PDL 1154

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1154

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
BATTILOCCHIO, BARELLI, BENIGNI, CATTANEO, FIORINI, MARROCCO, PEREGO DI CREMNAGO, PETTARIN, ROSSELLO, RUGGIERI, SPENA, VIETINA

Introduzione dell'articolo 26-bis della legge 16 giugno 1927, n. 1766, in materia di cessazione dei diritti di uso civico

Presentata l'11 settembre 2018

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Onorevoli Colleghi! — In una risalente sentenza della Corte costituzionale venne affermato quanto segue: «(...) occorre considerare che le diverse e più remunerative possibilità di occupazione, prodotte dal sopravvenuto sviluppo industriale del Paese anche nelle zone tradizionalmente agricole, hanno ridotto a dimensioni modestissime le economie familiari di produzione per il consumo, determinando un progressivo abbandono dell'esercizio degli usi civici collegati a quelle economie. Tale fenomeno ha comportato che terreni gravati da usi civici, di cui si è quasi perduto il ricordo, sono stati alienati dai Comuni trascurando le condizioni e le procedure previste dall'art. 12 della legge del 1927, per finalità di pubblico interesse connesse ai bisogni di urbanizzazione (dal 1927 la popolazione italiana è pressoché raddoppiata) o ai bisogni dell'industrializzazione, apportatrice di nuovi posti di lavoro. (...) Occorre perciò, pur nel quadro della legge nazionale, trovare spazi a leggi regionali di sanatoria» (Corte costituzionale, sentenza n. 511 del 19-30 dicembre 1991).
Questo invito del giudice di costituzionalità delle leggi, trovando riscontro in una realtà molto diffusa sul territorio nazionale, venne recepito in diverse regioni, le quali si dotarono progressivamente di uno strumento normativo attraverso il quale le cosiddette utilizzazioni improprie, cioè quelle effettuate in violazione di norme stabilite dalla legge-quadro sul riordino degli usi civici che avessero comportato una trasformazione morfologica e funzionale ormai consolidata di antichi domini collettivi, potessero giovarsi di un intervento di sdemanializzazione da parte della regione medesima o attraverso un provvedimento della giunta (cfr. articolo 8 della legge della regione Lazio n. 6 del 2005; articolo 5, comma 5, della legge della regione Basilicata n. 57 del 2000; articolo 7 della legge della regione Veneto n. 31 del 1994) ovvero attraverso un provvedimento del consiglio regionale (articolo 10 della legge della regione Abruzzo n. 25 del 1988).
Negli ultimi anni, tuttavia, il quadro normativo generale in questa materia ha subìto mutamenti significativi in base ai quali, se da un lato il profilo economico dell'esercizio degli usi civici è rimasto in ombra, dall'altro – al contrario – è emersa una particolare incidenza di questo esercizio sotto il profilo della tutela ambientale. Tale rilevanza strategica «ha trovato il suo riconoscimento, prima, con il decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, che, novellando l'articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'articolo 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), ha sottoposto a vincolo paesaggistico “le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici”, e poi con l'articolo 142, comma 1, lettera h), del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004» (Corte costituzionale, sentenza n. 210 del 2014).
Tale ultima disposizione, in particolare, rappresenta oggi – unitamente all'assunzione della materia nell'ambito dell'ordinamento civile, in quanto relativa alla titolarità dei diritti di proprietà collettiva – una chiave interpretativa che ha indotto la recente giurisprudenza costituzionale ad affermare, in questa materia, la competenza legislativa esclusiva dello Stato e, conseguentemente, a ridimensionare il ruolo delle regioni, alle quali, nello specifico settore della sdemanializzazione e alienazione dei beni gravati da uso civico, restano devolute solo funzioni di natura amministrativa (cfr. Corte costituzionale, sentenze nn. 103 dell'11 maggio 2017 e 113 del 31 maggio 2018).
Questa circostanza ha già prodotto la dichiarazione di illegittimità di alcune disposizioni di leggi regionali (anche non recenti) e pone seriamente in pericolo la resistenza di altre che sono frutto di un quadro normativo non più attuale.
La necessità di fare riferimento, da un lato, alla legge del secolo scorso sul riordino degli usi civici e, dall'altro lato, alla interpretazione della Consulta, per cui nell'attuale contesto ordinamentale il presupposto della «previa sclassificazione» dei terreni gravati da uso civico «può concretarsi solo nelle fattispecie legali tipiche, nel cui ambito procedimentale è oggi ricompreso anche il concerto tra la Regione e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (ex multis, sentenza n. 210 del 2014)» (Corte costituzionale, citata sentenza n. 113 del 2018), induce a prendere atto della grave (e, in taluni casi, drammatica) difficoltà in cui versano decine di migliaia di cittadini, particolarmente concentrati in alcune zone del Paese.
Essi possono essere, sì, qualificati autori di utilizzazioni improprie, ma si tratta di utilizzazioni consolidate da tempo, consentite ovvero, addirittura, sollecitate dalle autorità pubbliche in vista del soddisfacimento di interessi generali e in un contesto ormai irreversibilmente trasformato e incompatibile con l'esercizio dell'uso civico, oppure gli stessi autori di siffatte «improprie» utilizzazioni, sono spesso del tutto in buona fede, risultando apparenti titolari di un diritto di proprietà privata acquistato in base a un atto di trasferimento immobiliare stipulato prima che intervenisse (e fosse reso noto) l'accertamento della demanialità civica.
Vi sono decine di migliaia di cittadini che non possono disporre di beni acquistati o realizzati con duri sacrifici. In taluni casi «occorre pensare a Civitavecchia»: il comune, su certe aree che oggi risultano gravate da uso civico demaniale, ha elaborato e attuato piani di zona, ha espropriato terreni e pagato indennizzi, ha stipulato convenzioni urbanistiche, costituendo perfino diritti di superficie in favore degli enti concessionari, ha rilasciato concessioni edilizie. Interi quartieri sono sorti su aree del cosiddetto demanio civico e i relativi beni sono entrati da decenni nel circuito privatistico, mercé la stipula di migliaia di atti pubblici che la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, nonché lo stesso legislatore (con l'articolo 3, comma 3 della legge 20 novembre 2017, n. 168) considera nulli per «impossibilità giuridica dell'oggetto».
Lo strumento approntato dal legislatore della regione Lazio, consistente nel disciplinare le procedure di alienazione e di consolidamento dei titoli di acquisto, è stato dichiarato incostituzionale nella sua interezza con la recente sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 2018. Esso, tuttavia, al di là delle questioni sottoposte al vaglio della Corte, appariva perfino inadeguato a sopperire alle esigenze delle famiglie gravate da questa assurda condizione.
Non si comprendeva, infatti, per quale motivo un cittadino che ha pagato il giusto prezzo per acquistare un immobile costruito nell'ambito delle previsioni di un piano regolatore generale e in vista della realizzazione di un interesse pubblico (quale è certamente il soddisfacimento delle esigenze abitative della popolazione), dovesse essere costretto a sostenere un pesante iter burocratico e a pagare ulteriormente per regolarizzare il suo acquisto.
Si impone, pertanto, la necessità di approvare una legge dello Stato che, senza in alcun modo incidere sulla tutela dei beni di uso civico e sulla disciplina generale che ne concerne l'uso e la relativa cessazione, provveda a regolare questa fattispecie particolare.
Essa si caratterizza non per una cessazione qualsiasi della funzione agro-silvo-pastorale, ma per l'irreversibile trasformazione urbanistica del territorio sollecitata da un interesse pubblico. Questa circostanza giustifica il fatto che la sdemanializzazione (come anche la cessazione dei diritti di uso civico sulle terre private) abbia effetti retroattivi (cioè di sanatoria di atti altrimenti irregolari) e avvenga senza oneri per i cittadini, in quanto non vi è necessità di remunerare la collettività degli utenti sia in analogia a quanto previsto dalla normativa generale sul mutamento di destinazione d'uso (articolo 41 del regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332), sia perché una trasformazione irreversibile del fondo, ove non sia stata oggetto di opposizione da parte dell'ente di gestione dei terreni di uso civico, essendosi consolidata nel tempo, evidenzia una rarefazione dell'interesse al compenso per la perdita dell'utilità agro-silvo-pastorale, ancor meno giustificabile se posta a carico di cittadini che hanno effettuato un acquisto oneroso e in totale buona fede.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. Nel capo II della legge 16 giugno 1927, n. 1766, dopo l'articolo 26 è aggiunto il seguente:

«Art. 26-bis. – 1. In tutti i casi in cui, a seguito di utilizzazioni consolidate effettuate in violazione della presente legge, ma conformi alle prescrizioni urbanistiche, porzioni di terre gravate da diritti di uso civico abbiano perduto irreversibilmente e per ragioni di pubblico interesse la conformazione fisica e la destinazione agro-silvo-pastorale da almeno trenta anni, ovvero anche da minor tempo, ma prima dell'accertamento di cui all'articolo 1, relativo a terreni catastalmente individuati, la regione, su richiesta motivata del comune interessato e valutata la sussistenza dei presupposti sopra indicati, dispone la sdemanializzazione o, in caso di terreni di proprietà privata, la cessazione dei diritti di uso civico di tali porzioni di terreni, senza oneri e con effetto dalla data della trasformazione, ovvero, se precedenti, dalla data degli atti ad essa preordinati.
2. In conseguenza del provvedimento di sdemanializzazione o di cessazione dei diritti di uso civico, per tutti gli atti civili e amministrativi che abbiano avuto ad oggetto tali porzioni di terreno e le relative accessioni, compiuti successivamente alla data di efficacia della sdemanializzazione o della cessazione dei diritti di uso civico, non trova applicazione il regime dei beni collettivi di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 20 novembre 2017, n. 168.
3. Restano comunque salvi i provvedimenti di sdemanializzazione o di cessazione dei diritti di uso civico già adottati in forza di altre disposizioni».

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