PDL 1213

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1213

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
PAGANI, ROSATO, DE MENECH

Disposizioni concernenti i militari italiani ai quali è stata irrogata la pena capitale durante la prima Guerra mondiale

Presentata il 28 settembre 2018

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Onorevoli Colleghi! — Nell'ultimo quinquennio, l'Italia, insieme con molti altri Paesi, ha inteso ripercorrere sul piano storico e celebrativo gli avvenimenti della prima Guerra mondiale, che segnarono il corso della storia in Europa e nel mondo negli anni che seguirono quel drammatico conflitto.
In questo contesto non può rimanere sotto silenzio la tragica vicenda dei militari italiani che, durante la prima Guerra mondiale, finirono davanti al plotone di esecuzione per reati contro la disciplina militare, accusati di tradimento o di viltà di fronte al nemico. Esistono, infatti, ragioni di carattere giuridico, storico e morale a sostegno di un auspicabile provvedimento di riabilitazione che abbia la forza della legge. La disciplina che regolava l'Esercito italiano è passata alla storia come una delle più repressive tra quelle applicate dagli Stati coinvolti nella prima Guerra mondiale.
I motivi di questo non certo lusinghiero primato risiedono in parte in un codice penale militare obsoleto e in parte in una precisa volontà del Comando supremo dell'Esercito italiano.
Il codice penale militare in vigore durante la Grande guerra risaliva al 1869 ed era nella sua sostanza molto simile a quello promulgato dal Re di Sardegna nel 1859, il quale era a sua volta ispirato al precedente codice del 1840. I numerosi tentativi di riforma non erano approdati a nulla e l'Italia affrontò la prima grande guerra moderna con un sistema giudiziario più che antiquato.
La giustizia militare regolava la vita e i comportamenti di tutti gli uomini mobilitati, ma erano sottoposte alla giurisdizione dei tribunali militari anche numerose categorie di cittadini coinvolti nelle attività delle Forze armate (un esempio tra tutti è costituito dagli operai delle fabbriche più importanti) e le numerose province poste all'interno della zona di guerra. In totale, i soldati processati durante il conflitto furono 262.481, a cui si aggiunsero 61.927 civili e 1.119 prigionieri di guerra. Nell'insieme furono processate 325.527 persone; la percentuale di condanne si aggira intorno al 60 per cento del numero degli imputati. In questa moltitudine di procedimenti, 4.028 si conclusero con la condanna alla pena capitale, di cui 2.967 con gli imputati contumaci e 1.061 al termine di un contraddittorio. Le sentenze eseguite furono 750, ma il numero dei fucilati non si esaurisce in questa cifra, perché furono circa altri 350 gli uomini giustiziati. Questi ultimi andarono incontro alla più severa delle pene senza processo, attraverso decimazioni o esecuzioni sommarie. Inoltre dovrebbero essere considerati anche i soldati uccisi durante i combattimenti per impedire che arretrassero dalle posizioni assegnate, ma le fonti non consentono un'analisi accurata del fenomeno e nemmeno un calcolo approssimativo dei militari coinvolti.
La bibliografia più accreditata sottolinea che le esecuzioni sommarie furono autorizzate e incoraggiate dal generale Cadorna, che le considerava utili come esempio per le truppe ed efficaci come punizioni per reati di particolare gravità. Poco dopo la fine del conflitto, il generale Albricci, Ministro della guerra, incaricò il generale Tommasi, capo della Giustizia militare, di raccogliere informazioni e redigere una relazione sulle esecuzioni. La «Relazione sulle decimazioni ed esecuzioni sommarie durante la Grande Guerra» fu compilata in due mesi; sostanzialmente vi si riconosceva che la legge consentiva esecuzioni sommarie e decimazioni in casi estremi, ma non l'uso indiscriminato di tali metodi. Il generale Tommasi affermava, inoltre, che il giudizio sull'applicazione di tali norme non doveva essere né politico né morale, ma limitato alla legittimità dei criteri applicati, e che l'uso della disciplina operato da Cadorna aveva oltrepassato i limiti della legge. L'indagine del Tommasi incontrò reticenza e ostilità da parte di vari comandi e la Relazione non fu divulgata, passando in secondo piano e venendo presto dimenticata.
Invero, la pena di morte era una sanzione prevista da tutte le legislazioni penali militari dell'epoca e da molti codici penali comuni europei, ma, a ben vedere, già allo scoppio della guerra del 1914-1918, essa non era prevista, nella legislazione nazionale, per i reati comuni (era stata abolita con il codice penale Zanardelli del 1889 e sarà ripristinata con il codice Rocco del 1930). Già all'epoca, quindi, la pena di morte risultava «marginalizzata» nell'ordinamento italiano.
L'intervenuta abrogazione e la ripulsa della pena di morte per i reati comuni e per i reati militari in tempo di pace sono frutto dell'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, già nella sua prima redazione post-bellica; la legge costituzionale n. 1 del 2007 ha poi esteso il divieto costituzionale della pena di morte anche alla legislazione di guerra, dalla quale peraltro era stata espunta già con la legge n. 589 del 1994. Dunque per l'ordinamento repubblicano la pena di morte risulta costituzionalmente illegittima e vietata.
Nell'ovvia impossibilità di far cessare l'esecuzione di una pena incostituzionale e non più prevista dall'ordinamento, rimane la via della riabilitazione, che estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna.
Le norme alle quali si deve fare riferimento sono l'articolo 178 del codice penale, in materia di riabilitazione, e l'articolo 72 del codice penale militare di pace, in materia di riabilitazione militare.
In numerose sentenze capitali tra quelle emesse dai tribunali militari nel corso della prima Guerra mondiale è possibile rinvenire affermazioni quali la seguente: «Il Tribunale non ritiene opportuno concedere agli accusati le circostanze attenuanti generiche nell'interesse della disciplina militare per la necessità che un salutare esempio neutralizzi i frutti della propaganda demoralizzatrice» (così si era pronunciato il tribunale militare di guerra del VII Corpo d'armata, sentenza del 13 maggio 1916, per il reato di disobbedienza) o ancora in un'altra sentenza parimenti emblematica relativa a un episodio di ritenuto «sbandamento» verificatosi nel maggio 1916 in Val Camonica: «È questo un reato di grave entità politica per cui la pena deve servire quasi soltanto di controspinta e non ha che carattere e valore di intimidazione, che astrae dalla personalità del reo, per acquistare un significato sociale».
È evidente, quindi, come la pena di morte fosse di regola irrogata non tanto in un'ottica individualizzante che avesse esclusivo riferimento alla gravità oggettiva del fatto e alla personalità o alla pericolosità del reo, bensì in una prospettiva di esemplarità, tale da rendere la punizione del reo un monito e un mezzo di prevenzione generale rispetto a possibili comportamenti criminosi da parte di altri soggetti.
Questo contrasta in maniera eclatante con gli odierni e fondamentali princìpi costituzionali di «personalità della responsabilità penale» e di «funzione rieducativa della pena».
Si consideri altresì che, allo stato attuale della legislazione, la riabilitazione militare, ai sensi dell'articolo 412 del codice penale militare di pace, può essere concessa su istanza dell'interessato che abbia già ottenuto la riabilitazione secondo la legge penale comune la quale, ai sensi dell'articolo 179 del codice penale, può a sua volta essere concessa solo ove «il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta» successivamente all'esecuzione o all'estinzione della pena per il reato commesso. Le suddette condizioni ostano manifestamente alla possibilità che il condannato a morte ottenga la riabilitazione.
Secondo la giurisprudenza in materia, solo con la riabilitazione militare è possibile riacquistare lo status di onore militare perduto a seguito della sentenza di condanna, come stabilito dalla Corte di cassazione, I sezione penale, nella sentenza n. 3359 del 15 ottobre 1990, per il caso Rea.
La presente proposta di legge prevede (articolo 1, comma 1) il promovimento d'ufficio della procedura per la riabilitazione dei militari condannati a morte nel corso della prima Guerra mondiale per il reato di assenza dal servizio (diserzione) e per i reati commessi in servizio, come lo sbandamento e i fatti di disobbedienza, ancorché collettiva, così che ne resteranno esclusi i responsabili di delitti che sarebbero stati tali anche in tempo di pace, quali i delitti di omicidio, saccheggio e violenza sessuale.
Viene attribuito agli organi della giustizia militare (articolo 1, comma 2), segnatamente al procuratore generale militare presso la corte militare d'appello, l'obbligo di presentare le richieste di riabilitazione al tribunale militare di sorveglianza in ordine a tutti i casi documentati di condanna alla pena capitale, nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore della legge.
Conseguentemente, sono estinte (articolo 1, comma 3) le pene accessorie. Su istanza di parte (articolo 2, comma 1) sono restituiti l'onore militare e la dignità di vittime della guerra a quanti furono passati per le armi, addirittura senza processo, facendo anche ricorso all'intollerabile pratica della decimazione o all'esecuzione immediata e diretta da parte dei superiori. La presente proposta di legge prevede, infine (articolo 2, comma 2), che in un'ala del Vittoriano in Roma sia affissa una targa nella quale la Repubblica rende evidente la sua volontà di chiedere il perdono di questi nostri caduti. A tal fine, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (articolo 2, comma 3) bandirà uno specifico concorso riservato agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado per selezionare il testo da esporre nel Vittoriano.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. È avviato d'ufficio, in deroga a quanto disposto dagli articoli da 178 a 181 del codice penale e 412 del codice penale militare di pace, il procedimento per la riabilitazione dei militari delle Forze armate italiane che nel corso della prima Guerra mondiale abbiano riportato condanna alla pena capitale per i reati previsti nei capi III, IV e V del titolo II del libro primo della parte prima del codice penale per l'Esercito, approvato con regio decreto 28 novembre 1869.
2. Il procuratore generale militare presso la corte militare d'appello, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, presenta al tribunale militare di sorveglianza una richiesta di riabilitazione in ordine ai casi documentati di condanna alla pena capitale per i quali ricorrano i presupposti di cui al comma 1.
3. In conseguenza della riabilitazione dichiarata ai sensi del comma 1, a seguito di autonoma valutazione, dal tribunale militare di sorveglianza, sono estinte le pene accessorie, comuni e militari, nonché ogni effetto penale e penale militare delle sentenze di condanna alla pena capitale emesse dai tribunali militari di guerra, anche straordinari, nel corso della prima Guerra mondiale, ivi compresa la perdita del grado eventualmente rivestito.
4. Dal provvedimento di riabilitazione ai sensi dei commi 1 e 3 sono esclusi tutti coloro che furono condannati alla pena capitale per aver volontariamente trasferito al nemico informazioni coperte dal segreto militare e pregiudizievoli per la sicurezza delle unità di appartenenza e per il successo delle operazioni militari delle Forze armate italiane.

Art. 2.

1. I nomi dei militari delle Forze armate italiane che risultino essere stati fucilati nel corso della prima Guerra mondiale in forza del disposto dell'articolo 40 del codice penale per l'Esercito, approvato con regio decreto 28 novembre 1869, e della circolare del Comando supremo n. 2910 del 1° novembre 1916 sono inseriti, su istanza di parte presentata al Ministro della difesa, nell'Albo d'oro del Commissariato generale per le onoranze ai caduti. Dell'inserimento di cui al primo periodo è data comunicazione al comune di nascita del militare per la pubblicazione nell'albo comunale.
2. Al fine di manifestare la volontà della Repubblica di chiedere il perdono dei militari caduti che hanno conseguito la riabilitazione ai sensi della presente legge, in un'ala del complesso del Vittoriano in Roma è affissa una targa in bronzo in loro ricordo.
3. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, bandisce un concorso riservato agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado per la scelta del testo da incidere nella targa di cui al comma 2. Lo stesso testo è esposto, con adeguata collocazione, in tutti i sacrari militari.
4. In relazione agli eventi relativi alle fucilazioni e alle decimazioni di cui alla presente legge, il Ministero della difesa dispone la piena fruibilità degli archivi delle Forze armate e dell'Arma dei carabinieri per tutti gli atti, le relazioni e i rapporti connessi alle operazioni belliche, alla gestione della disciplina militare nonché alla repressione degli atti di indisciplina o di diserzione, ove non già versati agli archivi di Stato.

Art. 3.

1. Al fine di promuovere una memoria condivisa del popolo italiano sulla prima Guerra mondiale, il Ministero della difesa provvede alla pubblicazione dei lavori del Comitato tecnico-scientifico per la promozione d'iniziative di studio e ricerca sul tema del «fattore umano» nella prima Guerra mondiale, di cui al decreto del Ministro della difesa 16 ottobre 2014, in forme idonee ad assicurarne la massima divulgazione.

Art. 4.

1. All'attuazione delle disposizioni della presente legge le amministrazioni interessate provvedono nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

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