ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00179

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 171 del 08/05/2019
Abbinamenti
Atto 1/00184 abbinato in data 14/05/2019
Firmatari
Primo firmatario: MELONI GIORGIA
Gruppo: FRATELLI D'ITALIA
Data firma: 08/05/2019
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
LOLLOBRIGIDA FRANCESCO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
ACQUAROLI FRANCESCO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
BELLUCCI MARIA TERESA FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
BUCALO CARMELA FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
BUTTI ALESSIO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
CARETTA MARIA CRISTINA FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
CIABURRO MONICA FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
CIRIELLI EDMONDO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
DE CARLO LUCA FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
DEIDDA SALVATORE FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
DELMASTRO DELLE VEDOVE ANDREA FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
DONZELLI GIOVANNI FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
FERRO WANDA FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
FIDANZA CARLO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
FOTI TOMMASO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
FRASSINETTI PAOLA FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
GEMMATO MARCELLO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
LUCASELLI YLENJA FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
MANTOVANI LUCREZIA MARIA BENEDETTA FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
MASCHIO CIRO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
MOLLICONE FEDERICO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
MONTARULI AUGUSTA FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
OSNATO MARCO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
PRISCO EMANUELE FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
RAMPELLI FABIO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
RIZZETTO WALTER FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
ROTELLI MAURO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
SILVESTRONI MARCO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
TRANCASSINI PAOLO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
VARCHI MARIA CAROLINA FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019
ZUCCONI RICCARDO FRATELLI D'ITALIA 08/05/2019


Stato iter:
14/05/2019
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 13/05/2019
Resoconto OSNATO MARCO FRATELLI D'ITALIA
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 13/05/2019
Resoconto FREGOLENT SILVIA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto FORNARO FEDERICO LIBERI E UGUALI
Resoconto ZANETTIN PIERANTONIO FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
 
PARERE GOVERNO 14/05/2019
Resoconto VILLAROSA ALESSIO MATTIA SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
DICHIARAZIONE VOTO 14/05/2019
Resoconto FORNARO FEDERICO LIBERI E UGUALI
Resoconto OSNATO MARCO FRATELLI D'ITALIA
Resoconto ZANETTIN PIERANTONIO FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto FREGOLENT SILVIA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto PATASSINI TULLIO LEGA - SALVINI PREMIER
Resoconto RUGGIERO FRANCESCA ANNA MOVIMENTO 5 STELLE
Fasi iter:

DISCUSSIONE IL 13/05/2019

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 13/05/2019

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 14/05/2019

NON ACCOLTO IL 14/05/2019

PARERE GOVERNO IL 14/05/2019

DISCUSSIONE IL 14/05/2019

VOTATO PER PARTI IL 14/05/2019

RESPINTO IL 14/05/2019

CONCLUSO IL 14/05/2019

Atto Camera

Mozione 1-00179
presentato da
MELONI Giorgia
testo presentato
Mercoledì 8 maggio 2019
modificato
Martedì 14 maggio 2019, seduta n. 175

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, ha modificato in maniera sostanziale l'assetto della Banca d'Italia procedendo, di fatto, alla sua privatizzazione, nonostante la stessa non solo sia definita quale istituto di diritto pubblico dalla legge, ma soprattutto svolga delicatissimi compiti istituzionali;
    la legge del 1936 che ha qualificato la Banca d'Italia come «istituto di diritto pubblico» aveva altresì previsto l'esproprio dei suoi azionisti privati e la redistribuzione delle quote di capitale tra le banche ormai nazionalizzate, unitamente all'obbligo di abbandonare le normali operazioni commerciali con clienti non bancari e il rafforzamento dei suoi compiti di vigilanza nei confronti del sistema, che frattanto veniva suddiviso – sull'esempio del Glass-Steagall Act americano – tra banche di credito a breve termine e banche di credito a lungo termine;
    il processo di trasformazione delle banche pubbliche in società per azioni, verificatosi nel corso negli anni ’90 a opera della legge 30 luglio 1990, n. 218, ha poi influito, di fatto, sulla titolarità delle quote di partecipazione al capitale di Banca d'Italia e, infine, l'articolo 27 del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, ha disciplinato la partecipazione al capitale della Banca d'Italia da parte delle fondazioni bancarie, enti di diritto privato che avevano effettuato il conferimento delle aziende bancarie alle società nate dai processi di trasformazione delle banche pubbliche;
    tra questi due provvedimenti si pone il testo unico delle disposizioni in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, con il quale è stato riformato l'intero sistema bancario attraverso l'eliminazione della separazione tra credito a breve termine e credito a lungo termine e la conseguente reintroduzione del modello della «banca universale», nonché attraverso l'adozione di sistemi di vigilanza uniformi a livello europeo;
    con l'adesione all'euro, la Banca d'Italia ha cambiato ancora una volta il proprio ruolo, divenendo al tempo stesso compartecipe ed esecutrice – a livello nazionale – delle decisioni di politica monetaria prese dalla Banca centrale europea e perdendo la responsabilità esclusiva sia della politica monetaria nazionale sia della vigilanza sui principali gruppi bancari italiani, anch'essa conferita alla Banca centrale europea;
    sino all'adozione del citato decreto-legge, la struttura della governance della Banca d'Italia, per quanto singolare, era riuscita a garantire l'indipendenza dai privati (vigilati) grazie ad alcuni meccanismi di salvaguardia che hanno impedito, almeno fino all'adozione della nuova normativa nel 2013, che alcuna banca partecipante al capitale della Banca d'Italia potesse prendere seriamente in considerazione né l'ipotesi di vendere la propria quota, né quella di attribuire ad essa un valore superiore a quello, simbolico, allora calcolato sul capitale complessivo di circa 156.000 euro;
    il decreto-legge n. 133 del 2013 ha introdotto significative novità sia rispetto al capitale, prevedendo che la Banca d'Italia potesse effettuarne una rivalutazione mediante utilizzo delle riserve statutarie sino a 7,5 miliardi di euro, sia rispetto alla distribuzione dei dividendi annuali;
    tali novità – come largamente previsto sin dal momento della conversione del decreto-legge e opportunamente segnalato già in quella sede dal Gruppo di Fratelli d'Italia – hanno dimostrato nel tempo di portare giovamento solo alle banche azioniste, le quali, a fronte di un capitale della Banca d'Italia pari a 7 miliardi di euro, con un tasso di dividendi del 6 per cento, incassano circa 450 milioni di euro all'anno, a fronte dei precedenti 50-70 milioni di euro;
    inoltre, il decreto-legge ha ampliato il novero dei soggetti italiani che potranno detenere quote del capitale, allargandolo anche ai fondi pensione e alla totalità delle banche, mentre precedentemente solo le banche succedute nelle posizioni giuridiche delle aziende creditizie considerate dal regio decreto-legge n. 375 del 1936 (casse di risparmio, istituti di credito di diritto pubblico, banche di interesse nazionale) risultavano pienamente legittimate al possesso delle quote;
    le banche e le assicurazioni sono private e la loro nazionalità non è più difendibile a priori, con la conseguenza che la Banca d'Italia potrebbe diventare a maggioranza di azionisti esteri;
    in strettissima connessione con il tema della proprietà di Banca d'Italia si pone anche quello delle riserve auree: l'Italia è il terzo Paese al mondo per consistenza delle riserve (dopo Stati Uniti d'America e Germania) con 2.451,8 tonnellate di oro, pari oggi a una somma di circa 110 miliardi di euro che, pur con qualche oscillazione, cresce tendenzialmente di anno in anno e, pur mantenendo la natura giuridica pubblicistica della Banca d'Italia, la sostanziale privatizzazione dell'istituto operata dal decreto-legge solleva più di qualche perplessità in ordine al destino delle stesse riserve;
    queste ultime, tuttavia, appartengono senza ombra di dubbio allo Stato italiano e al popolo italiano e questa è l'opinione anche di illustri costituzionalisti, che hanno avuto modo di affermare che «l'analisi della normativa sinora vigente induce a ritenere che si tratti di beni pubblici di natura quasi demaniale, destinati ad uso di utilità generale, che Banca d'Italia non avrebbe più titolo per detenere, essendo la sua funzione monetaria confluita in quella affidata ormai alla Banca centrale europea»;
    le riserve auree, in seguito alla sospensione del regime di convertibilità dei biglietti di banca «in oro o, a scelta della banca medesima, in divise su Paesi esteri nei quali sia vigente la convertibilità dei biglietti di banca in oro», prevista dal regio decreto-legge 21 dicembre 1927, n. 2325, hanno svolto una funzione essenziale per il governo della bilancia dei pagamenti e, quindi, dell'esposizione dell'Italia verso l'estero e, pertanto, anche di garanzia dell'indipendenza e della sovranità del popolo italiano;
    il direttore generale di Banca d'Italia, Salvatore Rossi, in un'intervista rilasciata su La7 ha dichiarato che, con l'ingresso nell'euro, ad avere il potere di stabilire a chi appartenga l'oro della Banca d'Italia è la Banca centrale europea a cui si è ceduta la sovranità quando è stato creato euro;
    l'articolo 127, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea stabilisce che tra i compiti da assolvere tramite il Sebc (Sistema europeo di banche centrali) vi siano la detenzione e la gestione delle riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;
    le norme europee parlano di detenzione, sia esplicitamente nel titolo dell'articolo 31, sia nella disposizione dell'articolo 31.2, che fa riferimento alle «attività di riserva in valuta che restano alle banche centrali nazionali dopo i trasferimenti», con ciò evidenziando nessuna supponibile ingerenza circa la proprietà e il titolo in forza del quale le banche centrali nazionali detengono tali riserve, ivi comprese quelle auree, lasciando così sul campo del diritto domestico la determinazione della questione;
    il codice monetario e finanziario della Francia, che raccoglie le disposizioni di legge e regolamentari concernenti le attività del settore bancario, finanziario e assicurativo, stabilisce che «la Banca di Francia detiene e gestisce le riserve di cambio dello Stato in oro e in valuta e le iscrive all'attivo del suo bilancio secondo le modalità stabilite in una convenzione con lo Stato», ribadendo, quindi, per legge e con grande chiarezza, che le riserve auree, pur se detenute e gestite dalla Banca centrale, sono di proprietà dello Stato;
    se è vero che le norme relative all'attività di gestione devono interpretarsi nel senso che la Banca d'Italia gestisce e detiene, ad esclusivo titolo di deposito, le riserve auree, rimanendo impregiudicato il diritto di proprietà dello Stato italiano su dette riserve, comprese quelle detenute all'estero, tuttavia esse non appaiono sufficientemente esplicite nell'affermare la permanenza della proprietà dell'oro in questione in capo allo Stato italiano;
    una specificazione su questo punto si rende necessaria, vista la natura ibrida assunta dalla Banca d'Italia nel corso degli anni, in conseguenza dei numerosi interventi legislativi stratificatisi;
    l'adozione del nuovo testo unico in materia bancaria e creditizia nel settembre 1993 ha rivoluzionato l'intera struttura del sistema bancario, e, soprattutto, eliminato la distinzione introdotta nel 1936 tra attività bancarie a breve e a medio-lungo termine;
    il nuovo testo unico bancario ha, inoltre, previsto che: «Le banche esercitano, oltre all'attività bancaria, ogni all'attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali», mentre nella disciplina previgente alle banche commerciali era proibito detenere quote di partecipazione (ancora meno di controllo) nelle aziende non bancarie ed era altresì vietata qualsiasi attività di trading su titoli e valute;
    tale universalizzazione delle banche ha creato non poche complicazioni e ha dimostrato negli anni tutti i propri limiti, con danni finanziari spesso molto gravosi a carico dei piccoli contribuenti, esposti a rischi senza neanche esserne informati;
    è questa la storia, purtroppo, di tutti i più eclatanti casi fallimenti di istituti bancari degli ultimi anni, rispetto ai quali, peraltro, moltissimi risparmiatori truffati e danneggiati ingiustamente attendono ancora i dovuti risarcimenti;
    la possibilità di svolgere, contemporaneamente, le due antitetiche tipologie di attività ha, infatti, consentito alle banche sistemiche di avere una parte di attività tradizionale relativamente stabile e meno rischiosa che si occupa di concessione di crediti, mentre quella dedita al trading proprietario e speculativo, fortemente instabile e più rischiosa, è suscettibile di far fallire l'intero «conglomerato»;
    l'aspetto più grave consiste nel fatto che l'attività di trading proprietario è finanziata con i fondi sottratti ad attività a basso rischio e rendimento (i depositi bancari) e, quindi, poco costose per le banche;
    se, infatti, il trading proprietario fosse scorporato dall'attività ordinaria, la banca per svolgere quella specifica attività dovrebbe chiedere fondi sui mercati e sarebbe costretta a remunerarli a tassi molto più elevati;
    a ciò bisogna aggiungere che, in caso di fallimento, la banca sistemica può chiedere e ottenere facilmente il salvataggio a opera delle autorità di vigilanza – a spese dei contribuenti – sulla base della motivazione che, dal suo fallimento, sarebbero travolti i soggetti depositanti della banca;
    di fatto, dunque, i risparmiatori che effettuano i propri depositi nelle banche che mischiano attività tradizionale con trading speculativo proprietario sono due volte vittime: dapprima perché del loro denaro viene fatto un uso improprio e, di nuovo, nel momento in cui le banche devono essere «salvate», perché altrimenti i risparmiatori perderebbero i propri depositi;
    è noto che uno dei maggiori ostacoli alla ripresa dell'economia italiana nel difficile momento che si sta vivendo è che, nonostante le frequenti iniezioni di liquidità nel sistema bancario italiano da parte della Banca centrale europea, peraltro a bassissimo costo, con l'obiettivo di far ripartire i prestiti all'economia reale, sono anni che il credito non arriva più alle famiglie e alle imprese;
    la «massimizzazione del profitto» e la ricerca di guadagni – a breve termine e speculativi – riducono, infatti, gli incentivi a effettuare l'attività del credito tradizionale a cittadini e a imprese che, ormai, offre rendimenti piuttosto contenuti a fronte di costi elevati;
    questa scelta, drammaticamente negativa per l'economia reale e lesiva dei più elementari princìpi di salvaguardia dei presupposti sociali ed etici dell'economia, è resa possibile dalla grande dimensione delle banche sistemiche e dalla commistione, nel medesimo soggetto bancario, dell'attività di intermediazione creditizia tradizionale con quella delle banche d'affari e del trading speculativo proprietario;
    tornare di nuovo ad una separazione di ruoli non è così semplice: da un lato, la legislazione bancaria è ormai così complessa da renderla difficile sotto il profilo legislativo e regolamentare e, dall'altro, le banche d'affari fanno pressione sulle istituzioni nazionali ed europee per impedire il verificarsi di questa ipotesi;
    tuttavia, l'unica soluzione seria e realmente efficace per porre fine a questa inaccettabile situazione consiste proprio nel rompere il «cordone ombelicale» tra depositi dei clienti e risorse che le banche utilizzano per svolgere il trading speculativo di natura proprietaria, distinguendo nettamente le due tipologie di banche: quella commerciale ordinaria e tradizionale e quella speculativa che svolge attività di commercio in proprio di strumenti finanziari;
    nel marzo 2012 è stato approvato il «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'Unione economica e monetaria», più comunemente noto come Fiscal compact, che ha impegnato le parti contraenti ad applicare e ad introdurre nella procedura di bilancio nazionale, mediante «norme vincolanti e di natura permanente, preferibilmente di tipo costituzionale», o di altro tipo, purché ne garantiscano l'osservanza, alcune regole di politica economica dette golden rules;
    in base a tali regole nell'ordinamento di ciascuno Stato doveva essere recepito il principio del pareggio di bilancio, ribadito il limite allo 0,5 del deficit strutturale rispetto al prodotto interno lordo, l'obbligo, già previsto dal Trattato di Maastricht, di mantenere il rapporto tra deficit e il prodotto interno lordo entro il valore massimo del 3 per cento e l'obbligo in capo agli Stati con un rapporto tra debito e prodotto interno lordo superiore al 60 per cento di ridurlo di almeno un ventesimo all'anno, sino a raggiungere il parametro fissato dal Trattato di Maastricht;
    di fatto, quindi, con il Fiscal compact sono stati ribaditi e resi maggiormente vincolanti alcuni dei parametri già fissati dal Trattato di Maastricht e sui quali si erano già appuntate numerose critiche, quali, in primo luogo, il vincolo del 3 per cento, che non solo impedisce di fare delle spese in investimenti per rilanciare l'economia, ma, addirittura, condiziona la pubblica amministrazione in misura tale da non potere fare le spese di ordinaria di gestione anche nel caso in cui nelle proprie casse vi siano le risorse per poter finanziare le necessità dei propri cittadini;
    in Italia, diversamente che in altri Stati che hanno egualmente sottoscritto il Fiscal compact, il principio del pareggio di bilancio e quello della sostenibilità del debito delle pubbliche amministrazioni sono stati inseriti nella Carta costituzionale, attraverso la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che ha novellato gli articoli 81, 97, 117 e 119;
    in particolare, il principio del pareggio è contenuto nel novellato articolo 81, mentre con un'apposita novella all'articolo 97 della Costituzione, l'obbligo di assicurare l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico in coerenza l'ordinamento dell'Unione europea è stato esteso a tutte le pubbliche amministrazioni;
    le modifiche apportate all'articolo 119 sono volte a specificare che «i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea»;
    la novella all'articolo 117, infine, inserisce la materia dell'armonizzazione dei bilanci pubblici nel novero delle materie sulle quali lo Stato ha una competenza legislativa esclusiva;
    è opportuno rilevare in primo luogo come nel «nuovo» articolo 81 non vi è alcun riferimento ai cosiddetti vincoli europei e la sovranità di bilancio è dunque totalmente nazionale, ma la legge di attuazione del principio del pareggio di bilancio è radicalmente uscita da questo schema, incorporando e persino rafforzando le nuove politiche di bilancio a matrice europea basate sull'idea del corso forzoso alla riduzione dello stock storico del debito pubblico italiano;
    con la legge 24 dicembre 2012, n. 243, infatti, non solo sono stati introdotti nell'ordinamento italiano a tutti gli effetti i dettami del Fiscal compact, ma ad essi è stato riconosciuto un ancoraggio costituzionale sulla scia del principio generale di «desovranizzazione» contenuto nell'articolo 117, che, al primo comma, subordina l'esercizio della potestà legislativa da parte dello Stato e delle regioni al rispetto della Costituzione, nonché ai «vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario»;
    per effetto del combinato disposto di queste norme, quindi, il Fiscal compact è arrivato ad essere, di fatto, lo strumento attraverso il quale si esercita il dominio dell'Europa sulle politiche economiche nazionali, costringendo l'Italia a operare scelte che rischiano di affossare definitivamente l'economia e a subire ogni possibile forma di condizionamento, riduzione e addirittura azzeramento della sovranità nazionale italiana,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per approntare e varare quanto prima una riforma del sistema del credito e delle autorità di vigilanza sullo stesso, al fine di garantire una stabilità del sistema e la tutela di investitori, risparmiatori e dei contribuenti in generale;

2) in tale ambito, ad adottare le iniziative necessarie, anche di carattere normativo, per realizzare una netta separazione tra banche commerciali e banche d'affari e per istituire la fattispecie delle banche di deposito, con la sola funzione di custodire il risparmio;

3) ad adottare iniziative per introdurre normative più rigide a tutela dei risparmiatori, volte a prevedere in capo a banche e istituti di credito l'obbligo di informare sempre ed in maniera comprensibile il cliente circa il fattore di rischio dell'operazione che sta realizzando e ad impedire ai medesimi istituti di attuare pratiche scorrette nell'attività di recupero dei crediti;

4) ad adottare iniziative per erogare in tempi brevissimi tutte le somme dovute a titolo indennizzatorio e risarcitorio ai risparmiatori truffati dalle banche;

5) ad adottare iniziative per definire una normativa che stabilisca che i membri del consiglio di amministrazione e di governo delle banche siano responsabili in solido e senza limiti nel caso di fallimento delle proprie aziende;

6) ad adottare iniziative per condizionare l'erogazione di eventuali aiuti finanziari a istituti bancari all'applicazione di chiare e stringenti limitazioni: divieto di distribuzione di utili e dividendi per almeno cinque anni; divieto di erogare bonus; tetto ai compensi di amministratori e dirigenti; controllo straordinario sull'operato della banca per verificare l'eventuale mala gestione dell'istituto; responsabilità diretta e personale degli amministratori; divieto definitivo e inappellabile per gli amministratori che si siano resi responsabili della situazione di insolvenza di ricoprire altri incarichi in ambito bancario;

7) ad assumere iniziative, anche normative, per disporre l'attribuzione a soggetti pubblici della proprietà della Banca d'Italia;

8) a valutare la tempestiva adozione di un'iniziativa normativa che chiarisca, in maniera esplicita, che le riserve auree sono di proprietà dello Stato italiano e non della Banca d'Italia;

9) ad adottare le iniziative opportune affinché le riserve auree eventualmente ancora detenute all'estero siano fatte rientrare nel territorio nazionale;

10) a promuovere le opportune iniziative, per quanto di competenza, volte a modificare la legge n. 243 del 2012 e le norme costituzionali in materia, riaffermando il valore della sovranità nazionale anche in ambito europeo.
(1-00179) «Meloni, Lollobrigida, Acquaroli, Bellucci, Bucalo, Butti, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Luca De Carlo, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Fidanza, Foti, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

banca

riserve valutarie

pareggio del bilancio