PDL 1700

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1700

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa delle deputate
LIUZZI, BUSINAROLO

Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale e al codice di procedura civile in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione e di condanna del querelante

Presentata il 26 marzo 2019

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Onorevoli Colleghi! — Com'è noto, la democrazia è quella forma di governo fondata sulla sovranità popolare che garantisce a ogni cittadino la partecipazione, in piena uguaglianza, all'esercizio del potere pubblico. Affinché tale condizione si verifichi occorre che i cittadini siano informati e abbiano accesso alla conoscenza in modo completo e oggettivo.
Due pilastri della democrazia sono proprio l'informazione e la libertà di stampa. Infatti, ogni regime totalitario e Governo dittatoriale come prima cosa ha limitato la libertà di espressione, controllando i media e reprimendo la libertà di associazione, di assemblea, di religione.
Nella classifica del 2018 sulla libertà di stampa di Reporter senza frontiere l'Italia risulta alla quarantaseiesima posizione su 180 Paesi, prima di Paesi come la Polonia ad esempio, ma molto dietro ad altri come il Ghana o la Namibia, che sono, rispettivamente, al ventitreesimo e al ventiseiesimo posto. Uno dei principali problemi rimproverato all'Italia in tema di libertà di stampa è la mancata depenalizzazione del reato di diffamazione, per il quale ad oggi il codice penale prevede anche pene detentive.
Nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955, la libertà di espressione è considerata un diritto fondamentale di ogni individuo (articolo 10). In questo ambito, la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) ha sempre sottolineato il ruolo esercitato dagli organi di stampa, da cui consegue la loro funzione di riferire ai cittadini su fatti di interesse pubblico, e ha considerato le sanzioni a carico dei giornalisti come «un'ingerenza nell'esercizio di tale diritto». Ovviamente esistono anche altri valori da proteggere, come la dignità e la reputazione, che il nostro codice penale tutela. Nella ricostruzione della CEDU, però, questi hanno un rango inferiore rispetto alla libertà di espressione e di informazione, in quanto eccezioni a un diritto fondamentale, che è funzionale anche alla realizzazione del diritto di voto.
Noti e ormai codificati – per legge, per codice deontologico, in giurisprudenza ed in dottrina – sono i diritti di critica e di cronaca di cui devono poter usufruire tutti coloro che fanno informazione libera e senza «bavaglio».
Nel corso della XVII legislatura il Parlamento ha avviato l'esame di numerose proposte di legge finalizzate alla depenalizzazione del reato di diffamazione. Un iter durato per l'intera legislatura e che, purtroppo, nonostante diverse navette tra Camera e Senato, non è riuscito a giungere al termine realizzando la tanto attesa riforma.
Anche alla luce della normativa vigente nei principali Paesi europei, ed in particolare in quelli scandinavi, da sempre in vetta alle classifiche della libertà di stampa, si ritiene doveroso porre all'attenzione del Parlamento la necessità di intervenire urgentemente per rivedere il dettato normativo nella parte sanzionatoria dell'articolo 595 del codice penale, in materia di diffamazione, e la normativa in materia di diffamazione prevista dalla legge n. 47 del 1948 (legge sulla stampa), riprendendo l’iter avviato nella scorsa legislatura da dove si è, purtroppo, interrotto.
Qualora il giornalista esorbiti dai limiti che è tenuto a rispettare (verità, continenza, interesse pubblico), riteniamo sufficiente e più rispondente al bilanciamento di entrambi i diritti costituzionalmente garantiti (quello del giornalista ad informare e quello della persona offesa alla privacy ed alla reputazione) la sola sanzione pecuniaria, la rettifica della notizia diffamatoria a spese del diffamatore e le pubbliche scuse, qualora la gravità del fatto lo richieda, oltre al risarcimento dei danni in sede civile.
Secondo i dati dell'ISTAT relativi all'anno 2017, in quell'anno erano ben 390 le persone detenute a seguito di condanna per reati di diffamazione e di ingiuria, reato, quest'ultimo, che fortunatamente è stato depenalizzato. Si tratta di numeri eccessivi, che questa proposta di legge si propone di eliminare definitivamente.
Negli Stati Uniti il giornalista deve controllare una sola cosa: che quel che dice sia vero. In Italia, invece, il mestiere di giornalista è diventato una via crucis tra denunce civili e penali.
In Italia si può essere condannati anche se si racconta un fatto vero: basta usare parole troppo aspre, notizie segrete o atti pubblici ma non pubblicabili. E non c'è alcuna differenza tra una critica dura e un fatto falso, perché si rischia la diffamazione in entrambi i casi.
Le somme da versare le decide il giudice, a sua discrezione. Anche se il cronista si è soltanto sbagliato e poi si è scusato subito con una rettifica. Non basta: i danni patrimoniali si possono richiedere anche in sede civile e provocare una condanna al risarcimento per il giornalista e per l'editore.
In Italia chi promuove una causa civile, invece, non rischia nulla: può chiedere anche risarcimenti per milioni di euro e, se poi il giudice gli dà torto, non deve sborsare nulla.
Pertanto è opportuno introdurre l'articolo 97-bis del codice di procedura civile, al fine di scoraggiare le cause infondate o intentate con fini intimidatori, che, notoriamente, sono quelle attivate dalle persone che detengono il potere.
Se la civiltà moderna si è formata tramite il riconoscimento di alcune garanzie, oggi il gioco dei potenti è diventato quello di strumentalizzare queste garanzie a fini personali. Ecco, quindi, che un giusto diritto può essere strumentalizzato per tacitare chi, per il proprio mestiere di giornalista, controlla il potere.
Di per sé si potrebbe pensare che non ci sia niente di patologico nella possibilità di essere citati in giudizio da chi si sente diffamato: se il giornalista ha lavorato con coscienza, questo gli sarà riconosciuto dalla sentenza e vincerà la causa contro chi lo accusa di diffamazione. Tuttavia, nel sistema italiano, essere citati in tribunale, specialmente in una causa civile, significa già di per sé perdere ancora prima dell'esito del giudizio. Il problema non è solo la durata dei processi civili e i loro costi, ma anche il fatto che chiunque può intentare una causa civile anche senza una vera ragione. Meglio, quindi, una querela per diffamazione che una causa civile. Nelle cause penali c'è un magistrato che valuta preliminarmente se procedere o meno. In un processo civile, invece, c'è la possibilità di trascinare in giudizio chiunque, anche senza motivazione, perché chi avvia il procedimento davanti al giudice non pagherà altro se non le spese legali. Quindi, se qualcuno vuole intimidire un giornalista, lo cita in giudizio, senza alcuna riflessione sulle conseguenze che ciò può determinare per il giornalista.
Ma come si distingue una causa pretestuosa da una legittima? Il problema è che, non essendoci, nel processo civile, un filtro preliminare, una causa può durare anche anni prima che si possa accertare se sia pretestuosa. Una soluzione è stata raggiunta con la riforma recata dalla legge n. 69 del 2009 e con l'articolo 96 del codice di procedura civile, che ha introdotto la possibilità di punire la lite temeraria, cioè l'azione promossa senza fondamento, condannando al risarcimento dei danni o al pagamento di una somma determinata. Ma tale disposizione è poco applicata.
Ma chi strumentalizza le cause? Due categorie di persone: i potenti, che non vogliono che si parli di loro, e i furbi, che cercano di trarne profitto. Questi ultimi, approfittando, ad esempio, di affermazioni diffuse dalla televisione che li hanno disturbati, cercano di trarne un seppur minimo vantaggio economico. I furbi, rispetto ai grandi, sono pochi, ma fanno comunque numero.
Di fronte al giornalista d'inchiesta, quindi, non si spara più. Le nuove intimidazioni si fanno con le querele. Libertà di stampa non è «dire ciò che si vuole»: è la libertà di raccontare i fatti quando si hanno le evidenze. Peccato che oggi, in Italia, il racconto dei fatti presupponga un fastidioso «eroismo».

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47)

1. All'articolo 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle testate giornalistiche on line registrate ai sensi dell'articolo 5, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, nonché alle testate giornalistiche radiotelevisive».

2. All'articolo 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il primo comma è sostituito dal seguente:

«Il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a pubblicare gratuitamente con la seguente indicazione: “Rettifica dell'articolo (TITOLO) del (DATA) a firma (AUTORE)”, nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia di stampa o nella testata giornalistica on line registrata ai sensi dell'articolo 5, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale o non siano inequivocabilmente false. Il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a informare l'autore dell'articolo o del servizio, ove sia firmato, della richiesta di rettifica»;

b) al secondo comma sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Per le testate giornalistiche on line registrate ai sensi dell'articolo 5, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate non oltre tre giorni lavorativi dalla ricezione della richiesta, con la stessa metodologia, visibilità e modalità di accesso al sito internet, nonché con le stesse caratteristiche grafiche della notizia cui si riferiscono, nonché all'inizio dell'articolo contenente la notizia cui si riferiscono, senza modificarne la URL, e in modo da rendere evidente l'avvenuta modifica. Nel caso in cui la testata giornalistica on line di cui al periodo precedente fornisca un servizio personalizzato, le dichiarazioni o le rettifiche sono inviate agli utenti che hanno avuto accesso alla notizia cui si riferiscono»;

c) al terzo comma, dopo le parole: «che ha riportato la notizia cui si riferisce» sono aggiunte, in fine, le seguenti: «, purché non siano inequivocabilmente false»;

d) dopo il terzo comma è inserito il seguente:

«Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell'articolo 32-quinquies del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177»;

e) dopo il quarto comma è inserito il seguente:

«Per la stampa non periodica, l'autore dello scritto ovvero i soggetti di cui all'articolo 57-bis del codice penale provvedono, in caso di ristampa o nuova diffusione, anche in versione elettronica, e, in ogni caso, nel proprio sito internet ufficiale non oltre quindici giorni dalla ricezione della richiesta, alla pubblicazione delle dichiarazioni o delle rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti fatti o atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro reputazione o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale o non siano inequivocabilmente false. La pubblicazione in rettifica deve essere effettuata nel sito internet e nelle nuove pubblicazioni elettroniche entro due giorni dalla richiesta e nella prima ristampa utile con idonea collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre fare chiaro riferimento allo scritto che l'ha determinata. Nel caso in cui non sia possibile la ristampa o una nuova diffusione dello stampato o la pubblicazione nel sito internet, la pubblicazione in rettifica deve essere pubblicata, comunque non oltre quindici giorni dalla ricezione della richiesta, sull'edizione on line di un quotidiano a diffusione nazionale»;

f) al quinto comma, le parole: «trascorso il termine di cui al secondo e terzo comma» sono sostituite dalle seguenti: «trascorso il termine di cui al secondo, terzo, quarto e sesto comma», le parole: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto comma» sono sostituite dalle seguenti: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma», le parole: «al pretore» sono sostituite dalle seguenti: «al giudice» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il giudice accoglie in ogni caso la richiesta quando è stato falsamente attribuito un fatto determinato che costituisce reato»;

g) dopo il quinto comma sono inseriti i seguenti:

«Della stessa procedura può avvalersi l'autore dell'offesa, qualora il direttore responsabile del giornale o del periodico o della testata giornalistica on line registrata ai sensi dell'articolo 5, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, ovvero il responsabile della trasmissione radiofonica o televisiva non pubblichi la smentita o la rettifica richiesta. Nel caso di richiesta dell'autore, il direttore o comunque il responsabile è obbligato a pubblicare o ad effettuare la dichiarazione o la rettifica ai sensi del presente articolo.
Il giudice, qualora accolga la richiesta di cui ai commi precedenti, comunica il relativo provvedimento al prefetto per l'irrogazione della sanzione amministrativa di cui al comma seguente in caso di mancata o incompleta ottemperanza all'ordine di pubblicazione. Il giudice dispone altresì la trasmissione degli atti al competente ordine professionale per le determinazioni di competenza»;

h) al sesto comma, le parole: «da lire 15.000.000 a lire 25.000.000» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 8.000 a euro 16.000».

3. Dopo l'articolo 11 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, è inserito il seguente:

«Art. 11-bis. – (Risarcimento del danno)1. Nella determinazione del danno derivante da diffamazione commessa con il mezzo della stampa o della radiotelevisione, il giudice tiene conto della diffusione quantitativa e della rilevanza nazionale o locale del mezzo di comunicazione usato per compiere il reato, della gravità dell'offesa, nonché dell'effetto riparatorio della pubblicazione e della diffusione della rettifica.
2. Nei casi previsti dalla presente legge, l'azione civile per il risarcimento del danno alla reputazione si prescrive in due anni dalla pubblicazione».

4. L'articolo 12 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, è abrogato.
5. L'articolo 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, è sostituito dal seguente:

«Art. 13. – (Pene per la diffamazione)1. Nel caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, di testate giornalistiche on line registrate ai sensi dell'articolo 5 o della radiotelevisione, si applica la pena della multa fino a 10.000 euro. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità, si applica la pena della multa da 10.000 euro a 50.000 euro.
2. Alla condanna per il delitto di cui al comma 1 consegue la pena accessoria della pubblicazione della sentenza nei modi stabiliti dall'articolo 36 del codice penale.
3. Le stesse pene di cui al comma 1 si applicano anche al direttore o al vicedirettore responsabile del quotidiano, del periodico o della testata giornalistica, radiofonica o televisiva o della testata giornalistica on line registrata ai sensi dell'articolo 5 che, a seguito di richiesta dell'autore della pubblicazione, abbia rifiutato di pubblicare le dichiarazioni o le rettifiche secondo le modalità definite dall'articolo 8.
4. L'autore dell'offesa nonché il direttore responsabile della testata giornalistica, anche on line, registrata ai sensi dell'articolo 5 della presente legge o della testata radiofonica o televisiva e i soggetti di cui all'articolo 51-bis del codice penale non sono punibili se, con le modalità previste dall'articolo 8 della presente legge, anche spontaneamente, siano state pubblicate o diffuse dichiarazioni o rettifiche. L'autore dell'offesa è, altresì, non punibile quando abbia chiesto, a norma dell'ottavo comma dell'articolo 8, la pubblicazione della smentita o della rettifica richiesta dalla parte offesa ed essa sia stata rifiutata.
5. Nel dichiarare la non punibilità, il giudice valuta la rispondenza della rettifica ai requisiti di legge.
6. Con la sentenza di condanna il giudice dispone la trasmissione degli atti al competente ordine professionale per le determinazioni relative alle sanzioni disciplinari.
7. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 596 e 597 del codice penale».

Art. 2.
(Modifiche al codice penale)

1. L'articolo 57 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 57. – (Reati commessi con il mezzo della stampa, della diffusione radiotelevisiva o con altri mezzi di diffusione) – Fatta salva la responsabilità dell'autore della pubblicazione, e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vicedirettore responsabile del quotidiano, del periodico o della testata giornalistica, radiofonica o televisiva o della testata giornalistica on line registrata ai sensi dell'articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, risponde a titolo di colpa dei delitti commessi con il mezzo della stampa, della diffusione radiotelevisiva o con altri mezzi di diffusione se il delitto è conseguenza della violazione dei doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione. La pena è in ogni caso ridotta di un terzo. Non si applica la pena accessoria dell'interdizione dalla professione di giornalista. Il direttore o il vicedirettore responsabile di cui al primo periodo, in relazione alle dimensioni organizzative e alla diffusione del quotidiano, del periodico o della testata giornalistica, radiofonica o televisiva o della testata giornalistica on line registrata ai sensi dell'articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, può delegare, con atto scritto avente data certa e accettato dal delegato, le funzioni di controllo a uno o più giornalisti professionisti idonei a svolgere le funzioni di vigilanza di cui al primo periodo».

2. L'articolo 595 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 595. – (Diffamazione) – Chiunque, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la multa fino a euro 5.000.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della multa fino a euro 10.000.
Se l'offesa è recata con il mezzo della stampa o con qualsiasi mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della multa non inferiore a euro 2.500.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate».

Art. 3.
(Introduzione dell'articolo 97-bis del codice di procedura civile)

1. Dopo l'articolo 97 del codice di procedura civile è inserito il seguente:

«Art. 97-bis. – (Responsabilità nei giudizi per lesione dell'onore, della reputazione o dell'immagine) – Nell'ambito dei giudizi di risarcimento del danno per fatti illeciti connessi alla violazione dell'onore, della reputazione o dell'immagine, anche commerciale, il giudice, quando rigetta, anche parzialmente, la domanda risarcitoria, condanna l'attore, anche d'ufficio, a versare al convenuto o a ciascuno dei convenuti un importo non inferiore, nel caso di rigetto integrale della domanda, alla metà del danno richiesto e, nel caso di rigetto parziale, alla metà della differenza tra il danno eventualmente accertato e quello richiesto.
Il giudice si astiene dal pronunciarsi d'ufficio ai sensi di quanto previsto al primo comma o, se proposta, rigetta l'eventuale domanda riconvenzionale, quando l'accertamento della sussistenza dell'illecito risulti di particolare complessità o quando la quantificazione del risarcimento richiesto risulti fondata su parametri obiettivi e adeguatamente documentati».

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