ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00362

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 873 del 18/10/2017
Abbinamenti
Atto 6/00359 abbinato in data 18/10/2017
Atto 6/00360 abbinato in data 18/10/2017
Atto 6/00361 abbinato in data 18/10/2017
Atto 6/00363 abbinato in data 18/10/2017
Atto 6/00364 abbinato in data 18/10/2017
Atto 6/00365 abbinato in data 18/10/2017
Atto 6/00366 abbinato in data 18/10/2017
Firmatari
Primo firmatario: LAFORGIA FRANCESCO
Gruppo: ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA
Data firma: 18/10/2017
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
SCOTTO ARTURO ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA 18/10/2017
RICCIATTI LARA ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA 18/10/2017
SPERANZA ROBERTO ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA 18/10/2017
CIMBRO ELEONORA ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA 18/10/2017
PIRAS MICHELE ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA 18/10/2017
DURANTI DONATELLA ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA 18/10/2017
FAVA CLAUDIO ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA 18/10/2017
FERRARA FRANCESCO DETTO CICCIO ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA 18/10/2017
SIMONI ELISA ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA 18/10/2017


Stato iter:
18/10/2017
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO GOVERNO 18/10/2017
Resoconto GOZI SANDRO SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 18/10/2017
Resoconto PASTORELLI ORESTE MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI) - INDIPENDENTI
Resoconto BUTTIGLIONE ROCCO MISTO-UDC-IDEA
Resoconto ARTINI MASSIMO MISTO-ALTERNATIVA LIBERA-TUTTI INSIEME PER L'ITALIA
Resoconto ALTIERI TRIFONE MISTO-DIREZIONE ITALIA
Resoconto MONCHIERO GIOVANNI MISTO-CIVICI E INNOVATORI PER L'ITALIA
Resoconto LA RUSSA IGNAZIO FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Resoconto SBERNA MARIO DEMOCRAZIA SOLIDALE - CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto ABRIGNANI IGNAZIO SCELTA CIVICA-ALA PER LA COSTITUENTE LIBERALE E POPOLARE-MAIE
Resoconto FASSINA STEFANO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE
Resoconto SIMONETTI ROBERTO LEGA NORD E AUTONOMIE - LEGA DEI POPOLI - NOI CON SALVINI
Resoconto CICCHITTO FABRIZIO ALTERNATIVA POPOLARE-CENTRISTI PER L'EUROPA-NCD
Resoconto RICCIATTI LARA ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA
Resoconto OCCHIUTO ROBERTO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto DI STEFANO MANLIO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto BOCCIA FRANCESCO PARTITO DEMOCRATICO
 
PARERE GOVERNO 18/10/2017
Resoconto GOZI SANDRO SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 18/10/2017

DISCUSSIONE IL 18/10/2017

ATTO MODIFICATO IN CORSO DI SEDUTA IL 18/10/2017

ACCOLTO IL 18/10/2017

PARERE GOVERNO IL 18/10/2017

APPROVATO IL 18/10/2017

CONCLUSO IL 18/10/2017

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00362
presentato da
LAFORGIA Francesco
testo di
Mercoledì 18 ottobre 2017, seduta n. 873

   La Camera,
   sentite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in merito alla riunione del Consiglio europeo del 19 e 20 ottobre 2017;
   premesso che:
    la riunione del Consiglio europeo dovrà affrontare alcune delle questioni più urgenti, tra cui le migrazioni, la difesa, gli affari esteri e l'Europa digitale;
    in particolare con riferimento alle migrazioni si farà il punto delle misure adottate per controllare i flussi migratori illegali su tutte le rotte e sulle eventuali misure aggiuntive da adottare per sostenere gli Stati membri in prima linea sugli arrivi per rafforzare la cooperazione con l'Unhcr e l'Oim e con i Paesi di origine e di transito dei migranti; inoltre si discuterà della riforma del sistema europeo comune di asilo; si riprenderà poi la discussione in materia di difesa sulla cooperazione strutturata permanente (Pesco) e alla luce dei recenti avvenimenti si esamineranno specifiche questioni di politica estera, in particolare le relazioni con la Turchia; infine, con riferimento all'Europa digitale il Consiglio valuterà le sfide e le opportunità della digitalizzazione facendo anche il punto sull'attuazione del mercato unico del digitale;
    l'attuale strategia europea sulle migrazioni è pubblicata nell'Agenda europea sulla migrazione ed è stata definita nel 2015 come risposta all'arrivo di persone su quella che un tempo era la rotta balcanica e in risposta alle migliaia di persone che attraversavano il mediterraneo scappando da guerre, carestia, povertà e repressione, in cerca di sicurezza ed una vita migliore;
    l'Agenda europea sulla migrazione è stata adottata alla riunione del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno del 2015 e in questi due anni e mezzo l'Unione europea gli Stati membri, ignorando la dimensione epocale del fenomeno, hanno concentrato i loro sforzi quasi esclusivamente nel contrastare l'immigrazione, aumentando i controlli sulle frontiere interne ed esterne dell'Unione europea impiegando quasi irrilevanti sforzi per aumentare l'immigrazione sicura e regolare, nell'aprire canali umanitari e nel contrastare le cause profonde delle migrazioni;
    negli ultimi 20 anni ci sono stati 25 grandi conflitti nella regione africana e ancora oggi, su una popolazione di 1 miliardo e 216 milioni di persone, 12 milioni di persone migrano ogni anno soltanto in Africa centrale e occidentale. La popolazione africana è la più mobile del mondo, tanto da essere rinominato il continente «nomade», ma è anche quella che crescerà di più nei prossimi anni, tant’è che si stima un raddoppio della popolazione africana entro il 2050, ed entro il 2100 si prevede che supererà i 4 miliardi;
    oggi, con la politica che mette al centro la riduzione degli arrivi in Europa, inevitabilmente obbliga anche le persone a rimanere nel proprio Paese nonostante le gravi minacce che provengono dai conflitti e dalla fame. Oggi nel mondo ci sono più di 740 milioni di migranti nel mondo e soltanto in Africa, secondo un rapporto pubblicato dall'ONU negli scorsi mesi, 20 milioni di persone sarebbero a rischio di morte per fame;
    secondo il rapporto Onu in quattro Paesi del mondo, oltre 20 milioni di persone rischiano di morire di fame nel corso di quest'anno e, di questi, 1,4 milioni sono bambini. Questi quattro Paesi sono: Nigeria, Somalia, Sud Sudan e Yemen;
    Nigeria e Somalia per l'Unione europea per molti suoi Stati membri sarebbero «Paesi sicuri» e le loro popolazioni definite automaticamente «migranti economici», qualora volessero muoversi dal loro territorio;
    Somalia, che dopo aver fronteggiato la carestia che nel 2011 causò la morte di oltre 260 mila persone, fra cui 133 mila bambini, deve affrontare una nuova crisi umanitaria per via della siccità che affligge le condizioni della popolazione in un Paese che dopo 25 anni di conflitto e la recente elezione del presidente, Mohamed Abdullahi Mohamed, «Farmajo», è ancora alla ricerca della propria stabilità, mentre diverse aree del Paese, soprattutto quelle rurali, sono ancora sotto il controllo del gruppo jihadista, al-Shabaab, attivo dal 2006, che si contende con il Governo federale il controllo della Somalia. Secondo le Nazioni Unite le persone a rischio di carestia, con urgente bisogno di assistenza umanitaria, sono 2,9 milioni;
    Nigeria, uno dei maggiori esportatori di petrolio al mondo, ma che continua a vivere sotto la minaccia dei terroristi islamici di Boko Haram, che da otto anni animano il conflitto nella regione del Borno con l'intento di trasformare la regione in una provincia dello Stato islamico. Sebbene oggi i terroristi si siano ritirati da molti territori, circa 2,4 milioni di persone sono dovute fuggire dalle loro case e non sono più in grado di coltivare le loro terre. A causa della povertà e della scarsità di cibo, soprattutto nelle zone aride del nord, oltre 5 milioni di persone sono a rischio carestia;
    ed è per queste ragioni, oltre per quella secondo cui ogni migrante andrebbe valutato per la sua storia, come prevede la Convenzione di Ginevra e la Costituzione, che non è possibile accettare alcuna distinzione tra migranti economici e rifugiati;
    un report riservato del Governo tedesco, mai pubblicato ma iniziato a circolare nell'aprile 2017, indicava che solo sulle coste africane ci sono 6,6 milioni di profughi in attesa di partire: un numero quasi cento volte maggiore quello degli sbarchi di quest'anno (109.685 arrivi – dato al 16 ottobre 2017);
    numeri che, come ricordava anche Papa Francesco durante la giornata mondiale dell'alimentazione, celebrata alla Fao il 16 ottobre 2017, richiedono che si vada alla radice dei problemi. Problemi che dovrebbero essere risolti alla radice con iniziative ordinate, equilibrate e giuste ma che nel 2016 e nel 2017 l'Europa e i suoi Stati ha preferito gestire attraverso la stipula di accordi con numerosi Paesi terzi per ridurre il numero che arrivano alle frontiere dell'Europa e per assicurarsi che quante più possibile possano essere rimandate nei loro Paesi d'origine o in altri Paesi extra Unione europea;
    «Siamo davanti alla più grave crisi umanitaria dal 1945», diceva Stephen O'Brien Sottosegretario Onu per gli aiuti umanitari qualche mese fa in occasione della presentazione del rapporto Onu sopracitato, per «tamponare» la quale servirebbero subito oltre sei miliardi di dollari in aiuti umanitari per le persone che si trovano in stato di necessità, sfollate o rifugiate in altri Stati;
    una cifra che poteva essere raggiunta a partire dallo stanziamento previsto dall'Africa trust fund, che prevede una dotazione di 2,3 miliardi di euro, compreso nel piano d'azione della Valletta e perno centrale della Agenda europea sulla migrazione, che avrebbe dovuto combattere le cause profonde dell'immigrazione irregolare e quindi la povertà e la fame, ma che in realtà, studiando le carte dei singoli accordi che si susseguono con i singoli Stati si capisce che lo scopo reale è semplicemente contrastarla con qualsiasi mezzo, comprese azioni di rafforzamento di polizia, legislazione contro il traffico di persone, istituzione di sistemi di raccolta di dati biometrici, centri di raccolta;
    un altro obiettivo dell'agenda europea sulla migrazione era quello della «condivisione della responsabilità» tra gli Stati membri attraverso il meccanismo della relocation. Il programma era stato approvato dal Consiglio dell'Unione europea ed era stato attivato a partire dal 25 settembre 2015, prevedendo la ricollocazione da Italia e Grecia, su un periodo di due anni, di 120.000 persone in bisogno di protezione internazionale. I ricollocamenti totali sono stati finora 29.144, il 24 per cento di quelli previsti. Sono stati quindi solo 9.078 i richiedenti asilo «ricollocati» in totale dall'Italia. I ricollocamenti dalla Grecia sono stati invece 20.066;
    un fallimento avvenuto nell'egoismo degli Stati che non hanno trovato nulla di meglio che puntarsi il dito uno contro l'altro, in alcuni casi mobilitando addirittura l'esercito ai confini (per la cronaca l'Austria è quella che ne ha accolti di meno, soltanto 15), mentre migliaia di persone venivano condannate a vivere in condizioni inaccettabili, con un diritto alla protezione sulla carta ma con nessuno diritto reale e nella stragrande maggioranza dei casi costretti a vivere nel nostro Paese come «invisibili» ma al tempo stesso ben visibili al centro delle cronache della contesa politica;
    oggi i rifugiati in Europa non sono in grado neppure di ricongiungersi con i membri della propria famiglia che sono presenti già sul territorio dell'Unione europea. La stragrande maggioranza di loro sono costretti ad uscire dai programmi di asilo ed intraprendere i viaggi pericolosi che alimentano la tratta a vantaggio dei trafficanti. È questo il fallimento del «Regolamento di Dublino» che impone l'esame delle richieste d'asilo dei migranti al primo Paese di sbarco e che appare sempre più irriformabile alla luce dei crescenti particolarismi ed egoismi nazionali;
    le migrazioni sono un fenomeno che si può certamente gestire, ma che sicuramente non si può fermare e a maggior ragione non si può fermare se si ignorano i report sulle violazioni gravi dei diritti umani in Libia, sulla democrazia in Sudan o sulle migliaia di morti per fame in Nigeria o in Somalia;
    occorrerebbe per cui una nuova strategia europea, bilanciata da nuovi interventi che vadano in tre direzioni differenti negli interventi ma convergenti appunto in una unica strategia: accogliere e proteggere chi scappa, attraverso canali umanitari; promuovere una nuova condivisione della responsabilità tra gli Stati attraverso una riforma profonda dell'attuale sistema d'asilo europeo; ripensare gli aiuti ai Paesi d'origine, coinvolgendo le popolazioni prima che i progetti siano avviati e quindi ripensare profondamente il rapporto con gli Stati che sono la causa stessa delle migrazioni ma che sono paradossalmente oggi i partner per debellare il fenomeno migratorio;
    la cooperazione strutturata permanente (Pesco) è certamente un passo in avanti sul profilo strategico e un primo passo concreto verso una maggiore integrazione in materia di difesa europea, la proposta della Commissione europea di istituire un Fondo unico dove convogliare le risorse per sviluppare una filiera industriale della difesa comune. Senza dubbio un approccio ambizioso che dovrebbe fungere da apripista in una diversa ottica per il bilancio europeo post-2020, ma profondamente sbagliato lì dove si prevede che le spese degli stati membri saranno espunte al calcolo ai fini del debito;
    con riferimento alle relazioni dell'Unione europea con la Turchia non può non evidenziarsi la deriva antidemocratica che ha preso il regime e che ha condotto al referendum del 16 aprile 2017, dove in assenza di alcun principio costituzionale definito, conferisce pieno ed assoluto potere al Presidente;
    in particolare, è bene ricordare che dal 15 luglio 2016, giorno del tentato golpe, il rinnovo trimestrale dello stato d'eccezione è diventato ormai la regola e diventerà molto probabilmente permanente, mentre il Paese è amministrato attraverso decreti governativi emanati sotto il controllo assoluto del Presidente;
    sono stati promulgati 28 decreti-legge legittimati non dal Parlamento ma dallo stato d'eccezione, in virtù del quale circa 150.000 funzionari pubblici sono stati destituiti, praticamente senza alcuna possibilità d'appello, e 50.000 sono stati arrestati; sono stati arrestati undici deputati del partito di opposizione Hdp e i suoi leader Demirtas e Yuksekdag, 63 sindaci (quasi tutti di municipalità curde), 172 giornalisti e dieci attivisti per i diritti umani; di conseguenza, popolazione carceraria ha superato del 10 per cento la capacità attuale, con gravi conseguenze sulla stessa;
    tra le persone che sono state rimosse, 8.500 accademici hanno perso il loro lavoro, senza alcuna possibilità di trovare un impiego universitario e, nella maggior parte dei casi, senza essere sostituiti. Sono state chiuse 19 università e 2.099 istituti scolastici. Sono state chiuse e dichiarate illegali 187 testate giornalistiche, 560 fondazioni e 54 ospedali, 1.125 associazioni e 19 sindacati sono stati chiusi; infine circa 550 aziende private sono state nazionalizzate e i loro beni espropriati;
    la Turchia negli ultimi mesi ha vissuto pesanti crisi diplomatiche con gli Stati uniti e con la Germania, che ha insistito affinché si discutesse della questione, per l'appunto, al Consiglio europeo;
    in questi anni è stata da più parti documentata la responsabilità del Governo turco nell'aver permesso che membri di Daesh e di altri gruppi jihadisti entrassero in Turchia e potessero muoversi liberamente nel Paese arrivando ai valichi di frontiera con la Siria in quella che è stata definita «l'autostrada della jihad», garantendo loro supporto logistico e rifornimenti; la Turchia ha più volte condotto invece attacchi in Siria e in Iraq invece contro le formazioni che combattevano Daesh, solo perché curde e considerate «ostili» ad Ankara;
    pesanti violazioni dei diritti umani che sono state ignorate, nonostante gli appelli che da più parti venivano, anche con riferimento ad un altro accordo chiuso sulla gestione dei migranti con la Libia;
    il Consiglio europeo secondo una bozza di documento conclusivo che già circola intenderebbe «chiede sforzi maggiori per stabilire rapidamente una presenza dell'Unione europea permanente in Libia, prendendo in considerazione le condizioni sul campo». I leader europei «incoraggiano e chiedono di sostenere, anche economicamente, gli sforzi di Unhcr e Oim in Libia e nella regione, per facilitare i rimpatri volontari e i ricollocamenti, e migliorare le condizioni di accoglienza, in cooperazione con le autorità libiche». Poco, troppo poco;
    secondo quanto riferito dal portavoce Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) Andrej Mahecic, persone che hanno subito «una sofferenza umana e abusi di portata scioccante». Si riportano le parole del portavoce: «Tra i rifugiati e i migranti che hanno subito gli abusi dei trafficanti, ci sono anche donne incinte e neonati centinaia di persone sono state trovate senza vestiti o scarpe, mentre altre centinaia hanno raccontato che non mangiavano da giorni quando sono stati trovati dalle autorità. Molti di loro hanno bisogno di assistenza medica e c’è un numero preoccupante di bambini non accompagnati o separati dai genitori, molti dei quali hanno meno di sei anni»;
    ora quelle persone finiranno forse in un campo ufficiale gestito dal Governo di Tripoli, dove le condizioni di vita vengono definite «abominevoli», e non da una qualsiasi Ong, ma addirittura vengono definiti così dalla commissaria dell'Unione europea al commercio Cecilia Malmstroem;
    con riferimento all'Europa digitale come noto, nel corso del Consiglio straordinario dei 28 Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea sull'economia digitale, organizzato a Tallinn dalla Presidenza estone di turno, l'Italia, insieme a, Francia, Germania, Spagna e altri Paesi hanno avanzato la proposta di varare una regolamentazione ambiziosa per riequilibrare la attuale posizione dominante delle multinazionali della rete digitale nei confronti di altre imprese operanti nel mercato unico, anche attraverso l'imposizione di una tassa sul loro fatturato, nella considerazione che sino ad oggi hanno pagato imposte minime o quasi nulle in molti Paesi membri, domiciliando la sede e le società controllate in paradisi fiscali;
    l'Ecofin ha ribadito la quasi unanime intenzione di andare avanti sulla tassazione dell'economia digitale;
    l'auspicio è che si proceda in un contesto globale e che l'Unione europea debba andare avanti anche se ci sono resistenze di altri Paesi extra europei;
    per comprendere appieno il peso della questione è sufficiente osservare i bilanci ufficiali delle prime cinque imprese digitali per capitalizzazione (Amazon, Google, Apple, Microsoft e Facebook), sono anche le cinque più grandi imprese del mondo per valore. Realizzano il 60 per cento di vendite e profitti fuori dagli Stati Uniti, lasciandovi solo il 10 per cento delle tasse pagate. In questo modo, Google nel 2012 ha pagato in Usa imposte a un tasso del 40,8 per cento e del 5,3 per cento fuori, mentre nel 2013 le percentuali sono diventate rispettivamente il 26,4 per cento e l'8,6 per cento. Apple invece negli stessi periodi ha pagato il 70,2 per cento in Usa e l'1,9 per cento all'estero nel 2012 e il 61 per cento in casa e il 3,7 per cento fuori casa nel 2013;
    secondo una recente stima del Parlamento europeo, i 28 Paesi hanno perso gettito fiscale per 5,4 miliardi di euro nel 2013-2015 per mancati versamenti da parte di Google e Facebook. Oggi l'aliquota media europea in un settore tradizionale è del 20,9 per cento mentre nel settore digitale è dell'8,5 per cento;
    il digitale, inoltre, ed è bene sottolinearlo, rappresenta di fatto la più grande rivoluzione del capitalismo moderno. Una rivoluzione senza precedenti che sta prendendo progressivamente piede nell'ambito di tutti i servizi, dal turismo ai giochi, dai trasporti alla sanità, dalla pubblicità alla sicurezza, dalla siderurgia alla moda. Oggi come oggi, non ha più senso distinguere l'economia reale dall'economica digitale che, come in ogni rivoluzione del capitalismo, produce l'effetto immediato, in assenza di una compiuta regolazione, della massimizzazione del profitto e la conseguente concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi;
    l'Europa ha il dovere di affrontare il tema della tassazione digitale in maniera decisa perché è chiaro che, sino ad oggi, sia a livello istituzionale che politico non si è riusciti in alcun modo a stare al passo con la trasformazione sociale ed economica della società che si stava attuando, senza comprendere che dietro il dibattito in corso che ormai si trascina da anni sulla « web tax» a livello nazionale ed europeo, non c’è solo un'esigenza di evitare perdite di gettito, ma anche di riaffermare un principio di equità, di etica e di modelli redistributivi delle risorse che in un'Europa democratica possono essere garantite soprattutto con una coerente disciplina fiscale, per assicurare equità fiscale ai contribuenti, garantire una leale concorrenza agli operatori economici e tutelare il lavoro: altrimenti vivremo in un'Europa e un'Italia che penalizza chi ha luoghi e prodotti fisici con effetti devastanti non solo in termini di perdita di gettito, ma soprattutto di posti di lavoro;
    il digitale tocca, dunque, sempre più ogni ambito della vita sociale ed economica ed è dovere assoluto della Politica intervenire regolandone gli effetti,

impegna il Governo:

   1) per quanto attiene ai temi della migrazione, fermo restando il dovere di proteggere i diritti dei migranti e dei rifugiati, a vigilare affinché la legislazione europea e quelle nazionali siano conformi agli standard internazionali e alle convenzioni internazionali in materia di diritti dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo e a ribadire la necessità di porre in stretta correlazione il rispetto dello stato di diritto, comprensivo del diritto di asilo e dei principi di solidarietà e responsabilità stabiliti dai Trattati, con il relativo accesso a finanziamenti e a fondi europei da parte degli Stati membri;
   2) a ribadire in sede di Consiglio europeo che i fondi previsti dall'Africa Trust Fund siano destinati solo ed esclusivamente agli obiettivi della cooperazione allo sviluppo e con il coinvolgimento diretto delle popolazioni interessate nei progetti e non siano destinati ad iniziative di contrasto dell'immigrazione;
   3) a valutare le possibilità esistenti per istituire canali umanitari verso l'Europa affinché si cominci anche ad uscire da logiche emergenziali in favore di una migrazione sicura, ordinata e regolare;
   4) ad attivarsi per allargare il consenso di Commissione europea e Stati membri sulla necessità di prevedere una nuova misura emergenziale a sostegno degli Stati membri in prima linea nell'accoglienza dei migranti e richiedenti asilo;
   5) nell'attesa di una più ampia riforma del sistema comune europeo dell'asilo, a ribadire l'urgenza di superare le regole del Regolamento di Dublino, in favore di un meccanismo permanente e un sistema comune di asilo europeo improntato ai principi di solidarietà;
   6) nell'ambito della realizzazione dell'accordo tra Unione europea e Turchia sulla gestione dei rifugiati, a garantire il pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà dei profughi;
   7) a proseguire con le iniziative politiche e diplomatiche dell'Unione europea nei confronti della Turchia in aggiunta a quanto già previsto dal Consiglio d'Europa affinché sia posta fine alla repressione contro le opposizioni democratiche, la magistratura, la stampa e le minoranze presenti nel Paese;
   8) a velocizzare la definizione di un piano di contrasto alla delocalizzazione fiscale delle imprese nei paesi extra Unione europea nella considerazione che le rendite finanziarie e i profitti delle grandi società multinazionali – e in particolare quelle operanti nel mercato digitale – sono toccati solo marginalmente dalla fiscalità e per estrarre parte di questi immensi extraprofitti ai fini di redistribuzione e rafforzamento della domanda aggregata;
   9) a proseguire con forza l'azione in corso per l'adozione di nuove forme di tassazione dell'industria digitale a livello europeo che comporti anche un ripensamento dei fondamenti dell'imposizione tradizionale e attivarsi concretamente affinché, in caso di assenza del consenso generale a livello europeo, i Paesi favorevoli operino comunque in coordinamento tra loro anche con cooperazioni rafforzate.
(6-00362) (Testo modificato nel corso della seduta) «Laforgia, Scotto, Ricciatti, Speranza, Cimbro, Piras, Duranti, Fava, Ferrara, Simoni».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

asilo politico

diritto d'asilo

mercato comunitario