Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento attività produttive
Titolo: Istituzione di una Commissione di inchiesta sulla contraffazione e sulla pirateria commerciale (Doc. XXII, nn. 12 e 16) - Schede di lettura
Riferimenti:
DOC XXII, N. 12   DOC XXII, N. 16  
Serie: Progetti di legge    Numero: 294
Data: 16/02/2010
Descrittori:
FALSITA'   INCHIESTE PARLAMENTARI
REATI CONTRO LA FEDE E LA MORALE PUBBLICA E L' ECONOMIA     
Organi della Camera: X-Attività produttive, commercio e turismo

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Istituzione di una Commissione di inchiesta sulla contraffazione
e sulla pirateria commerciale

(Doc. XXII, nn. 12 e 16)

Schede di lettura

CD-ROM

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 294

 

16 febbraio 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Attività produttive

( 066760-9574 – * st_attprod@camera.it

Ha partecipato alla redazione del dossier:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§       La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§       Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

Il presente dossier è stato predisposto in relazione all’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale. (Doc. XXII, nn. 12 e 16)

L’allegato CD-ROM contiene un’ampia raccolta di documenti di interesse per i temi affrontati, mentre nel volume cartaceo è stata inserita solo una parte di tali documenti.

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: AP0107.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Le inchieste parlamentari3

Cenni normativi ed iniziative sulle tematiche dell’inchiesta. 9

§      Promozione e tutela del made in Italy. 9

§      Tutela penale ed amministrativa dei prodotti industriali13

§      I numeri del mercato del falso in Italia. 18

§      Protocollo d’intesa MISE - CATTID.. 21

§      L’Osservatorio europeo sulla contraffazione e la pirateria. 21

Il contenuto dei provvedimenti25

Compatibilità comunitaria. 32

§      Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea. 32

Normativa di riferimento

§      Costituzione della Repubblica (art. 82)39

§      Codice penale (artt. 326, 366-384-bis)40

Risorse web

§      Guardia di finanza. 53

-       Lotta alla contraffazione. 53

-       Studio sulla contraffazione. 53

§      Agenzia delle dogane. 53

-       Progetto F.A.L.S.T.A.F.F.: i nuovi strumenti doganali per la lotta alla contraffazione.53

-       Risultati 2007 in materia di lotta alla contraffazione. 53

§      Commissione UE.. 53

-       Lotta alla contraffazione, dati statistici 2008 (Comunicato stampa)53

 


 

sommario SUPPORTO INFORMATICO

Camera dei deputati

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria commerciale
(Doc. XXII, n. 12)

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria commerciale
(Doc. XXII, n. 16)

Istituzione di una Commissione di inchiesta sulla contraffazione e sulla pirateria commerciale - Schede di lettura - Servizio Studi, dossier n. 294, 16 febbraio 2010

Istituzione di una Commissione di inchiesta sulla contraffazione e sulla pirateria commerciale – Elementi di sintesi per l’istruttoria legislativa -  Servizio Studi, dossier n. 294/0, 16 febbraio 2010

Documentazione

Ministero dello sviluppo economico

Lotta alla contraffazione, Ufficio stampa

La contraffazione:un problema sempre più globale, 26 febbraio 2009

Marchi, Brevetti, Disegni e modelli: Introduzione all’utilizzo per le PMI

La tutela della proprietà industriale, ottava edizione, 2009

Istituto nazionale per il commercio estero

Inimitabile impresa. Stop alla contraffazione, 2008

Tutela della proprietà intellettuale e lotta alla contraffazione negli Stati uniti. Punti salienti e differenze con l’Italia, 2° rapporto, giugno 2009

Censis

Il fenomeno della contraffazione nel mondo e le ricadute sul mercato italiano: gli scenari e le strategie di contrasto, sintesi per la stampa, 22 aprile 2009

Il fenomeno della contraffazione nel mondo e le ricadute sul mercato italiano, 22 aprile 2009

Confocommercio

Le contraffazioni: analisi del fenomeno in Italia e focus sulla Campania, Rapporto n. 34, settembre 2008

Commissione europea

Rapporto sui diritti della proprietà intellettuale, 2009

Risorse Web

Guardia di finanza

Lotta alla contraffazione

Studio sulla contraffazione

Agenzia delle dogane

Progetto F.A.L.S.T.A.F.F.: i nuovi strumenti doganali per la lotta alla contraffazione.

Risultati 2007 in materia di lotta alla contraffazione

Commissione UE

Lotta alla contraffazione, dati statistici 2008 (Comunicato stampa)

 

 

 


Schede di lettura

 


Le inchieste parlamentari

La Costituzione prevede che "ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse" (art. 82, primo comma).

Nel prospetto di seguito riportato sono indicati il numero e la tipologia delle inchieste parlamentari finora deliberate nelle legislature repubblicane.

Legislatura

Istituite con legge

Istituite con deliberazione monocamerale dalla Camera

Istituite con deliberazione monocamerale dal Senato

I

-

2

-

II

-

1(*)

-

III

3

1

-

IV

1

-

1

V

2

-

-

VI

1

-

-

VII

3

-

-

VIII

3 (**)

-

-

IX

-

2

-

X

3

1

3

XI

3

-

1

XII

2

2

3

XIII

3

1

1

XIV

5

1

4

XV

2

1

3

XVI

2

1

2

totale

33

13

18

(*)     La Commissione di inchiesta sulle condizioni dei lavoratori fu istituita con distinte deliberazioni della Camera e del Senato.

(**)    Nella VIII Legislatura la Commissione di inchiesta sulle commesse d'armi e mezzi di uso militare, già costituita nella legislatura precedente, fu nuovamente istituita per due volte con leggi successive (L. 18 dicembre 1980, n. 865 e L. 29 aprile 1982, n. 186).

L'inchiesta parlamentare, nell'ambito degli strumenti volti a consentire lo svolgimento dell'attività di controllo del Parlamento, rappresenta quello più incisivo e penetrante del quale le Camere possono avvalersi per acquisire conoscenze; l'art. 82, secondo comma, della Costituzione, dispone infatti che la Commissione parlamentare d'inchiesta" procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria".

Appare quindi evidente la differenza con l'indagine conoscitiva, che, pur essendo anch'essa preordinata a finalità conoscitive, non attribuisce all'organo titolare dell'indagine poteri coercitivi per l'acquisizione delle informazioni.

1. Istituzione della Commissione

In base all'art. 82 della Costituzione, l'inchiesta può essere deliberata anche da una sola Camera (evidentemente con atto non legislativo).

Si è però andata affermando anche la prassi di deliberare le inchieste con legge, affidandole a Commissioni composte di deputati e senatori, o con atto bicamerale non legislativo.

In ogni caso, per quanto riguarda il procedimento di formazione, l'art. 140 del r.C. e l'art. 162 del r.S. stabiliscono che per l'esame delle proposte di inchiesta si segue il procedimento previsto per quelle legislative.

Si ricorda che, qualora le due Camere istituiscano Commissioni monocamerali sulla stessa materia, l'art. 162 del r.S. consente che le Commissioni possano deliberare di procedere in comune, rimanendo tuttavia distinte quanto ad imputazione giuridica dei rispettivi atti.

2. Nomina dei componenti

Per quanto riguarda la nomina dei commissari, il secondo comma dell'art. 82 della Costituzione prevede che la composizione della Commissione deve rispecchiare la proporzione dei gruppi; tale nomina, quindi, deve essere improntata al rispetto del principio di proporzionalità.

Di conseguenza si applicano gli art. 56, comma 3, del r.C. e l'art. 25, comma 3, r.S., i quali stabiliscono che per le nomine delle Commissioni che, per prescrizione di legge o regolamento debbano essere composte in modo da rispecchiare la proporzione dei Gruppi parlamentari, il Presidente comunica ai Gruppi il numero dei posti spettanti a ciascuno in base al suddetto criterio richiedendo la designazione di un eguale numero di nomi.

Qualora sia espressamente previsto dall'atto costituivo, il Presidente è nominato, al di fuori della Commissione, dal Presidente dell'Assemblea ovvero d'intesa tra i Presidenti delle due Camere in caso di Commissione bicamerale.

 

3. L'organizzazione interna e dei lavori

Poteri inerenti alla organizzazione dei lavori sono quelli riguardanti la fissazione del programma dei lavori e l'istituzione di sottocommissioni nonché l'elaborazione e l'approvazione di un regolamento interno. Al riguardo si rammenta che, da circa un decennio, si è venuta formando la prassi secondo la quale le Commissioni d'inchiesta adottano un proprio regolamento, ferma restando l'applicabilità del regolamento della Camera di appartenenza del Presidente della Commissione per quanto non espressamente previsto dal predetto regolamento interno.

La durata dei lavori della Commissione è stabilita dal relativo atto istitutivo, che fissa la data di presentazione della relazione (che è atto conclusivo dell'attività, anche se il termine assegnato alla Commissione non è ancora scaduto) o assegna un termine finale ai lavori stessi, a partire dalla costituzione o dall'insediamento della Commissione ovvero dalla data di entrata in vigore della legge istitutiva.

Si ricorda che le Commissioni istituite con atto non legislativo cessano comunque la propria attività con la fine della legislatura mentre quelle istituite con legge possono essere prorogate con una nuova legge.

4. I poteri delle Commissioni d'inchiesta

L'art. 82, comma secondo, della Costituzione stabilisce che la Commissione d'inchiesta procede alle indagini ed agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria (c.d. principio del parallelismo).

I poteri coercitivi che la Commissione d'inchiesta può esercitare sono naturalmente quelli propri della fase "istruttoria" delle indagini giudiziarie, dato che la Commissione è priva di poteri giudicanti e non può quindi accertare reati ed irrogare sanzioni.

La Commissione può quindi disporre ispezioni e perquisizioni personali e domiciliari, sequestri, intercettazioni telefoniche, perizie, ricognizioni, esperimento di prove testimoniali ed accompagnamento coattivo dei testi renitenti.

In particolare, per le convocazioni di testimoni davanti alla Commissione si applicano gli articoli 366 - rifiuto di uffici legalmente dovuti da parte dei periti, interpreti, o custode di cose sottoposte a custodia e da parte dei testimoni - e 372 - falsa testimonianza - del codice penale, ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria.

Si ricorda che per tali reati, dopo la riforma del codice di procedura penale, non è più previsto l'arresto ma, rispettivamente, la reclusione fino a sei mesi o la multa da L. 30 euro a 516 euro (art. 366) e la reclusione da 2 anni a 6 anni (art. 372 come modificato dall'art. 11 del D.L. n. 306/1992, convertito con la L. 7 agosto 1992, n. 356, che ha aumentato l'originaria pena consistente nella reclusione da sei mesi a tre anni).

La Commissione deve comunque assicurare il rispetto dei diritti fondamentali di difesa discendenti dal disposto dell'art. 24 Cost., riconoscendo, ad esempio, il diritto all'assistenza del difensore ogni volta che il suo mancato esercizio possa pregiudicare la posizione processuale della persona interrogata.

Il parallelismo con i poteri della magistratura disposto dal citato comma secondo dell'articolo 82 della Costituzione si estende anche agli aspetti relativi alle limitazioni dei poteri della Commissione stessa. In via generale si può affermare che lo svolgimento dell'inchiesta trova gli stessi limiti che la vigente legislazione pone alle indagini dell'autorità giudiziaria, fermo restando che l'atto istitutivo della Commissione può disporne di ulteriori ovvero prevedere l'inapplicabilità nei confronti della Commissione stessa di disposizioni limitative dell'attività d'indagine dell'autorità giudiziaria.

Al riguardo si rammenta, in via esemplificativa, che l'articolo 3, comma 2, della legge 30 giugno 1994, n. 430, istitutiva della Commissione Antimafia nel corso della XII Legislatura, ha disposto la non opponibilità alla Commissione del segreto di Stato (legge 24 ottobre 1977, n. 801) con riferimento ai fatti di mafia, camorra ed altre associazioni criminali similari, “costituendo essi fatti eversivi dell'ordine costituzionale”.

Anche le più recenti leggi istitutive della Commissione antimafia (cfr. da ultimo l’art. 3, co. 2, della L. 277/2006), hanno disposto l’inopponibilità alla Commissione medesima del segreto di Stato. La L. 132/2008 (istitutiva della Commissione antimafia nella XVI legislatura) ha invece disposto (art. 4, co. 2) che relativamente al segreto di Stato si applica quanto previsto dalla sopravvenuta L. 124/2007[1] di riforma dei servizi di informazione e sicurezza e di disciplina del segreto di Stato. Quest’ultima, all’art. 39, co. 11, ha incluso i delitti di cui agli artt. 416-bis e 416-ter c.p. (Associazioni di tipo mafioso e Scambio elettorale politico-mafioso) tra le materie che non possono in nessun caso essere oggetto di segreto di Stato.

 

Si ricorda inoltre che la citata L. 277/2006, istitutiva della Commissione antimafia nella XV legislatura, ha introdotto una limitazione esplicita ai poteri astrattamente riconosciuti alle Commissioni di inchiesta ai sensi dell’art. 82 Cost.. L’art. 1, co. 2, secondo periodo, della legge precisa infatti che la Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e delle altre forme di comunicazione, né limitazioni della libertà personale, ad eccezione dell’accompagnamento coattivo di cui all’articolo 133 del codice di procedura penale[2]. Tale previsione è presente anche nella successiva L. 132/2008, istitutiva della Commissione nella XVI legislatura.

5. Il segreto funzionale

Particolarmente complesso è il problema dei rapporti tra l'attività delle Commissioni d'inchiesta e le concorrenti indagini della autorità giudiziaria, specie per quanto riguarda i profili di reciproca opponibilità del segreto: su questo tema è fondamentale la sentenza n. 231/75 della Corte costituzionale, che ha risolto il conflitto di attribuzioni tra Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia ed i tribunali di Torino e Milano. La Corte ha stabilito che la Commissione non ha l'obbligo di trasmettere ai Tribunali gli atti e documenti da essa formati o direttamente disposti, gli scritti e gli anonimi ad essa originariamente rivolti, che la Commissione abbia ritenuto di mantenere segreti (c.d. segreto funzionale), nonché gli atti già a disposizione del potere giudiziario. La Corte ha stabilito invece l'obbligo per la Commissione di trasmettere ai Tribunali predetti gli altri atti e documenti in suo possesso che non siano coperti all'origine da segreto o siano coperti da segreto non opponibile all'autorità giudiziaria.

Si segnala tuttavia che l’esperienza legislativa degli ultimi anni (cfr. art. 4, co. 2, L. 430/1994 cit., istitutiva della Commissione Antimafia nel corso della XII Legislatura), innovando tali principi, è orientata a disporre (sembra peraltro in via permanente) l’inopponibilità nei confronti dell’autorità giudiziaria (nonché alla Commissione d’inchiesta istituita con la predetta normativa, con evidente applicazione del principio del parallelismo sopra illustrato) del segreto funzionale cui siano stati assoggettati atti e documenti da parte delle competenti Commissioni d’inchiesta. Da ultimo la L. 132/2008 (istitutiva della Commissione antimafia nella XVI legislatura) ha confermato (art. 5, co. 5)il principio dell’inopponibilità alla Commissione d’inchiesta istituita dalla medesima legge del segreto funzionale cui siano stati assoggettati atti e documenti da parte delle competenti Commissioni d’inchiesta.


Cenni normativi ed iniziative sulle tematiche dell’inchiesta

Promozione e tutela del made in Italy

L’obiettivo della tutela sui mercati mondiali dei prodotti tipici delmade in Italyè stato perseguito dapprima sul versante della promozione e della riconoscibilità sui mercati esteri della produzione italiana, con un pacchetto di misure che sono state inserite nella legge finanziaria per il 2004; successivamente gli interventi si sono concentrati sul profilo della lotta alla contraffazione dei prodotti.

Nella legge n. 350 del 2003 [3] (legge finanziaria 2004), sono state inserite apposite norme finalizzate a promuovere la produzione italiana (Made in Italy)e a tutelare i diritti di proprietà industriale e intellettuale delle imprese italiane sui mercati esteri, prevedendo a tutela delle merci prodotte integralmente in Italia o considerate prodotto italiano ai sensi della normativa europea in materia di origine, la regolamentazione dell'etichettatura Made in Italy, oltre che la possibilità di adottare un apposito marchio; tali misure sono dirette a rafforzare la riconoscibilità dei prodotti italiani all'estero.

In particolare l'articolo 4, comma 49, della legge finanziaria 2004[4], recitava che "l'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell'articolo 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura «made in Italy» su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli ovvero l’uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine senza l’indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. La fallace indicazione delle merci può essere sanata sul piano amministrativo con l'asportazione a cura ed a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant'altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull'origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l'esatta indicazione dell'origine o l'asportazione della stampigliatura “Made in Italy”. Le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di origine non possono comunque essere regolarizzate quando i prodotti o le merci siano stati già immessi in libera pratica"[5].

In particolare, a seguito della L. 99/2009, erano state recentemente introdotte nella norma le seguenti previsioni:

§      costituisce fallace indicazione di provenienza o di origine (ed è dunque punibile ai sensi dell'art. 517 c.p.) anche l’uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine senza l’indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera;

§      le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di origine non possono comunque essere regolarizzate quando i prodotti o le merci siano stati già immessi in libera pratica.

Su tali disposizioni è successivamente intervenuto il decreto-legge 135/2009[6], che con i commi da 5 a 8 dell’articolo 16 ha provveduto a modificare la disciplina di cui al comma 49 dell’art. 4 della legge n. 350/2003 (finanziaria 2004), come da ultimo novellato dall’art. 17, comma 4, della legge n. 99/2009[7]. Le modifiche introdotte con tali commi da una parte sono volte a superare i limiti interpretativi e applicativi posti dalle disposizioni previste dall’art. 17, comma 4, della legge n. 99/2009, mentre dall’altra si rendono necessarie per evitare possibili profili di contrasto con la normativa comunitaria delle stesse disposizioni.

In particolare, i citati commi 5-8, art. 16, DL 135/2009, hanno introdotto i nuovi commi 49-bis e 49-ter all’art. 4 della legge n. 350/2003, sanzionando la condotta del produttore e del licenziatario che maliziosamente omettano di indicare l’origine estera dei prodotti pur utilizzando marchi naturalmente riconducibili a prodotti italiani.

Tale condotta, pur essendo astrattamente riconducibile alla norma previgente (art. 4, co. 49, L. 350/2003, come modificato dall’art. 17, co. 4, L. 99/2009), di fatto era rimasta priva di sanzione per insuperabili limiti interpretativi. La precedente natura di reato poi, per la necessità di configurare l’elemento soggettivo del dolo, rendeva assai oneroso l’accertamento della violazione.

In primo luogo, con i menzionati commi 49-bis e 49-ter si provvede a specificare la condotta sanzionata - superando così i precedenti limiti interpretativi – disponendosi che costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che lo stesso sia accompagnato da indicazioni precise ed evidenti sull’origine estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Inoltre, si qualifica la violazione come illecito amministrativo (di più facile accertamento), con una significativa sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 250.000; al fine di assicurare una tutela efficace e reale per i consumatori, si aggiunge a detta sanzione la confisca amministrativa del prodotto o della merce, salvo che le indicazioni necessarie siano apposte, a cura e spese del titolare o del licenziatario responsabile dell’illecito, sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore.

Infine - a seguito dell’introduzione all’art. 4 della legge n. 350/2003 della nuova disciplina di cui ai commi 49-bis e 49-ter - si abroga l’art. 17, comma 4, della legge n. 99/2009, di dubbia compatibilità con il diritto comunitario.

 

La finanziaria 2004 ha previsto, poi, l’istituzione di un Fondo di promozione straordinaria del Made in Italy, presso il Ministero delle attività produttive (ora Ministero dello sviluppo economico), finalizzato al sostegno di una campagna promozionale straordinaria a sostegno della produzione italiana; l’istituzione dell'”Esposizione permanente del design italiano e del Made in Italy” al fine di valorizzare lo stile della produzione nazionale, di promozione del commercio internazionale e delle produzioni italiane di qualità; l’istituzione di un Fondo per l’assistenza legale internazionale alle imprese, per la tutela contro le violazioni dei diritti relativi alla proprietà industriale e intellettuale, nonché contro le pratiche commerciali sleali e i fenomeni legati agli obiettivi relativi alla diffusione dei prodotti italiani.

La successiva legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311/2004) è nuovamente intervenuta in merito alle risorse del Fondo Made in Italy (articolo 1, commi 230 e 232).

Le disposizioni citate mirano a rendere più agevole la gestione dei due fondi istituiti dalla finanziaria 2004, riconducendo sotto unico fondo il finanziamento e la gestione dei vari interventi previsti, compreso quello relativo all’esposizione permanente del design italiano presso l’Ente EUR in Roma e prevedendo, altresì, la promozione da parte del MAP, ai fini dell’utilizzo delle risorse del fondo per il "Made in Italy", di protocolli di intesa con le università e le associazioni imprenditoriali di categoria e alla collaborazione con l’Istituto nazionale per il commercio estero (ICE). La finanziaria 2005 ha provveduto, inoltre, ad elevare l’autorizzazione di spesa inizialmente prevista.

Si segnalano inoltre le disposizioni del DL 273/05 recante “Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti. Proroga di termini relativi all'esercizio di deleghe legislative”, che all’articolo 33 fissa il patrimonio iniziale della Fondazione, costituita dall’ex Ministro dell’attività produttive per la gestione dell’”Esposizione permanente del design italiano e del Made in Italy”, disponendo il trasferimento ad essa delle risorse previste, a tal fine, dalle leggi finanziarie 2004 e 2005 (13 milioni di euro complessivamente).

Per quanto concerne la difesa dei prodotti italiani e la lotta alla contraffazione si ricordano inoltre le disposizioni introdotte dal comma 8 dell’articolo 1 del decreto-legge n. 35/2005, che hanno destinato alla lotta alla contraffazione le somme derivanti dalle sanzioni pecuniarie amministrative previste dal comma 7 del medesimo articolo a carico degli acquirenti di prodotti che inducano a ritenere siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale.

 

Si ricorda inoltre che il citato decreto-legge 135/2009, all'articolo 16, commi 1-4, ha introdotto una regolamentazione dell’uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia, prevedendo una sanzione penale per l’uso indebito di tali indicazioni di vendita ovvero di segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione.

In particolare, il comma 1 individua le condizioni alle quali il prodotto o la merce possono essere qualificati come realizzati interamente in Italia, prevedendo che il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento dei prodotti e delle merci siano compiuti esclusivamente sul territorio italiano.

Il comma 2 rinvia a successivi decreti ministeriali l’eventuale precisazione delle modalità applicative del comma precedente.

Il comma 4 prevede quindi una sanzione penale per l’uso di un’indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», o altra che sia idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero per l’uso di segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, ove non ricorrano i presupposti previsti nei commi 1 e 2. Per tale fattispecie, in particolare, vengono comminate le pene di cui all’art. 517 c.p., aumentate di un terzo.

Il comma 3 chiarisce quindi che, ai fini della disposizione del comma 4, per uso dell’indicazione di vendita o del marchio si intende la utilizzazione a fini di comunicazione commerciale ovvero l’apposizione dei medesimi sul prodotto o sulla confezione di vendita o sulla merce dalla presentazione in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica e fino alla vendita al dettaglio.

Provvedimenti all’esame del Parlamento

E' stata approvata dalla Camera, il 10 dicembre 2009, la proposta di legge A.C. 2624, recante disposizioni in materia di commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri (anche con riferimento alla riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani di tali settori), come risultante dalle modifiche introdotte nel corso dell'esame.

In particolare, il provvedimento, attualmente all'esame del Senato (A.S. 1930), è volto ad assicurare la tracciabilità dei prodotti dei predetti settori, introducendo un sistema di etichettatura obbligatoria che evidenzi il luogo di origine di ciascuna delle fasi di lavorazione.

Inoltre si consente l’uso dell'indicazione «Made in Italy» esclusivamente per i prodotti dei suindicati settori le cui fasi di lavorazione, come individuate dallo stesso provvedimento, abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano.

Infine, si prevedono sanzioni amministrative pecuniarie e il sequestro e la confisca delle merci nel caso di violazione delle disposizioni del provvedimento, che se reiterata è soggetta a sanzione penale.

Tutela penale ed amministrativa dei prodotti industriali

La legislazione vigente contiene numerose disposizioni volte alla tutela penale dei marchi e dei segni distintivi che sanzionano l’illecita riproduzione, uso e commercializzazione dei prodotti industriali.

Il monitoraggio delle attività di prevenzione e repressione dei fenomeni di contraffazione era competenza dell’Alto Commissario per la lotta alla contraffazione, organo costituito dalla legge 14 maggio 2005 n. 80, e successivamente soppresso, in base all’art. 68, comma 6, del decreto-legge n. 112/2008, convertito nella legge n. 133/2008. Le relative funzioni sono state trasferite al Consiglio nazionale anticontraffazione, presso il Ministero dello sviluppo economico (su cui infra).

Tali disposizioni sono in primo luogo rinvenibili nel codice penale, che reca specifiche norme di contrasto della contraffazione, recentemente oggetto di una approfondita rivisitazione da parte della legge 99 del 2009 (cd. collegato energia).

 

L’art. 473 c.p., in particolare, sanziona con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.500 a euro 25.000 la contraffazione, l’alterazione o l’uso di marchi o segni distintivi di prodotti industriali.

Incorre nel delitto sia chi commette l’illecito dolosamente, nella consapevolezza del titolo altrui di proprietà industriale, sia chi senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati.

Analogamente, chi contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri (sono esclusi, quindi, i marchi), ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati è punito con la reclusione da uno a quattro anni e la multa da euro 3.500 a euro 35.000.

L’art. 474 c.p. punisce invece, fuori dei casi di concorso nei reati di previsti dall’articolo 473, chiunque introduce in Italia, al fine di trarne profitto, o detiene, pone in vendita o mette comunque in circolazione prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati. La novella del 2009 ha, rispetto alla vecchia formulazione, sdoppiato la precedente incriminazione, creando due autonome figure di reato: la prima, relativa all’introduzione nel Paese (primo comma); la seconda, che riguarda la vendita dei prodotti contraffatti (secondo comma). La sanzione per l’ingresso abusivo dei prodotti in Italia è la reclusione da uno a quattro anni e la multa da euro 3.500 a euro 35.000; per la detenzione e vendita è la reclusione fino a due anni e la multa fino a euro 20.000.

A carico di colui che - consapevole della provenienza illecita - acquista prodotti con marchio contraffatti per rivenderli è configurabile un concorso di reati tra il delitto di cui all’art. 474 e la ricettazione (art. 648 c.p.)[8].

La punibilità dei reati di cui agli artt. 473 e 474 è soggetta alla condizione che siano state osservate le norme interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.

La citata legge 99 del 2009 oltre a inserire un’autonoma ipotesi di confisca obbligatoria dei prodotti contraffatti (oltre che l’eventuale confisca per equivalente) (art. 474-bis), ha introdotto nel codice penale una circostanza aggravante ed una attenuante dei reati sopraindicati.

La prima consiste nella commissione dei delitti indicati in modo sistematico attraverso attività organizzate, fuori del casi di associazione a delinquere di cui all’art. 416 c.p. (art. 474-ter); l’attenuante concerne l’eventuale collaborazione del colpevole con l’autorità giudiziaria per contrastare i delitti di contraffazione e vendita dei prodotti contraffatti (art. 474-quater).

La legge 99/2009 è, poi, intervenuta sull’art. 517 c.p. relativo alla vendita di prodotti industriali con segni mendaci rendendo cumulativa multa (fino a 20.000 euro) e reclusione e aumentando da uno a due anni la pena della reclusione per chiunque venda o metta altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto.

Lo stesso Collegato energia – non intervenendo sull’aggravante del reato (art. 517-bis)[9] - ha aggiunto al codice penale tre ulteriori articoli che prevedono due nuove fattispecie di reato ed una circostanza attenuante (artt. 517-ter, quater e quinquies).

Il primo (art. 517-ter) sanziona la fabbricazione e il commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale punendo l’illecito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000. Nella stessa fattispecie convivono due distinti delitti; il primo di chi consapevolmente usurpa un titolo di proprietà industriale fabbricando beni; il secondo di chi introduce in Italia tali beni, li vende con offerta diretta ai consumatori o li mette comunque in circolazione. Illeciti pressoché identici erano sanzionati dal comma 1 dell’art. 127 del Codice del consumo, che la legge 99/2009 ha provveduto ad abrogare.

La disposizione rinvia alle sopra richiamate nome sulla contraffazione in relazione alla confisca obbligatoria e alle circostanze attenuanti e aggravanti.

Il nuovo art. 517-quater configura il nuovo reato di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazione di origine dei prodotti agroalimentari sanzionato con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000. Anche in tal caso, identica pena è prevista per chi, a fini di profitto, introduce in Italia, vende con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte. Con l’introduzione di tale norma (per la quale valgono le disposizioni sulla confisca obbligatoria e, parzialmente, quelle sulle aggravanti e attenuanti di cui agli artt. 474-bis, 474-ter e 517-bis), il legislatore ha inteso porre fine alle incertezze interpretative della giurisprudenza riguardo all’applicazione o meno dell’art. 517, nel caso di indicazioni ingannevoli sull’origine geografica dei beni.

L’attenuante di cui al nuovo art. 517-quinquies diminuisce della metà a due terzi le pene sia per la fabbricazione e il commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale che per la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazione di origine dei prodotti agroalimentari in caso il reo collabori con la magistratura nell’azione di contrasto dei delitti di cui agli articoli 517-ter e 517-quater, nonché nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura dei concorrenti negli stessi, ovvero per la individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti.

 

La legge n. 99 del 2009 – sempre nell’ottica di una più incisiva lotta alla contraffazione – è, inoltre, intervenuta:

§      sulla confisca antimafia di cui all’art. 12-sexies della legge Scotti-Martelli (L. 356/1992, di conversione del DL 306/1992) aggiungendo al catalogo dei reati per cui, in caso di condanna irrevocabile, è prevista la confisca obbligatoria dei beni di valore sproporzionato alle condizioni economiche del condannato, anche il reato di associazione a delinquere finalizzato alla commissione dei reati di contraffazione di cui agli artt. 473, 474, 517-ter e 517-quater (la competenza per le indagini è, in tali ipotesi, assegnata alle procure distrettuali);

§      sull’ordinamento penitenziario (L: 354/1975) aggiungendo i reati associativi finalizzati alla commissione dei delitti di cui agli artt. 473 e 474 tra quelli che pregiudicano, di regola, l’accessi ai benefici penitenziari (esclusi i casi di assenza di elementi tali da far ritenere l’attualità dei collegamenti con l’organizzazione);

§      sulla disciplina relativa alla responsabilità amministrativa degli enti (D.Lgs 231/2001), introducendo i delitti in materia di proprietà industriale (artt. 473 e 474 c.p.) e contro l’industria e il commercio (artt. 513, 515, 516, 517, 517-ter e 517-quater, c.p.) tra quelli che danno luogo a responsabilità fissando la relativa sanzione pecuniaria “fino a 500 quote”[10]; alla condanna per i reati citati consegue l’applicazione delle consuete sanzioni interdittive[11];

§      sulla disciplina delle “operazioni sotto copertura”, estesa ora anche alle indagini per i delitti di contraffazione (attività di tipo investigativo affidate in via esclusiva ad ufficiali di polizia giudiziaria, infiltrati sotto falsa identità negli ambienti malavitosi al fine di reperire prove e accertare responsabilità).

 

Ai sensi dell’art. 16 della stessa legge 99, i beni mobili registrati sequestrati (automobili, navi, imbarcazioni, natanti e aeromobili) nel corso dei procedimenti per la repressione di tali reati sono affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi di polizia o ad altri organi dello Stato o enti pubblici non economici per finalità di giustizia, protezione civile o tutela ambientale. I beni mobili acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca, sono assegnati, a richiesta, agli organi o enti che ne hanno avuto l’uso; ove tali enti od organi non presentino richiesta di assegnazione, i beni sono distrutti.

 

Si ricorda inoltre che il decreto-legge 92/2008 (convertito dalla legge n. 125 del 2008) in tema di sicurezza pubblica era già intervenuto sul codice di procedura penale prevedendo la distruzione delle merci prodotte in violazione delle norme a tutela della proprietà industriale e sequestrate dall’autorità giudiziaria, anche al fine di risolvere le difficoltà di carattere economico e pratico che la custodia e la conservazione di ingenti quantitativi di merce può porre. Attraverso la modifica dell’art. 260 c.p.p. si è in particolare stabilito che l'autorità giudiziaria deve procedere alla distruzione delle cose di cui sono vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione, in presenza delle seguenti condizioni:

-        le cose sono di difficile custodia (ad es. per l’ingente  quantità) ovvero

-        la loro custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica.

 

Salvo che il fatto costituisca reato, si procede a confisca amministrativa dei locali ove vengono prodotti, depositati, detenuti per la vendita o venduti i materiali contraffatti, salvaguardando il diritto del proprietario in buona fede.

 

L’art. 17 della legge 99, novellando la disciplina del DL 35 del 2005 (art. 1, comma 7), convertito dalla legge 80 del 2005, modifica anche la condotta sanzionata ed i limiti pecuniari della sanzione amministrativa (ora da 100 euro fino a 7.000 euro) per il cd. incauto acquisto, ovvero quello dell’acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale; la precedente fattispecie presupponeva il mancato accertamento della legittima provenienza.

 

L’art. 19 della legge 99 oltre ad istituire, presso il Ministero dello sviluppo economico, il Consiglio nazionale anticontraffazione, con funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento delle azioni intraprese da ogni amministrazione per migliorare l’azione complessiva di contrasto della contraffazione a livello nazionale, introduce modifiche al Codice della proprietà industriale (decreto legislativo 30/2005), incidendo su profili sia di natura sostanziale sia processuale. Per quanto riguarda i profili sostanziali le modifiche riguardano, tra l’altro, il diritto di priorità per i brevetti di invenzione e per i modelli di utilità e i limiti alla protezione accordata dal diritto d’autore ai disegni e modelli industriali. Con riferimento ai profili processuali si segnala, tra le altre modifiche, l’eliminazione del riferimento all’applicazione del rito societario per i procedimenti in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale e l’ampliamento delle controversie devolute alle sezioni specializzate. Inoltre la legge delega il Governo ad adottare disposizioni correttive o integrative del richiamato Codice, anche con riferimento ai profili processuali.

L’art. 127 del Codice della proprietà industriale prevede sanzioni di natura penale e amministrativa:

§      per chi si rifiuti senza giustificato motivo (nei giudizi di merito e cautelari) di rispondere alle domande del giudice sull'origine e sulle reti di distribuzione di merci o di prestazione di servizi che violano un diritto di proprietà industriale ovvero fornisce allo stesso false informazioni; le pene sono quelle previste per la falsa testimonianza dall'articolo 372 c.p. (reclusione da 2 a 6 anni), ridotte della metà;

§      per chi appone, su un oggetto, parole o indicazioni non corrispondenti al vero, tendenti a far credere che l'oggetto sia protetto da brevetto, disegno o modello oppure topografia o a far credere che il marchio che lo contraddistingue sia stato registrato (sanzione amministrativa da 51,65 euro a 516,46 euro);

§      per chiunque faccia uso di un marchio registrato, dopo che la relativa registrazione è stata dichiarata nulla, quando la causa di nullità comporta la illiceità dell'uso del marchio, oppure sopprima il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci a fini commerciali, anche quando non vi sia danno al terzo (sanzione amministrativa fino a 2.065,83 euro).

 

In relazione alla disciplina penale ed amministrativa concernente lo specifico settore della tutela del Made in Italy, si rinvia al precedente paragrafo.

I numeri del mercato del falso in Italia

Secondo dati forniti dal Censis, che ha condotto una ricerca promossa da Ares Spa, presentata a Roma il 22 aprile 2009, presso la Sala Capitolare del Senato, il mercato del falso nel nostro Paese ha realizzato nel corso del 2008 un “fatturato” di 7 miliardi e 107 milioni di euro.

Si tratta di una stima che fa riferimento esclusivamente al mercato interno, senza considerare le merci contraffatte che partono dall’Italia verso l’estero.

Le perdite per il bilancio dello Stato in termini di mancate entrate fiscali sono state calcolate in 5 miliardi e 281 milioni di euro; 130 mila i posti di lavoro sottratti all’economia regolare.

Secondo il Censis se si riportasse il fatturato complessivo della contraffazione sul mercato legale, si genererebbe una produzione aggiuntiva, diretta e indotta, per un valore di quasi 18 miliardi di euro, con un valore aggiunto di circa 6 miliardi. Per ogni euro sottratto al mercato della contraffazione si attiverebbe nell’economia nazionale legale una produzione aggiuntiva di 2,5 euro, stimolando acquisti di materie prime, semilavorati, servizi e attivando nuova occupazione regolare.

Sempre secondo le rilevazioni del Censis il fenomeno, che si avvale di metodi sempre più sofisticati, risulta in aumento nel nostro Paese, come testimoniano i dati ufficiali più recenti: 61.365 operazioni di contrasto effettuate nel 2007, 39.066 sequestri e 70,9 milioni di prodotti sequestrati dalle forze di polizia, 17,5 milioni di prodotti sequestrati dalle dogane, 14.318 persone denunciate, 21.299 sanzionate, 1.522 arrestate.

Il settore maggiormente colpito dal fenomeno della contraffazione è risultato quello dell’abbigliamento e degli accessori (2,6 miliardi di euro), seguito dal comparto Cd, Dvd e software (più di 1,6 miliardi) e i prodotti alimentari (oltre 1,1 miliardi).

I dati relativi al 2009 che riguardano gli ambiti della contraffazione, della pirateria intellettuale, delle violazioni in materia di made in Italy e di sicurezza dei prodotti si trovano nel Rapporto annuale della Guardia di Finanza.

L’attività del Corpo è tradizionalmente finalizzata alla ricostruzione di tutti gli anelli della “filiera del falso”: “a monte” (ovverosia allo stadio della contraffazione di marchi e brevetti e dell’importazione di prodotti con marchi contraffatti) e “a valle” (e cioè nel segmento dell’immissione sul mercato di vendita o della messa in circolazione dei prodotti “taroccati”).

Negli ambiti citati, gli interventi effettuati nel corso del 2009 dalla Guardia di finanza risultano 14.748, e le persone segnalate all’Autorità giudiziaria sono 14.300.

I sequestri di prodotti registrano in totale un notevole aumento rispetto all’anno precedente, in particolare nel settore della moda (oltre 32 milioni di sequestri nel 2009), nei beni di consumo (oltre 22 milioni) e nei giocattoli (oltre 22 milioni), con l’unica eccezione del comparto elettronica, dove i sequestri nel 2009 ammontano a quasi 8 milioni, con una diminuzione di circa 20 milioni di casi. La tabella che segue riporta i dati di dettaglio.


Sicurezza del mercato – contrastare il mercato del falso e la circolazione di prodotti pericolosi, tutela del made in Italy

 

Contraffazione, sicurezza prodotti e tutela del made in Italy

2008

2009

Interventi

14.357

14.748

Persone segnalate all’autorità giudiziaria

12.405

14.300

Prodotti sequestrati per:

 

 

§         Contraffazione

57.633.721

51.058.322

§         Tutela del made in Italy

2.947.767

12.768.424

§         Sicurezza prodotti

4.720.431

21.166.868

Totale sequestrato

65.301.919

84.993.614

di cui:

 

 

-         Moda

25.405.758

32.495.247

-         Elettronica

27.754.725

7.879.011

-         Beni di consumo

9.683.448

22.230.606

-         Giocattoli

2.457.988

22.388.750

Dati tratti dal Rapporto 2009 della Guardia di Finanza

 

Secondo l’Ocse, nel mondo vengono contraffatti prodotti per un valore di 200 miliardi di dollari, pari a circa il 7% del valore del commercio mondiale. Ma la stima risulterebbe assai più elevata se tenesse conto anche dei prodotti acquistati entro i confini nazionali di tutti i Paesi e dei prodotti distribuiti illegalmente via Internet.

La contraffazione di alcuni prodotti, in particolare, come quelli farmaceutici, gli alimentari, i giocattoli o le parti di veicoli, rappresenta un pericolo immediato per i consumatori, minacciandone la salute e la sicurezza.

L’Italia, inoltre, è uno dei Paesi a maggiore rischio di perdita di competitività a causa dello sviluppo del mercato del falso, perché dispone di una struttura produttiva composta per la grande maggioranza da imprese piccole e medio-piccole, che hanno difficoltà ad attrezzarsi adeguatamente per contrastare il fenomeno, e perché ha una significativa quota parte di produzione e di export costituita da prodotti come i beni di lusso, e più in generale quelli del made in Italy che sono maggiormente esposti alla concorrenza sleale dei prodotti contraffatti.

 

Protocollo d’intesa MISE - CATTID

Tra le più recenti misure di prevenzione e contrasto alla contraffazione si segnala il protocollo d'intesa con il CATTID, il laboratorio di elevate tecnologie dell'Università La Sapienza di Roma, sottoscritto nel mese di dicembre del 2009 dal Ministero dello sviluppo economico, ai fini dello sviluppo di specifiche soluzioni innovative volte alla valorizzazione e alla protezione dei diritti di proprietà industriale e del Made in Italy. Il protocollo permetterà, in particolare, di diffondere la conoscenza ed incentivare l'impiego nella lotta alla contraffazione di strumenti ad alto valore tecnologico, come ad esempio il RFID (Radio Frequency Identification), una sorta di “francobollo digitale” che, applicato ai singoli prodotti, aumenta la sicurezza e la trasparenza della filiera in termini di tracciabilità e rintracciabilità, offrendo un immediato beneficio per il cittadino-consumatore.

 

A livello comunitario si segnala, infine, che la Commissione europea il 2 aprile 2009 ha inaugurato l’Osservatorio europeo sulla contraffazione e la pirateria, nato allo scopo di rispondere alla necessità di garantire un maggiore rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. Tale obiettivo sarà perseguito principalmente attraverso la promozione del dialogo, lo scambio di informazioni e di buone prassi tra gli Stati membri dell’UE.

L’Osservatorio europeo sulla contraffazione e la pirateria

Secondo la Commissione europea[12], mentre sono ben noti e documentati i notevoli danni causati dalle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale, è più difficile raccogliere informazioni esaurienti che aiutino a fissare le priorità e a definire in maniera più mirata la tutela, aprendo in tal modo la strada ad una migliore collaborazione e a misure fondate su elementi fattuali.

Nel 2006 una relazione dell’OCSE[13] rivelava che una delle più grandi sfide per i governi e le imprese consisteva nell’ottenere informazioni affidabili e aggiornate sulla portata della contraffazione e della pirateria e sulla loro incidenza sull’economia e la società, in particolare sull’occupazione in Europa. Nonostante il lavoro effettuato in alcuni settori per analizzare l’estensione e l’entità del problema, le cifre si basano su metodi e fonti diversi, con conseguente mancanza di dati comparativi.

Inoltre, numerose informazioni sono detenute dagli organismi nazionali preposti al controllo dell’osservanza delle leggi, dagli uffici nazionali per la proprietà intellettuale e da quello europeo e da varie organizzazioni professionali. Si tratta di dati spesso difficili da confrontare. Una delle fonti di informazioni disponibili più sicure è una pubblicazione della Commissione basata sui blocchi doganali eseguiti ogni anno alle frontiere dell’UE[14]. Tuttavia, i blocchi alle frontiere non consentono di avere una visione globale, perché riguardano unicamente le merci che entrano o che escono dall’UE.

Per valutare pienamente le implicazioni economiche e sociali della contraffazione e della pirateria e comprendere perché alcuni prodotti, alcuni settori, alcune aree geografiche nell’UE sono più vulnerabili di altri risulta dunque necessario ampliare la base complessiva di conoscenze Dati completi e comparabili consentiranno anche di fissare priorità, formulare programmi comuni, stabilire obiettivi per la tutela ed elaborare campagne più mirate di sensibilizzazione dei consumatori.

A tale scopo il Consiglio “Competitività” ha raccomandato[15] la creazione dell’Osservatorio europeo della contraffazione e della pirateria come principale strumento dell’UE per consentire di ottenere dai dati che i settori pubblico e privato vorranno trasmettere una valutazione periodica della portata della contraffazione e della pirateria nonché un’analisi più precisa di tali fenomeni.

L’Osservatorio europeo sulla contraffazione e la pirateria è stato inaugurato dalla Commissione europea nella giornata del 2 aprile 2009, in occasione della dodicesima conferenza di alto livello sulla contraffazione e la pirateria, con la funzione di fungere da risorsa centrale di raccolta, controllo e comunicazione delle informazioni e dei dati relativi a tutte le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale e con la prospettiva di diventare la piattaforma in cui i rappresentanti delle autorità nazionali e le parti in causa possano scambiare idee e competenze in materia di migliori pratiche, elaborare strategie comuni di tutela e formulare raccomandazioni indirizzate ai responsabili politici.

In particolare, l’Osservatorio:

§      permetterà di migliorare la raccolta e l’utilizzo di informazioni e di dati indipendenti e affidabili, attraverso l’elaborazione di una metodologia di riferimento per la raccolta, l’analisi e la trasmissione di dati indipendenti relativi alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale, che assicuri che le informazioni siano raccolte obiettivamente e in modo equilibrato;

§      incoraggerà e diffonderà le migliori pratiche fra le autorità pubbliche, in particolare tramite efficaci iniziative innovative di cooperazione tra le diverse autorità preposte al controllo dell’osservanza delle leggi e altre autorità nazionali pertinenti;

§      diffonderà le strategie più efficaci del settore privato, individuando e valutando le strategie e le azioni anticontraffazione e antipirateria efficaci realizzate dal settore privato e diffondendo le migliori pratiche;

§      individuerà, comunicherà e proporrà soluzioni ai principali problemi, valutando ed evidenziando i problemi in alcune aree geografiche e in alcuni settori specifici e formulando raccomandazioni ai responsabili politici, alle agenzie preposte alla tutela e alle parti in causa.

Nella sua risoluzione, il Consiglio ha proposto che l’Osservatorio si basi su strutture esistenti della Commissione, che dovrebbero essere leggere e flessibili, e che, in caso di necessità, ricorra a esperti esterni. Pertanto, sarà la Commissione a fornire le principali risorse amministrative. Tuttavia, i rappresentanti degli Stati membri e le parti in causa parteciperanno pienamente al lavoro dell’osservatorio e al conseguimento dei suoi obiettivi.

Gli Stati membri saranno invitati a nominare un rappresentante nazionale. La partecipazione delle parti in causa dovrà riflettere un’ampia gamma di organismi europei e nazionali, in rappresentanza dei diversi settori economici maggiormente interessati e con più esperienza in materia di lotta alla contraffazione e alla pirateria. Anche i consumatori europei dovranno essere adeguatamente rappresentati e invitati a svolgere un ruolo attivo. Inoltre, occorre prestare particolare attenzione alla rappresentanza delle PMI.

 


Il contenuto dei provvedimenti

Le proposte di inchiesta parlamentare Doc. XXII, n. 12 (Reguzzoni ed altri) e Doc. XXII, n. 16(Lulli ed altri) sono dirette ad istituire una Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale.

Come evidenziato dalle rispettive relazioni illustrative, le proposte di inchiesta nascono dall'esigenza di costruire un quadro conoscitivo certo e univoco sul fenomeno della contraffazione, poiché per contrastare la contraffazione è necessario, anzitutto, una profonda conoscenza di detto fenomeno. Pertanto l’istituzione della Commissione di inchiesta si pone l’obiettivo di raccogliere dati fondamentali per combattere il fenomeno e di studiare le prassi già sperimentate a livello europeo e la legislazione applicata nei singoli Paesi membri dell'UE, allo scopo di creare una base di conoscenze utile per l’ammodernamento della legislazione, per il rafforzamento delle istituzioni impegnate nella lotta alla contraffazione nonché per rispondere alle richieste dell'Unione europea in questo campo.

Nelle relazioni viene quindi evidenziato che è imprescindibile, ai fini dell’efficacia della lotta alla contraffazione, una azione coordinata a livello comunitario incentrata sull’armonizzazione delle legislazioni nazionali (anche con riferimento alle sanzioni penali), sul miglioramento della cooperazione doganale nonché su un adeguato sostegno alle piccole e medie imprese per metterle in grado di difendersi dal fenomeno.

Per quanto riguarda le iniziative a livello comunitario, nelle relazioni si segnala che, poiché l'economia dell'Unione europea si è specializzata in produzioni di elevata qualità, spesso protette da marchi, brevetti o indicazioni geografiche, che, per loro natura, sono tra le più suscettibili di essere contraffatte, il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione europea una politica più decisa e ambiziosa di lotta alla contraffazione e alla pirateria in campo commerciale. In particolare la Commissione è stata invitata a definire una linea politica che, accanto alle iniziative in campo doganale, provveda a coordinare e indirizzare le azioni esterne dell’Unione Europea in materia di lotta alla contraffazione, anche in considerazione del fatto che il mercato della contraffazione è stimato pari al 7-10 per cento del commercio mondiale. In particolare, poiché circa il 60% dei prodotti contraffatti confiscati dalle autorità doganali dell’UE è di provenienza cinese, il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione di elaborare il prima possibile congiuntamente con la Cina un piano di azione per la lotta alla contraffazione.

 

Sia il Doc. XXII, n. 12 sia il Doc. XXII, n. 16 si compongono di cinque articoli.

Le due proposte, che presentano un contenuto sostanzialmente analogo, verranno illustrate congiuntamente mettendo in rilievo i profili per i quali si differenziano.

L’articolo 1 prevede, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, al fine di approfondire la loro conoscenza per poterli contrastare efficacemente e di studiare le buone prassi già sperimentate a livello europeo e la legislazione degli altri Stati membri dell’UE (comma 1).

 

Si ricorda che l’articolo 82 della Costituzione stabilisce, al primo comma, che ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.

Il secondo comma precisa, altresì, che le commissioni di inchiesta sono costituite da membri nominati tra i componenti della Camera stessa in modo da rispecchiare la proporzione tra i gruppi parlamentari. La Commissione di inchiesta, così costituita, svolge le indagini e gli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria.

 

Per quanto riguarda la durata della Commissione, mentre il Doc. XXII, n. 12 (art. 1, co. 1) la fa coincidere con quella della XVI legislatura, il Doc. XXII, n. 16 (art. 2, co. 5) pone il termine di dodici mesi dal suo insediamento.

Si osserva in proposito che nel Doc. XXII, n. 12, poiché la durata della Commissione viene prevista all’art. 1, co. 1, andrebbe corretta la rubrica dell’art. 2 riguardando esso solamente la composizione.

 

I commi 2 e 3 definiscono i compiti della Commissione, cui spetta innanzitutto l’accertamento dei risultati raggiunti e dei limiti istituzionali, tecnologici, normativi, organizzativi e finanziari a livello nazionale che non hanno consentito alle azioni governative di contrastare in modo adeguato i fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, con particolare riguardo al mancato esercizio dei poteri di prevenzione, di controllo e sanzionatori previsti dall'ordinamento, alla funzionalità del sistema di raccolta dei dati e delle informazioni da parte dei soggetti pubblici coinvolti e alla valutazione approfondita di fatti e di fenomeni sociali al fine di prevedere politiche di prevenzione e di individuare poteri di controllo e di repressione più efficaci.

Alla Commissione compete, pertanto, la raccolta di dati e informazioni sulle diverse realtà territoriali e dei distretti produttivi italiani ai fini dell’accertamento della dimensione e delle caratteristiche del fenomeno, con particolare riferimento:

a) alle merci contraffatte vendute sul territorio nazionale, suddivise per settori produttivi;

b) alle merci contraffatte in transito sul territorio nazionale per essere commercializzate in altri Paesi;

c) alle risorse effettivamente impegnate per rafforzare il sistema di contrasto a partire da quello doganale;

d) alle eventuali inefficienze e sottovalutazioni delle istituzioni e responsabilità degli enti preposti e all’impegno nel contrastare il fenomeno della produzione in territorio nazionale di merci contraffatte;

e) ad eventuali connessioni del fenomeno con la criminalità organizzata;

f) alle risorse da destinare al sistema statistico per definire l’entità delle attività connesse alla contraffazione;

g) alle eventuali omissioni nell'esercizio dei poteri di prevenzione, di controllo e sanzionatori previsti dall'ordinamento;

h) alla situazione delle PMI e dei distretti produttivi in relazione all’accesso ai diritti di proprietà industriale;

i) alle buone prassi e alla normativa applicata in altri Stati membri dell'UE;

l) alla qualità dei brevetti nazionali e all’eventuale esistenza di brevetti inutilizzati o rilasciati senza il prescritto esame del relativo contenuto inventivo;

m) all’interazione tra i diritti di proprietà intellettuale e norme vigenti in materia di promozione dell'innovazione.

 

L’articolo 2, chedispone in merito alla composizione della Commissione, stabilisce che essa è costituita da dieci deputati (così nel Doc. XXII, n. 12, mentre il Doc. XXII, n. 16 ne prevede venti) nominati dal Presidente della Camera in proporzione alla consistenza numerica dei gruppi parlamentari, assicurando comunque la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo (comma 1). Gli stessi criteri e la stessa procedura valgono anche per eventuali sostituzioni di membri in caso di dimissioni, di cessazione del mandato parlamentare o di sopravvenute cause di impedimento (comma 2).

Il Presidente della Camera, entro dieci giorni dalla nomina dei componenti, provvede alla convocazione della Commissione per procedere alla costituzione dell'ufficio di presidenza (comma 3).

La Commissione elegge al proprio interno, a scrutinio segreto, l’ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari. Qualora nell’elezione del presidente nessuno riporti la maggioranza assoluta si procede al ballottaggio tra i due candidati più votati. In caso di parità viene proclamato eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età (comma 4).

E’ prevista la presentazione di una relazione al Parlamento, da parte della Commissione, al termine dei suoi lavori (rispettivamente comma 5 e comma 6 delle proposte). Il citato comma 5 del Doc. XXII, n. 12 prevede altresì la presentazione di relazioni “interlocutorie” ogni dodici mesi.

 

L’articolo 3 disciplina i poteri e i limiti della Commissione.

Ai sensi del comma 1, la Commissione, in conformità a quanto previsto dall’articolo 82 della Costituzione, procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria. Inoltre, solamente il comma 1 del Doc. XXII, n. 16 dispone che la Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e delle altre forme di comunicazione, né limitazioni della libertà personale, ad eccezione dell’accompagnamento coattivo di cui all’articolo 133 del codice di procedura penale.

Solamente nel Doc. XXII, n. 12 figura una disposizione (comma 2) che riconosce espressamente alla Commissione il potere di richiedere agli organi e agli uffici della pubblica amministrazione copia di atti e documenti da essi detenuti in materia attinente alle finalità di cui al provvedimento in esame.

Ai sensi del comma 3 del Doc. XXII, n. 12 e del comma 2 del Doc. XXII, n. 16 la Commissione può acquisire copie di atti e di documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organismi inquirenti, nonché relativi a indagini e inchieste parlamentari (il Doc. XXII, n. 16 precisa che ciò è consentito anche per gli atti coperti dal segreto, mentre il Doc. XXII, n. 12 prevede che l’autorità giudiziaria può trasmettere le copie di atti e documenti anche di propria iniziativa).

Il comma 4 del Doc. XXII, n. 12 e il comma 3 del Doc. XXII, n. 16 disciplinano l’ipotesi in cui gli atti trasmessi dall’autorità giudiziaria o da altri organi inquirenti siano coperti dal segreto, prevedendo che in tali casi la Commissione dispone la segretazione degli atti fino a quando non cessa il regime di segretezza.

Si osserva che al comma 3 del Doc. XXII, n. 16 erroneamente è citato il “comma 3” anziché il “comma 2”.

Solamente il Doc. XXII, n. 12, al comma 5, non consente che si possa opporre alla Commissione il segreto funzionale cui sono stati assoggettati da parte delle competenti Commissioni parlamentari d’inchiesta determinati atti o documenti.

Ai sensi del comma 6 di entrambe le proposte la Commissione individua gli atti e documenti da non divulgare, anche in relazione a esigenze riguardanti altre istruttorie o inchieste. Inoltre il comma 6 del Doc. XXII, n. 16 precisa che devono comunque essere coperti dal segreto gli atti, le assunzioni testimoniali e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari fino al termine delle stesse indagini.

Il comma 7 di entrambe le proposte dispone che per il segreto d’ufficio, professionale e bancario si applicano le norme vigenti in materia e che viene fatta salva la facoltà di opporre il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato.

Per il segreto di Stato, il comma 7 del Doc. XXII, n. 16 prevede l’applicazione delle norme vigenti in materia, mentre il comma 8 del Doc. XXII, n. 12 con una norma sostanzialmente identica prevede l’applicazione della disciplina prevista dalla L. 124/2007[16] di riforma dei servizi di informazione e sicurezza e di disciplina del segreto di Stato (cfr. supra).

Il comma 9 del Doc. XXII, n. 12specifica che, ferme restando le competenze dell’autorità giudiziaria, alle audizioni a testimonianza rese davanti alla Commissione d’inchiesta si applicano gli articoli da 366 a 384-bis del codice penale, che sanzionano una serie di delitti contro l’attività giudiziaria[17]. Il comma 5 del Doc. XXII, n. 16 reca una norma analoga, anche se non richiama gli articoli 371-bis e 371-ter del codice penale.

 

L’articolo 4 reca disposizioni relative all’obbligo del segreto.

Il comma 1 del Doc. XXII, n. 12prevede l’obbligo del segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3, commi 5 (atti o documenti assoggettati al vincolo del segreto funzionale da parte delle competenti Commissioni d’inchiesta) e 7 (relativo al segreto d’ufficio, professionale e bancario e al segreto tra difensore e parte processuale) in capo ai seguenti soggetti:

§      componenti la Commissione;

§      personale addetto alla Commissione;

§      ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni d'ufficio o di servizio.

Si osserva che sarebbe opportuno prevedere l’obbligo del segreto anche per quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3, commi 3 (atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l’autorità giudiziaria o relativi ad inchieste parlamentari) e 6 (atti e documenti di cui è previsto dalla Commissione il divieto di divulgazione). Non appare invece opportuno il riferimento, nel testo, all’articolo 3, comma 7, che non riguarda atti o documenti coperti da segreto.

Con riferimento al tema in esame il comma 1 del Doc. XXII, n. 16prevede una norma simile ma con alcune differenze. In particolare tale comma prevede, in capo ai medesimi soggetti sopra menzionati, l’obbligo del segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3, commi 3 (atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l’autorità giudiziaria o relativi ad inchieste parlamentari sottoposti a regime di segretezza) e 6 (atti e documenti di cui è previsto dalla Commissione il divieto di divulgazione).

 

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione dell'obbligo del segreto di cui al comma 1, nonché la diffusione, in tutto o in parte, di atti o documenti dei procedimenti d’inchiesta dei quali è stata vietata la divulgazione, sono punite ai sensi dell'articolo 326 del codice penale (comma 2).

L’articolo 326 del codice penale, collocato nel Capo I (Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) del Titolo II (Dei delitti contro la pubblica amministrazione) del Libro II (Dei delitti in particolare), prevede il reato di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio.

La rivelazione di segreti di ufficio si realizza allorquando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio che debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza. La fattispecie criminosa, che configura un “reato proprio” (in quanto l’autore è un pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio), è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni (primo comma).

Ove l’agevolazione sia soltanto colposa, è prevista una riduzione di pena, applicandosi la reclusione fino a un anno (secondo comma).

Il terzo comma disciplina l’utilizzazione di segreti di ufficio, che ricorre ove il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, che debbano rimanere segrete. Per questa fattispecie delittuosa è prevista la reclusione da due a cinque anni. La reclusione è fino a due anni nell’ipotesi in cui il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto.

 

L’articolo 5 regolamenta l’organizzazione interna della Commissione.

In particolare la Commissione, prima di avviare i propri lavori, procede all’adozione del proprio regolamento interno (comma 1).

Alla Commissione è consentito organizzare i propri lavori anche mediante uno o più comitati costituiti in base alle disposizioni del regolamento interno (comma 2).

La Commissione può riunirsi in seduta segreta tutte le volte che ne ravvisa l’opportunità (comma 3).

Per l’assolvimento delle sue funzioni, alla Commissione è riconosciuto il potere di avvalersi di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e di ricorrere a tutte le collaborazioni che ritenga necessarie (comma 4). Inoltre la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dal Presidente della Camera dei deputati (comma 5).

Ai sensi del comma 6 di entrambe le proposte le spese di funzionamento della Commissione sono poste a carico del bilancio interno della Camera. Tuttavia, mentre il Doc. XXII, n. 12 dispone che tali spese sono stabilite nel limite massimo di 50.000 euro, il Doc. XXII, n. 16 prevede che tali spese sono stabilite nel limite massimo di 150.000 euro.

Analoghe disposizioni di contenimento delle spese sono state introdotte nelle più recenti leggi e delibere istitutive di Commissioni di inchiesta parlamentare.

 

Si osserva, per entrambe le proposte, che la formulazione della clausola di copertura finanziaria non appare corretta poiché non specifica gli anni per i quali è prevista l’autorizzazione di spesa.

Con riferimento all’art. 5, co. 6, del Doc. XXII, n. 16 si osserva inoltre che prima delle parole “sono poste” andrebbe aggiunta la seguente “e”.

 

 


Compatibilità comunitaria

Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
(a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)

Un quadro complessivo della strategia europea in materia di diritti di proprietà industriale è contenuto nella comunicazione in materia presentata dalla Commissione europea il 16 luglio 2008, (COM(2008)465),nella quale sono indicate misure legislative e non legislative da adottare entro il 2010.

Per quanto riguarda la lotta alla pirateria e alla contraffazione, rilevando come le differenze nell'attuazione dei procedimenti e nelle sanzioni penali comportino disparità per quanto concerne il livello di protezione di cui beneficiano i titolari dei diritti di proprietà intellettuale, la Commissione sottolinea la necessità che  gli Stati membri si dotino di misure di diritto penale efficaci. La Commissione ritiene inoltre fondamentale migliorare i collegamenti tra la Commissione stessa e gli Stati membri, tra le diverse autorità nazionali negli Stati membri e tra il settore pubblico e quello privato.

Il 16 marzo 2009 il Consiglio ha adottato un piano d'azione doganale dell'UE, per il periodo 2009-2012, volto a combattere le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale, elaborato dalla Presidenza in cooperazione con gli Stati membri e la Commissione, a seguito di una risoluzione del Consiglio del 25 settembre 2008. Il piano d'azione è inteso a contrastare la crescente minaccia che le merci contraffatte rappresentano per la salute e la sicurezza e per l'ambiente, mediante una cooperazione rafforzata tra amministrazioni e tra autorità doganali e settore industriale.

Sulla base delle indicazioni fornite dal Consiglio, la Commissione europea ha inaugurato, il 2 aprile 2009, l’Osservatorio europeo della contraffazione e della pirateria. La funzione e le potenzialità dell’Osservatorio sono state approfondite nella comunicazione “Migliorare la tutela dei diritti di proprietà intellettuale nel mercato interno” COM(2009)467 presentata dalla Commissione europea l’11 settembre 2009.

La Commissione auspica il progressivo ampliamento del ruolo dell’Osservatorio che, da centro di raccolta, controllo e comunicazione delle informazioni e dei dati relativi a tutte le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale, dovrebbe diventare una vera e propria piattaforma in cui i rappresentanti delle autorità nazionali e le parti in causa possano scambiare idee e competenze in materia di migliori pratiche, elaborare strategie comuni di tutela e formulare raccomandazioni indirizzate ai responsabili politici.

Basato sulle strutture esistenti della Commissione europea, che fornirà dunque le principali risorse amministrative, l’Osservatorio dovrà avvalersi della partecipazione di rappresentanti nazionali nominati dagli Stati membri e della partecipazione delle parti interessate, ossia di un’ampia gamma di organismi europei e nazionali, in rappresentanza dei diversi settori economici maggiormente coinvolti e con più esperienza in materia di lotta alla contraffazione e alla pirateria, nonché dei rappresentanti delle PMI e dei consumatori.

In particolare, la Commissione ritiene che l’Osservatorio:

§      permetterà di migliorare la raccolta e l’utilizzo di informazioni e di dati indipendenti e affidabili;

-        elaborando una metodologia di riferimento per la raccolta, l’analisi e la trasmissione di dati indipendenti relativi alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale, che assicuri che le informazioni siano raccolte obiettivamente e in modo equilibrato;

-        realizzando analisi dettagliate ed effettuando valutazioni periodiche delle implicazioni economiche e sociali, tra cui l’impatto sull’innovazione, la competitività e l’occupazione in Europa, il ruolo della criminalità organizzata e i rischi per la salute e la sicurezza dei cittadini europei;

-        ricorrendo a dati esaurienti forniti dalle autorità pubbliche e dalle organizzazioni private per valutare le forze e le debolezze della tutela dei diritti di proprietà intellettuale in tutto il mercato interno;

-        presentando specifiche relazioni periodiche miranti a individuare le vulnerabilità nel mercato interno, a evidenziare le minacce e i problemi e a favorire strategie di lotta contro la contraffazione fondate su elementi fattuali.

§      incoraggerà e diffonderà le migliori pratiche fra le autorità pubbliche;

-        individuando e valutando il coordinamento della tutela dei diritti di proprietà intellettuale negli Stati membri;

-        promuovendo e diffondendo le migliori pratiche, in particolare tramite efficaci iniziative innovative di cooperazione tra le diverse autorità preposte al controllo dell’osservanza delle leggi e altre autorità nazionali pertinenti;

-        individuando e presentando programmi di formazione sulla tutela organizzati in vari Stati membri e diffondendo le migliori pratiche;

-        incoraggiando il rispetto totale dei diritti di proprietà intellettuale nel quadro di progetti finanziati dal settore pubblico;

-        stimolando la cooperazione tra il settore pubblico e il settore privato, in particolare per quanto riguarda la sensibilizzazione e la formazione del personale delle agenzie preposte alla tutela;

§      diffonderà le strategie più efficaci del settore privato;

-        individuando e valutando le strategie e le azioni anticontraffazione e antipirateria efficaci realizzate dal settore privato e diffondendo le migliori pratiche;

-        rivolgendosi ad un’ampia gamma di parti in causa nella catena di distribuzione, quali organizzatori di fiere, società di trasporto e di logistica e fornitori di servizi di pagamento;

-        incoraggiando le azioni per migliorare la qualità dei diritti di proprietà intellettuale affinché possano essere efficacemente tutelati;

-        individuando le campagne di sensibilizzazione del pubblico efficaci, elaborando strategie e iniziative e diffondendo le migliori pratiche in tutti i settori economici e al di là delle frontiere nazionali;

§      individuerà, comunicherà e proporrà soluzioni ai principali problemi;

-         valutando ed evidenziando i problemi in alcune aree geografiche e in alcuni settori specifici e formulando raccomandazioni ai responsabili politici, alle agenzie preposte alla tutela e alle parti in causa.

L’istituzione dell’Osservatorio europeo è stata accolta con favore dal Parlamento europeo, da ultimo nella proposta di risoluzione sul rafforzamento dell'applicazione dei diritti di proprietà intellettuale nel mercato interno, approvata il 13 gennaio 2010 dalla Commissione Affari giuridici, in vista dell’esame in plenaria il prossimo 19 aprile.

Per quanto riguarda le iniziative legislative all’esame delle istituzioni dell’Unione europea si ricorda che, il 24 giugno 2006 la Commissioneha presentato una proposta modificata di direttiva (COM(2006)168), relativa alle misure penali finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale[18].

In particolare, la proposta della Commissione prevede che gli Stati membri qualifichino penalmente ogni violazione intenzionale del diritto di proprietà intellettuale commessa su scala commerciale e il relativo tentativo nonché la complicità e l’incitamento, introducendo le seguenti sanzioni:

§      per le persone fisiche, pene restrittive della libertà;

§      per le persone fisiche e giuridiche:

-        ammende,

-        confisca dell’oggetto, degli strumenti e dei prodotti originati dai reati, o di beni il cui valore corrisponde a questi prodotti.

In base alla proposta gli Stati membri dovrebbero inoltre prevedere, nei casi opportuni, l’applicabilità delle sanzioni seguenti:

-        a distruzione dei beni che causano una violazione del diritto di proprietà intellettuale;

-        la chiusura, totale o parziale, definitiva o temporanea, dello stabilimento principalmente usato per commettere la violazione in questione;

-        l’interdizione permanente o temporanea di esercitare attività commerciali;

-        il controllo giudiziario;

-        la liquidazione giudiziaria;

-        il divieto di accedere a sovvenzioni e aiuti pubblici;

-        la pubblicazione delle decisioni giudiziarie.

La proposta è stata esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura il 25 aprile 2007, con l’approvazione di una risoluzione legislativa, contenente alcuni emendamenti.

Tra l’altro, il Parlamento europeo ritiene che:

-        dalla definizione di "diritti di proprietà intellettuale” si debbano escludere i brevetti.

-        per quanto riguarda l’oggetto e il campo di applicazione, la direttiva non debba applicarsi alle violazioni di un diritto di proprietà intellettuale collegato a:

a)  brevetti, modelli di utilità e certificati complementari di protezione;

b)  importazione parallela di beni originali che sono stati commercializzati con l’accordo del titolare dei diritti di un paese terzo;

-        per quanto riguarda la qualifica di reato, per violazione commessa su scala commerciale si debba intendere “la violazione di un diritto di proprietà intellettuale commesso per ottenere un vantaggio commerciale” escludendo perciò gli atti compiuti da un utilizzatore privato per fini personali e non di lucro;

-        per quanto riguarda le sanzioni, si debba aggiungere alle tipologie previste nella proposta della Commissione, anche la possibilità di “un ordine che richieda il pagamento, da parte del contraffattore, delle spese di custodia dei beni confiscati; il Parlamento europeo propone inoltre che nel fissare il livello delle sanzioni, secondo i limiti quantitativi già indicati dalla proposta della Commissione, gli Stati membri tengano conto delle violazioni ripetutamente commesse da persone fisiche o giuridiche in un altro Stato membro.

Con la comunicazione COM(2009)665 relativa sulle ripercussioni  dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona sulle procedure decisionali  interistituzionali in corso, presentata il 2 dicembre 2009, la Commissione europea ha provveduto a modificare la base giuridica della proposta che è pertanto ora costituita dallo articolo 118  del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

La proposta, secondo la procedura legislativa ordinaria, è attualmente all’esame del Consiglio.

 


Normativa di riferimento


Costituzione della Repubblica
(art. 82)

---------------------------------

      La Costituzione fu approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, promulgata dal Capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre 1947, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 1947, n. 298, ediz. straord., ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Vedi XVIII disp. trans. fin., comma primo.

(omissis)

 

82. Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.

A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La commissione di inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni della Autorità giudiziaria (1).

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(1)   Vedi, anche, Capo XX del Reg. Senato 17 febbraio 1971 e Capo XXXII del Reg. Camera 18 febbraio 1971.

 

(omissis)

 


Codice penale
(artt. 326, 366-384-bis)

 

(omissis)

326. Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio. (1)

Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio (2), le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Se l'agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno.

Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni (3).

-----------------------

(1)   Vedi la L. 10 maggio 1978, n. 170, sui procedimenti d'accusa, l'art. 12, L. 1 aprile 1981, n. 121, sull'Amministrazione della pubblica sicurezza, l'art. 21, L. 22 maggio 1978, n. 194, sull'interruzione volontaria di gravidanza, e l'art. 36, L. 3 agosto 2007, n. 124, sulla disciplina del segreto di Stato.

(2)   Vedi la L. 10 maggio 1978, n. 170, sui procedimenti d'accusa, l'art. 12, L. 1 aprile 1981, n. 121, sull'Amministrazione della pubblica sicurezza, e l'art. 21, L. 22 maggio 1978, n. 194, sull'interruzione volontaria di gravidanza.

(3)   Articolo così sostituito dall'art. 15, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione. Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore.

(omissis)

366. Rifiuto di uffici legalmente dovuti. (1)

Chiunque, nominato dall'autorità giudiziaria perito [c.p.c. 61; c.p.p. 221], interprete [c.p.c. 122; c.p.p. 143], ovvero custode di cose sottoposte a sequestro dal giudice penale [c.p.p. 259], ottiene con mezzi fraudolenti l'esenzione dall'obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 30 (2)a euro 516 (3).

Le stesse pene si applicano a chi, chiamato dinanzi all'autorità giudiziaria per adempiere ad alcuna delle predette funzioni, rifiuta di dare le proprie generalità [c.p. 495], ovvero di prestare il giuramento richiesto, ovvero di assumere o di adempiere le funzioni medesime.

Le disposizioni precedenti si applicano alla persona chiamata a deporre come testimonio dinanzi all'autorità giudiziaria [c.p.c. 244; c.p.p. 196] e ad ogni altra persona chiamata ad esercitare una funzione giudiziaria [c.p.c. 256; c.p.p. 4, 97].

Se il colpevole è un perito o un interprete, la condanna importa l'interdizione dalla professione o dall'arte [c.p. 30].

-----------------------

(1)   Vedi l'art. 3, L. 23 marzo 1988, n. 94, e l'art. 4, L. 17 maggio 1988, n. 172, sulle commissioni parlamentari d'inchiesta.

(2)   Ai sensi di quanto disposto dal primo comma dell’art. 24 del codice penale, come modificato, da ultimo, dal comma 60 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94, la pena della multa consiste nel pagamento di una somma non inferiore a 50 euro.

(3)   La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell'art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

 

367. Simulazione di reato.

Chiunque, con denuncia [c.p.p. 331, 333], querela [c.p.p. 336], richiesta [c.p.p. 341, 342] o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'autorità giudiziaria o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato, ovvero simula le tracce di un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo, è punito con la reclusione da uno a tre anni [c.p. 370].

 

368. Calunnia.

Chiunque, con denunzia [c.p.p. 331, 333], querela [c.p.p. 336], richiesta [c.p.p. 341, 342] o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'autorità giudiziaria o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni [c.p. 29, 32, 370].

La pena è aumentata [c.p. 64] se s'incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un'altra pena più grave.

La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all'ergastolo; e si applica la pena dell'ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte [c.c. 463, n. 3] (1).

-----------------------

(1)     La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall'art. 1, D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1944, n. 224, ad essa ha sostituito la pena dell'ergastolo.

 

369. Autocalunnia.

Chiunque, mediante dichiarazione ad alcuna delle autorità indicate nell'articolo precedente, anche se fatta con scritto anonimo o sotto falso nome, ovvero mediante confessione innanzi all'autorità giudiziaria, incolpa se stesso di un reato che egli sa non avvenuto, o di un reato commesso da altri, è punito con la reclusione da uno a tre anni [c.p. 29, 370].

 

370. Simulazione o calunnia per un fatto costituente contravvenzione.

Le pene stabilite negli articoli precedenti sono diminuite [c.p. 65] se la simulazione o la calunnia concerne un fatto preveduto dalla legge come contravvenzione.

 

371. Falso giuramento della parte.

Chiunque, come parte in giudizio civile [c.p.c. 238], giura il falso è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Nel caso di giuramento deferito d'ufficio [c.c. 2736; c.p.c. 240], il colpevole non è punibile, se ritratta il falso prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile [c.p.c. 324] (1).

La condanna importa l'interdizione dai pubblici uffici [c.p. 28] (2).

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(1)   La Corte Costituzionale, con sentenza 8-20 novembre 1995, n. 490 (Gazzetta Ufficiale 29 novembre 1995, n. 49 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente comma in riferimento all'art. 3 Cost.

(2)   La Corte costituzionale, con sentenza 13-19 gennaio 1972, n. 7 (Gazzetta Ufficiale 26 gennaio 1972, n. 23), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento all'art. 3, comma primo, Cost.

 

371-bis. False informazioni al pubblico ministero.

Chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico ministero di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, è punito con la reclusione fino a quattro anni (1).

Ferma l'immediata procedibilità nel caso di rifiuto di informazioni, il procedimento penale, negli altri casi, resta sospeso fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere (2).

Le disposizioni di cui ai commi primo e secondo si applicano, nell'ipotesi prevista dall'articolo 391-bis, comma 10, del codice di procedura penale, anche quando le informazioni ai fini delle indagini sono richieste dal difensore (3).

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(1)   Articolo aggiunto dall'art. 11, primo comma, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa e così modificato dall'art. 25, L. 8 agosto 1995, n. 332. Il testo precedentemente in vigore prevedeva, per il reato di cui al presente articolo, la pena della reclusione da uno a cinque anni.

(2)   Comma aggiunto dall'art. 25, L. 8 agosto 1995, n. 332. L'art. 28, primo comma, della stessa legge ha così disposto: «1. La sospensione del procedimento penale prevista dal secondo comma dell'articolo 371-bis del codice penale, come modificato dall'articolo 25 della presente legge, non si applica relativamente ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia stata già esercitata l'azione penale ai sensi dell'articolo 405 del codice di procedura penale. In tali casi resta ferma la competenza del tribunale».

(3)   Comma aggiunto dall'art. 19, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazzetta Ufficiale 3 gennaio 2001, n. 2).

 

371-ter. False dichiarazioni al difensore.

Nelle ipotesi previste dall'articolo 391-bis, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, chiunque, non essendosi avvalso della facoltà di cui alla lettera d) del comma 3 del medesimo articolo, rende dichiarazioni false è punito con la reclusione fino a quattro anni.

Il procedimento penale resta sospeso fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le dichiarazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere (1).

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 20, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazzetta Ufficiale 3 gennaio 2001, n. 2).

 

372. Falsa testimonianza (1)

Chiunque, deponendo come testimone [c.p.c. 244; c.p.c. 194] innanzi all'autorità giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da due a sei anni (2)[c.c. 463, n. 3; c.p.c. 256; c.p.p. 499].

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(1)   Per le commissioni parlamentari d'inchiesta sul fenomeno della mafia e del terrorismo vedi la L. 23 marzo 1988, n. 94, e la L. 17 maggio 1988, n. 172.

(2      Articolo così modificato dall'art. 11, comma secondo, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa; vedi, anche, l'art. 25-septies dello stesso provvedimento.

 

373. Falsa perizia o interpretazione.

Il perito [c.p.c. 61; c.p.p. 220] o l'interprete [c.p.c. 122; c.p.p. 143], che, nominato dall'autorità giudiziaria, dà parere o interpretazioni mendaci, o afferma fatti non conformi al vero, soggiace alle pene stabilite nell'articolo precedente.

La condanna importa, oltre l'interdizione dai pubblici uffici, l'interdizione dalla professione o dall'arte [c.p. 28, 30].

 

 

374. Frode processuale.

Chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d'ispezione o di esperimento giudiziale [c.p.p. 218, 219, 244, 246], ovvero il perito [c.p.c. 61] nell'esecuzione di una perizia [c.p.p. 220], immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito, qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da sei mesi a tre anni [c.p. 29].

La stessa disposizione si applica se il fatto è commesso nel corso di un procedimento penale, o anteriormente ad esso; ma in tal caso la punibilità è esclusa, se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela [c.p. 120; c.p.p. 336], richiesta [c.p. 8, 9, 10, 11, 12, 127, 313; c.p.p. 342] o istanza [c.p. 9, 10; c.p.p. 341], e questa non è stata presentata.

 

374-bis. False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque dichiara o attesta falsamente in certificati o atti destinati a essere prodotti all'autorità giudiziaria condizioni, qualità personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro in essere o da instaurare, relativi all'imputato, al condannato o alla persona sottoposta a procedimento di prevenzione.

Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di un pubblico servizio o da un esercente la professione sanitaria (1).

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(1)   Articolo aggiunto dall'art. 11, comma terzo, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa.

 

375. Circostanze aggravanti.

Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372, 373 e 374, la pena è della reclusione da tre a otto anni se dal fatto deriva una condanna alla reclusione non superiore a cinque anni; è della reclusione da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna superiore a cinque anni; ed è della reclusione da sei a venti anni se dal fatto deriva una condanna all'ergastolo (1).

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(1      Articolo così sostituito dall'art. 11, comma quarto, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni in L. 7 agosto 1992, n. 356, e poi così modificato dall'art. 22, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2). Il testo in vigore prima di quest'ultima modifica così disponeva: «Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 372, 373 e 374, la pena è della reclusione da tre a otto anni se dal fatto deriva una condanna alla reclusione non superiore a cinque anni; è della reclusione da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna superiore a cinque anni; ed è della reclusione da sei a venti anni se dal fatto deriva una condanna all'ergastolo».

 

376. Ritrattazione.

Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, nonché dall'articolo 378, il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento [c.p.p. 524] (1).

Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva [c.p.c. 279], anche se non irrevocabile [c.p.c. 324] (2).

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(1)   Comma prima sostituito dall'art. 11, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, e poi così modificato dall'art. 22, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2) e dal comma 6 dell’art. 1, L. 15 luglio 2009, n. 94.
Il testo in vigore prima di quest'ultima modifica era il seguente: «Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento.».
Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla suddetta legge n. 397 del 2000 era il seguente: «Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 372 e 373, il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento». Di tale formulazione la Corte costituzionale, con sentenza 22-30 marzo 1999, n. 101 (Gazz. Uff. 7 aprile 1999, n. 14 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità, nella parte in cui non prevede la ritrattazione come causa di non punibilità per chi, richiesto dalla polizia giudiziaria, delegata dal pubblico ministero a norma dell'art. 370 del codice di procedura penale, di fornire informazioni ai fini delle indagini, abbia reso dichiarazioni false ovvero in tutto o in parte reticenti. La stessa Corte, con sentenza 9-16 ottobre 2000, n. 424 (Gazz. Uff. 18 ottobre 2000, n. 43 - Prima serie speciale), ne ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità, in riferimento all'art. 3 Cost.

(2)   La Corte Costituzionale, con sentenza 13-22 dicembre 1982, n. 228 (Gazz. Uff. 29 dicembre 1982, n. 357), aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo nella sua precedente formulazione, nella parte in cui prevedeva l'esimente della ritrattazione solo per il reato di cui all'art. 372 c.p. e non anche per quello di cui all'art. 378 c.p., in riferimento all'art. 3 Cost.

 

377. Intralcio alla giustizia (1).

Chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all'autorità giudiziaria ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore nel corso dell'attività investigativa, o alla persona chiamata a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi, ridotte dalla metà ai due terzi (2).

La stessa disposizione si applica qualora l'offerta o la promessa sia accettata, ma la falsità non sia commessa.

Chiunque usa violenza o minaccia ai fini indicati al primo comma, soggiace, qualora il fine non sia conseguito, alle pene stabilite in ordine ai reati di cui al medesimo primo comma, diminuite in misura non eccedente un terzo (3).

Le pene previste ai commi primo e terzo sono aumentate se concorrono le condizioni di cui all'articolo 339 (4).

La condanna importa l'interdizione dai pubblici uffici [c.p. 28].

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(1)   Rubrica così sostituita dall'art. 14, L. 16 marzo 2006, n. 146.
Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Subornazione.».

(2      Comma prima sostituito dall'art. 11, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, e poi così modificato dall'art. 22, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2).
Il testo in vigore prima di quest'ultima modifica era il seguente: «Chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all'autorità giudiziaria ovvero a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371-bis, 372 e 373, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi, ridotte dalla metà ai due terzi».

(3)   Comma aggiunto dall'art. 14, L. 16 marzo 2006, n. 146. Vedi, anche, l'art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, come modificato, da ultimo, da citato articolo 14.

(4)   Comma aggiunto dall'art. 14, L. 16 marzo 2006, n. 146.

 

377-bis. Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con violenza o minaccia, o con offerta o promessa di denaro o di altra utilità, induce a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci la persona chiamata a rendere davanti alla autorità giudiziaria dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale, quando questa ha la facoltà di non rispondere, è punito con la reclusione da due a sei anni (1).

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(1)   Articolo aggiunto dall'art. 20, L. 1 marzo 2001, n. 63. Vedi, anche, l'art. 25-novies, D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, aggiunto dall'art. 4, comma 1, L. 3 agosto 2009, n. 116, e l'art. 10, L. 16 marzo 2006, n. 146. L'art. 26 della citata legge n. 63 del 2001 ha così disposto:
«Art. 26.
1. Nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano le disposizioni degli articoli precedenti salvo quanto stabilito nei commi da 2 a 5.
2. Se il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero provvede a rinnovare l'esame dei soggetti indicati negli articoli 64 e 197-bis del codice di procedura penale, come rispettivamente modificato e introdotto dalla presente legge, secondo le forme ivi previste.
3. Le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare, se già acquisite al fascicolo per il dibattimento, sono valutate a norma dei commi 3, 4, 5 e 6 del previgente articolo 500 del codice di procedura penale.
4. Quando le dichiarazioni di cui al comma 3 sono state rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del difensore, si applica la disposizione del comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000, n. 35, soltanto se esse siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio 2000. Se sono state acquisite successivamente, si applica il comma 1-bis dell'articolo 526 del codice di procedura penale, come introdotto dall'articolo 19 della presente legge.
5. Alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento, e già valutate ai fini delle decisioni, si applicano nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione le disposizioni vigenti in materia di valutazione della prova al momento delle decisioni stesse.».

 

378. Favoreggiamento personale (1)

Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena di morte (2) o l'ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo [c.p. 110], aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa, è punito con la reclusione fino a quattro anni [c.p. 29].

Quando il delitto commesso è quello previsto dall'art. 416-bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni (3).

Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a euro 516 (4).

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile [c.p. 85, 88, 91, 93, 96, 97] o risulta che non ha commesso il delitto (5) (6).

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(1)   Vedi l'art. 2, comma primo, L. 18 febbraio 1987, n. 34, sulla dissociazione dal terrorismo. Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall'art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228). Vedi, anche, l'art. 1, quarto comma, D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, in L. 15 marzo 1991, n. 82, in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e protezione di coloro che collaborano con la giustizia.

(2)   La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall'art. 1, D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1944, n. 224, che ad essa ha sostituito la pena dell'ergastolo.

(3)   Comma aggiunto dall'art. 2, L. 13 settembre 1982, n. 646, sulle misure di prevenzione a carattere patrimoniale.

(4)   La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell'art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

(5)   Per i casi di non punibilità di coloro che hanno commesso, per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, uno o più reati previsti in questo articolo, se forniscono completa informazione sul favoreggiamento commesso, vedi l'art. 1, L. 29 maggio 1982, n. 304, sull'ordinamento costituzionale il cui comma terzo, lett. a), esclude la non punibilità per le ipotesi di importazione, esportazione, rapina e furto di armi, munizioni od esplosivi. La decadenza da questi benefici in caso di false o reticenti dichiarazioni è regolato dall'art. 10 della stessa legge, il cui art. 12 limita l'applicazione del provvedimento solo ai reati che siano stati commessi o la cui permanenza sia iniziata entro il 31 gennaio 1982, purché i comportamenti cui è condizionata la loro applicazione vengano tenuti entro centoventi giorni dall'entrata in vigore della legge (3 giugno 1982), termine differito di ulteriori centoventi giorni, con l'art. 1, D.L. 1 ottobre 1982, n. 695, convertito nella L. 29 novembre 1982, n. 882. Vedi, anche, l'art. 10, L. 16 marzo 2006, n. 146.

(6)   La Corte costituzionale, con sentenza 11-18 gennaio 1996, n. 8 (Gazz. Uff. 24 gennaio 1996, n. 4 - Prima serie speciale), ha dichiarato: a) inammissibile la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 384, primo comma, 378 e 307, quarto comma, del codice penale, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost.; b) non fondata la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 384, primo comma, 378 e 307, quarto comma, del codice penale, in riferimento all'art. 29 Cost.

 

379. Favoreggiamento reale (1)

Chiunque fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648, 648-bis, 648-ter, aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato, è punito con la reclusione fino a cinque anni se si tratta di delitto, e con la multa da euro 51 a euro 1.032 se si tratta di contravvenzione [c.p. 29, 32, 39] (2) (3).

Si applicano le disposizioni del primo e dell'ultimo capoverso dell'articolo precedente (4).

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(1)   Vedi l'art. 2, comma primo, L. 18 febbraio 1987, n. 34, sulla dissociazione dal terrorismo. Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall'art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228). Vedi, anche, l'art. 1, quarto comma, D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, in L. 15 marzo 1991, n. 82, in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e protezione di coloro che collaborano con la giustizia. Per i casi di non punibilità di coloro che hanno commesso, per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, uno o più reati previsti in questo articolo, se forniscono completa informazione sul favoreggiamento commesso, vedi l'art. 1, L. 29 maggio 1982, n. 304, sull'ordinamento costituzionale il cui comma terzo, lett. a), esclude la non punibilità per le ipotesi di importazione, esportazione, rapina e furto di armi, munizioni od esplosivi. La decadenza da questi benefici in caso di false o reticenti dichiarazioni è regolato dall'art. 10 della stessa legge, il cui art. 12 limita l'applicazione del provvedimento solo ai reati che siano stati commessi o la cui permanenza sia iniziata entro il 31 gennaio 1982, purché i comportamenti cui è condizionata la loro applicazione vengano tenuti entro centoventi giorni dall'entrata in vigore della legge (3 giugno 1982), termine differito di ulteriori centoventi giorni, con l'art. 1, del D.L. 1 ottobre 1982, n. 695, convertito nella L. 29 novembre 1982, n. 882.

(2)   Comma così modificato dall'art. 25, L. 19 marzo 1990, n. 55, in tema di criminalità mafiosa.

(3)   La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell'art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

(4)   Comma così sostituito dall'art. 3, L. 13 settembre 1982, n. 646, sulle misure di prevenzione a carattere patrimoniale.

 

379-bis. Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso, è punito con la reclusione fino a un anno. La stessa pena si applica alla persona che, dopo avere rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell'articolo 391-quinquies del codice di procedura penale (1).

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(1)     Articolo aggiunto dall'art. 21, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2).

 

380. Patrocinio o consulenza infedele.

Il patrocinatore [c.p.c. 82; c.p.p. 96] o il consulente tecnico [c.p.c. 61, 201; c.p.p. 225], che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'autorità giudiziaria, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a euro 516 [c.p. 29] (1).

La pena è aumentata [c.p. 64]:

1. se il colpevole ha commesso il fatto, colludendo con la parte avversaria;

2. se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.

Si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a euro 1.032 (2), se il fatto è commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina la pena di morte (3) o l'ergastolo ovvero la reclusione superiore a cinque anni.

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(1)   La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell'art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

(2)   La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell'art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

(3)     La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall'art. 1, D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1944, n. 224, che ad essa ha sostituito la pena dell'ergastolo.

 

381. Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico.

Il patrocinatore [c.p.c. 82; c.p.p. 96] o il consulente tecnico [c.p.c. 61, 201; c.p.p. 225], che, in un procedimento dinanzi all'autorità giudiziaria, presta contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patrocinio o la sua consulenza a favore di parti contrarie, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 103 [c.p. 29, 31, 383] (1).

La pena è della reclusione fino a un anno e della multa da euro 51 a euro 516 (2), se il patrocinatore o il consulente, dopo aver difeso, assistito o rappresentato una parte, assume, senza il consenso di questa, nello stesso procedimento, il patrocinio o la consulenza della parte avversaria.

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(1)     La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell'art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

(2)   La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell'art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

 

382. Millantato credito del patrocinatore. (1)

Il patrocinatore [c.p.c. 82; c.p.p. 96], che, millantando credito [c.p. 346] presso il giudice o il pubblico ministero che deve concludere, ovvero presso il testimone [c.p.c. 244], il perito [c.p.c. 61; c.p.p. 220] o l'interprete [c.p.c. 122; c.p.p. 143], riceve o fa dare o promettere dal suo cliente, a sé o ad un terzo, denaro o altra utilità, col pretesto di doversi procurare il favore del giudice o del pubblico ministero, o del testimone, perito o interprete, ovvero di doverli remunerare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa non inferiore a euro 1.032 [c.p. 29, 31, 32] (2).

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(1)   Vedi l'art. 42, R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, sulla professione di avvocato e procuratore.

(2)   La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell'art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

 

383. Interdizione dai pubblici uffici.

La condanna per i delitti preveduti dagli articoli 380, 381, prima parte, e 382 importa l'interdizione dai pubblici uffici [c.p. 28, 31, 37].

 

384. Casi di non punibilità.

Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371-bis, 371-ter, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore (1).

Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione (2) (3).

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(1      Comma così modificato dall'art. 22, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2). La Corte costituzionale, con sentenza 24-28 giugno 2004, n. 200 (Gazz. Uff. 7 luglio 2004, n. 26 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente comma, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost.; la stessa Corte, con sentenza 4-8 maggio 2009, n. 140 (Gazz. Uff. 13 maggio 2009, n. 19 - Prima serie speciale) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente comma, in riferimento agli articoli 2, 3 e 29 Cost. Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla citata legge n. 397 del 2000 era il seguente: «Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371-bis, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore». Di tale formulazione la Corte costituzionale, con sentenza 11-18 gennaio 1996, n. 8 (Gazz. Uff. 24 gennaio 1996, n. 4 - Prima serie speciale), ha dichiarato: a) inammissibile la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 384, primo comma, 378 e 307, quarto comma, del codice penale, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost.; b) non fondata la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 384, primo comma, 378 e 307, quarto comma, del codice penale, in riferimento all'art. 29 Cost.

(2)   La Corte costituzionale, con sentenza 11-20 marzo 2009, n. 75 (Gazz. Uff. 25 marzo 2009, n. 12 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui non prevede l'esclusione della punibilità per false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi non avrebbe potuto essere obbligato a renderle o comunque a rispondere in quanto persona indagata per reato probatoriamente collegato – a norma del comma 2, lettera b), dell'art. 371, codice di procedura penale – a quello, commesso da altri, cui le dichiarazioni stesse si riferiscono.

(3)   Articolo così sostituito dall'art. 11, comma settimo, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa. Successivamente il secondo comma è stato così modificato dall'art. 22, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2) e dall'art. 21, L. 1 marzo 2001, n. 63. Il testo in vigore prima di quest'ultima modifica era il seguente: «Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione». Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla legge n. 397 del 2000 era il seguente: «Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione». In relazione alla suddetta formulazione la Corte costituzionale, con sentenza 12-27 dicembre 1996, n. 416 (Gazz. Uff. 3 gennaio 1997, n. 1 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità, nella parte in cui non prevede l'esclusione della punibilità per false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal renderle, a norma dell'art. 199 del codice di procedura penale. L'art. 26 della suddetta legge n. 63 del 2001 ha così disposto:
«Art. 26 .
1. Nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano le disposizioni degli articoli precedenti salvo quanto stabilito nei commi da 2 a 5.
2. Se il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero provvede a rinnovare l'esame dei soggetti indicati negli articoli 64 e 197-bis del codice di procedura penale, come rispettivamente modificato e introdotto dalla presente legge, secondo le forme ivi previste.
3. Le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare, se già acquisite al fascicolo per il dibattimento, sono valutate a norma dei commi 3, 4, 5 e 6 del previgente articolo 500 del codice di procedura penale.
4. Quando le dichiarazioni di cui al comma 3 sono state rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del difensore, si applica la disposizione del comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000, n. 35, soltanto se esse siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio 2000. Se sono state acquisite successivamente, si applica il comma 1-bis dell'articolo 526 del codice di procedura penale, come introdotto dall'articolo 19 della presente legge.
5. Alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento, e già valutate ai fini delle decisioni, si applicano nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione le disposizioni vigenti in materia di valutazione della prova al momento delle decisioni stesse.».

 

384-bis. Punibilità dei fatti commessi in collegamento audiovisivo nel corso di una rogatoria dall'estero.

I delitti di cui agli articoli 366, 367, 368, 369, 371-bis, 372 e 373, commessi in occasione di un collegamento audiovisivo nel corso di una rogatoria all'estero, si considerano commessi nel territorio dello Stato e sono puniti secondo la legge italiana (1).

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(1)   Articolo aggiunto dall'art. 17, L. 5 ottobre 2001, n. 367.

 


Risorse web

 


Guardia di finanza

Lotta alla contraffazione

http://www.gdf.it/organizzazione/chi_siamo/i_compiti_del_corpo/lotta_alla_contraffazione/index.html

Studio sulla contraffazione

http://www.gdf.it/Editoria/Studi_e_ricerche/Studio_sulla_contraffazione/index.html

Agenzia delle dogane

Progetto F.A.L.S.T.A.F.F.: i nuovi strumenti doganali per la lotta alla contraffazione.

http://www.agenziadogane.it/wps/wcm/connect/ed/Servizi/F.A.L.S.T.A.F.F./

Risultati 2007 in materia di lotta alla contraffazione

http://www.agenziadogane.it/wps/wcm/connect/ed/Agenzia/40+anni+Unione+Doganale+Europea/Risultati+2007+consumatore/

Commissione UE

Lotta alla contraffazione, dati statistici 2008 (Comunicato stampa)

http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/09/1106&format=HTML&aged=0&language=FR&guiLanguage=en

 


 



[1]    L. 3 agosto 2007, n. 124, Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto.

[2]    La norma richiamata prevede che il giudice possa ordinare l’accompagnamento coattivo del testimone, del perito, del consulente tecnico, dell’interprete o del custode di cose sequestrate, quando questi, regolarmente convocati o citati, omettano senza un legittimo impedimento di comparire nel luogo, giorno e ora stabiliti. In tal caso, il giudice può altresì condannarli, con ordinanza, al pagamento di una ammenda da euro 51 a euro 516, nonché al pagamento delle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa.

[3]    Articolo 4, commi da 49 a 84.

[4]    Come modificato prima dal comma 9 dell'art. 1, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, poi dall'art. 2-ter, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, poi ancora dal comma 941 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006), quindi infine dal comma 4 dell’articolo 17 della L. 99/2009.

[5]    Va ricordato che l’art. 517 c.p., come recentemente novellato dalla legge n. 99 del 2009 (Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), prevede che chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è previsto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a 2 anni e con la multa fino a 20.000 euro.

[6]    Il decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee è stato convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 20 novembre 2009, n. 166.

[7]    L. 23 luglio 2009, n. 99, Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia.

[8]     Sulla sussistenza del concorso, dopo più di un contrasto giurisprudenziale, è intervenuta la Cassazione penale, Sezioni unite, con la sentenza 7 giugno 2001, n. 23427.

[9][9]    In base all’art. 517-bis c.p., le pene stabilite dall’art. 517 sono aumentate se i fatti previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di origine o geografica o le cui specificità sono protette dalle norme vigenti. Negli stessi casi, il giudice, nel pronunciare condanna, può disporre, se il fatto è di particolare gravità o in caso di recidiva specifica, la chiusura dello stabilimento o dell'esercizio in cui il fatto è stato commesso da un minimo di cinque giorni ad un massimo di tre mesi, ovvero la revoca della licenza, dell'autorizzazione o dell'analogo provvedimento amministrativo che consente lo svolgimento dell'attività commerciale nello stabilimento o nell'esercizio stesso.

 

[10]    Sanzione più grave, fino a 800 quote, è invece stabilita per i delitti di cui agli artt. 513-bis (illecita concorrenza con minaccia o violenza) e 514 (frodi contro le industrie nazionali).

[11]    Ovvero: l'interdizione dall'esercizio dell'attività; la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

[12]   Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo dell’11 settembre 2009, Migliorare la tutela dei diritti di proprietà intellettuale nel mercato interno, COM(2009) 467.

[13]   OCSE (2006), The Economic Impact of Counterfeiting and Piracy, http://www.oecd.org/sti/counterfeiting .

[14]   Relazione sull’azione delle dogane UE per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, risultati alle frontiere dell’UE – 2008; http://ec.europa.eu/taxation_customs/ .

[15]   Risoluzione del Consiglio del 25.9.2008 (GU C 253 del 4.10.2008, pag. 1), punto 15.

[16]   L. 3 agosto 2007, n. 124, Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto.

[17]    Si tratta in particolare dei seguenti reati: rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366); simulazione di reato (art. 367); calunnia (art. 368); autocalunnia (art. 369); simulazione o calunnia per un fatto costituente contravvenzione (art. 370); falso giuramento della parte (art. 371); false informazioni al pubblico ministero (art. 371-bis); false dichiarazioni al difensore (art. 371-ter); falsa testimonianza (art. 372); falsa perizia o interpretazione (art. 373); frode processuale (art. 374); false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria (art. 374-bis); circostanze aggravanti (art. 375); ritrattazione (art. 376); intralcio alla giustizia (art. 377); induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (art. 377-bis); favoreggiamento personale (art. 378); favoreggiamento reale (art. 379); rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale (art. 379-bis); patrocinio o consulenza infedele (art. 380); altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico (art. 381); millantato credito del patrocinatore (art. 382); interdizione dai pubblici uffici (art. 383); casi di non punibilità (art. 384); punibilità dei fatti commessi in collegamento audiovisivo nel corso di una rogatoria all’estero (art. 384-bis).

[18]Secondo la dichiarazione della Commissione 2005/295/CE - da applicare alla proposta in questione - la definizione di diritti di proprietà intellettuale comprende almeno i seguenti diritti: diritto d'autore, diritti connessi al diritto di autore, diritto sui generis del costitutore di una banca di dati, diritti dei creatori di topografie di prodotti a semiconduttori, diritti relativi ai marchi, diritti relativi ai disegni e modelli, diritti brevettuali, compresi i diritti derivanti da certificati protettivi complementari, indicazioni geografiche, diritti relativi ai modelli di utilità, diritti di privativa per ritrovati vegetali, nomi commerciali, se protetti da diritti di privativa nella legislazione nazionale.