ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00071

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 166 del 18/04/2019
Abbinamenti
Atto 6/00070 abbinato in data 18/04/2019
Atto 6/00072 abbinato in data 18/04/2019
Atto 6/00073 abbinato in data 18/04/2019
Atto 6/00074 abbinato in data 18/04/2019
Firmatari
Primo firmatario: FORNARO FEDERICO
Gruppo: LIBERI E UGUALI
Data firma: 18/04/2019


Stato iter:
18/04/2019
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO GOVERNO 18/04/2019
Resoconto TRIA GIOVANNI MINISTRO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
DICHIARAZIONE VOTO 18/04/2019
Resoconto TABACCI BRUNO MISTO-+EUROPA-CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto LORENZIN BEATRICE MISTO-CIVICA POPOLARE-AP-PSI-AREA CIVICA
Resoconto GEBHARD RENATE MISTO-MINORANZE LINGUISTICHE
Resoconto LUPI MAURIZIO MISTO-NOI CON L'ITALIA-USEI
Resoconto FORNARO FEDERICO LIBERI E UGUALI
Resoconto LUCASELLI YLENJA FRATELLI D'ITALIA
Resoconto PRESTIGIACOMO STEFANIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto PADOAN PIETRO CARLO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto BORGHI CLAUDIO LEGA - SALVINI PREMIER
Resoconto SODANO MICHELE MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto SGARBI VITTORIO MISTO
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 18/04/2019

DISCUSSIONE IL 18/04/2019

DICHIARATO PRECLUSO IL 18/04/2019

CONCLUSO IL 18/04/2019

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00071
presentato da
FORNARO Federico
testo di
Giovedì 18 aprile 2019, seduta n. 166

   La Camera,
   premesso che:
    il Def approvato dal Consiglio dei ministri fotografa un'Italia in sostanziale stagnazione economica, con una crescita di pochi decimali superiore allo zero nonostante la spinta attesa da misure come il Reddito di Cittadinanza (RdC), Quota 100, il «Decreto crescita» e lo «Sblocca-cantieri». A settembre il Governo aveva previsto una crescita del Pil del 1,5 per cento; a dicembre era diventata +1 per cento; a gennaio +0,6 per cento; il DEF la fissa a +0,1 per cento (tendenziale). I numeri che compaiono nel Def certificano uno stato di salute dell'economia italiana cambiato drasticamente in peggio rispetto a tre mesi fa;
    è assai probabile che i valori della crescita (+0,2 per cento) e del deficit (2,4 per cento) previsti per il 2019 saranno peggiori, perché la previsione di una pur modesta crescita nella media del 2019 sconta una buona ripresa nella seconda parte dell'anno;
    la stagnazione dell'economia italiana è strettamente connessa con il rallentamento dell'Unione europea, dell'eurozona e, in particolare, della Germania, nostro principale mercato di esport del settore industriale;
    lo scenario macroeconomico di medio termine dell'economia italiana è soggetto a forti rischi prevalentemente orientati al ribasso sia di natura internazionale e finanziaria, sia di matrice interna. Tali rischi sono riconducibili principalmente a un ulteriore peggioramento del contesto internazionale con effetti sulla domanda estera, a un indebolimento da parte dell'offerta, a eventuali shock finanziari negativi, tali da indurre un rapido aumento dell'avversione al rischio degli operatori di mercato destinato a incidere sul livello dei tassi d'interesse in particolare per Paesi a basso rating come l'Italia;
    manca nel DEF una doverosa autocritica sull'impostazione della manovra 2019-2021 tutta concentrata su misure utili, ma effimere (RdC e Quota 100), in un quadro dove rimangono al loro minimo storico gli investimenti pubblici, la variabile economica a maggior moltiplicatore anticiclico;
    Liberi e Uguali aveva proposto nel corso della discussione sulla NADEF di affrontare il confronto con la Commissione europea per ottenere spazi, anche in deficit, ma per investimenti e per avviare la transizione ecologica del nostro Sistema-Paese. Il conflitto del Governo gialloverde con la Commissione di Bruxelles ha determinato una sostanziale ritirata, data l'assenza di una prospettiva strategica nei confronti delle regole neo-liberiste imposte dall'architettura del mercato unico ed in particolare dell'euro a partire dal Trattato di Maastricht;
    si registra una forte caduta dell'export dell'eurozona verso il resto del mondo. L'espansione economica export-led dell'eurozona ha terminato ampiamente il suo ciclo storico. La futura crescita dell'economia europea deve passare necessariamente dal mercato interno e da una ripresa degli investimenti in infrastrutture e beni capitali;
    un ulteriore elemento è rappresentato dall'inflazione, che soprattutto in Italia rimane lontanissima dall'obiettivo di tornare vicina, ma non superiore, al 2 per cento annuo. Nel DEF 2019 si conferma che lo scorso anno i prezzi al consumo sono aumentati solo dell'1,1 per cento, mentre quest'anno dovrebbero crescere ancor meno, dell'1 per cento netto. Questo fenomeno influisce negativamente sui rapporti deficit/Pil e debito/Pil quanto la bassa crescita reale. Le previsioni del Governo per il 2020, con una crescita reale dello 0,8 per cento, un deficit al 2,1 per cento, un avanzo primario all'1,5 per cento e un'invarianza del peso degli interessi al 3,6 per cento del Pil, dimostra che il minor deficit dipenderà solo dall'aumento del saldo primario;
    a causa (anche) dei rendimenti sul debito ancora elevati uniti al recente ampliamento del perimetro della PA da parte di Eurostat e di un deficit strutturale ancora elevato, il debito passa dal 132,2 per cento del 2018 al 132,8 per cento del Pil nel 2019. L'inversione di rotta (programmatica) con il 131,3 nel 2020 e con un calo sotto il 130 per cento, è rimandata ai prossimi anni: al 128,9 per cento nel 2022. Ciò grazie anche a altri 6 miliardi di privatizzazioni (0,3 per cento del Pil). Il deficit tendenziale è in rialzo al 2,4 per cento. Tale percentuale non viene superata anche grazie all'intervento dei 2 miliardi (0,1 per cento del Pil) congelati nella manovra per il 2019. Ma il disavanzo strutturale cresce dello 0,1 per cento rispetto al 2018;
    si conferma che i due miliardi di spesa congelati a dicembre dalla legge di bilancio saranno tagliati, perché questi tagli sono ormai indispensabili per non portare il deficit anche oltre il 2,4 per cento a cui è tornato a causa della gelata della crescita Ma questa decisione, si precisa, «non costituisce una manovra aggiuntiva». La manovra «aggiuntiva» era in realtà, per così dire, incorporata nella legge di bilancio;
    la spending review è attesa ancor più incisiva nei prossimi anni: le riduzioni di spesa corrente dai due miliardi del 2019, a 5 nel 2020 e 8 nel 2021. In 3 anni si tratta di 15 miliardi di tagli lineari;
    il Documento conferma le indicazioni generiche su flat tax e aumenti Iva. Anche perché, si legge nella premessa al Documento, alla manovra serviranno «coperture di notevole entità» anche per rispettare i nuovi obiettivi rifinanziando le spese obbligatorie per missioni di pace, pubblico impiego e così via. Anche il «no» all'aumento dell'Iva è tutt'altro che deciso. Il Documento spiega che la legislazione vigente in materia fiscale», quella che mette in calendario aumenti da 23,1 miliardi nel 2020 e da 28,8 nel 2021, «viene per ora confermata nell'attesa di definire le misure alternative di copertura e di riforma fiscale nel corso dei prossimi mesi, in preparazione della legge di bilancio 2020»;
    il DEF che viene presentato al Parlamento è quasi un documento-copertina, mentre il quadro internazionale e gli stessi dati tendenziali inseriti nel documento avrebbero dovuto allarmare e indurre a progettare misure di carattere strutturale;
    sia pure nella vaghezza dei contenuti del DEF 2019, vaghezza dovuta ai contrasti interni alla maggioranza, da quanto prospettato si deduce che il Governo si appresta per la manovra 2020 a ripetere gli errori della manovra approvata l'anno scorso: spese correnti (flat tax – abbassamento ulteriore dell'aliquota Ires), pochi investimenti, tagli di spesa lineari. Un sostanziale accodarsi alle richieste della Commissione di Bruxelles senza riuscire a creare i presupposti per un rilancio dell'occupazione;
    le due linee di intervento abbozzate sono problematiche: una politica fiscale iniqua ed irresponsabile e una politica degli appalti pubblici a dir poco sconcertante;
    la politica fiscale è tanto elettorale quanto irresponsabile: reiterate promesse di sterilizzazione degli aumenti programmati dell'IVA (la cui attendibilità risulta ogni giorno minore) sono accompagnate da una miriade di riduzioni dei carichi fiscali e previdenziali su lavoratori autonomi, piccole imprese e redditi inferiori ai 50 mila euro. Il quadro che ne esce è quello di un disperato taglio elettorale delle imposte che non razionalizza il sistema fiscale né lo rende maggiormente efficiente perché costruisce svariati effetti «soglia» che incentivano a dismisura elusione ed evasione mentre discriminano ingiustamente fra gruppi diversi di contribuenti;
    a fronte della riduzione di gettito fiscale che queste misure, se adottate, implicherebbero, troviamo solo una generica affermazione secondo cui un minor gettito sarebbe «probabile». Nessuna stima, anche solo approssimativa, viene fornita e, soprattutto, da alcuna parte vengono menzionati i sostanziali tagli di spesa che sarebbero necessari per evitare che questi provvedimenti generassero un aumento del deficit strutturale ben maggiore di quello 0,9 per cento che, comunque, anche questo documento ammette esser stato il frutto dei provvedimenti presi sino ad ora;
    la politica degli appalti si può riassumere nella decisione ad altissimo rischio di aprire le porte alla corruzione, all'illegalità e alle infiltrazioni criminali. Ora, mentre è chiaro a tutti che l'attuale regime impone costi inutili e crea barriere artificiose, è altrettanto ovvio che un secolo e mezzo di corruzione dilagante nel comparto degli appalti pubblici nazionali suggerirebbe ben altro meditato e studiato intervento che la congerie di cancellazioni, abrogazioni ed esenzioni che questo Def annuncia per il settore;
    servirebbe per la politica finanziaria ed economica del nostro Paese un orientamento strategico, una capacità di scelta senza farsi troppo condizionare dalle esigenze a breve della ricerca del consenso, tutte qualità del tutto assenti in questa maggioranza;
    il rischio è che il nostro Paese si trovi nella seconda metà dell'anno economicamente in recessione e finanziariamente vulnerabile;
    al nostro Paese servirebbe, una strategia di medio-lungo periodo per sostenere la crescita economica interna. Viceversa, l'attuale Governo fonda la sua politica su due ipotesi che si sono già rivelate in larga misura errate: una congiuntura economica favorevole e il cambiamento del quadro politico europeo. Ma senza la spinta dell'economia globale e senza la copertura europea, le politiche che puntano a mettere soldi direttamente nelle tasche degli italiani (peraltro in maniera non equa) creano consenso a breve ma non riescono a sostenere la ripresa;
    lo scenario programmatico prevede un aumento degli investimenti pubblici nel prossimo triennio, che dal 1,9 per cento del Pil registrato nel 2018 (minimo storico) si porterebbero ad un ambizioso 2,7 per cento nei 2022;
    la disoccupazione è prevista stabile al 10,5 per cento per quest'anno e in crescita (per un effetto contabile) all'11 per cento per l'effetto attivazione prodotto dal Reddito di cittadinanza che dovrebbe aumentare le persone in cerca di occupazione (senza scenderebbe al 9,6 per cento);
    intanto, entro la fine del 2019 si dovrebbero condurre in porto privatizzazioni per 18 miliardi che dovrebbero contribuire per l'1 per cento del Pil alla riduzione del debito pubblico. In assenza di queste entrate, il debito salirebbe dal 132,2 per cento del 2018 al 133,8 per cento nel 2019. Il che potrebbe invogliare i mercati a speculare di nuovo sull'Italia. Vendite per un ulteriore 0,3 per cento del Pil programmate nel 2020 (altri 5,5 miliardi). Ai 18 miliardi si aggiungono «dismissioni immobiliari per un ammontare di 1,25 miliardi nel triennio 2019-2021, oltre agli 1,84 miliardi già previsti». Ma a tutt'oggi non è stato incassato nel 2019 un solo euro dalle vendite di Stato e non ne è stata messa in cantiere nessuna;
    si affida il compito di bloccare la clausola di salvaguardia a spending review e tax expenditures, ma i tagli degli sconti fiscali dovrebbero entrare in gioco anche per finanziare la riforma dell'Irpef (flat tax). Si dovranno in realtà trovare altre coperture con altri tagli alla spesa pubblica con conseguenti effetti recessivi. Si parte nel 2019 con un taglio di 2 miliardi che sale a 8 nel 2021;
    in un Paese con 120 miliardi di evasione l'anno, la proposta della flat tax ha un sapore provocatorio. La prima fase della flat tax inserita nel contratto di Governo costerebbe circa 15 miliardi. Ma tante flat tax esistono già nel nostro sistema fiscale e determinano una perdita di gettito pari a 14,5 miliardi l'anno, e discriminano dipendenti e pensionati dai redditi dei quali proviene il grosso del gettito Irpef. Quello che occorre invece è un riequilibrio del carico fiscale a favore dei redditi più bassi e delle famiglie a partire dai lavoratori subordinati e dai pensionati. Da questo punto di vista una patrimoniale può contribuire, se associata ad una diminuzione del carico fiscale sulle categorie più deboli, a una maggiore equità fiscale;
    nel DEF il capitolo sugli impegni futuri per accelerare lo sviluppo delle aree meridionali e ridurre il gap con il resto del paese è latitante, alla base manca del tutto un progetto innovativo per il rilancio del nostro Sud. Non c’è traccia nel DEF – in questi tempi in cui si discute di regionalismo differenziato – dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) che, previsti nella legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale, attendono ancora di essere definiti per poi essere messi in atto. Attualmente grazie al criterio della «spesa storica» le regioni del Nord già usufruiscono di un oggettivo vantaggio;
    manca un'indicazione relativa al credito d'imposta sui nuovi investimenti nel Mezzogiorno, un'agevolazione importante, molto utilizzata perché di facile accesso, in vigore dal gennaio 2016 e che scade il 31 dicembre 2019. Certo c’è tempo fino alla prossima legge di bilancio per introdurre la proroga, ma nel documento di programmazione non se ne parla;
    nel DEF si cita la norma per gli investimenti ordinari delle pubbliche amministrazioni centrali (con la quota riservata del 34 per cento, proporzionale alla popolazione residente), ma individuati in via sperimentale per soli 5 ministeri: Salute, Infrastrutture e Trasporti, Giustizia, Interno e Istruzione. La cui attuazione è peraltro rimandata ad un decreto, da emanarsi entro il 30 giugno, che stabilirà le modalità di verifica;
    i cambiamenti climatici in atto, come dimostrato dalla comunità scientifica internazionale riunita nell’Intergovernmental panal on climate change (Ipcc), sono determinati dall'attività umana, in particolare dall'uso dei combustibili fossili, e rischiano di compromettere in maniera irreversibile la sicurezza e la sopravvivenza stessa del pianeta e degli esseri viventi; eventi climatici estremi sono all'origine di conflitti e migrazioni di massa che sconvolgono la vita di milioni di persone, la distruzione delle risorse naturali e il livello di inquinamento degli oceani, del suolo e dell'aria e hanno impatti devastanti sulla salute umana e sulla qualità dell'ecosistema;
    la portata e l'urgenza della crisi climatica richiedono con forza, in Italia e in Europa, un più forte impulso all'affermazione di un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale e sulla lotta alle disuguaglianze anche generazionali, derivanti dall'esposizione agli impatti dei cambiamenti climatici; la sostenibilità ambientale, ancora oggi percepita come vincolo, rappresenta al contrario, se interpretata in modo positivo e di concerto con gli attori economici e sociali, una straordinaria opportunità di sviluppo, innovazione e competitività per il tessuto industriale e produttivo;
    per raggiungere questi obiettivi bisogna attuare politiche mirate alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e al raggiungimento degli impegni assunti a livello internazionale, attraverso un programma di iniziative finalizzate:
     a) ad accelerare la transizione energetica per ridurre le emissioni di anidride carbonica in tutti i settori produttivi, attraverso il miglioramento dell'efficienza energetica, l'utilizzo di fonti rinnovabili, il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione e il progressivo superamento della dipendenza dai combustibili fossili;
     b) a realizzare una fiscalità ambientale che riduca fino ad azzerarli gli incentivi ai combustibili fossili e i sussidi ambientalmente dannosi;
     c) a prevedere politiche mirate alla revisione delle norme sulle materie prime e seconde, e in particolare a quelle sul cosiddetto « End of Waste», a quelle sulla semplificazione delle procedure autorizzative per la promozione della filiera del riciclo in modo da accelerare nel nostro Paese la transizione verso un modello di economia circolare basato su un uso efficiente delle risorse naturali, su una corretta gestione dell'acqua, su un virtuoso ciclo dei rifiuti che punti alla riduzione della loro produzione e al recupero di materia ed energia;
     d) investire in un piano strutturale di messa in sicurezza del territorio, con politiche di prevenzione e mitigazione del rischio e di adattamento ai cambiamenti climatici;
     e) avviare un grande programma di investimenti pubblici orientati ai princìpi della sostenibilità ambientale, con azioni di riqualificazione energetica e messa in sicurezza sismica degli edifici pubblici e privati, politiche di rigenerazione urbana, di contrasto al nuovo consumo di suolo e all'abusivismo edilizio;
    nel Programma Nazionale di Riforma, nelle quattro paginette destinate all'ambiente e all'energia, vengono enunciati, come in un libro dei sogni, tutti gli interventi urgenti che il Governo intende compiere per contrastare l'inquinamento e i cambiamenti climatici senza menzionare, però, né il nodo fondamentale dei tempi di realizzazione, né dove reperire le risorse necessarie;
    al contrario è stato appena approvato dal CDM il decreto cd. sblocca cantieri, che introduce modifiche al codice degli appalti molto pericolose per l'ambiente e il territorio;
    in molte amministrazioni locali i conti non tornano, Reggio Calabria, Napoli, Catania fra tutte. Sono a rischio tutti i bilanci comunali che hanno rimodulato i piani in base alla possibilità di ripianare in decenni l'extra-deficit prodotto dalla cancellazione delle vecchie entrate non riscosse (multe e quant'altro) dai bilanci. La Corte costituzionale ha ritenuto che questa procedura violi l'articolo 119 della Costituzione che permette di indebitarsi solo per investimenti e non per spesa corrente;
    le scelte di finanza pubblica che emergono dalla lettura DEF delineano un quadro del tutto insufficiente per i settori della conoscenza. Il Governo non cambia la tendenza dei precedenti esecutivi reiterando una politica di de-finanziamento su scuola, università, ricerca e AFAM. Infatti, per quanto si prevede nel DEF, si rischia che questi settori possano diventare ancora una volta il bancomat dello Stato;
    le politiche di «sostegno ai redditi» pur indicate come via per la ripresa degli investimenti privati, non determinano uno stanziamento adeguato al rinnovo dei contratti pubblici. Nonostante i primi ottimistici annunci, le risorse previste sono sufficienti unicamente a coprire la stabilizzazione dell'elemento perequativo ereditato dal precedente contratto e a coprire l'indennità di vacanza contrattuale;
    preoccupa il dato della spesa sanitaria per il 2019, che, superando i 118 miliardi di euro, corrispondenti a una crescita del 2,3 per cento rispetto ai 115,41 miliardi del 2018, certifica un aumento di ben 2.651 milioni (in buona parte da destinare al personale sanitario) sull'anno precedente, rispetto al solo miliardo previsto dalla legge di Bilancio con un rischio di un aumento del deficit per la sanità nel 2019;
    le revisioni al ribasso dei Pil rispetto a quanto preventivato nell'autunno scorso dalla NaDef rendono poco credibili le previsioni per il triennio 2020-22, dove si ipotizza una crescita della spesa sanitaria ad un tasso medio annuo dell'1,4 per cento;
    si conferma la mancata inversione di tendenza della previsione del rapporto spesa sanitaria/Pil che si attesta, per il 2019, ad un livello pari al 6,6 per cento, in una condizione di decrescita per il prossimo triennio fino a risultare pari al 6,5 per cento nel 2021. Queste stime non consentono di fermare in modo strutturale il percorso di de-finanziamento della sanità pubblica, già da anni significativamente sotto la media dei rispettivi valori della UE a 15 con una stima di 40 miliardi dal 2010 al 2018, mettendo a rischio l'universalismo di accesso e il diritto alla cura per tutti i cittadini nel territorio nazionale;
    il nostro Paese è agli ultimi posti nel finanziamento UE-OCSE della spesa sanitaria, sotto la media dell'Europa occidentale tra il 25 e il 31,2 per cento;
    sull'erogazione dei LEA vi sono profonde disuguaglianze in tutto il territorio nazionale, e, anche nelle Regioni più efficienti, la qualità dei servizi offerti stenta; uno degli aspetti più critici, in condizione strutturale di emergenza, riguarda il personale sanitario, per il quale occorre la fine del tetto di spesa e lo sblocco delle assunzioni; le disparità riguardano anche l'accesso alle cure e le liste d'attesa; si valuta che diversi milioni di cittadini rinunciano alle cure per motivi economici; per ottenere i trattamenti crescono la spesa privata e la migrazione sanitaria dalle regioni del Sud, dove si riduce la speranza di vita;
    la proposta di regionalismo differenziato, in assenza della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), concernenti i diritti civili e sociali da garantire sul territorio nazionale, mette a rischio il principio sancito dalla Carta costituzionale all'articolo 5, ossia l'unità e indivisibilità della Repubblica, consolidando per il sistema sanitario un sistema di accesso alle cure a diverse velocità,

impegna il Governo:

   ad aprire un confronto con la Commissione europea per ottenere spazi anche in deficit ma per investimenti e per avviare la transizione ecologica del nostro Sistema-Paese, nonché per ottenere la riduzione del dumping fiscale esercitato, anche a danno del nostro Paese, dai paradisi fiscali europei quali l'Olanda, il Lussemburgo il Belgio e l'Irlanda;
   a fermare il riavvio del negoziato TTIP con gli Stati Uniti e a presentare gli atti necessari a esprimere la contrarietà del Parlamento alla ratifica del Ceta;
   a prevedere come asse centrale della propria politica economica l'attuazione di un Green New Deal;
   a finanziare, con risorse aggiuntive annuali per 0,5 per cento punti percentuali di Pil (circa 9 miliardi) un programma triennale di investimenti pubblici orientati ai principi di sostenibilità ambientale, un Green new deal, per la totale de-carbonizzazione del nostro Paese e per la transizione da un'economia lineare a una circolare. Un Piano Verde che si concretizzi altresì in un programma pluriennale di edilizia residenziale pubblica, di piccole opere per la messa in sicurezza del territorio, per la sicurezza anti-sismica e degli edifici scolastici, con politiche di prevenzione e mitigazione del rischio e di adattamento ai cambiamenti climatici, con politiche di contrasto al nuovo consumo di suolo e all'abusivismo edilizio, per il trasporto pubblico locale, recuperando le risorse con una parte dei risparmi derivanti da un drastico ridimensionamento dei sussidi ambientalmente dannosi (SAD) di cui al Catalogo redatto dal Ministero dell'ambiente ai sensi dell'articolo 68 della legge n. 221 del 2015, sussidi pari complessivamente a più di 15 miliardi annui;
   a concentrare i suddetti programmi di investimento nel Mezzogiorno, per una quota di risorse complessive non inferiore al 45 per cento del totale;
   a prevedere, al fine della attuazione di tali programmi, le assunzioni necessarie per profili professionali nelle pubbliche amministrazioni centrali e territoriali, anche nei settori della Sanità, della ricerca, dell'università, del sistema formativo, del monitoraggio e della protezione del territorio;
   a predisporre una revisione delle politiche dei trasporti, specificando nel Programma nazionale che le misure e le strategie per la riduzione degli inquinanti vadano inserite tra le agevolazioni fiscali per gli interventi in materia di mobilità sostenibile, quali l'introduzione di un voucher sulla mobilità sostenibile di mille euro all'anno a chi rottama la vecchia auto, per almeno 2 anni, per acquistare abbonamenti e biglietti del trasporto pubblico, servizi sharing mobility, noleggio auto, moto, o l'acquisto di veicoli elettrici leggeri per uso personale, dalla micromobilità sino ai quadricicli leggeri, l'acquisto di veicoli adibiti al miglioramento dei servizi offerti per il trasporto pubblico locale e per veicoli ibridi plug-in e full-cell, la realizzazione di ciclovie turistiche, nonché la promozione ed il sostegno a forme di multiproprietà delle autovetture destinate ad essere utilizzate da più persone e al miglioramento dei servizi offerti per il trasporto pubblico locale;
   a predisporre le modifiche dell'attuate normativa, dopo l'approvazione da parte del Parlamento europeo del pacchetto sull'economia circolare, rivedendo le norme sulle materie prime e seconde, a quelle sul cosiddetto « End of Waste», fino a quelle sulla semplificazione delle procedure autorizzative per la promozione della filiera del riciclo in modo da accelerare nel nostro Paese la transizione verso un modello di economia circolare basato su un uso efficiente delle risorse naturali, su una corretta gestione dell'acqua, su un virtuoso ciclo dei rifiuti che punti alla riduzione della loro produzione e al recupero di materia ed energia;
   ad avviare ogni utile iniziativa volta a favorire un reale processo di riqualificazione delle periferie attraverso progetti per il rilancio dell'economia territoriale sostenibile, il potenziamento e la creazione di servizi socio-culturali, di infrastrutture e di recupero edilizio, e la mobilità sostenibile, anche prevedendo un piano pluriennale per la rigenerazione delle periferie;
   a prevedere un piano di edilizia residenziale pubblica volto alla ristrutturazione dell'esistente ed al riutilizzo delle strutture pubbliche dismesse;
   ad articolare le politiche per favorire l'occupazione con la definizione di una normativa per la riduzione degli orari di lavoro a parità di salario;
   ad introdurre una normativa che estenda la validità dei contratti collettivi di lavoro sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, al fine di definire per tutti i lavoratori un salario minimo orario e rafforzare la normativa relativa all'equo compenso per i professionisti e i lavoratori con partita Iva;
   ad evitare l'applicazione della clausola di salvaguardia relativa all'Iva ed alle accise per gli anni 2020 e 2021;
   a non introdurre la flat tax e un'ulteriore riduzione dell'aliquota dell'Ires e viceversa a ridurre l'imposizione fiscale per i redditi più bassi e le famiglie con figli a carico e in difficoltà con il maggior gettito derivante:
    a rafforzare la Web Tax per le imprese senza stabile organizzazione in Italia;
    dallo sfoltimento delle imposte sostitutive dell'Irpef,
    da una rinnovata impostazione di lotta all'evasione fiscale utilizzando le tecnologie informatiche e il confronto tra tutte le banche dati a disposizione delle pubbliche amministrazioni con particolare riguardo all'Iva;
    ed anche dall'introduzione di un'imposta patrimoniale sui possessori di grandi patrimoni milionari che da questa crisi sono usciti più ricchi di prima;
   a procedere ad una revisione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale, che appaiono, in tutto o in parte, ingiustificati o superati alla luce delle mutate esigenze sociali o economiche, con l'esclusione delle disposizioni a tutela dei redditi di lavoro dipendente, autonomo e da pensione, nonché a tutela della famiglia, della salute, delle persone economicamente o socialmente svantaggiate, dell'acquisto dell'abitazione principale, dei patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell'ambiente;
   a far sì che nessun trasferimento di poteri e risorse a una Regione sia attivato finché non siano definiti i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (articolo 117, lettera m), della Costituzione) e che il trasferimento di risorse sulle materie assegnate alle Regioni sia ancorato esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori di ricchezza;
   a mettere in condizione il Parlamento di poter esaminare approfonditamente ed emendare ogni eventuale bozza di accordo tra ogni singola Regione e il Governo;
   ad utilizzare parte delle risorse derivanti dalla riallocazione dei sussidi dannosi di cui al «Catalogo dei sussidi dannosi e dei sussidi favorevoli» del Ministero dell'ambiente ai fini dell'operatività effettiva dell'accordo COP 21 di Parigi e per l'attuazione dell'Agenda 2030 dell'ONU per uno sviluppo sostenibile, anche definendo, con un apposito provvedimento normativo, le modalità per la riallocazione sostenibile dei sussidi dannosi all'ambiente, ai fini della fase di transizione;
   a modificare il decreto cd. sblocca cantieri sopprimendo le norme dannose per il nostro patrimonio ambientale, paesaggistico e culturale, in particolare l'innalzamento al 50 per cento della soglia per i subappalti e da 150 mila a 200 mila euro l'importo per gli affidamenti diretti, la riduzione da 90 a 60 giorni del silenzio assenso per le opere che necessitano di valutazione paesaggistiche e urbanistiche e la possibilità di nomina di commissari con ampi poteri in deroga alle leggi sui contratti pubblici, tutela ambientale e paesaggistica e del patrimonio artistico;
   a rilanciare le politiche a tutela della Salute e dell'assistenza sanitaria, garantendo che non si scenda al di sotto del livello del 6,6 per cento del Pil e assicurando investimenti pubblici per il rinnovamento tecnologico e l'edilizia sanitaria e lo sblocco delle assunzioni per far fare alla sanità pubblica il salto di qualità necessario;
   in deroga a quanto stabilito nell'ultima Legge di bilancio, a prevedere che gli oneri per il rinnovo contrattuale del personale sanitario siano posti a carico del settore del pubblico impiego e non del Fondo per il Servizio Sanitario Nazionale;
   a prevedere investimenti nei settori dell'istruzione e dell'università pubbliche, anche attraverso:
    un piano pluriennale di stabilizzazioni nella scuola che garantisca un costante equilibrio tra immissioni dalle graduatorie e nuovo reclutamento, prevedendo l'introduzione dell'organico di potenziamento nella scuola dell'infanzia e rintracciando una immediata soluzione per tutti i docenti precari;
    misure per garantire l'innalzamento dell'obbligo di istruzione,
    l'aumento del numero dei laureati (soprattutto nelle lauree tecniche e scientifiche),
    la lotta alla dispersione scolastica e la formazione degli adulti;
    l'estensione dei servizi educativi per l'infanzia, che ne garantisca la presenza su tutto il territorio nazionale.
(6-00071) «Fornaro».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

prodotto interno lordo

protezione dell'ambiente

finanziamento pubblico