PDL 1281

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1281

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
LUCA DE CARLO, MELONI, LOLLOBRIGIDA, ACQUAROLI, CARETTA, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, FOTI, MASCHIO, PETTARIN, PRISCO, RIZZETTO, TRANCASSINI, ZUCCONI

Modifica all'articolo 5 della legge 3 marzo 1951, n. 178, in materia di revoca delle onorificenze dell'Ordine al merito della Repubblica italiana

Presentata il 18 ottobre 2018

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Onorevoli Colleghi! — Broz Tito Josip, dal 4 luglio 1941 comandante militare dell'Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia, promosse la mobilitazione generale per la resistenza contro le truppe italo-tedesche di occupazione ed i loro collaborazionisti, ricoprendo l'incarico tra il 1941 e il 1945 di comandante in capo dell'armata popolare di liberazione della Jugoslavia che era stata sconfitta durante la campagna militare dell'aprile 1941.
Il 1° maggio 1945, la IV armata di Tito entrò a Trieste, anticipando gli anglo-americani, e nei giorni seguenti a Gorizia, a Fiume, a Pola ed in Istria (province appartenenti all'Italia in maniera internazionalmente riconosciuta per effetto dei Trattati di Rapallo – 1920 e Roma – 1924) in un clima di violenza politico-ideologica: fu emanato l'ordine di eliminare i «fascisti», intendendo non solo gli elementi legati al fascismo ma anche tutti coloro i quali si opponevano all'annessione della Venezia Giulia al nascente regime comunista di Tito.
Le vittime delle foibe non sono definite con certezza ma alcune stime giungono a 10.000 vittime, considerando non solo chi fu scaraventato negli abissi carsici, ma anche coloro i quali morirono nei campi di concentramento jugoslavi, annegati, fucilati ed eliminati dopo crudeli torture, tenendo presente che un migliaio di costoro fu già sterminato dai partigiani comunisti jugoslavi nelle tumultuose giornate successive all'armistizio dell'8 settembre.
Questi dati, seppur parziali, inquadrati nel contesto della limitata porzione spaziale e temporale in cui avvennero gli eccidi, della brutalità disumana che li accompagnò, fra stupri, sevizie e torture, dell'esodo di decine di migliaia di istriani, fiumani e dalmati che ne seguì, della rimozione storica durata per anni, contribuirà a far sanguinare ancora per molto tempo quella ferita nazionale chiamata «foibe».
Consideriamo che il 3 ottobre 2011 la Corte costituzionale della Slovenia dichiarava incostituzionale l'intitolazione di una strada di Lubiana a Tito, avvenuta nel 2009, riconoscendo che avrebbe comportato la glorificazione del suo regime totalitario e una giustificazione delle gravi violazioni dei diritti dell'uomo avvenute durante il suo regime e che in tempi più recenti l'amministrazione comunale di Zagabria ha tolto dalla toponomastica cittadina l'intitolazione a Tito di una delle principali piazze della capitale croata.
Ricordiamo invece che nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 54 del 2 marzo 1970 veniva pubblicato il decreto di nomina di Broz Tito Josip, Presidente della Repubblica socialista federativa di Jugoslavia, all'onorificenza dell'Ordine al merito della Repubblica italiana – cavaliere di gran croce, decorato di gran cordone. Nella stessa Gazzetta Ufficiale erano altresì pubblicati l'elenco di 17 personalità jugoslave alle quali risultava conferita l'onorificenza di Cavalieri di gran croce e l'elenco di personalità jugoslave alle quali era stata conferita, rispettivamente, l'onorificenza di grandi ufficiali e di commendatori.
Josip Broz Tito, il sanguinario «maresciallo Tito», è ancor oggi cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana, decorato di gran cordone, il titolo onorifico più elevato della Repubblica italiana.
L'istituzione dell'onorificenza dell'Ordine al merito della Repubblica italiana e la disciplina del suo conferimento sono disciplinate dalla legge 3 marzo 1951, n. 178, e dal decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1952, n. 458.
In particolare, l'articolo 5 della legge n. 178 del 1951 dispone che «Salve le disposizioni della legge penale, incorre nella perdita della onorificenza l'insignito che se ne renda indegno. La revoca è pronunciata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta motivata del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell'Ordine».
L'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 458 del 1952 prevede, invece, che «Fuori dei casi previsti dagli articoli precedenti, le onorificenze possono essere revocate solo per indegnità.
Il cancelliere comunica all'interessato la proposta di revoca e gli contesta i fatti su cui essa si fonda, prefiggendogli un termine, non inferiore a giorni venti, per presentare per iscritto le sue difese, da sottoporre alla valutazione del Consiglio dell'Ordine.
La comunicazione è fatta a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento nell'abituale residenza dell'interessato, o se questa non sia nota, nel luogo ove fu data partecipazione del decreto di concessione.
Decorso il termine assegnato per la presentazione delle difese, il cancelliere sottopone gli atti al Consiglio dell'Ordine, per il parere prescritto dall'articolo 5 della legge».
Il combinato disposto delle citate previsioni normative, di fatto, ha impedito la revoca dell'onorificenza a Tito richiesta a più riprese da diverse parti politiche e dalle stesse associazioni degli esuli giuliano-dalmati.
Il 16 aprile 2013, il prefetto di Belluno, a nome del Governo, in risposta a una richiesta ufficiale di cancellare le onorificenze a Tito e ai suoi uomini per «indegnità» scriveva: «Nel caso di Josip Broz Tito, insignito nel 1969 della distinzione di cavaliere di gran cordone quale Presidente della Repubblica socialista federativa di Jugoslavia in occasione di una visita di Stato non è (...) ipotizzabile alcun provvedimento di revoca essendo il medesimo deceduto. La norma prevede (...) che la persona oggetto dell'eventuale revoca debba essere preventivamente informata (...), onde poter presentare una memoria scritta a propria difesa» spiegava il prefetto di Belluno a nome del Governo. E poi aggiungeva: «La possibilità di revocare l'onorificenza, pertanto, (...) presuppone l'esistenza in vita dell'insignito».
Il conferimento dell'onorificenza a Broz Tito Josip deve essere valutato in ragione del momento storico in cui lo stesso ha avuto luogo, un momento in cui l'indagine storica non aveva ancora portato alla luce, in tutta la loro odierna indiscutibile gravità, i crimini di cui si era macchiato il decorato. Un errore, figlio di quel tempo, cui oggi si deve porre rimedio in nome di tutte le vittime delle imperdonabili atrocità commesse sulla base delle direttive politiche impartite personalmente dal cavaliere di gran croce Broz Tito Josip.
Davvero assurdo e paradossale è il fatto che la Repubblica italiana, da un lato, riconosca il dramma delle foibe, celebrato ufficialmente ogni 10 febbraio in occasione del Giorno del ricordo (istituito con la legge 30 marzo 2004, n. 92), e, dall'altro, annoveri tra i suoi più illustri insigniti proprio chi ordinò la pulizia etnica degli italiani in Istria e nell'Adriatico orientale. Una macchia, una barbarie che ancora oggi pesa sul passato, ma anche sul presente e sul futuro di molti italiani che hanno vissuto direttamente o indirettamente il dramma di quegli anni di foibe ed esodo.
Proprio il 10 febbraio 2007 l'allora Presidente della Repubblica Napolitano ricordò che il dramma del popolo giuliano-dalmata fu scatenato «da un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica».
Anche l'attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha riconosciuto che «per troppo tempo le sofferenze patite dagli italiani giuliano-dalmati con la tragedia delle foibe e dell'esodo hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia», aggiungendo che, istituendo il Giorno del ricordo, «il Parlamento con decisione largamente condivisa ha contribuito a sanare una ferita profonda nella memoria e nella coscienza nazionale. Oggi la comune casa europea permette a popoli diversi di sentirsi parte di un unico destino di fratellanza e di pace. Un orizzonte di speranza nel quale non c'è posto per l'estremismo nazionalista, gli odi razziali e le pulizie etniche».
Alla luce di ciò, di quanto ormai è riconosciuto come storia accertata, se la politica deve essere capace di una memoria non di parte e se i morti a causa di ogni ideologia richiedono di ricomporre la frattura che per decenni li ha dimenticati, è oltremodo doveroso riconoscere nella maniera corretta il ruolo che figure come quella di Tito hanno avuto per la nostra comunità nazionale.
Chi ha calpestato, annientato e per ragioni ideologiche volutamente perseguitato i nostri concittadini non può e non deve ricevere riconoscimenti.
La presente proposta di legge è volta, pertanto, a porre rimedio a questa inaccettabile «distorsione» al fine di consentire la revoca della più alta onorificenza della Repubblica italiana, anche post mortem, qualora l'insignito si sia macchiato di crimini crudeli e contro l'umanità universalmente riconosciuti: un atto che finalmente contribuirebbe a sanare, seppur in parte, la ferita del confine orientale, rendendo il giusto tributo alle migliaia di vittime sulla cui memoria ancora oggi non si è fatta piena giustizia.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. All'articolo 5 della legge 3 marzo 1951, n. 178, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In ogni caso, incorre nella perdita della onorificenza, anche se defunto, l'insignito che si sia macchiato di crimini crudeli o di crimini contro l'umanità».

Art. 2.

1. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono adottate, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, le norme regolamentari per l'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 1 della presente legge, apportando le necessarie modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1952, n. 458.

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