito dell'organizzazione delle persone giuridiche di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
4. Il delegato può, a sua volta, previa intesa con il delegante all'interno della delega tra gli stessi, delegare specifiche funzioni in materia ambientale alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2. La delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, ulteriormente delegare le funzioni.
5. Nel rispetto dei requisiti di cui al presente articolo, la delega non può essere conferita a un soggetto esterno all'ente di appartenenza».

Art. 12.
(Abolizione del Consorzio nazionale per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene)

1. L'articolo 234 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è abrogato.

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