ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00004

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 17 del 19/06/2018
Abbinamenti
Atto 6/00001 abbinato in data 19/06/2018
Atto 6/00002 abbinato in data 19/06/2018
Atto 6/00003 abbinato in data 19/06/2018
Atto 6/00005 abbinato in data 19/06/2018
Firmatari
Primo firmatario: RAMPELLI FABIO
Gruppo: FRATELLI D'ITALIA
Data firma: 19/06/2018
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
CROSETTO GUIDO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
MELONI GIORGIA FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
ACQUAROLI FRANCESCO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
BELLUCCI MARIA TERESA FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
BUCALO CARMELA FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
BUTTI ALESSIO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
CARETTA MARIA CRISTINA FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
CIABURRO MONICA FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
DEIDDA SALVATORE FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
DE CARLO LUCA FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
DELMASTRO DELLE VEDOVE ANDREA FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
DONZELLI GIOVANNI FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
FERRO WANDA FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
FIDANZA CARLO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
FOTI TOMMASO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
FRASSINETTI PAOLA FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
GEMMATO MARCELLO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
LOLLOBRIGIDA FRANCESCO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
LUCASELLI YLENJA FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
MASCHIO CIRO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
MOLLICONE FEDERICO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
MONTARULI AUGUSTA FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
OSNATO MARCO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
PRISCO EMANUELE FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
RIZZETTO WALTER FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
ROTELLI MAURO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
SILVESTRONI MARCO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
TRANCASSINI PAOLO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
VARCHI MARIA CAROLINA FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018
ZUCCONI RICCARDO FRATELLI D'ITALIA 19/06/2018


Stato iter:
19/06/2018
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO GOVERNO 19/06/2018
Resoconto TRIA GIOVANNI MINISTRO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
DICHIARAZIONE VOTO 19/06/2018
Resoconto FUSACCHIA ALESSANDRO MISTO-+EUROPA-CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto LUPI MAURIZIO MISTO-NOI CON L'ITALIA-USEI
Resoconto FASSINA STEFANO LIBERI E UGUALI
Resoconto CROSETTO GUIDO FRATELLI D'ITALIA
Resoconto MANDELLI ANDREA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto BOCCIA FRANCESCO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto BORGHI CLAUDIO LEGA - SALVINI PREMIER
Resoconto FARO MARIALUISA MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto FATUZZO CARLO FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
 
PARERE GOVERNO 19/06/2018
Resoconto TRIA GIOVANNI MINISTRO - (ECONOMIA E FINANZE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 19/06/2018

DISCUSSIONE IL 19/06/2018

NON ACCOLTO IL 19/06/2018

PARERE GOVERNO IL 19/06/2018

DICHIARATO PRECLUSO IL 19/06/2018

CONCLUSO IL 19/06/2018

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00004
presentato da
RAMPELLI Fabio
testo di
Martedì 19 giugno 2018, seduta n. 17

   La Camera,
   esaminato il Documento di economia e finanza 2018, premesso che:
    lo scenario tendenziale a legislazione vigente esposto nel Documento di economia e finanza 2018 stima una crescita del PIL per l'anno in corso pari all'1,5 per cento, invariata rispetto al 2017, a conferma di un dato assai modesto se rapportato a quello dell'economia globale, il cui PIL è passato dal 3,2 per cento del 2016 al 4 per cento del 2017, raggiungendo il picco massimo dell'ultimo decennio;
    la debolezza della ripresa economica italiana è ben rappresentata anche dal paragone con i tassi di crescita dell'area euro, la cui media è stata pari al 2,4 per cento, vale a dire di quasi un punto percentuale più alta di quella nazionale, laddove in Francia si è registrata una crescita dell'1,8 per cento, in Germania del 2,2 e in Spagna addirittura del 3,1 per cento;
    per i prossimi anni il Documento di economia e finanza prevede addirittura un rallentamento della crescita a un tasso dell'1,4 per cento nel 2019, dell'1,3 per cento nel 2020 e nel 2021, ultimo anno di previsione, all'1,2 per cento, anche a causa del previsto aumento delle imposte indirette derivante dall'attivazione delle cosiddette clausole di salvaguardia, che ridurrà ulteriormente la capacità di spesa delle famiglie, che determinerà, se non compensata da misure che sostengano il potere di acquisto dei lavoratori, un nuovo calo dei consumi;
    tale rallentamento della crescita è confermato anche dalle più recenti previsioni della Commissione europea, con calo ancora più allarmante un calo all'1,2 per cento già nel 2019, a fronte di una media dell'area euro rispettivamente del 2,3 per cento e 2,0 per cento, e i dati dell'Istat relativi al primo trimestre 2018 confermano la «frenata» nella crescita, certificando che la ripresina italiana era solo una falsa partenza determinata da bonus a termine e da particolari condizioni internazionali vantaggiose, come le iniezioni di liquidità garantite dalla BCE, ormai quasi esaurite;
    la Commissione europea nel «pacchetto d'inverno» del Semestre europeo sulla situazione economica e sociale negli Stati membri, ha dichiarato che l'Italia rientra tra gli Stati che presentano «squilibri eccessivi», in quanto «l'elevato debito pubblico e la dinamica costantemente debole della produttività comportano per il futuro rischi con rilevanza transfrontaliera a fronte di un volume di crediti deteriorati e di un tasso di disoccupazione ancora elevati»;
    le previsioni di incremento del PIL dei principali Stati dell'Unione europea formulate dall'OCSE nell’Interim Economic Outlook nel marzo 2018, dal FMI nel World economic outlook di aprile 2018, e dalla Commissione europea nel recentissimo Spring Forecast di maggio 2018, certificano che il ritmo di crescita dell'Italia sconta ancora livelli del tutto insufficienti ad assicurare una crescita economica strutturale, un deciso rilancio degli investimenti, dei consumi e dell'occupazione;
    questo nonostante il fatto che in ambito europeo l'Italia ha beneficiato più degli altri dei margini di flessibilità concessi alla politica di bilancio, e le previsioni tendenziali di crescita contenute nel DEF 2018 sono addirittura superiori alla media di quelle elaborate dai principali istituti di ricerca nazionali e internazionali nei primi mesi dell'anno;
    la debolezza dell'economia italiana, attanagliata da un debito troppo pesante e da scenari di crescita, come visto, deludenti, sta incidendo in maniera fortemente negativa anche sui rendimenti dei titoli di Stato, con l'aumento dello spread e i titoli a breve scadenza superati, in questi giorni, addirittura da quelli della Grecia, e sui capitali investiti nel nostro Paese: il sistema di pagamento della zona euro Target2 lo scorso 7 giugno ha rivelato che nel mese di maggio sono «fuggiti» dall'Italia 38 miliardi di euro;
    in questo quadro appare evidente la assoluta necessità di scongiurare l'attivazione delle clausole e l'urgenza di reperire le risorse necessarie (12,5 miliardi di euro nel 2019, circa 19,2 miliardi nel 2020 e circa 19,6 miliardi annui a decorrere dal 2021);
    inoltre, nell'ambito di una politica economica e di gestione della finanza pubblica che mira al recupero della crescita del Pil, particolarmente complessa per l'Italia, assumono particolare valenza anche i risparmi di spesa realizzati attraverso la spending review, ma che devono essere poi indirizzati al sostegno degli investimenti pubblici che contribuiscono a generare sviluppo economico;
    sullo scenario macroeconomico pesano, inoltre, diversi fattori di incertezza, quali in primo luogo la fine delle politiche monetarie ultraespansive della Banca Centrale Europea, con la graduale uscita del quantitative easing, che si concluderà entro il 2018, e la risalita dei tassi di riferimento prevista per la seconda metà del 2019, e, in secondo luogo, un quadro internazionale, particolarmente minaccioso per le nostre imprese;
    l'azione protezionistica avviata dagli Stati Uniti con la introduzione dei dazi su siderurgia e acciaio come reazione al surplus commerciale tedesco – che quest'anno ha raggiunto il record dell'otto per cento del PIL — è, oggi, il vero problema europeo e dell'Occidente, sul quale si scatenerà una guerra commerciale dagli esiti drammatici per le nostre aziende;
    inoltre, la politica protezionista americana, che sta causando il disinvestimento in atto nei Paesi emergenti e il rientro dei capitali negli USA, sta acuendo la crisi di Paesi emergenti come Turchia, Brasile e Argentina, che rappresentano per l'Italia importanti partner commerciali e mercati per le esportazioni;
    le imprese italiane sono già gravemente penalizzate a causa delle sanzioni commerciali imposte alla Russia e che nei quattro anni in cui sono state in vigore hanno inflitto perdite al mercato delle esportazioni italiane per tre miliardi di euro ogni anno, colpendo in particolar modo le imprese agroalimentari e il mercato delle tecnologie;
    la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dall'accordo sul nucleare con l'Iran e la netta reazione europea stanno mettendo a rischio l'adempimento di contratti già firmati stipulati con le aziende italiane per un valore pari a trenta miliardi di euro;
    la grave situazione di instabilità e di conflitto nell'area del Golfo Persico e del Grande medio Oriente pregiudica mercati vicini che finora hanno costituito sbocchi naturali delle nostre produzioni e sta determinando un nuovo vertiginoso aumento del prezzo del petrolio, passato in un anno dal minimo al massimo storico;
    l'embargo russo colpisce duramente l'export italiano e le nostre imprese agroalimentari: le prime stime parlano di perdite di almeno duecento milioni di euro tra ortofrutta, carni fresche e lavorate, latte e derivati, pasta e pesce;
    il DEF evidenzia, infatti, una forte dipendenza della nostra economia dagli scenari internazionali a causa della funzione di «traino» svolta dalle esportazioni, che sarà possibile contrastare solo mediante un deciso aumento della domanda interna;
    l'indebitamento delle pubbliche amministrazioni pur essendo in miglioramento rispetto al 2016 continua a mostrare numeri troppo elevati, attestati nel 2017 al 2,3 per cento del PIL, che sconta per ben 0,4 punti percentuali gli effetti del salvataggio di MPS e delle banche venete, e il Documento in esame prevede per il 2018 un dato pari all'1,6 per cento in calo di ben 0,7 punti percentuali rispetto al 2017, realizzando l'ennesima previsione eccessivamente ottimistica che necessiterà di prossimi aggiustamenti;
    gli interventi straordinari sul settore bancario hanno inciso per circa un punto percentuale di PIL sul rapporto debito/PIL del 2017 e hanno contribuito in maniera significativa a rallentare la riduzione del debito;
    il rapporto tra debito pubblico e PIL, aumentato in media di cinque punti percentuali all'anno nel periodo della recessione 2008-2013, ad oggi contabilizzato nel 131,8 per cento, continua a mostrare percentuali eccessivamente elevate e smentisce le previsioni del Documento programmatico di bilancio 2018 e della Nota di aggiornamento al DEF 2017, che avevano previsto un calo al 131,6 per cento;
    per quanto riguarda le entrate fiscali, nel 2017 le entrate totali rispetto al 2016 hanno registrato un incremento di circa dodici miliardi di euro, e, in particolare, le entrate correnti evidenziano un incremento di circa 14,1 miliardi, determinato dall'aumento delle imposte dirette, delle imposte indirette e dei contributi sociali;
    il Documento di economia e finanza evidenzia che all'incremento delle imposte indirette ha contribuito il gettito dell'imposta sul valore aggiunto, aumentato anche in forza dell'estensione del meccanismo dello splitpayment ad una platea più vasta di contribuenti;
    in merito appare opportuno ricordare che l'estensione di tale meccanismo, oltre a costituire un evidente aggravio per le imprese, costrette a rinunciare a una parte di liquidità, rappresenta in realtà solo il mancato versamento di un quantum comunque dovuto e non può quindi essere ascritto a miglioramento dei saldi di finanza pubblica;
    per quanto concerne l'analisi dei principali settori di spesa delle pubbliche amministrazioni si evidenzia come nel 2018 si prevede un aumento della spesa per il pubblico impiego di oltre 4 punti percentuali rispetto ai 164 miliardi di euro del 2017; egualmente in aumento è prevista la spesa per interventi di protezione sociale, che nel 2017 ha inciso per circa il venti per cento del Pil, e anche la spesa sanitaria, costata nel 2017 113 miliardi di euro, dovrebbe continuare ad aumentare fino a oltre 120 miliardi nel 2021;
    le politiche di lotta all'evasione fiscale messe in atto negli ultimi anni hanno riportato nelle casse dello Stato 20,1 miliardi di euro, con un aumento del 5,8 per cento rispetto al 2016, ma i numeri continuano ad essere impietosi: la media nell'ultimo triennio osservato si ferma a 109 miliardi, in linea con il 2015 e solo in leggera flessione rispetto al picco di 110,7 miliardi del 2014;
    le attività promosse dagli ultimi Governi per contrastare l'evasione fiscale hanno registrato atteggiamenti e norme contraddittori che, purtroppo, non hanno permesso di proseguire con speditezza lungo un percorso assolutamente necessario per combattere l'illegalità e recuperare risorse;
    per quanto riguarda il settore bancario e finanziario gli ultimi anni hanno visto interventi di salvataggio di alcuni istituti bancari danneggiati da una gestione illegale e irrispettosa dei diritti dei propri correntisti, il cui costo è stato fatto ricadere sulle spalle di tutti i cittadini;
    ad oggi il sistema bancario continua a versare in un grave stato di sofferenza a causa dell'incidenza dei crediti deteriorati;
    occorre accelerare il processo di riduzione dello stock di crediti deteriorati e rafforzare gli incentivi alla ristrutturazione e al risanamento dei bilanci, in particolare nel segmento delle banche soggette alla vigilanza nazionale, e adottare la revisione complessiva del quadro normativo in materia di insolvenza e di escussione delle garanzie;
    i dati sulla disoccupazione mostrano che il relativo dato rimane alto, nel mese di gennaio attestato sull'11,2 per cento in aumento rispetto all'11 per cento di dicembre 2017, e ancora molto lontano dai livelli pre-crisi considerato che nel 2008 si attestava al 6,7 per cento, e che il problema colpisce soprattutto le donne e i giovani;
    rispetto agli altri Stati dell'Unione europea gli ultimi dati Eurostat mostrano come nell'eurozona, con l'8,6 per cento in ribasso di un intero punto percentuale rispetto allo stesso mese del 2017, il tasso di disoccupazione sia nettamente inferiore al dato nazionale, mentre nell'intera Unione europea sia stato di circa il 7,3 per cento, in diminuzione di quasi un punto percentuale rispetto a gennaio 2017;
    l'obiettivo relativo al tasso di occupazione indicato per l'Italia nell'ambito della Strategia «Europa 2020» consiste nell'elevamento almeno al 67 per cento per i soggetti della fascia d'età compresa tra i 20 ed i 64 anni;
    il miglioramento dei tassi di occupazione, a gennaio 2018 pari al 58,1 per cento, è purtroppo da ricondursi alla sola componente a tempo determinato, mentre addirittura calano i contratti a tempo indeterminato e i lavoratori autonomi;
    sull'occupazione stabile continua a pesare in modo drammatico il costo del lavoro, che in Italia è il più alto d'Europa, e i conseguenti fenomeni di illegalità che danno luogo a un'economia sommersa dai numeri spaventosi;
    secondo il Rapporto sul Fisco, il cuneo fiscale in Italia è del dieci per cento superiore a quello che si registra mediamente nel resto d'Europa, prelevando il 49 per cento «a titolo di contributi e di imposte»;
    ancora peggiore, se possibile, è la situazione delle piccole e medie imprese: il total tax rate stimato per una media impresa equivale a un carico fiscale complessivo superiore di quasi venticinque punti rispetto a quello pagato dalla media delle imprese in Europa, sfiorando il 65 per cento;
    è evidente, tuttavia, che senza un insieme di riforme strutturali che incidano profondamente sull'assetto del Sistema Italia, il solo taglio del cuneo fiscale, che resta comunque un obiettivo da perseguire, non sarà sufficiente per conseguire un'accelerazione della crescita del nostro Paese;
    i dati Eurostat confermano che anche per quanto concerne il reddito pro capite il nostro Paese ha un reddito pro capite ormai inferiore a quello della media dell'Unione europea;
    le famiglie subiscono, infatti, la contrazione del proprio potere d'acquisto, causato dall'impoverimento dei salari a seguito dall'aumento della tassazione locale e nazionale, e ancora penalizzate da politiche di bilancio che sin qui non hanno inciso in termini positivi rispetto all'eccessivo carico fiscale che grava su di esse;
    analoga questione interessa i pensionati, colpiti da una tassazione del 21 per cento rispetto alla media europea del 12;
    inoltre, laddove scattassero le clausole di salvaguardia, è già stato previsto che l'aumento dell'Iva potrebbe costare, in media, 317 euro in più alle famiglie italiane nel 2019;
    per quanto riguarda la previdenza, le tendenze di medio-lungo periodo della spesa pensionistica evidenziano che per l'Italia vi saranno significativi peggioramenti rispetto ai dati del 2015, da ascriversi principalmente alla revisione dei parametri demografici, quali minore tasso di natalità e maggiore speranza di vita, e del tasso di disoccupazione strutturale;
    a decorrere dal 2019, inoltre, la legge di bilancio per il 2018 dispone l'esclusione dall'adeguamento decorrente per specifiche categorie di lavoratori impegnati nelle cosiddetta attività usuranti;
    la riforma del sistema previdenziale attuata con la legge Fornero, che irrigidendo drasticamente i requisiti per l'accesso alla pensione, ha prodotto la tristemente nota categoria degli «esodati», ha determinato squilibri ai quali è necessario porre rimedio in via definitiva, intervenendo al fine di garantire maggiore flessibilità per l'accesso al trattamento pensionistico;
    le otto salvaguardie fino ad oggi introdotte non sono state sufficienti, poiché hanno escluso circa seimila esodati, e pertanto è prioritario procedere alla nona salvaguardia per consentire l'accesso all'assegno pensionistico a questa platea di persone, utilizzando le risorse finanziarie avanzate dalle precedenti salvaguardie, ed in particolare dall'ultima, che ha tutelato solo metà delle posizioni inizialmente previste;
    va prorogata, almeno al 31 dicembre 2019, la misura sperimentale «Opzione donna», prevista dalla legge n. 243 del 2004 e successive modifiche, che consente alle lavoratrici di 57-58 anni di età anagrafica e 35 anni di contributi di andare in pensione con un assegno calcolato con il sistema contributivo. Inoltre, vanno adottate idonee misure affinché detto regime diventi strutturale e sia esteso anche agli uomini, considerato che lo stesso viene applicato a fronte dei contributi effettivamente versati dall'interessato, in anni di lavoro;
    è necessario riconoscere l'accesso all'assegno previdenziale a tutti coloro che hanno maturato 41 anni di contributi, indipendentemente dall'età anagrafica, attraverso lo strumento cosiddetto della «Quota 41» che, ad oggi, invece viene applicato solo per alcune categorie di lavoratori;
    bisogna, infine, abolire il parametro dell'aspettativa di vita che adegua automaticamente i requisiti per l'accesso al pensionamento, poiché rappresenta un meccanismo pregiudizievole che comporta un innalzamento periodico del tempo in cui si potrà accedere all'assegno previdenziale, su un dato meramente previsionale, anche considerato che a fronte di un aumento dei requisiti per il pensionamento derivanti dall'aumento della speranza di vita, di contro, con una diminuzione della stessa, l'età di pensionamento resterebbe stabile;
    negli ultimi anni è in costante crescita un fenomeno di grande interesse sociale, ossia la «fuga» dei pensionati italiani verso l'estero, riconducibile principalmente a due ragioni: il costo della vita minore rispetto all'Italia e gli indubbi vantaggi e benefici derivanti da normative fiscali agevolate per i cittadini che decidano di trasferirsi fuori dai confini nazionali, in particolare in: Australia, Germania, Svizzera, Canada, Belgio, Austria, Tunisia e Portogallo (che nel 2017 – grazie anche all'impatto determinato dalla disciplina fiscale dei cosiddetti «residenti non abituali» – ha registrato dati positivi per quanto concerne il Pil, cresciuto del 2,7 per cento e l'occupazione, aumentata del 3,2 per cento);
    prendendo a modello il sistema fiscale vigente in tali Paesi, la legge di bilancio 2017 ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo regime opzionale di imposizione sostitutiva fissa agevolata sui redditi prodotti all'estero da persone fisiche che trasferiscono la propria residenza in Italia;
    basandosi sull'analisi comparata di alcuni dati significativi relativi al differenziale di crescita tra le regioni settentrionali e quelle meridionali, all'incremento tendenziale (seppur insufficiente) del numero di turisti stranieri, e al tasso di crescita incrementale dei Paesi che – come visto – hanno introdotto specifiche misure di vantaggio, si ritiene tuttavia fondamentale prevedere speciali agevolazioni fiscali esclusivamente in funzione del luogo del territorio dello Stato in cui viene trasferita la residenza;
    la previsione, infatti, di un trattamento fiscale differenziato per i pensionati stranieri che si trasferiscano in un contesto geografico con evidenti criticità socio-economiche (ad esempio in uno dei comuni italiani ricadenti nelle regioni dell'ex «Obiettivo Convergenza»: Puglia, Calabria, Campania, Sicilia) può costituire un efficace strumento di sostegno all'economia generale del nostro Paese attraverso l'attivazione di un processo virtuoso di sviluppo locale;
    il DEF mostra un quadro nazionale caratterizzato da un disagio sociale che non si è arrestato e disuguaglianze in alcuni casi cresciute, un Paese in cui il welfare in generale, ma anche i servizi sanitari, stanno attraversando un periodo di profonda crisi;
    l'Istat ha lanciato l'allarme sulle condizioni socio-economiche della popolazione, affermando che sono cinque milioni gli italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta, quelli cioè che non riescono a far fronte a spese essenziali per il mantenimento di livelli di vita minimamente accettabili;
    il fenomeno ha raggiunto una soglia limite e il numero non fa che aumentare: nel 2017 si conta un aumento di 261 mila persone che vivono in condizioni di povertà rispetto al 2016, e il confronto è ancora più implacabile guardando al periodo precedente la crisi economica;
    oggi l'8,3 per cento della popolazione italiana vive in difficoltà estrema, contro appena il 3,9 per cento del 2008, anno di inizio della recessione, e le famiglie in povertà assoluta sono 1,8 milioni, con un'incidenza del 6,9 per cento sul totale dei nuclei, in crescita di sei decimi rispetto al 6,3 per cento del 2016 – pari a 154 mila famiglie in più – e di quasi tre punti rispetto al 4 per cento del 2008;
    i drammatici dati relativi a povertà ed esclusione sociale, colpiscono maggiormente le famiglie numerose e i bambini, e si riflettono anche negli alti tassi di dispersione scolastica e di prematuro abbandono dei percorsi di formazione universitaria;
    inoltre, il basso tasso di natalità, l'invecchiamento della popolazione pone dei problemi nel medio periodo che richiedono lo sviluppo di strategie a lungo termine, quali politiche più mirate di sostegno alle famiglie;
    il Mezzogiorno resta l'area territoriale più esposta al rischio di povertà o esclusione sociale, con una percentuale attestata oltre il 45 per cento, mentre al Centro la percentuale è ferma al 25 per cento e al Nord è sensibilmente inferiore;
    risultano inadeguate le politiche sociali indirizzate alle persone con disabilità basate prevalentemente su erogazioni monetarie, che non riescono a supplire all'inadeguatezza dei servizi di assistenza;
    per quanto riguarda le dinamiche demografiche della popolazione italiana, il basso tasso di natalità sembra essere legato a vari fattori, tra i quali il livello di incertezza del contesto socioeconomico, la concezione dello Stato sociale e il livello di parità di genere;
    tale dato rende inefficace l'erogazione di un premio alla nascita per favorire l'aumento della natalità, mentre si dovrebbe puntare all'introduzione di misure strutturali, quali il reddito d'infanzia, volto a garantire un sostegno alle famiglie per ogni figlio fino a sei anni d'età;
    efficaci appaiono anche politiche volte a promuovere gli asili nido gratuiti e le strutture per la custodia dei bambini, istituzioni adeguate e affidabili, nonché una copertura del congedo parentale all'80 per cento fino all'età dei sei anni del bambino;
    totalmente carente è una politica di sostegno a favore delle famiglie che intraprendono il lungo e, certamente, non facile percorso per l'adozione di minori; secondo i dati, infatti, le famiglie italiane mantengono un'attitudine verso l'adozione internazionale; nonostante ciò, l'assenza di politiche familiari di sostegno alla scelta adottiva ha favorito una crisi delle adozioni internazionali in Italia, con 3.106 minori adottati nel 2012 rispetto i 4.014 dell'anno prima; nello stesso anno la Commissione per le adozioni internazionali – vero motore del sistema – ha smesso di funzionare;
    con riferimento al tema dell'emergenza migranti, il DEF 2018 in esame sottolinea come il calo degli sbarchi registrato nel 2017, pari a oltre due terzi rispetto al 2016, non sia stato accompagnato dalla diminuzione delle presenze nelle strutture di accoglienza, le quali hanno continuato a registrare un andamento crescente;
    la spesa per operazioni di soccorso, assistenza sanitaria, accoglienza e istruzione è stimata in 4,3 miliardi nel 2017 al netto dei contributi dell'Unione europea e prevista ancora in crescita fino ad una cifra compresa tra 4,6 e 5 miliardi di euro nel 2018, continuando a gravare sul nostro prodotto interno lordo per circa lo 0,3 per cento l'anno;
    il DEF 2018 – nell'evidenziare che l'invecchiamento della popolazione rappresenta uno degli aspetti più critici che l'Italia dovrà affrontare nel corso dei prossimi decenni e che esso ha inevitabilmente un effetto sulla sostenibilità fiscale di medio-lungo periodo – sottolinea che è importante al riguardo valutare adeguatamente il peso dei flussi migratori attesi, misurando il loro impatto sulle finanze pubbliche italiane;
    nell'analizzare l'evoluzione del rapporto debito/PIL sulla base delle variabili demografiche, si ipotizzano due scenari alternativi per il periodo 2022-2070, che tengono conto l'uno di una diminuzione del 33 per cento del flusso netto medio annuo di immigrati rispetto all'ipotesi base, l'altro di un aumento, in percentuali identiche, a partire dal 2018;
    al fine di valutare adeguatamente l'effettivo impatto che l'immigrazione si ritiene possa apportare all'economia italiana nei termini sopra indicati, andrebbero quanto meno forniti dati più dettagliati e circostanziati sulla composizione e tipologia dei flussi ipotizzati (nazionalità, fascia di età, sesso, ecc.), anche per consentire una programmazione funzionale, sostenibile ed efficiente delle politiche migratorie;
    il combinato disposto di alto indebitamento e rigidità dei vincoli derivanti dall'appartenenza all'Unione europea impedisce la realizzazione di una efficace politica di investimenti pubblici, ridotti drasticamente nello scorso decennio e ora fermi al 2 per cento del PIL;
    occorrono da un lato una incisiva azione di contenimento e qualificazione della spesa pubblica, e, dall'altro, un deciso sostegno agli investimenti delle imprese, che richiede il rafforzamento delle misure di agevolazione fiscale, e un sistema finanziario a misura delle piccole imprese finora penalizzate da un inadeguato processo di selezione nell'erogazione del credito;
    per quanto attiene il sistema imprenditoriale il declino delle imprese italiane è un aspetto che contraddistingue il nostro Paese ancor prima della crisi del 2008, tanto che l'ultimo saldo positivo tra livello di natalità e di mortalità delle imprese italiane risale al 2005 e da allora il saldo è stato sempre negativo;
    anche se sono ancora dati parziali, questo trend negativo continua a contraddistinguere l'Italia anche nel 2018, considerato che già nel primo trimestre dell'anno sono «sparite» 15.401 imprese tra nuove iscrizioni e cessazioni: 113.227 le prime, 128.628 le seconde;
    secondo il Dossier pubblicato da Conflavoro, relativo a «Il Mercato del lavoro e imprese 2018», il bassissimo livello di vitalità del sistema imprenditoriale italiano è da ricondursi ad alcuni fattori negativi precisi tra i quali sono da annoverare in primis la percezione negativa e la paura dei cittadini rispetto alle condizioni instabili del mercato che non suggeriscono l'apertura di un'attività, ma anche la diminuzione della popolazione residente;
    con particolare riferimento alle piccole e medie imprese vale la pena ricordare la fine degli incentivi sugli acquisti di beni strumentali che, benché graduale, avrà comunque un impatto negativo sul PIL nazionale;
    drammatici sono anche i dati relativi ai lavoratori autonomi, diminuiti di circa 640 mila unità fra il 2008 e il 2016, vittime della crisi, ma anche dell'eccessivo carico fiscale e burocratico;
    infine, come segnalato da ultimo dal rapporto ISTAT del maggio 2018, tra i settori produttivi maggiormente in difficoltà, riscontriamo l'economia agricola, nella quale nel 2017 si è riscontrata una diminuzione della produzione in volume del 2,4 per cento rispetto all'anno precedente;
    lo scorso 2 maggio la Commissione europea per il bilancio 2021-2027 ha proposto un taglio sulla politica agricola comune del cinque per cento, pari a un valore complessivo di venti miliardi e che colpirà per 1,8 miliardi il settore in ambito nazionale;
    il taglio dei fondi destinati all'agricoltura è insostenibile per imprese che in Italia rappresentano un settore strategico attraverso produzioni d'eccellenza e la promozione del made in Italy nel mondo;
    inoltre, l'agricoltura si è dimostrata essere un settore anticiclico, la cui occupazione è cresciuta anche durante gli anni della crisi, con un aumento del 3,5 per cento dal 2008 al 2016 a fronte di un crollo del 13,6 per cento dell'industria, soprattutto grazie al fenomeno del ritorno alla terra di molti giovani;
    secondo un'analisi effettuata dalla Coldiretti, infatti, quasi un'impresa condotta da giovani su dieci in Italia opera in agricoltura (8,4 per cento), dove sono presenti ben 51.123 aziende guidate da under 35, che operano in attività che vanno dalla trasformazione aziendale dei prodotti alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche agli agriasilo, ma anche alle attività ricreative, l'agricoltura sociale per l'inserimento di disabili, detenuti e tossicodipendenti, la sistemazione di parchi, giardini, strade, l'agribenessere e la cura del paesaggio o la produzione di energie rinnovabili;
    con riferimento al settore ittico la particolare posizione geografica dell'Italia, con i suoi ottomila chilometri di coste, ha reso la pesca uno dei settori prioritari della nostra filiera alimentare, e all'interno dell'Unione europea la nostra Nazione si colloca al primo posto per occupati nella pesca, un comparto caratterizzato dalla presenza soprattutto di piccole e medie imprese;
    negli ultimi anni, tuttavia, in ambito nazionale il settore della pesca sta mostrando tutti i segni di una difficoltà che, se già di per sé sembrava stesse assumendo carattere strutturale, è stata ulteriormente aggravata dalla complicata situazione economico-finanziaria internazionale e nazionale;
    le ragioni di questa persistente crisi sono molteplici: dall'aumento del prezzo del gasolio, alla spietata concorrenza di Paesi poco regolamentati che ha innescato un crollo delle quotazioni del pesce che mettono fuori mercato i pescatori italiani a causa dei costi che sono costretti a sostenere nello svolgimento della propria attività;
    una efficace politica di investimenti pubblici appare necessaria, tuttavia, non solo con riferimento al sostegno del tessuto produttivo, ma anche per la realizzazione delle infrastrutture e delle opere volte a contrastare il rischio di dissesto idrogeologico;
    in questo ambito, la legge di bilancio per il 2017 ha istituito un Fondo per assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese in determinati settori di spesa, tra cui i trasporti, le infrastrutture, la ricerca, la difesa del suolo, l'edilizia pubblica, la riqualificazione urbana, in favore del quale è stata prevista la destinazione di oltre 47 miliardi di euro in un orizzonte temporale venticinquennale, pari ad appena 1,9 miliardi di euro l'anno, troppo poco rispetto alle necessità dell'intero Paese;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 luglio 2017 ha ripartito parte di quelle risorse tra una serie di capitoli di spesa, tra cui trasporti, viabilità e mobilità sostenibile, infrastrutture, prevenzione dal rischio sismico, edilizia pubblica e scolastica, difesa del suolo, dissesto idrogeologico, risanamento ambientale e bonifiche, riqualificazione delle periferie, rimozione delle barriere architettoniche, ricerca, attività industriali ad alta tecnologia e sostegno alle esportazioni e informatizzazione dell'amministrazione giudiziaria;
    la Corte costituzionale, però, ha dichiarato illegittimo il citato Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nella parte in cui non richiede un'intesa con gli enti territoriali in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri riguardanti settori di spesa rientranti nelle materie di competenza regionale, e al momento non appaiono chiare le ripercussioni della sentenza;
    la dichiarazione di illegittimità potrebbe, infatti, implicare il divieto di spendere le risorse stanziate, con grave danno per tutti i comuni assegnatari, e, comunque, in mancanza di certezze, molti enti potrebbero bloccarsi per paura di spendere risorse che rischiano di essere revocate;
    gli studi realizzati dal Ministero dell'Ambiente mostrano che almeno il dieci per cento della superficie italiana, pari a quasi trentamila chilometri quadrati, è esposta ad un elevato rischio di dissesto idrogeologico, e la serie storica degli eventi climatici definiti «estremi», quali alluvioni, inondazioni, frane, terremoti e simili, verificatisi negli ultimi 15-20 anni evidenzia che questi si verificano con una frequenza più ravvicinata rispetto ai decenni precedenti;
    inoltre, a partire dal terremoto che la notte del 24 agosto 2016 ha distrutto interi comuni dell'Italia centrale e causato la morte di quasi trecento persone, continuano a verificarsi con grande frequenza eventi sismici di minore o maggiore intensità in tutto il Paese;
    con riferimento alle misure eccezionali in materia di prevenzione del rischio sismico, del dissesto idrogeologico e della messa in sicurezza degli edifici scolastici, il DEF prevede ulteriori oneri pari a 2,5 miliardi per il 2018 e 3 miliardi per il 2019;
    il «Piano nazionale per l'adattamento ai cambiamenti climatici e per la messa in sicurezza del territorio» predisposto dal Ministero dell'Ambiente 2012, che censiva le vulnerabilità del territorio nazionale (mappa della vulnerabilità) e definiva le tipologie di interventi necessari, aveva stimato il fabbisogno finanziario in oltre 40 miliardi in 15 anni;
    l'inadeguatezza delle risorse stanziate a tal fine mostra ancora una volta la pericolosa miopia mostrata dal Governo rispetto ai rischi per la popolazione che ne derivano e rendono urgente un finanziamento ulteriore e la velocizzazione delle procedure per la messa in atto degli interventi;
    le conseguenze degli eventi sismici susseguitisi in Italia a partire dall'agosto del 2016 nelle regioni centrali del territorio nazionale non sono affatto risolte, e, anzi, i previsti interventi si stanno caratterizzando negativamente per lunghezza dei tempi e farraginosità delle procedure;
    lo scarso coordinamento tra i diversi uffici ed enti istituzionali incaricati della ricostruzione sta penalizzando la realizzazione della stessa e, di conseguenza, impedendo il ritorno della cittadinanza e la ripresa delle attività produttive, determinando inevitabilmente l'impoverimento e lo spopolamento dei territori;
    nello scenario economico italiano aggravato dalle conseguenze della crisi finanziaria, continua a porsi in primo piano la questione di un Paese ancorato a due differenti velocità di sviluppo, la cui più diretta evidenza sono sia l'inasprimento dei divari tra le regioni settentrionali e quelle meridionali, sia le diseguaglianze interne alle stesse aree del Mezzogiorno;
    le regioni meridionali, infatti, hanno subito con molta più forza i segni della crisi economica, e lo evidenziano sia i dati relativi alla disoccupazione giovanile, sia quelli relativi al reddito e alla povertà;
    la distanza tra il Centro-Nord e il Sud non si limita al Pil pro-capite, ma a tanti altri indicatori, come la continua migrazione delle forze giovanili verso altri regioni e verso l'estero, l'elevato numero di giovani che abbandonano gli studi, l'irrilevante capacità di attrazione di investimenti dall'estero, il peso ancor maggiore rispetto al resto del Paese della burocrazia, dell'inefficienza istituzionale, della corruzione, della lentezza giudiziaria e dell'economia sommersa;
    la ripresa del Mezzogiorno, però, non dipende dall'entità dei trasferimenti pubblici ma dal grado di efficienza delle istituzioni e dalla capacità di mobilitare le risorse disponibili, determinando una crescita delle imprese e della loro capacità concorrenziale nei mercati, nonché ristabilendo una capacità di attrazione di capitali esteri, fondamentali nel processo di generazione del reddito oltre ad essere lo specchio della credibilità internazionale di un paese;
    appare indispensabile ed urgente disegnare nuove e più efficaci azioni che consentano al Mezzogiorno di intraprendere un percorso di sviluppo, autonomo e responsabile, in grado di valorizzare i tanti elementi positivi comunque presenti in questi territori, al contempo dando nuovo slancio al tessuto economico e produttivo del Mezzogiorno;
    il decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, recante «Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno» ha disciplinato l'introduzione in Italia del concetto di Zona economica speciale già diffuso all'estero, che individua zone del paese collegate ad una area portuale, destinatarie di importanti benefici fiscali e semplificazioni amministrative, che consentano lo sviluppo di imprese già insediate e che si insedieranno, attraendo anche investimenti esteri;
    il cosiddetto decreto Mezzogiorno ha disciplinato le procedure e le condizioni per l'istituzione in alcune aree meridionali di zone economiche speciali (ZES), caratterizzate dall'attribuzione di specifici e sostanziali benefici fiscali e agevolazioni amministrative e procedurali alle imprese ivi insediate o che vi si insedieranno, al fine anche di incrementare gli investimenti stranieri;
    la legge di bilancio 2018, ha istituito poi le Zone logistiche semplificate (ZLS) per favorire lo sviluppo di nuovi investimenti nelle aree portuali delle regioni (settentrionali) non rientranti nella disciplina delle ZES, a condizione che sia presente almeno un'area portuale con le caratteristiche stabilite negli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) ovvero vi sia la presenza di un'Autorità di sistema portuale;
    la differenza principale e non marginale rispetto alle ZES è che le ZLS non godono dei benefici fiscali previsti per le prime (quali il credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi) e che le imprese in esse operanti fruiranno unicamente di procedure semplificate;
    si ritiene, tuttavia, che – al fine di garantire un efficiente e uniforme sviluppo dell'intero sistema Paese in grado di operare in maniera integrata e di massimizzare, altresì, la competitività delle stesse ZES – sia fondamentale assicurare una maggiore sinergia con gli altri snodi strategici del commercio internazionale italiano presenti nelle regioni settentrionali (come ad esempio il porto di Venezia), favorendo lo sviluppo di nuovi investimenti anche nelle aree portuali di tali aree;
    per quanto concerne gli enti locali, il Documento di economia e finanza richiama il ruolo che gli stessi stanno svolgendo proprio nel campo degli investimenti pubblici, e cita gli interventi di sostegno diretto relativi a diversi settori prioritari, primo fra tutti quello relativo all'edilizia scolastica, senza però delineare le ulteriori misure che appaiono necessarie a consolidare il complessivo equilibrio finanziario dei Comuni, indispensabile al fine di permettere agli stessi di adempiere appieno al proprio mandato;
    lo sforzo richiesto ai Comuni in termini di contributo al bilancio pubblico nel periodo 2010- 2017, concretizzatosi in un taglio alle risorse di oltre nove miliardi di euro di tagli, cui si sono aggiunti i maggiori vincoli di finanza pubblica per ulteriori 3,3 miliardi, stanno, infatti, condizionando pesantemente l'operatività degli stessi e l'erogazione dei servizi alla cittadinanza;
    per quanto riguarda le province, l'incertezza istituzionale degli ultimi anni ha prodotto un progressivo indebolimento della loro autonomia finanziaria, mettendole nell'impossibilità di fare davvero la programmazione di area vasta a causa della precarietà finanziaria, se consideriamo che le manovre finanziarie poste a carico delle Province negli ultimi anni hanno peraltro prodotto seri problemi finanziari per molti di tali enti e che le risorse stanziate per il 2018 e per gli anni successivi non consentiranno di far chiudere i bilanci di previsione a diverse province;
    il 18 ottobre 2017 a Strasburgo il Congresso dei Poteri Regionali e Locali, organismo del Consiglio d'Europa, ha approvato una raccomandazione al Governo e al Parlamento italiano nella quale si esprime «preoccupazione per la generale carenza di risorse finanziarie degli enti locali, e in particolare delle province»;
    nella raccomandazione il Congresso esorta il Governo e il Parlamento italiano a «riesaminare, tramite consultazioni, i criteri per il calcolo dei tagli al bilancio e a revocare le restrizioni finanziarie imposte agli enti locali, in particolare alle province, per garantire loro risorse sufficienti, proporzionate alle loro responsabilità. Raccomanda altresì di chiarire le competenze delle province e città metropolitane, riesaminando le attuali restrizioni imposte in materia di risorse umane a livello locale»;
    con riferimento al sistema giustizia duole constatare che, pur a fronte di un lieve miglioramento dell'efficienza del sistema giudiziario, si evidenzia la costante preoccupazione per la durata irragionevole dei procedimenti;
    i dati più recenti, peraltro, inducono a ritenere che le misure adottate non abbiano ancora apportato significativi miglioramenti in termini di efficienza, soprattutto con riguardo alla durata dei giudizi in Corte di cassazione, e, più in generale, di capacità di contrasto degli abusi del processo;
    nel 2014 l'Italia aveva il numero più elevato di cause penali in entrata e pendenti in secondo e terzo grado e tale primato negativo si è confermato anche nel 2016 con riguardo alla durata dei giudizi (0,9 anni in primo grado, 2,4 anni in secondo grado e 0,5 anni in Cassazione);
    l'inefficienza della giustizia penale continua ad ostacolare la repressione del fenomeno corruttivo, una piaga sociale che andrebbe affrontata in una logica sistemica che tenga in adeguata considerazione la diffusività del fenomeno e l'insufficienza delle misure finora apprestate dall'ordinamento;
    il sistema dei controlli, infatti, risulta scarsamente efficace anche per contrastare quei comportamenti illeciti i cui effetti negativi sulle risorse pubbliche sono, spesso, devastanti;
    altro tema di primaria importanza che il nostro Paese si trova ad affrontare da anni, senza arrivare a soluzioni dirimenti, è quello legato all'inadeguatezza del sistema carcerario, dimostrazione tangibile del completo fallimento delle contraddittorie politiche messe in atto dai Governi succedutisi in questi ultimi anni, tutte improntate al «perdonismo» e dirette unicamente a svuotare le carceri senza eseguire interventi strutturali che possano risolvere l'emergenza carceraria sul lungo periodo;
    il problema del sovraffollamento carcerario non è legato solo al rischio di assumere dimensioni tali da poter creare, come ha creato, problemi di ordine pubblico, ma, soprattutto, al venire meno della funzione rieducativa e riabilitativa della pena;
    il «carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario» in Italia, contestatoci anche dalla Corte europea dei diritti umani, ci impone di agire attraverso interventi di natura strutturale e volti a ridurre il numero dei detenuti in attesa di giudizio, a stipulare accordi internazionali affinché i detenuti stranieri possano scontare la pena nei propri Paesi di origine, a potenziare il numero dei posti detentivi disponibili, sia attraverso l'implementazione delle strutture esistenti, sia attraverso la messa in funzione degli istituti di pena già edificati ma mai resi operativi, sia, infine, attraverso l'edificazione di nuove carceri;
    numerose sono le strutture carcerarie distribuite su tutto il territorio nazionale già edificate ma mai messe in funzione a causa della carenza negli organici degli agenti di custodia;
    noi siamo da sempre dalla parte degli operatori del comparto sicurezza-difesa e del soccorso pubblico, di chi difende le nostre vite ogni giorno indossando una divisa: serve un incremento generalizzato degli stipendi, anche parametrato alle singole specificità, nonché un piano di assunzione straordinaria di agenti delle Forze dell'Ordine per fronteggiare la grave carenza di organico che lascia scoperti interi territori e servizi essenziali per la sicurezza pubblica;
    nel campo della difesa e sicurezza internazionale il DEF prevede lo stanziamento di risorse per il finanziamento del fondo per le missioni internazionali e il rifinanziamento operazione strade sicure per 7.050 unità fino al 31 dicembre 2019;
    il settore della Difesa rappresenta un comparto strategico della Nazione, un fiore all'occhiello che andrebbe dotato di maggiori risorse, ritenendo una priorità adeguare gli stanziamenti per tale strategico settore ai parametri dei maggiori Stati occidentali, così come impone la sicurezza nazionale ma soprattutto il contrasto al terrorismo;
    un settore altrettanto importante, ma trascurato dalle recenti politiche nazionali è quello della cybersecurity, caratterizzato da una drammatica insufficienza di investimenti, che ci pone sostanzialmente ultimi tra i paesi avanzati e rischia di condizionare seriamente lo sviluppo dell'Italia ed il benessere dei suoi cittadini nei prossimi anni;
    il DEF all'esame del Parlamento pone un forte accento sulla valenza della ripresa degli investimenti pubblici quale strumento chiave per sostenere imprese e occupazione, evidenziando come però la leva degli investimenti pubblici risulti ancora debole e non pienamente utilizzata;
    in questo quadro i parametri temporali fissati dal fiscal compact si confermano eccessivamente stringenti e di fatto eccessivamente onerosi da rispettare;
    la doverosa riduzione del debito pubblico non può essere realizzata con le cieche politiche di austerità che derivano dall'applicazione di tali regole, che hanno prodotto effetti devastanti sulla mancata ripresa economica, sull'impoverimento dei cittadini, sull'acuirsi delle disuguaglianze sociali, e hanno agito nel senso di una sistematica disintegrazione del sistema di protezione sociale;
    non è sostenibile imporre le medesime regole finanziarie a Stati diversi per tessuto produttivo, imprenditoriale ed industriale, con differenti capacità economiche e sistemi fiscali assolutamente disomogenei, e con tradizioni, storie e culture diverse, senza tenere conto delle peculiarità di ciascuno di essi, e le attuali vicende dell'Unione, rispetto alle quali la Brexit ha rappresentato un segnale da non sottovalutare, lo stanno dimostrando;
    inoltre, in ambito regionale e locale i limiti imposti dal patto di stabilità interno stanno penalizzando l'operatività di tali enti anche al di là dei reali disavanzi;
    di converso l'Italia continua a mostrare grandi limiti nella fruizione dei fondi europei, posto che anche nel bilancio annuale dei 76 miliardi messi a disposizione dall'Unione europea nel mese di maggio appena il 32 per cento risulta impegnato e solo il sei per cento rendicontato;
    in merito ai fondi europei destano, peraltro, profonda preoccupazione gli annunciati tagli alle risorse in favore delle politiche di coesione e della politica agricola comune,

impegna il Governo:

1) con riguardo al rilancio dell'economia nazionale, alla difesa del made in Italy e delle produzioni nazionali, alla tutela degli asset nazionali strategici:
   a realizzare una politica economica basata sulla difesa del lavoro, dell'industria e dell'agricoltura italiani da concorrenza sleale e direttive UE penalizzanti, e volta a sostenere la produzione industriale e agricola riconoscibile come marchio Italia e la graduale riconversione della produzione esposta alla concorrenza indiscriminata;
   ad adottare politiche industriali efficienti volte a fronteggiare la minaccia all'economia e alla sicurezza del Paese attraverso la tutela delle aziende italiane di rilevanza strategica o ad elevato contenuto tecnologico, spesso permeabili a manovre esterne indirizzate ad assumerne il controllo;
   a tutelare i nostri beni strategici e la nostra capacità produttiva dall'aggressione straniera a partire dalla tutela della rete di telecomunicazione e delle reti infrastrutture logistiche, tecnologiche e trasportistiche;
   ad intraprendere azioni di salvaguardia delle capacità produttive nazionali, del know how pregiato e dei livelli occupazionali e ad adottare politiche capaci di attrarre gli investimenti stranieri nel territorio nazionale, soprattutto nelle aree depresse del Paese;
   a proporre una revisione delle norme istitutive del Piano Straordinario per il Made in Italy in modo da rispondere ai rilievi della Corte costituzionale senza inficiarne il funzionamento e a farsi promotore di una stabilizzazione della legislazione in materia;
   a contrastare il fenomeno dell’italian sounding tramite iniziative atte a rafforzare la tracciabilità dei prodotti italiani e l'adozione di norme più stringenti sull'etichettatura dei prodotti realizzati in Italia;
   ad adottare una politica fiscale «di vantaggio» per le attività del comparto turistico, attraverso una sensibile riduzione dell'imposta sul valore aggiunto sulle prestazioni rese ai clienti alloggiati nelle strutture ricettive – in sintonia con quanto previsto dalla legislazione di altri Paesi nostri concorrenti diretti- tale da determinare una riduzione del prezzo finale per i consumatori, un aumento del ricavo unitario per gli operatori e, conseguentemente, un aumento dell'attività turistica (indotto sia da una crescita della domanda di turismo, in termini di maggiori presenze e di maggiore spesa, sia dai maggiori investimenti che potranno essere effettuati dal settore;
   a prevedere il rilancio del sistema bancario per assicurare l'accesso al credito a famiglie e imprese, e in questo quadro ad accelerare il processo di riduzione dello stock di crediti deteriorati e rafforzare gli incentivi alla ristrutturazione e al risanamento dei bilanci, in particolare nel segmento delle banche soggette alla vigilanza nazionale, e adottare la revisione complessiva del quadro normativo in materia di insolvenza e di escussione delle garanzie; a favorire una revisione della normativa sul sistema bancario al fine di prevedere la separazione tra banche commerciali e banche d'affari;
   a varare quanto prima un piano straordinario di edilizia carceraria con la creazione di nuovi posti detentivi e l'assunzione di nuovi agenti di Polizia penitenziaria;
   a garantire tempistiche certe e celeri di liquidazione degli onorari spettanti ai professionisti per l'attività difensiva prestata in favore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato;
   a mettere in atto un sistema di incentivi alla partecipazione dei lavoratori agli utili d'impresa come miglior antidoto alla delocalizzazione;
   a prevedere forme di sostegno diretto nei settori produttivi maggiormente trainanti per la nostra economia, e ridare centralità al contratto di lavoro a tempo indeterminato e alla tutela dei diritti dei lavoratori;
   a salvaguardare la dotazione finanziaria destinata all'agricoltura anche in ambito europeo, garanzia di un'agricoltura di qualità, che salvaguardi la salute dei cittadini e consenta il mantenimento e lo sviluppo sociale ed economico delle aree rurali, contribuendo al mantenimento del paesaggio e dell'ambiente;
   a varare un piano di incentivi sia nel settore agricolo che in quello ittico, e, con particolare riferimento alla pesca, prevedere l'aumento al 50 per cento degli sgravi contributivi di cui al decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457;
   ad evitare ulteriori compressioni delle risorse correnti dei Comuni, auspicando una prossima revisione delle regole contabili che consenta agli enti di trasformare in effettiva capacità di spesa almeno quota parte degli avanzi di amministrazione disponibili in bilancio;
   a promuovere la revisione della legge n. 56 del 2014 per dare una prospettiva certa alle province e alle città metropolitane, in coerenza con le disposizioni della Costituzione e della Carta europea delle autonomie locali, sia relativamente agli organi di governo e al loro sistema di elezione, sia relativamente ad una più precisa definizione delle loro funzioni fondamentali, al fine di ripristinare e consolidare in maniera strutturale l'equilibrio nei bilanci:
    ad assegnare risorse agli Enti locali da destinare alla riqualificazione urbana e alla sicurezza delle periferie;
    a ricostruire e dare nuova vitalità al nostro immenso patrimonio artistico, trasformando le periferie da luoghi di abbandono e degrado in quartieri con identità e senso di appartenenza, a contrastare l'abusivismo, le occupazioni illegali e il degrado;
    a valorizzare l'Italia del museo diffuso storico e archeologico, del teatro, della musica, della danza, della rievocazione e delle tradizioni popolari, anche attraverso la deducibilità delle spese per consumo culturale personale che costituirebbe un volano per i consumi e gli operatori del settore;
    a rafforzare, in ambito culturale, gli strumenti di sussidiarietà pubblico-privato, anche attraverso il ripristino del 2xmille alle associazioni culturali e di promozione sociale;

2) con riguardo alle politiche fiscali:
   ad assumere iniziative strutturali per scongiurare l'attivazione delle clausole di salvaguardia senza aumentare la pressione fiscale;
   a disporre l'introduzione immediata della flat tax al 15 per cento per famiglie e imprese sul reddito incrementale rispetto all'anno precedente e, successivamente, sulla base dei risultati ottenuti, a prevedere l'applicazione del meccanismo della flat tax sull'intero reddito prodotto;
   con specifico riferimento alla normativa in materia di split payment, a disporre l'introduzione di misure compensative in favore delle aziende fornitrici della PA a loro volta costrette a pagare l'IVA ai propri fornitori, e ad apportare modifiche volte ad escludere lavoratori autonomi e artigiani;
   a prevedere l'introduzione di un sistema fiscale per le imprese che premi le attività ad alta intensità di lavoro, attraverso una «super deduzione» del costo del lavoro per le imprese ad alta intensità di manodopera;
   ad abolire il limite all'uso del contante, considerato che non si è rivelato, nel tempo, uno strumento efficace di contrasto all'evasione fiscale e alle operazioni di riciclaggio da parte della criminalità organizzata, che, invece, andrebbero combattute con misure repressive e sanzionatorie più organiche e strutturali, e che, peraltro, non essendo previsto in molti Paesi europei, anche confinanti, rischia di essere solo un freno per i consumi e un ostacolo in termini anche di competitività;
   a proseguire nella creazione di aree di fiscalità di vantaggio, atte a sostenere e potenziare lo sviluppo dei territori, e in questo quadro:
    a) in ottemperanza alle previsioni di cui all'articolo 174 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea ad assumere le iniziative volte a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni insulari;
    b) ad assumere ogni iniziativa utile a promuovere – in analogia con quanto previsto per le Zone economiche speciali (ZES) – una fiscalità di vantaggio in favore delle aree portuali delle regioni settentrionali che, ponendosi al crocevia dei principali corridoi europei ad alta velocità e capacità, possono costituire senza dubbio un partner strategico e di supporto per il sistema portuale del Mezzogiorno;

   ad assumere ogni iniziativa volta a concedere benefici fiscali in favore dei pensionati che trasferiscono la propria residenza in Italia, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno, al fine di attrarre un maggior numero di stranieri in Italia, incentivandone la presenza «stabile» e arginando, così, lo spopolamento delle zone interne e attivare un incremento «strutturale» di consumi e investimenti, conseguenti anche all'aumento «indotto» delle presenze turistiche che i nuovi residenti determineranno, contribuendo, così, a colmare il divario esistente tra Nord e Sud;
   ad attivarsi affinché non avvenga il recepimento del fiscal compact all'interno dei trattati costitutivi dell'Unione europea;
   a sostenere in sede europea la necessità di scorporare dal calcolo del deficit le spese per investimenti, per la prevenzione dei rischi idrogeologici e sismici, e quelle per la sicurezza, e ad introdurre una maggiore flessibilità nella individuazione delle circostanze eccezionali di cui all'articolo 81 della Costituzione;
   ad avviare da subito negoziati in ambito europeo per rivedere l'impostazione del complesso dei vincoli derivanti all'Italia dal fiscal compact, al fine di avviare una politica di crescita sostenibile e di ripresa economica e produttiva, con l'impegno da parte italiana a utilizzare la maggiore flessibilità unicamente in investimenti pubblici e sicurezza;

3) con riguardo agli investimenti pubblici, allo sviluppo infrastrutturale, alla prevenzione e contrasto del dissesto idrogeologico e del rischio sismico:
   a destinare almeno il 3 per cento del PIL a investimenti pubblici e infrastrutture, per tornare a puntare sull'ammodernamento della Nazione, partendo dalla rete digitale, passando dal miglioramento del trasporto pendolare, arrivando all'alta velocità;
   a elaborare e applicare un Piano pluriennale per dare al Sud Italia le condizioni infrastrutturali, logistiche, economiche necessarie alla crescita e allo sviluppo del territorio, come fattore necessario a far ripartire l'intera economia nazionale;
   a valutare l'adozione di un piano di azioni coordinate per l'intera area del Sud Italia, nell'ambito del quale prevedere ed attuare tempestivamente meccanismi di sostegno e di incentivazione, anche attraverso l'impiego di modalità di agevolazione fiscale, mirati a salvaguardare le strutture produttive esistenti e ad attrarre nuovi investimenti;
   ad adottare le iniziative necessarie a combattere efficacemente il gravissimo problema degli abbandoni scolastici, che di fatto priva questi territori anche della possibilità di investire nel futuro attraverso le giovani generazioni;
   ad individuare con rapidità quali comuni, tra quelli che ne abbiano fatto richiesta, abbiano i requisiti per costituire al proprio interno le zone franche urbane di cui alla legge 24 dicembre 2007, n. 244, al fine di rafforzare la crescita imprenditoriale e occupazionale delle micro e piccole imprese;
   ad elaborare un piano di monitoraggio delle risorse destinate dallo Stato e dall'Unione europea al contrasto della disoccupazione e agli altri programmi di sviluppo in favore delle regioni dell'obiettivo convergenza, al fine di verificare che esse siano effettivamente impiegate per i fini previsti e non siano disperse, e al fine di contrastare la lentezza nelle procedure di spesa;
   ad individuare politiche atte alla conservazione e valorizzazione delle risorse naturali delle Regioni, al fine di rilanciare il turismo e la produzione ed il commercio dei prodotti tipici;
   a valutare l'attivazione di procedimenti di sostituzione edilizia, in collaborazione con soggetti privati, volti ad eliminare gli edifici sorti in seguito a fenomeni di abusivismo edilizio e ripristinare i territori, con particolare riferimento alle fasce costiere; a promuovere una rapida individuazione degli interventi infrastrutturali di primaria importanza, anche ai fini del rilancio turistico, e ad individuare misure per garantire la loro tempestiva realizzazione;
   ad elaborare un programma per la messa in sicurezza dei territori, degli edifici, con particolare riguardo a quelli scolastici, di recupero dei centri urbani, attraverso opere di restauro degli edifici storici, per il completamento dei programmi già avviati nei settori dell'edilizia sanitaria, universitaria e carceraria;
   ad inserire nella programmazione gli interventi già definiti e cofinanziati da parte delle regioni e degli enti locali;
   tra gli interventi considerati prioritari ad assegnare precedenza assoluta alla realizzazione dei collegamenti, anche volti all'approvvigionamento energetico, con gli Stati esteri confinanti, per i quali risultano contratti già in essere e per i quali sono già state ultimate le tratte estere;
   rispetto alle azioni per l'emergenza sismica, e stante il fallimento delle strategie messe in campo sinora, ad assumere iniziative per semplificare le procedure e velocizzare la ricostruzione sia pubblica che privata, nonché a prevedere una moratoria decennale sulla riorganizzazione dei servizi pubblici essenziali nelle zone colpite dagli eventi sismici, al fine di evitare lo spopolamento e il definitivo collasso del tessuto produttivo;
   a programmare gli interventi di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, individuando la copertura dei relativi costi anche facendo ricorso all'intervento dell'Unione europea per la deroga dal patto di stabilità;
   a reperire risorse adeguate per intervenire sulla prevenzione, anche coinvolgendo il settore privato attraverso i meccanismi premiali della riqualificazione e del recupero;
   a fare in modo che le risorse già disponibili siano spese in maniera efficace e tempestiva, individuando meccanismi di semplificazione e sburocratizzazione;

4) con riguardo alle politiche sociali:
   a promuovere politiche sociali volte a garantire il sostegno ai soggetti che per ragioni obiettive sono impossibilitati a lavorare, quali i minori, gli invalidi e gli ultrasessantenni privi di reddito;
   a promuovere l'adozione di un piano nazionale di interventi, anche di natura fiscale, finalizzato a contrastare la crisi demografica in atto e incentivare la natalità, con provvedimenti strutturali e permanenti, e in tale ambito:
    a) a istituire il reddito d'infanzia che preveda la corresponsione di un assegno di quattrocento euro al mese per ogni minore a carico fino ai sei anni di età, volto a garantire un sostegno di lungo periodo alle famiglie con figli;
    b) a prevedere misure di agevolazione fiscale in favore delle famiglie con figli, tra le quali la riduzione progressiva dell'imposta sul valore aggiunto sui prodotti di prima necessità per l'infanzia, quali pannolini, latte in polvere e altri;
    c) a implementare l'offerta di strutture e di servizi socio-educativi per l'infanzia, anche per la fascia neo-natale e pre-scolastica, gratuiti, a tempo pieno e con un sistema di apertura a rotazione anche nel periodo estivo – e lo stanziamento di apposite risorse finanziarie;
    d) ad assumere iniziative volte a incrementare l'occupazione femminile, prevedendo incentivi per le imprese che assumono neomamme e giovani donne e rafforzando le misure di tutela per le lavoratrici, anche del settore autonomo, nonché a potenziare e consolidare gli strumenti di conciliazione famiglia-lavoro;
    e) a prevedere un sistema di rimborso delle spese sostenute per adozione da parte di genitori adottivi entrambi residenti in Italia, se del caso attraverso il meccanismo del credito di imposta;
    a prevedere il pieno riconoscimento dell'opera dei caregiver familiari e la deducibilità del lavoro domestico;
    ad assumere iniziative per allineare l'assegno per le pensioni di invalidità all'assegno sociale;
con riguardo alla gestione e al controllo del fenomeno migratorio:
    a) riattivare i meccanismi di programmazione e regolamentazione dei flussi migratori regolari, rivitalizzando lo strumento, oramai del tutto depotenziato negli ultimi anni, del c.d. «decreto-flussi», al fine di assicurare «quote» mirate di immigrazione regolare e consentire, dunque, l'ingresso di stranieri nel territorio italiano esclusivamente sulla base di specifici criteri che tengano conto:
     i. dei fabbisogni occupazionali non reperibili nel territorio nazionale e delle caratteristiche della domanda di lavoro per settore economico e titolo di studio;
     ii. dell'andamento tendenziale dei tassi di natalità, di fertilità e di invecchiamento della popolazione in Italia e, dunque, delle esigenze connesse al bilancio demografico negativo del nostro Paese e dell'effetto addizionale che l'ingresso di donne in età fertile può determinare sulla dinamica delle nascite;
     iii. delle condizioni politiche, ambientali, sociali e demografiche dei Paesi di origine e di provenienza, con particolare riferimento alla capacità e alla propensione all'integrazione socio-culturale e al rispetto dei principi volti a garantire la sicurezza e l'ordine pubblico;
    b) al fine di assicurare la più efficace esecuzione delle procedure di rimpatrio degli stranieri verso i Paesi di origine ovvero di provenienza, incrementare le risorse del Fondo rimpatri e, in generale, gli stanziamenti destinati alle spese connesse alle procedure di espulsione, respingimento o allontanamento degli stranieri irregolari dal territorio dello Stato;
    c) assicurare maggiore efficienza e trasparenza al sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati per quanto concerne, in particolare, la gestione, il controllo e il monitoraggio della spesa, al fine di contrastare e prevenire efficacemente fenomeni lucrativi, dietro i quali, il più delle volte, operano organizzazioni criminali;
    d) razionalizzare la spesa connessa al sistema di accoglienza, eliminando gli sprechi e contrastando il conseguimento di indebiti profitti, soprattutto prevedendo un tetto al costo pro-capite mensile per ciascun migrante che non possa in ogni caso essere superiore all'importo massimo delle prestazioni economiche di natura socio-assistenziale erogate ai soggetti che si trovano in condizioni economiche disagiate e che lo Stato ritiene sufficienti ad assicurare una vita sostenibile e dignitosa;

con riguardo al sistema pensionistico:
   ad assumere iniziative per anticipare l'età della pensione sociale a 60 anni per i soggetti privi di reddito;
   a porre in essere ogni idonea iniziativa, anche normativa, che renda più flessibile l'accesso al regime pensionistico per lavoratori e lavoratrici, adottando urgenti provvedimenti per eliminare gli effetti pregiudizievoli del parametro dell'aspettativa di vita, che comporta un ingiusto innalzamento dell'età pensionabile in base a parametri meramente previsionali;
   ad adottare urgenti provvedimenti per procedere alla nona e definitiva salvaguardia dei circa seimila esodati rimasti esclusi dalle precedenti otto manovre, riconoscendo agli stessi l'accesso al trattamento previdenziale;
   a prorogare, almeno al 31 dicembre 2019, la misura sperimentale «Opzione donna», prevista dalla legge n. 243 del 2004 e successive modifiche, che consente alle lavoratrici di 57-58 anni di età anagrafica e 35 anni di contributi di andare in pensione con un assegno calcolato con il sistema contributivo, nonché a renderlo strutturale ed estenderlo anche agli uomini;
   a riconoscere l'accesso all'assegno previdenziale a tutti coloro che hanno maturato 41 anni di contributi, indipendentemente dall'età anagrafica, attraverso lo strumento cosiddetto della «Quota 41» che, ad oggi, invece viene applicato solo per alcune categorie di lavoratori;

5) con riguardo al comparto sicurezza e difesa:
    a) a incrementare le risorse destinate al comparto del 2 per cento, adeguando gli stanziamenti agli standard europei, soprattutto per quanto concerne la spesa per dotazioni e stipendi, prevedendo, altresì, che nei contratti del comparto difesa sicurezza vi sia un incremento per specificità;
    b) a destinare almeno il 50 per cento dei beni e proventi sottratti alle mafie alle Forze di polizia e alle Forze armate;
    c) a promuovere investimenti in attrezzature, tecnologie e sistemi informatici;
    d) ad adottare opportune politiche nel campo della cj/ber sicurezza;
    e) a potenziare i presidi istituzionali e delle Forze dell'ordine sul territorio nazionale;

6) con riguardo alle iniziative da adottare in materia di politica internazionale:
   ad affermare chiaramente in Europa che, in assenza di un cambiamento radicale della politica economica e monetaria dell'Unione europea, l'Italia non esclude di sostenere in sede europea lo scioglimento concordato e controllato della zona euro;
   ad assumere ogni iniziativa utile in ambito europeo ed internazionale volta alla stabilizzazione delle Nazioni estere i cui mercati da sempre costituiscono lo sbocco commerciale delle nostre esportazioni;
   ad esprimere, nella riunione degli Stati membri dell'Unione europea che a fine luglio dovrà votare il mantenimento o meno delle sanzioni commerciali a carico della Russia, un voto contrario, che possa permettere il riavvio degli scambi commerciali con tale Paese;
   a sostenere nelle competenti sedi comunitarie l'impegno dell'Italia contro i tagli ai fondi europei per le politiche di coesione e la politica agricola comune.
(6-00004) «Rampelli, Crosetto, Meloni, Acquaroli, Bellucci, Bucalo, Butti, Caretta, Ciaburro, Deidda, Luca De Carlo, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Fidanza, Foti, Frassinetti, Gemmato, Lollobrigida, Lucaselli, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rizzetto, Rotelli, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

finanziamento pubblico

investimento pubblico

prodotto interno lordo