ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00075

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 192 del 19/06/2019
Abbinamenti
Atto 6/00076 abbinato in data 19/06/2019
Atto 6/00077 abbinato in data 19/06/2019
Atto 6/00078 abbinato in data 19/06/2019
Atto 6/00079 abbinato in data 19/06/2019
Firmatari
Primo firmatario: FORNARO FEDERICO
Gruppo: LIBERI E UGUALI
Data firma: 19/06/2019


Stato iter:
19/06/2019
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO GOVERNO 19/06/2019
Resoconto CONTE GIUSEPPE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 19/06/2019
Resoconto TABACCI BRUNO MISTO-+EUROPA-CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto COLUCCI ALESSANDRO MISTO-NOI CON L'ITALIA-USEI
Resoconto FORNARO FEDERICO LIBERI E UGUALI
Resoconto LOLLOBRIGIDA FRANCESCO FRATELLI D'ITALIA
Resoconto BERGAMINI DEBORAH FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto BOCCIA FRANCESCO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto DI MURO FLAVIO LEGA - SALVINI PREMIER
Resoconto SCERRA FILIPPO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto FATUZZO CARLO FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
 
PARERE GOVERNO 19/06/2019
Resoconto CONTE GIUSEPPE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 19/06/2019

DISCUSSIONE IL 19/06/2019

NON ACCOLTO IL 19/06/2019

PARERE GOVERNO IL 19/06/2019

RESPINTO IL 19/06/2019

CONCLUSO IL 19/06/2019

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00075
presentato da
FORNARO Federico
testo di
Mercoledì 19 giugno 2019, seduta n. 192

   La Camera,
   sentite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in merito alla riunione del Consiglio europeo del 20 e 21 giugno;
   premesso che:
    all'ordine del giorno del Consiglio europeo sono previsti i seguenti argomenti:
    prossimo ciclo istituzionale;
    quadro finanziario pluriennale;
    cambiamenti climatici;
    i leader dell'Unione europea dibatteranno inoltre delle raccomandazioni specifiche per Paese e prenderanno atto della relazione in merito alla disinformazione e le elezioni redatta dalla presidenza in cooperazione con la Commissione e l'Alto Rappresentante;
    risulta evidente che la riunione del Consiglio europeo è il momento finale di un processo politico nel quale pochi margini avanzano per discutere o rimettere in discussione quanto è stato già deciso oppure non accettato;
    non ha un'utilità concreta, quindi, affidare indirizzi su specifici argomenti a risoluzioni approvate dal Parlamento nell'imminenza del Consiglio europeo. Tali indirizzi e orientamenti del Parlamento andrebbero manifestate e approvate in un momento precedente, quando ancora sia possibile vincolare o indirizzare le scelte del Governo in ambito europeo;
    il 9 maggio 2019 i leader dell'Unione europea riuniti a Sibiu (Romania) per discutere della prossima Agenda strategica dell'Unione europea per il periodo 2019-2024, hanno adottato la dichiarazione di Sibiu;
    il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha presentato al vertice informale di Sibiu uno schema per l'Agenda strategica dell'Unione europea per il periodo 2019-2024, che dovrebbe essere approvata dal Consiglio europeo del 20 e 21 giugno 2019, articolato in quattro tematiche principali:
    proteggere i cittadini e le libertà;
    sviluppare la base economica: il modello europeo per il futuro;
    costruire un futuro più verde più equo più inclusivo;
    promuovere i valori e gli interessi dell'Europa nel mondo;
   osservato che:
    l'evidenza crescente dei cambiamenti climatici pone minacce senza precedenti per la biosfera, la disponibilità e l'approvvigionamento di alimenti e di acqua, le condizioni di vita e lo sviluppo economico. Le conseguenze a breve termine possono destabilizzare la comunità internazionale e costituire il movente per la crescita esponenziale dei flussi migratori, nonché contribuire ad alimentare tensioni o conflitti che già si manifestano con evidenza sullo scenario internazionale;
    oltre all'aumento medio globale della temperatura dell'atmosfera desta particolare preoccupazione per il nostro Paese il trend osservato nell'area mediterranea, con un incremento superiore a quello globale, ed un'anomalia registrata nel 2018 dal Consiglio nazionale delle ricerche pari a 1,58 gradi centigradi al di sopra della media storica, un evidente incremento dei fenomeni meteorologici estremi, dei fenomeni di desertificazione e dei disastri naturali, con costi crescenti per la comunità nazionale;
    l'accordo di Parigi sul clima, raggiunto il 12 dicembre 2015 da 195 Paesi nell'ambito della Cop 21 ed entrato in vigore il 4 novembre 2016, definisce l'obiettivo da raggiungere nel contenere l'aumento della temperatura media globale entro un grado e mezzo rispetto al livello precedente alla rivoluzione industriale, nonché garantire un processo di monitoraggio e revisione periodica degli obiettivi necessario a indirizzare i singoli contributi nazionali verso l'obiettivo condiviso;
    il procedimento attuativo dell'accordo di Parigi ha evidenziato ritardi ed esplicite resistenze di alcuni dei principali Paesi responsabili delle emissioni climalteranti e la più recente Conferenza sul clima (COP24) tenutasi a Katowice nel dicembre 2018 ha purtroppo confermato la scarsa efficacia ad oggi degli impegni assunti, in un contesto normativo non sufficiente vincolante rispetto alla gravità dell'evoluzione climatica in corso;
    attraverso il suo quadro 2030 per il clima e l'energia, l'Unione europea si è impegnata a conseguire entro il 2030 l'obiettivo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra almeno del 40 per cento al di sotto dei livelli del 1990, migliorare l'efficienza energetica del 27 per cento (obiettivo indicativo da rivedere nel 2020), e aumentare la quota di consumo finale di energia proveniente da fonti rinnovabili del 27 per cento;
    il Parlamento europeo, con una specifica risoluzione legislativa, ha indicato in proposito obiettivi per il 2030 più ambiziosi, con una quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale di energia pari al 30 per cento e un aumento del 40 per cento dell'efficienza energetica;
    l'Italia deve rendersi protagonista di una efficace iniziativa in sede europea finalizzata ad accelerare la transizione energetica e il graduale superamento dei combustibili fossili, con l'obiettivo di adeguare la risposta della comunità internazionale al drammatico livello di rischio che la comunità scientifica, ormai in maniera unanime, ha evidenziato nella progressione del riscaldamento climatico con i ritmi attuali. Sinora, nonostante negli scorsi anni una parte della maggioranza di Governo abbia richiesto a gran voce un cambiamento incisivo nelle politiche ambientali del nostro Paese, l'atteggiamento di massima è risultato piuttosto timido, contraddittorio e, in alcuni casi, del tutto insoddisfacente;
    il movimento internazionale dei giovani, che nella giornata del 15 marzo scorso ha dato vita allo sciopero per il clima « Climate strike», costituisce un elemento di rinnovata attenzione verso la questione chiave del cambiamento climatico, in grado finalmente di smuovere le coscienze, a partire da quella generazione che rischia di scontare conseguenze irrimediabili per il proprio futuro;
    il Parlamento della Gran Bretagna, nella seduta del 1o maggio scorso, ha ritenuto di dare una risposta di eccezionale rilievo alle sollecitazioni che provengono dall'opinione pubblica, con l'approvazione di una mozione che dichiara lo stato di emergenza climatica ed ambientale del Regno Unito, ed afferma che «il riconoscimento del devastante impatto che un clima reso variabile ed estremo potrebbe avere sulla società, deve impegnare il governo ad accrescere l'ambizione degli obiettivi per raggiungere zero emissioni prima del 2050»;
    risulta ormai evidente che il raggiungimento di tali obiettivi richiede una profonda conversione ecologica dell'economia, leva indispensabile per promuovere il cambiamento, a partire da un radicale mutamento negli usi dell'energia e da un « Green New Deal» in grado di coniugare traguardi di ecosviluppo e di giustizia sociale, non pregiudicando i cicli naturali di cui l'essere umano è parte integrante,
    il Consiglio europeo, nel contesto del semestre europeo, discuterà anche delle raccomandazioni specifiche per paese;
    la Commissione europea ha pubblicato il 27 febbraio scorso il winter package (pacchetto d'inverno) del Semestre europeo concernente l'analisi della situazione economica e sociale negli Stati membri. Quanto ai principali contenuti, le Relazioni evidenziano che l'Italia rientra tra i paesi che presentano «squilibri eccessivi» (insieme a Cipro e alla Grecia). L'attuale fase di prospettico deterioramento del quadro macroeconomico internazionale e la strutturale debolezza dell'economia italiana richiederebbero l'implementazione di coraggiose politiche atte a contrastare la fase depressiva del ciclo e, contestualmente, a sostenere la produttività e la crescita potenziale. I tassi di disoccupazione rimangono superiori alla media UE, e desta preoccupazione la dinamica delle assunzioni guidate principalmente da contratti a tempo determinato con una durata mediana inferiore a 12 mesi;
    il 29 maggio scorso, nell'ambito della sorveglianza delle politiche di bilancio prevista dal Semestre europeo, la Commissione europea ha inviato al Ministro dell'economia e delle finanze italiano una lettera in cui evidenzia che l'Italia non ha compiuto progressi sufficienti nell'ottemperare alla regola del debito per il 2018;
    il 5 giugno scorso, sulla base dei Programmi di Stabilità o di Convergenza e dei Programmi Nazionali di Riforma, la Commissione europea ha adottato, nell'ambito del «pacchetto di primavera» del Semestre europeo, le proposte di raccomandazioni di politica economica specifiche per 27 Stati membri per i prossimi 12-18 mesi che verranno adottate nel mese di luglio dal Consiglio. Nel testo approvato dalla Commissione UE vengono indirizzate all'Italia cinque raccomandazioni riguardanti: gli aggiustamenti di bilancio, la fiscalità e l'economia sommersa (I); intensificazione degli sforzi volti a combattere il lavoro sommerso (II); focalizzazione degli interventi di politica economica connessi agli investimenti in materia di ricerca, innovazione e la qualità delle infrastrutture, tenendo conto delle disparità regionali (III); durata dei processi e misure anticorruzione (IV); crediti deteriorati, settore bancario e accesso delle imprese alle fonti di finanziamento (V);
    secondo la Commissione UE, nel 2019 l'Italia si conferma fanalino di coda con il suo Pil a 0,1 per cento, seguita dalla Germania (0,5 per cento) mentre la media UE, è prevista all'1,2 per cento. È anche l'unico Paese Ue dove gli investimenti sono negativi: –0,3 per cento sull'anno precedente. Anche l'occupazione è negativa nel 2019 (-0,1 per cento), unico segno meno in Ue. Dunque le politiche di rilancio della domanda interna (reddito di cittadinanza e quota 100) hanno avuto un impatto molto limitato;
    nel 2019, il prodotto interno lordo dell'Italia calcolato a prezzi costanti sarà ancora inferiore di ben 54,2 miliardi di euro rispetto a quello del 2008: 1.615 miliardi rispetto ai 1.669 miliardi di allora. Sommando algebricamente le variazioni positive e negative delle variazioni annuali del PIL, il totale reca il segno negativo: –3,2 per cento. Nel confronto, la Francia ha aumentato il PIL del 12 per cento, la Germania del 16 per cento e la Spagna del 9,6 per cento. C’è dunque un problema, per noi, di crescita negativa;
    secondo la Commissione europea, mentre l'Italia rispetta attualmente il criterio del disavanzo (ma non per il 2020, a politiche invariate), non ha, invece, rispettato il parametro di riduzione del debito nel 2018 (registrandosi uno scostamento del 7,6 per cento del PIL) né lo rispetterebbe, sulla base sia dei piani del Governo italiano sia delle previsioni della Commissione stessa, nel 2019 (con uno scostamento pari al 5,1 per cento del PIL nelle previsioni del Governo e del 9 per cento nelle previsioni della Commissione) e nel 2020 (con uno scostamento rispettivamente del 4,5 per cento e del 9,2 per cento del PIL);
    la relazione conclude che la regola del debito, come definita nel Trattato e nel regolamento (CE) n. 1467/1997, debba considerarsi come non rispettata e che, pertanto, una procedura per i disavanzi eccessivi basata sul debito sia giustificata;
    il nuovo quadro di riforma della governance economica dell'Unione europea, adottato nel novembre 2011 mediante il c.d. six pack, e richiamato nel Fiscal compact, rafforza il controllo della disciplina di bilancio attraverso l'introduzione di una regola numerica che specifica il ritmo di avvicinamento del debito al valore soglia del 60 per cento del PIL. La regola stabilisce che, per la quota del rapporto debito/PIL in eccesso rispetto al livello del 60 per cento, il tasso di riduzione debba essere pari a 1/20 all'anno nella media dei tre precedenti esercizi (versione backward-looking della regola sul debito);
    una regola assurda e irrealizzabile, non solo per l'Italia, secondo la quale sostanzialmente il debito pubblico andrebbe abbattuto ogni anno mediamente in ragione di un ventesimo della differenza tra il valore attuale del debito e l'obiettivo del 60 per cento del Pil. Un obiettivo che non ha oltretutto alcun fondamento scientifico. Abbattere a quel ritmo il debito al 60 per cento del Pil significherebbe per l'Italia sperimentare almeno due decenni di politiche di lacrime e sangue, che produrrebbero la desertificazione economica e sociale del Paese;
    gli ultimi Governi italiani – incluso quello attuale – hanno impostato una battaglia di interesse solo italiano al fine di ottenere un po’ più di flessibilità sul disavanzo, di fatto sul disavanzo corrente: si chiede di far crescere il disavanzo per finanziare in debito non già investimenti pubblici, generatori di crescita, ma maggiori spese correnti. Il nostro Governo dovrebbe viceversa battersi insieme ad altri sia per attivare pienamente la procedura relativa agli squilibri macroeconomici di cui è responsabile la Germania, che per ottenere uno spazio maggiore per gli investimenti pubblici nel patto di stabilità;
    secondo l'Esecutivo, allo stato attuale delle conoscenze, si può ritenere che l'indebitamento netto (deficit) della Pubblica amministrazione nel 2019 sarà sensibilmente inferiore alla previsione della Commissione, la quale pone il deficit di quest'anno al 2,5 per cento del PIL, contro il 2,4 previsto dal Governo nel DEF;
    partendo dalla previsione del DEF (che incorpora il blocco di 2 miliardi di spesa pubblica, previsto nel caso in cui il deficit nominale superi il 2 per cento del PIL), vanno calcolati le maggiori entrate tributarie e contributive (0,17 per cento Pil), maggiori entrate non tributarie (utili e dividendi) per ulteriori 0,13 punti, e gli effetti delle minori spese derivanti da accantonamenti prudenziali riguardanti le più cospicue misure adottate dal Governo nel corso dell'anno. Complessivamente l'indebitamento netto si attesterebbe al 2,1 per cento del PIL. Migliorerebbe in misura corrispondente il saldo strutturale, con effetto compensativo ancora più marcato rispetto al gap registrato nel 2018;
    lo scenario programmatico di finanza pubblica per i prossimi tre anni descritto nel Programma di Stabilità e approvato dal Parlamento traccia una discesa dell'indebitamento netto fino all'1,5 per cento del PIL nel 2022, con un miglioramento complessivo del saldo strutturale di quasi 0,8 punti percentuali. L'avanzo primario raggiungerebbe il 3,1 per cento su base strutturale nel 2022. Per il 2020, il Governo intende conseguire un miglioramento di 0,2 punti percentuali nel saldo strutturale di bilancio. In base alle ultime previsioni ufficiali, il disavanzo nominale scenderà di 0,3 punti percentuali in confronto al 2019;
    dalla firma del Trattato di Maastricht del 1992, l'Italia ha accumulato avanzi primari per 676 miliardi di euro. Ciò significa che le entrate fiscali sono state superiori alle spese, ma il sacrificio non è bastato, perché gli avanzi sono stati bruciati dalla spesa per interessi sul debito pubblico, che nello stesso periodo è stata di 1.924 miliardi. Il punto è che occorre intervenire soprattutto sul denominatore, sulla crescita. Le politiche austeritarie sono senza via d'uscita;
    la politica del rigore fiscale non ha portato ad alcun risultato positivo in termini di risanamento finanziario, ma ha provocato guasti profondi all'economia reale. E l'intero sistema economico italiano si è piantato, dopo le crisi bancarie. Come se non bastassero gli effetti costrittivi dell'avanzo primario, anche il credito all'economia è crollato: gli impieghi a favore del settore privato, famiglie ed imprese, sono passati dai 1691 miliardi del 2011 ai 1435 miliardi di aprile scorso: sono 256 miliardi in meno. Una enormità, visto l'effetto demoltiplicatore;
    esiste una crescente consapevolezza nel nostro continente che il quadro attuale delle regole macroeconomiche produce squilibri crescenti tra centri e periferie. La Commissione Europea insiste nell'indicare una strada errata all'Italia e all'Europa, al termine della quale rischia di esservi l'implosione dell'eurozona;
    il Governo italiano dovrebbe provare a raccogliere consenso intorno a una serie di temi di grande rilievo: la proposta che gli investimenti vadano scorporati dal calcolo dei vincoli europei; la possibilità che l'introduzione di eurobond possa essere funzionale agli investimenti nelle regioni in ritardo di sviluppo o colpite da shock negativi; la possibilità che la Banca Centrale Europea possa dichiararsi disponibile a intervenire in caso di crisi del debito sovrano, riscoprendo la sua funzione di prestatore di ultima istanza;
    le risposte per ora pervenute dal Governo sono confuse e basate su una previsione di maggiori entrate contributive e risparmi rispetto alle misure del Reddito di cittadinanza e di Quota 100, ma si tratta di previsioni aleatorie che alimentano ulteriore caos e incertezza ed espone il Paese ad una crisi di credibilità che vediamo già riverberarsi nelle tensioni sullo spread;
    il Paese ha bisogno di tutto meno che di una nuova guerra contro l'Europa a soli fini di propaganda elettorale. Restiamo, dunque, favorevoli a un confronto serrato, se necessario, sulla dannosità delle politiche di austerity imposte dal pensiero neoliberista in questi anni e di regole attente solo ai parametri del debito e non, ad esempio, ai tassi di disoccupazione;
    l'obiettivo comune e condiviso di Unione europea e Italia dovrebbe essere più crescita, accompagnata da più occupazione e meno diseguaglianza. La crescita, meglio se attraverso le misure delineate dalla proposta di un Green New Deal, e non l'austerità può abbattere il debito;
    l'Italia è un grande Paese e può farcela anche da sola a condizione che con l'Europa si imposti un rapporto di reciproco rispetto e non una guerra mediatica costante e quotidiana. Una campagna elettorale infinita, dentro e fuori il Governo, non solo non ha aiutato, ma ha fortemente danneggiato l'immagine e la credibilità dell'Italia nei confronti dei mercati;
    il Consiglio europeo del 21 e 22 marzo ha auspicato un rafforzamento degli sforzi coordinati per affrontare gli aspetti interni ed esterni della disinformazione, per proteggere le elezioni nazionali ed europee in tutto il territorio dell'Unione, e ha altresì invitato con urgenza gli operatori privati – piattaforme online e social network sopra tutti – a dare piena attuazione al Codice di Condotta dell'Unione europea e ad assicurare standard più elevati di responsabilità e trasparenza;
    in data 17 maggio 2019 la Commissione europea ha pubblicato le relazioni e le analisi dei progressi compiuti nell'aprile 2019 da Facebook, Google e Twitter nella lotta contro la disinformazione. Le tre piattaforme online sono firmatarie del codice di buone pratiche contro la disinformazione e si sono impegnate a riferire mensilmente sulle azioni già realizzate in vista delle elezioni del Parlamento europeo del maggio 2019,

impegna il Governo:

   1) sul rapporto tra Presidenza dei Consiglio dei ministri e il Parlamento in merito alle riunioni del Consiglio europeo:
    a svolgere le comunicazioni del Presidente del Consiglio in Parlamento almeno due o tre settimane prima della data di convocazione di ogni Consiglio europeo;
   2) per quanto concerne il prossimo ciclo istituzionale:
    a) a svolgere un ruolo forte e deciso di indirizzo verso gli altri componenti del Consiglio dell'Unione Europea affinché la scelta dei Presidente della Commissione europea sia fatta nel rispetto del Parlamento europeo e degli elettori europei e non si discosti dalle indicazioni fornite in occasione delle recentissime consultazioni elettorali, e che la scelta del nuovo Presidente della BCE esprima la volontà di dare continuità alle politiche monetarie espansive fin qui seguite dalla Banca Centrale;
    b) a lavorare per porre le basi di un percorso che porti sempre più verso politiche di condivisione del debito, di emissione di titoli comuni e di co-decisione effettiva delle politiche europee tra Consiglio dell'Unione e Parlamento europeo;
    c) ad operare affinché il bilancio comunitario possa aumentare al fine di sostenere concrete politiche a favore dell'occupazione e del lavoro, a favore di una politica economica europea coerente con lo sviluppo dell'area euro, che definisca le politiche tese, anche attraverso l'emissione di euro bond, ad aumentare la domanda e, in particolare, gli investimenti in settori strategici in grado di creare occupazione, sviluppo sostenibile e coesione sociale;
   3) in materia di regole di bilancio europee:
    a) a sostenere con forza l'aggiornamento delle regole che disciplinano l'Unione economica e monetaria (UEM) per sanzionare e attivare pienamente la procedura relativa agli squilibri macroeconomici ad iniziare dai surplus commerciali, per ottenere uno spazio maggiore per gli investimenti pubblici nel patto di stabilità, nonché per rafforzare l'efficacia e la capacità di perseguire obiettivi comuni a partire dell'incremento dell'occupazione, al fine di superare le notevoli diseguaglianze territoriali economiche e sociali, determinate dalla, sin qui, colpevole trascuratezza del necessario ripensamento del funzionamento dell'UEM;
    b) a sostenere in sede europea l'opposizione all'incorporazione definitiva del Fiscal compact nell'ordinamento giuridico europeo ed il contestuale avvio di un suo superamento ad iniziare dall'introduzione di una golden rule ovvero la possibilità di ricorrere all'indebitamento per finanziare spese di investimento nazionali, spese per ricerca, sviluppo e innovazione, ad esclusione di quelle militari;
    c) ad adottare iniziative per soprassedere in questa fase all'istituzione di un Ministero del Tesoro unico dell'Eurozona nei termini proposti dalla Commissione e rifiutare la trasformazione del meccanismo europeo di stabilità in Fondo monetario europeo dotato dei poteri di sorveglianza dei bilanci nazionali e dei connessi automatismi per la ristrutturazione dei debiti sovrani;
    d) ad adottare iniziative volte all'introduzione tra gli indicatori utilizzati, ai fini della verifica del rispetto delle regole europee, anche del criterio del saldo commerciale, puntando alla riduzione almeno al 3 per cento del limite massimo per il saldo positivo e negativo di bilancia commerciale di ciascun Paese membro e la contestuale predisposizione di un apparato sanzionatorio analogo a quello già previsto in caso di mancato rispetto per i deficit di bilancio eccessivi e dei vigenti parametri di natura fiscale;
    e) a proporre la ridefinizione del ruolo della Banca centrale europea come prestatrice di ultima istanza;
    f) a proporre una soluzione condivisa per la gestione dei titoli di Stato comprati dalle banche centrali nazionali nell'ambito del QE in una prospettiva di stabilizzazione dei debiti pubblici;
    g) a proporre l'emissione di titoli di debito europei garantiti mutualmente da tutti gli Stati membri ovvero l'introduzione di nuovi strumenti finanziari per l'emissione di titoli garantiti da obbligazioni sovrane (sovereign bond-backed securities);
    h) a promuovere l'adozione di nuove direttive per il raccordo delle normative fiscali nazionali, soprattutto per quanto riguarda l'IVA, al fine di recuperare il gap di evasione attuale, altissimo per l'Italia, pari a oltre 35 miliardi e per scongiurare i meccanismi di elusione;
    i) a sostenere l'armonizzazione delle regole fiscali tra i vari paesi UE, in particolare per quanto concerne la tassazione delle società, e l'abolizione dei paradisi fiscali UE, tra i quali l'Olanda, Lussemburgo, Irlanda, Malta e Cipro, che hanno stretto accordi riservati con le multinazionali, facendo perdere a Italia, Francia, Spagna e Germania, secondo i calcoli di Oxfam, un gettito fiscale pari nel 2015 a circa 35 miliardi di euro;
    l) a proporre che l'Eurozona si doti di un piano di investimenti pubblici mirato a interventi medio-piccoli, attivabili rapidamente e modulabili in modo coerente con le esigenze del ciclo economico, come progetti di riqualificazione e ripristino del territorio, delle periferie urbane, della sostituzione di edifici sismicamente insicuri ed energivori con edifici sicuri e «verdi»;
    m) a proseguire con forza, in sede europea, l'azione in corsa per l'adozione di nuove forme di tassazione dell'industria digitale a livello europeo e a sostenere l'introduzione di una vera ed incisiva «Tobin tax» che assicuri un gettito rilevante e limiti in modo drastico le speculazioni finanziarie, di una Web tax, anche dopo la bocciatura della proposta avanzata dalla Commissione in seno all'Ecofin, e di un'imposta unica a livello europeo sul reddito delle imprese, in modo da evitare che alcuni Paesi si comportino come paradisi fiscali interni alla Unione europea e, tramite una parte del gettito derivante delle imposte sopra citate, ad adottare iniziative per finanziare l'introduzione di un'indennità europea di disoccupazione;
    n) a rifiutare le proposte di ulteriori vincoli al possesso di titoli di Stato nei bilanci degli istituti di credito e della previsione di ulteriori incrementi dei requisiti minimi di capitale delle banche per la gestione degli NPL;
    o) a promuovere il completamento accelerato dell'Unione bancaria europea tramite, in particolare, una garanzia comune europea dei depositi bancari e l'attivazione della garanzia fiscale per il fondo di risoluzione delle banche;
    p) a sostenere l'adozione di un salario minimo europeo come richiesto da diversi leaders europei;
   4) in materia di cambiamenti climatici:
    a) a formalizzare al Consiglio europeo la richiesta di una forte accelerazione degli obiettivi concernenti la riduzione delle emissioni di gas ad affetto serra, l'incremento delle energie rinnovabili e l'aumento dell'efficienza energetica, con l'obiettivo di dimezzare le emissioni climalteranti entro il 2030 ed azzerarle entro il 2050, promuovendo un conseguente investimento crescente delle politiche europee verso un Green New Deal che deve tradursi in obiettivi coerenti di sviluppo costante dell'economia circolare;
    b) ad assumere ogni idonea iniziativa finalizzata all'introduzione in sede europea di una più efficace e stringente regolamentazione delle emissioni derivanti dall'intero parco degli autoveicoli e dal trasporto aereo, nonché procedere quanto prima all'introduzione di una normativa comune finalizzata alla totale eliminazione dei gas fluorurati (gas F) dannosi per il clima;
    c) a procedere congiuntamente con l'obiettivo di eliminare dal quadro normativo dei Paesi membri tutte le attuali sovvenzioni ai combustibili fossili, introducendo contestualmente forme di tariffazione del carbonio finalizzate all'introduzione graduale su scala europea di una carbon tax, unitamente ad una più stringente regolamentazione del sistema di scambio di quote (ETS);
    d) ad operare al fine di ottenere l'esclusione di tutti gli investimenti per i piani di mitigazione e di adattamento per il contrasto ai cambiamenti climatici dalle regole a cui devono sottostare i bilanci pubblici dell'eurozona;
    e) a farsi promotore di una iniziativa comune dei Paesi membri affinché l'Unione europea si appresti ad esercitare un ruolo trainante nell'ambito del Climate Action Summit convocato a New York dal Segretario generale dell'ONU per il prossimo 23 settembre, posto che in tale occasione i Leader saranno chiamati a presentare contributi nazionali aggiornati (INCD) e più ambiziosi entro il 2020, in linea con l'obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto Serra del 45 per cento nel prossimo decennio e di azzeramento netto delle stesse entro il 2015, ponendo la questione dei cambiamenti climatici come priorità e filo conduttore dei rapporti bilaterali e multilaterali dell'Unione;
   5) in materia di disinformazione:
    a) a garantire la trasparenza, intensificare gli sforzi per ampliare la cooperazione con i verificatori di fatti in tutti gli Stati membri, lottare contro i falsi account, avviare delle procedure per contrastare i comportamenti ingannevoli e dannosi. In particolare, è necessario che le piattaforme online attuino interamente gli impegni di più vasta portata assunti nel quadro del codice di buone pratiche, soprattutto cooperando con i media tradizionali allo sviluppo di indicatori di trasparenza e affidabilità per le fonti di informazione, in modo che gli utenti possano fruire di un'equa scelta di informazioni pertinenti e verificate.
(6-00075) «Fornaro».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

prodotto interno lordo

politica ambientale

protezione dell'ambiente