PDL 1731

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                Capo I
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                Capo II
                        Articolo 7
                        Articolo 8
                        Articolo 9

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1731

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DI MURO, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MARCHETTI, MATURI, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, SALTAMARTINI, SASSO, STEFANI, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZOFFILI, ZORDAN

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle comunità di tipo familiare che accolgono minori, nonché disposizioni in materia di incompatibilità della funzione di giudice onorario del tribunale per i minorenni e di tutela del diritto del minore ad una famiglia

Presentata il 2 aprile 2019

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Onorevoli Colleghi! – Con la presente proposta di legge si intende istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività di affidamento di minori alle comunità di tipo familiare, nonché introdurre ulteriori disposizioni volte ad assicurare il rispetto del diritto del minore di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia.
La Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva in Italia dalla legge n. 176 del 1991, stabilisce che «ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato», in conformità con la legislazione nazionale. Tale protezione sostitutiva può concretizzarsi per mezzo dell'affidamento familiare, dell'adozione o, in caso di necessità, del collocamento in adeguati istituti per l'infanzia (articolo 20).
Nel nostro Paese la legislazione vigente in materia di affidamento dei minori ha subìto, nel corso degli anni, una significativa evoluzione: si è passati, infatti, dall'accoglienza presso gli istituti di assistenza per minori, pubblici o privati, i cosiddetti orfanotrofi, al collocamento presso comunità di tipo familiare, le «case-famiglia», e all'affido come possibile fase transitoria verso l'adozione vera e propria.
La legge 4 maggio 1983, n. 184, che disciplina l'adozione e l'affidamento del minore, modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, ha sancito il diritto del minore a crescere e a essere educato nella propria famiglia, portando a compimento il delicato processo di chiusura e di trasformazione dei vecchi orfanotrofi, con lo scopo di garantire al minore la possibilità di vivere in un ambiente il più possibile simile a quello familiare.
La presente iniziativa legislativa tiene conto, in particolare, dei contenuti del Documento approvato dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza nella seduta del 17 gennaio 2018, a conclusione dell'indagine conoscitiva deliberata nella seduta del 3 marzo 2015 sui minori «fuori famiglia» (Doc. XVII-bis, n. 12), svolta in tutto il territorio nazionale sulle attività e sul funzionamento delle comunità e dei centri a cui vengono affidati i minori, e sui criteri di scelta, valutazione e controllo delle famiglie affidatarie e del contesto in cui vivono.
L'indagine conoscitiva, volta ad approfondire anche le criticità relative alla normativa vigente in materia di minori «fuori famiglia», nell'ottica di un suo possibile miglioramento, ha evidenziato, in primo luogo, l'inadeguatezza del sistema di rilevazione dei dati concernenti i minori fuori famiglia, il quale non è apparso idoneo a garantire informazioni aggiornate e fruibili sul numero complessivo degli stessi e la loro relativa collocazione.
La Commissione parlamentare, nel trarre le conclusioni dell'attività conoscitiva svolta, ha raccomandato ancora una volta il pieno rispetto della legge n. 149 del 2001, che dispone espressamente che «le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia», e delle altre disposizioni che prevedono interventi di sostegno alle famiglie con minori, sia di tipo economico, sia di tipo sociale, affinché siano evitati allontanamenti dal nucleo familiare per meri problemi economici. Ha, inoltre, stigmatizzato l'eccessiva durata della permanenza di minori nelle comunità familiari, oltre i due anni previsti dalla legge, che riguarda il 23 per cento del totale dei casi, secondo i dati rilevati dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, se non quando ritenuti effettivamente necessari dall'autorità giudiziaria nell'interesse superiore del minore, sottolineando come il collocamento dei minori fuori dalla propria famiglia di origine, per le conseguenze traumatiche sul percorso evolutivo dei minori e per gli elevati costi sociali, debba essere dunque sempre attentamente valutato e limitato nel tempo e costituire l'ultimo rimedio, cui si ricorre qualora non vi siano alternative possibili nell'interesse del minore; in tal senso, oltre a privilegiare l'affido intra-familiare rispetto al collocamento presso le comunità familiari, occorre sempre una verifica circa il possibile affidamento del minore a parenti entro il IV grado, così come previsto dalla normativa vigente.
Inoltre, dalle risultanze dell'indagine, appare necessario garantire, nei casi di allontanamento dalla famiglia di origine non determinati da pericoli incombenti per il minore, la continuità delle relazioni familiari e, in tal senso, appare fondamentale che il servizio sociale, nell'ambito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolga opera di sostegno educativo e psicologico, agevolando i rapporti con la famiglia di provenienza e il rientro nella stessa del minore secondo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell'opera delle associazioni familiari.
Infine, quanto alla tematica dei controlli, dall'indagine è emersa la stringente necessità di rendere effettivi i controlli sulle strutture di accoglienza da parte delle procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni, nonché quelli previsti a livello sia nazionale, sia locale. Sotto il primo profilo, va infatti ricordato che le comunità di accoglienza devono possedere una serie di requisiti minimi a livello strutturale e organizzativo che le rendano idonee all'esercizio dell'attività di accoglienza di minori, mentre, per quanto attiene ai controlli previsti dalla normativa regionale, appare necessaria un'attenta vigilanza da parte degli assessorati regionali alle politiche sociali, competenti in materia, sia sulle autorizzazioni all'esercizio delle attività delle case famiglia, sia sul rispetto dei requisiti minimi, che devono essere adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini e degli adolescenti. Uno specifico e più attento controllo deve essere svolto anche sulle strutture che erogano prestazioni socio-sanitarie in cui sono ospitati minori con gravi problematiche fisiche o psichiche, nonché sulle figure professionali che operano all'interno di tali contesti, al fine di garantire al minore le migliori condizioni di sviluppo e crescita relazionale.
Sulla base di queste premesse, la presente proposta di legge, da un lato, istituisce una Commissione parlamentare d'inchiesta sulle comunità di tipo familiare che accolgono minori, dall'altro, introduce una serie di modificazioni alla legislazione vigente in materia di incompatibilità della funzione di giudice onorario del tribunale per i minorenni che rivestono ruoli in comunità di tipo familiare, di motivazione dei provvedimenti di allontanamento dalla famiglia di origine, di accertamento della situazione di abbandono dei minori, nonché in tema di standard minimi dei servizi e dell'assistenza, di costi e di trasparenza delle strutture che accolgono minori.
Venendo alla descrizione dell'articolato, l'articolo 1 reca l'istituzione della Commissione parlamentare di inchiesta, i cui obiettivi, in particolare, sono di fornire una serie di indicazioni utili in merito all'attività di affidamento di minori presso le case-famiglia, nonché ogni possibile elemento utile per verificare il rispetto della disciplina vigente, con particolare riferimento al diritto del minore a crescere nella propria famiglia di origine, di rendere più efficiente l'affidamento dei minori sul territorio nazionale e di evitare casi di abuso e di non corretto utilizzo delle risorse pubbliche.
La Commissione deve presentare alle Camere, entro trenta giorni dalla scadenza del termine dei lavori e ogni sei mesi, una relazione sulle attività di indagine svolte, nonché sui relativi risultati. È ammessa anche la possibilità di relazioni di minoranza.
Ai sensi dell'articolo 2, la Commissione è composta da venti senatori e da venti deputati, nominati rispettivamente dai Presidenti delle Camere, in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari e assicurando comunque la presenza di almeno un rappresentante per ciascun gruppo esistente in ogni ramo del Parlamento. Dopo il primo biennio dalla costituzione della Commissione, quest'ultima è rinnovata con la possibilità di rieleggere i suoi componenti.
La Commissione è convocata dal Presidente del Senato e dal Presidente della Camera entro dieci giorni dalla nomina dei suoi componenti, affinché venga costituito l'ufficio di presidenza.
L'articolo 2, comma 4, disciplina la composizione dell'ufficio di presidenza, in cui, oltre al presidente, vengono eletti a scrutinio segreto due vicepresidenti e due segretari. Per l'elezione del presidente è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti la Commissione; in caso di mancato raggiungimento di tale maggioranza, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti e, in caso di ulteriore parità, si elegge il più anziano per età.
All'articolo 3 vengono puntualmente elencati i compiti assegnati alla Commissione, che sono quelli di acquisire informazioni ed elementi di conoscenza su tutti gli aspetti connessi all'affidamento dei minori all'interno delle case-famiglia, senza sovrapporsi all'attività giudiziaria, al fine di valutare anche le attività delle comunità stesse, comprese le relative forme organizzative e le modalità operative, con particolare riferimento alle condizioni dei minori affidati, al rispetto dei requisiti previsti per le comunità e alle forme di controllo.
L'articolo 4 disciplina i poteri della Commissione, la quale gode degli stessi poteri e delle medesime limitazioni dell'autorità giudiziaria.
Tale formulazione riproduce l'articolo 82 della Costituzione, ripreso anche dall'articolo 141, comma 2, del regolamento della Camera. L'articolo 162, comma 5, del regolamento del Senato reca, invece, una diversa formulazione, prevedendo che «i poteri della Commissione sono, a norma della Costituzione italiana, gli stessi dell'autorità giudiziaria». La possibilità dell'esercizio di poteri coercitivi rende l'inchiesta parlamentare lo strumento più incisivo del quale le Camere possono avvalersi per acquisire conoscenze, diversamente dall'indagine conoscitiva, che, pur essendo anch'essa finalizzata all'approfondimento di temi di ampia portata, non prevede poteri coercitivi rispetto all'acquisizione delle informazioni. I poteri coercitivi che la Commissione d'inchiesta può esercitare sono naturalmente limitati alla fase istruttoria, dato che la Commissione è priva di poteri giudicanti e non può quindi accertare reati e irrogare sanzioni.
Per le audizioni a testimonianza davanti alla Commissione, l'articolo 4 si richiama gli articoli 366, rifiuto di uffici legalmente dovuti, e 372, falsa testimonianza, del codice penale.
Al comma 1 dell'articolo 4 si prevede, inoltre, il divieto di adozione di provvedimenti che restringano la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, nonché della libertà personale, a eccezione dell'accompagnamento coattivo previsto dall'articolo 133 del codice di procedura penale.
Alla Commissione che esplica i suoi poteri d'inchiesta non possono essere opposti né il segreto d'ufficio, né il segreto professionale o bancario, a eccezione del segreto tra parte processuale e difensore nell'ambito del mandato. Per il segreto di Stato si applica la normativa vigente in materia. Qualora gli atti o i documenti oggetto dell'inchiesta della Commissione siano assoggettati al vincolo del segreto da parte di altre Commissioni parlamentari d'inchiesta, tali segreti non possono essere opposti alla Commissione.
Si prevede, inoltre, la possibilità per la Commissione di acquisire copie di atti e documenti relativi a procedimenti in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti ovvero di atti e documenti in merito a inchieste e indagini parlamentari anche se coperti dal segreto, prevedendo contestualmente il mantenimento del regime di segretezza fino a quando gli atti e i documenti trasmessi in copia siano coperti da segreto.
La proposta di legge disciplina, altresì, l'ipotesi in cui sia emesso un decreto motivato da parte dell'autorità giudiziaria qualora, per ragioni di natura istruttoria, ritenga di ritardare la trasmissione di atti e documenti richiesti. Il decreto ha efficacia per sei mesi e può essere rinnovato; al venir meno delle indicate ragioni istruttorie consegue l'obbligo di trasmettere tempestivamente gli atti richiesti.
L'articolo 5 reca disposizioni in merito all'obbligo del segreto, cui sono tenuti i componenti la Commissione, il personale addetto alla stessa e ogni altra persona che collabora con la stessa. In caso di violazione di tale obbligo si applica l'articolo 326 del codice penale sulla rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio.
Con riferimento all'organizzazione interna, all'attività e al funzionamento della Commissione, l'articolo 6 rimanda a un apposito regolamento interno, approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei lavori.
Viene stabilita la pubblicità delle sedute della Commissione, salvo diversa deliberazione. La Commissione può avvalersi dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria, nonché di magistrati fuori ruolo e di tutte le collaborazioni che ritenga necessarie.
Al comma 6 dell'articolo 6 viene indicato il limite di spesa stabilito per il funzionamento della Commissione.
L'articolo 7 disciplina l'incompatibilità della funzione di giudice onorario del tribunale per i minorenni. Nel recente passato, anche a seguito dello svolgimento di atti di sindacato ispettivo, è emerso che diversi giudici onorari, che avrebbero attivamente partecipato alle decisioni inerenti l'affidamento di minori, sono risultati essere membri, presidenti e finanche fondatori di strutture destinate a ospitare i minori, determinando l'eventualità della sussistenza di conflitti di interesse.
Il Consiglio superiore della magistratura (CSM), anche alla luce delle numerose segnalazioni pervenute, nella definizione dei criteri di nomina dei giudici onorari minorili per il triennio 2020-2022, di cui alla circolare 11 luglio 2018, n. 18/VA/2018, ha stabilito, tra l'altro, che non possono esercitare le funzioni di giudice onorario del tribunale per i minorenni coloro che rivestono cariche rappresentative in strutture comunitarie ove vengono inseriti minori da parte dell'autorità giudiziaria o che partecipano alla gestione complessiva delle strutture stesse o ai consigli di amministrazione delle società che le gestiscono. La stessa previsione si applica a coloro che svolgono attività di operatore socio-sanitario o di collaboratore, a qualsiasi titolo, delle strutture comunitarie medesime, pubbliche e private. Il giudice onorario, all'atto della nomina, deve inoltre impegnarsi a non assumere, per tutta la durata dell'incarico, i ruoli o le cariche suddette e, se già ricoperti, deve rinunziarvi prima di assumere le funzioni.
Ciò premesso, considerata la necessità di prevenire possibili conflitti di interessi, con l'articolo 7 si intende attribuire un rango normativo primario al disposto della suddetta circolare del CSM, definendo con legge i casi di incompatibilità L'incompatibilità è estesa anche a chi abbia il coniuge o un parente entro il secondo grado che ricopra le medesime cariche o ruoli all'interno delle strutture di affidamento, nonché al convivente.
L'articolo 8 reca disposizioni in materia di affidamento dei minori e di accertamento della situazione di abbandono di minori.
In particolare, al comma 1, lettera a), si novella l'articolo 2, comma 2, della legge 4 maggio 1983, n. 184, che prevede che, ove non sia possibile un affido presso una famiglia o a una persona singola, «è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare», mentre, al comma 3, dispone che «in caso di necessità e urgenza l'affidamento può essere disposto anche senza porre in essere gli interventi di cui all'articolo 1, commi 2 e 3», ossia gli interventi di sostegno e aiuto dei nuclei familiari in condizioni di indigenza o a rischio.
Tali previsioni, così come attualmente configurate, tendono a far perdere all'istituto dell'affido presso una famiglia il carattere di soluzione preferibile rispetto a quello del collocamento del minore presso le comunità familiari. Per tali ragioni, la novella in oggetto, nell'aggiungere il comma 3-bis, dispone che i provvedimenti di inserimento del minore in una comunità di tipo familiare, nonché quelli adottati in via d'urgenza, devono indicare espressamente le ragioni per le quali non si ritiene possibile la permanenza nel nucleo familiare originario ovvero l'affidamento ad una famiglia, fermi restando gli obblighi generali di motivazione dell'affidamento di cui all'articolo 4, comma 3, della citata legge n. 184 del 1983.
La lettera b) del comma 1 dell'articolo 8 modifica, invece, l'articolo 15 della medesima legge n. 184 del 1983, il quale dispone che lo stato di adottabilità è dichiarato, tra l'altro, quando «è provata l'irrecuperabilità delle capacità genitoriali dei genitori in un tempo ragionevole». Tale previsione, che aggiunge alla mancanza di un'adeguata assistenza morale e materiale da parte dei genitori e dei parenti – quale originario presupposto per la dichiarazione di adottabilità – siffatta ulteriore verifica, incide sulla durata dei relativi giudizi, favorendo l'impugnazione delle decisioni assunte in primo grado, considerata l'estrema difficoltà di fornire prove oggettive sia in merito all'irrecuperabilità delle capacità genitoriali, sia con riferimento all'individuazione dei tempi «ragionevoli». Inoltre, tale valutazione, come sottolineato dalla Suprema corte, sembra avere spostato, ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità, l'attenzione dalla situazione del minore di età a quella dei genitori, tenuto conto che la ragionevolezza dei tempi di recupero appare collegata alla condizione dei genitori e non alla incidenza del rapporto genitoriale sullo sviluppo psico-fisico del minore, evocando così una concezione «sanzionatoria» dell'adozione rispetto ai genitori che sembrava superata.
Alla luce di tali considerazioni, la novella in oggetto sopprime il riferimento alla «irrecuperabilità delle capacità genitoriali dei genitori in un tempo ragionevole», lasciando inalterato il tradizionale riferimento allo stato di abbandono morale e materiale.
L'articolo 9 interviene in materia di standard minimi di assistenza, di costi e di trasparenza delle comunità familiari che accolgono minori.
In particolare, al comma 1 si prevede che, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la famiglia e le disabilità e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza unificata, siano stabiliti, da una parte, le linee guida per la definizione degli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare che accolgono minori e per l'esercizio delle relative funzioni di verifica e di controllo; dall'altra, i criteri per la determinazione dei contributi pubblici da erogare per le prestazioni rese dalle medesime comunità, nonché le modalità di monitoraggio e di rendicontazione sull'utilizzo delle relative risorse.
Il comma 2 dispone, infine, che dall'attuazione di tali disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

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PROPOSTA DI LEGGE

Capo I
ISTITUZIONE DI UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE COMUNITÀ DI TIPO FAMILIARE CHE ACCOLGONO MINORI

Art. 1.
(Istituzione e durata della Commissione)

1. È istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, per la durata della XVIII legislatura, una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori, di seguito denominata «Commissione».
2. La Commissione, ogni dodici mesi e comunque al termine dei propri lavori, presenta alle Camere una relazione sulle attività di indagine svolte e sui risultati dell'inchiesta. Sono ammesse relazioni di minoranza.

Art. 2.
(Composizione della Commissione)

1. La Commissione è composta da venti senatori e da venti deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento. I componenti sono nominati tenendo conto anche della specificità dei compiti assegnati alla Commissione.
2. La Commissione è rinnovata dopo il primo biennio dalla sua costituzione. I componenti possono essere confermati.
3. Il Presidente del Senato della Repubblica e il Presidente della Camera dei deputati, entro dieci giorni dalla nomina dei suoi componenti, convocano la Commissione per la costituzione dell'ufficio di presidenza.
4. L'ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, è eletto dalla Commissione a scrutinio segreto tra i suoi componenti. Per l'elezione del presidente è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti della Commissione; se nessuno riporta tale maggioranza si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti è proclamato eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età.
5. Per l'elezione, rispettivamente, dei due vicepresidenti e dei due segretari, ciascun componente della Commissione scrive sulla propria scheda un solo nome. Sono eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti si procede ai sensi del comma 4.
6. Le disposizioni dei commi 4 e 5 si applicano anche per le elezioni suppletive.

Art. 3.
(Compiti della Commissione)

1. La Commissione ha il compito di:

a) esaminare le attività svolte dalle comunità di tipo familiare che accolgono minori, nonché le condizioni dei minori affidati alle stesse, con particolare riferimento alla verifica del rispetto del principio della necessaria temporaneità dei provvedimenti di affidamento;

b) verificare il rispetto dei requisiti minimi strutturali e organizzativi previsti per le strutture di tipo familiare e per le comunità di accoglienza dei minori dal regolamento di cui al decreto del Ministro per la solidarietà sociale 21 maggio 2001, n. 308, nonché il rispetto degli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che, ai sensi delle vigenti disposizioni statali e regionali, devono essere garantiti dalle comunità di tipo familiare che accolgono minori;

c) effettuare controlli, anche a campione, sull'utilizzo delle risorse pubbliche destinate alle comunità di tipo familiare che accolgono minori e valutare la congruità dei costi anche con riferimento alle differenze di carattere territoriale;

d) verificare se nel nostro ordinamento sia effettivamente garantito il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia, e se sia rispettato il principio in base al quale l'allontanamento del minore dalla famiglia di origine deve costituire un rimedio residuale e che, in ogni caso, esso non può essere disposto per ragioni connesse esclusivamente alle condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale;

e) verificare il rispetto della circolare n. 18/VA/2018, adottata con delibera dell'11 luglio 2018 del Consiglio superiore della magistratura, nonché di quanto disposto ai sensi dell'articolo 7 della presente legge, con particolare riguardo al divieto di esercizio delle funzioni di giudice onorario minorile per coloro che rivestono cariche rappresentative in strutture comunitarie di tipo familiare ove vengono inseriti minori da parte dell'autorità giudiziaria o che partecipano alla gestione complessiva delle strutture stesse o ai consigli di amministrazione di società che le gestiscono, ovvero per coloro che svolgono attività di operatore socio-sanitario o collaboratore a qualsiasi titolo delle strutture comunitarie medesime, pubbliche e private.

Art. 4.
(Poteri e limiti della Commissione)

1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria. La Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, nonché alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.
2. La Commissione può richiedere agli organi e agli uffici della pubblica amministrazione copie di atti e di documenti da essi custoditi, prodotti o comunque acquisiti in materie attinenti ai compiti di cui all'articolo 1.
3. La Commissione può richiedere copie di atti e di documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, nonché copie di atti e di documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti da segreto.
4. Sulle richieste ad essa rivolte l'autorità giudiziaria provvede ai sensi dell'articolo 117 del codice di procedura penale. L'autorità giudiziaria provvede tempestivamente e può ritardare la trasmissione di copia di atti e di documenti richiesti con decreto motivato solo per ragioni di natura istruttoria. Il decreto ha efficacia per sei mesi e può essere rinnovato. Quando tali ragioni vengono meno, l'autorità giudiziaria provvede tempestivamente a trasmettere quanto richiesto. Il decreto non può essere rinnovato o avere efficacia oltre la chiusura delle indagini preliminari. L'autorità giudiziaria può trasmettere copie di atti e di documenti anche di propria iniziativa.
5. La Commissione mantiene il segreto funzionale fino a quando gli atti e i documenti trasmessi in copia ai sensi del comma 3 sono coperti da segreto, nei termini precisati dagli organi o uffici che li hanno trasmessi.
6. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione a esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono in ogni caso essere coperti dal segreto gli atti, le assunzioni testimoniali e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari fino al termine delle stesse.
7. Per il segreto di Stato nonché per i segreti d'ufficio, professionale e bancario si applicano le norme vigenti. È sempre opponibile il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato.
8. Per il segreto di Stato si applica quanto previsto dalla legge 3 agosto 2007, n. 124.
9. Ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria, per le audizioni a testimonianza davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli da 366 a 384-bis del codice penale.

Art. 5.
(Obbligo del segreto)

1. I componenti della Commissione, il personale addetto alla stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 4, commi 5 e 6.
2. La diffusione in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, di atti o documenti del procedimento di inchiesta coperti dal segreto o dei quali è stata vietata la divulgazione è punita ai sensi delle leggi vigenti.

Art. 6.
(Organizzazione interna)

1. L'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei lavori. Ciascun componente può proporre la modifica delle norme regolamentari.
2. La Commissione può organizzare i propri lavori anche attraverso uno o più comitati, costituiti secondo il regolamento di cui al comma 1.
3. Le sedute della Commissione sono pubbliche. La Commissione può deliberare di riunirsi in seduta segreta.
4. La Commissione si avvale dell'opera di agenti e di ufficiali di polizia giudiziaria, nonché di magistrati collocati fuori ruolo, e può avvalersi di tutte le collaborazioni, che ritenga necessarie, di soggetti interni ed esterni all'amministrazione dello Stato autorizzati, ove occorra e con il loro consenso, dagli organi a ciò deputati e dai Ministeri competenti. Con il regolamento interno di cui al comma 1 è stabilito il numero massimo di collaborazioni di cui può avvalersi la Commissione.
5. Per lo svolgimento dei suoi compiti la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti delle Camere, d'intesa tra loro.
6. Le spese per il funzionamento della Commissione sono stabilite nel limite massimo di 50.000 euro per l'anno 2019 e di 150.000 euro per ciascuno degli anni successivi e sono poste per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.

Capo II
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INCOMPATIBILITÀ DELLA FUNZIONE DI GIUDICE ONORARIO DEL TRIBUNALE PER I MINORENNI E DI TUTELA DEL DIRITTO DEL MINORE AD UNA FAMIGLIA

Art. 7.
(Disposizioni in materia di incompatibilità dei giudici onorari minorili)

1. All'articolo 6, primo comma, del regio decreto-legge del 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, dopo il secondo periodo, sono aggiunti i seguenti: «Non possono esercitare le funzioni di giudice onorario del tribunale per i minorenni coloro che rivestono cariche rappresentative nelle strutture comunitarie, pubbliche o private, alle quali l'autorità giudiziaria affida i minori o che partecipano alla gestione complessiva delle strutture stesse o ai consigli di amministrazione delle società che le gestiscono. La disposizione di cui al terzo periodo si applica anche a coloro che svolgono attività di operatore socio-sanitario o di collaboratore, a qualsiasi titolo, nelle strutture medesime. Il giudice onorario minorile, all'atto della nomina, deve impegnarsi a non assumere, per tutta la durata dell'incarico, i ruoli o le cariche di cui al terzo e al quarto periodo e, se già ricoperti, deve rinunciarvi prima di assumere le funzioni. L'incompatibilità sussiste anche per il soggetto il cui coniuge o un parente entro il secondo grado o il convivente riveste le cariche o i ruoli di cui ai periodi terzo e quarto».

Art. 8.
(Disposizioni in materia di affidamento e accertamento della situazione di abbandono del minore)

1. Alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 2, dopo il comma 3 è inserito il seguente:

«3-bis. I provvedimenti adottati ai sensi dei commi 2 e 3 devono indicare espressamente le ragioni per le quali non è possibile la permanenza nel nucleo familiare originario ovvero l'affidamento a una famiglia, fermo restando quanto disposto dall'articolo 4, comma 3»;

b) all'articolo 15, comma 1, lettera c), le parole: «ovvero è provata l'irrecuperabilità delle capacità genitoriali dei genitori in un tempo ragionevole» sono soppresse.

Art. 9.
(Disposizioni in materia di livelli minimi di servizio, di costi e di trasparenza della gestione delle comunità familiari che accolgono minori)

1. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la famiglia e le disabilità e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti:

a) le linee guida per la definizione dei livelli minimi dei servizi e dell'assistenza che devono essere garantiti dalle comunità di tipo familiare che accolgono minori e per l'esercizio delle relative funzioni di verifica e controllo;

b) i criteri per la determinazione dei contributi pubblici da erogare per le prestazioni rese dalle comunità, nonché le modalità di monitoraggio e di rendicontazione sull'utilizzo delle relative risorse.

2. Dall'attuazione del comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

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