ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00333

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 818 del 21/06/2017
Abbinamenti
Atto 6/00325 abbinato in data 21/06/2017
Atto 6/00326 abbinato in data 21/06/2017
Atto 6/00327 abbinato in data 21/06/2017
Atto 6/00328 abbinato in data 21/06/2017
Atto 6/00329 abbinato in data 21/06/2017
Atto 6/00330 abbinato in data 21/06/2017
Atto 6/00331 abbinato in data 21/06/2017
Atto 6/00332 abbinato in data 21/06/2017
Atto 6/00334 abbinato in data 21/06/2017
Firmatari
Primo firmatario: BATTELLI SERGIO
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 21/06/2017
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BARONI MASSIMO ENRICO MOVIMENTO 5 STELLE 21/06/2017
DI MAIO LUIGI MOVIMENTO 5 STELLE 21/06/2017
FRACCARO RICCARDO MOVIMENTO 5 STELLE 21/06/2017
PETRAROLI COSIMO MOVIMENTO 5 STELLE 21/06/2017
VIGNAROLI STEFANO MOVIMENTO 5 STELLE 21/06/2017
FICO ROBERTO MOVIMENTO 5 STELLE 21/06/2017


Stato iter:
21/06/2017
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 21/06/2017
Resoconto GOZI SANDRO SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 21/06/2017
Resoconto LOCATELLI PIA ELDA MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto ARTINI MASSIMO MISTO-ALTERNATIVA LIBERA-TUTTI INSIEME PER L'ITALIA
Resoconto GEBHARD RENATE MISTO-MINORANZE LINGUISTICHE
Resoconto BUTTIGLIONE ROCCO MISTO-UDC-IDEA
Resoconto RIZZETTO WALTER FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Resoconto SBERNA MARIO DEMOCRAZIA SOLIDALE - CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto LIBRANDI GIANFRANCO CIVICI E INNOVATORI
Resoconto ABRIGNANI IGNAZIO SCELTA CIVICA-ALA PER LA COSTITUENTE LIBERALE E POPOLARE-MAIE
Resoconto PALAZZOTTO ERASMO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE
Resoconto INVERNIZZI CRISTIAN LEGA NORD E AUTONOMIE - LEGA DEI POPOLI - NOI CON SALVINI
Resoconto ALLI PAOLO ALTERNATIVA POPOLARE-CENTRISTI PER L'EUROPA-NCD
Resoconto CIMBRO ELEONORA ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA
Resoconto SAVINO ELVIRA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto CARIELLO FRANCESCO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto BERGONZI MARCO PARTITO DEMOCRATICO
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 21/06/2017

NON ACCOLTO IL 21/06/2017

PARERE GOVERNO IL 21/06/2017

DISCUSSIONE IL 21/06/2017

RESPINTO IL 21/06/2017

CONCLUSO IL 21/06/2017

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00333
presentato da
BATTELLI Sergio
testo di
Mercoledì 21 giugno 2017, seduta n. 818

   La Camera,
   sentite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in merito alla riunione ordinaria del Consiglio europeo del 22 e 23 giugno, visto l'ordine del giorno della riunione del Consiglio europeo;
   premesso che:
    l'Unione europea si trova attualmente a vivere una grave e profonda crisi di identità che si esprime in un diffuso malcontento, livelli di gradimento bassissimi e mancanza di identità, sino ad arrivare alla scelta di uno dei suoi Stati membri di abbandonare l'Unione, in controtendenza con il processo di integrazione avuto sino ad oggi;
    al fine di definire il contesto della discussione sul futuro dell'Unione, la Commissione europea ha pubblicato il 1o marzo un Libro bianco che, basandosi sulle prospettive di cambiamento del nostro continente, propone cinque diverse scenari;
    il 25 marzo, in occasione delle celebrazioni per i 60 anni dei Trattati di Roma, sono state approvate delle conclusioni che, oltre a rilanciare il concetto di ever closer union, sembrano delineare la concreta prospettiva, lungamente dibattuta in passato, di un'Unione europea a più velocità consentendo agli Stati membri che ne hanno interesse di acquisire maggiori competenze in determinate politiche e ambiti. Notizie di stampa riportano che l'Italia vorrebbe far parte di questa cosiddetta coalizione;
    la Commissione europea, con la pubblicazione nel maggio e nel dicembre 2015 di due comunicazioni, ha adottato l'Agenda europea sulla migrazione, evidenziando l'esigenza di una migliore gestione della migrazione e sottolineando al contempo come la questione migratoria debba essere oggetto di una responsabilità condivisa. Questa si propone di combattere il fenomeno della immigrazione irregolare, di garantire la sicurezza delle frontiere esterne, di definire una forte politica in materia di asilo;
    il 25 giugno 2015 il Consiglio europeo ha stabilito che tutti gli Stati membri debbano partecipare al reinsediamento di 20.000 soggetti richiedenti protezione internazionale. La Decisione (UE) 2015/1601, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia, in deroga del Regolamento (UE) n. 604/2013 (cosiddetto Dublino III), ha introdotto tale meccanismo per alleggerire la pressione delle domande di protezione internazionale sui predetti Stati membri, prevedendo il ricollocamento di 120.000 richiedenti protezione internazionale da distribuire negli altri Paesi membri. Ad ogni modo, come risulta dalla stesso Rapporto della Commissione europea sui ricollocamenti del 12 aprile 2017, l'entità effettiva dei ricollocamenti è del tutto irrisoria. Ad esempio, la Germania è il Paese che ha effettuato il più ampio numero di ricollocamenti (3.511), seguita dalla Francia, (3.157) e dall'Olanda (1.636). Rilevante inoltre risulta l'inadempimento di alcuni Stati, quali l'Ungheria e la Polonia, nonché della Repubblica ceca, che non ha effettuato alcun ricollocamento da Agosto 2016, assolvendo all'1 per cento della quota spettante. In senso analogo, Bulgaria, Croazia e Slovenia hanno provveduto ad un numero limitatissimo di ricollocamenti (solo il 2 per cento). Ma anche lo stesso Belgio, la Germania e la Spagna, hanno ricollocato solo il 10 per cento della quota complessiva prevista. Il mancato rispetto della procedura di ricollocamento, inoltre, ha portato recentemente all'apertura da parte della Commissione europea ai sensi dell'articolo 258 TFUE – come affermato nel comunicato stampa dello scorso 14 giugno 2017 – della procedura di infrazione contro Repubblica ceca, Ungheria e Polonia per non aver provveduto agli obblighi imposti nel 2015 in termini di ricollocamento dei migranti;
    l'accordo stipulato tra i Capi di Stato e di Governo degli Stati membri dell'Unione europea e la Turchia, definito dalla stessa Corte europea di giustizia come accordo internazionale, prevede: il rientro, a spese dell'Unione europea, di tutti i nuovi migranti irregolari che hanno attraversato la cosiddetta «rotta balcanica»; la possibilità che per ogni siriano che la Turchia riammette dalle isole greche un altro siriano sia reinsediato dalla Turchia negli Stati membri dell'Unione europea; l'accelerazione delle procedure per la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi in tutti gli Stati membri; la facilitazione dell'erogazione dei 3 miliardi di euro inizialmente stanziati e la definizione di possibili ulteriori tranches; l'apertura di nuovi capitoli dei negoziati di adesione. La Commissione europea ha dichiarato che il Fondo fiduciario regionale dell'Unione europea ha adottato nuovi progetti per un totale di 275 milioni di euro. I nuovi progetti sono destinati a fornire assistenza ai rifugiati in Turchia, Libano, Giordania, Iraq, nei Balcani occidentali e in Armenia. Il complesso degli aiuti, per un importo di 275 milioni di euro, prevede un pacchetto di assistenza di 126,5 milioni di euro a favore della Turchia, di cui 105 milioni di euro per migliorare la resilienza dei siriani che si trovano sotto protezione temporanea e delle comunità di accoglienza; 11,5 milioni di euro per migliorare l'accesso all'assistenza sanitaria per i rifugiati e le comunità di accoglienza; 10 milioni di euro per consolidare le competenze dei rifugiati e le capacità delle autorità locali in Turchia. Inoltre, è previsto un Programma di 90 milioni di euro nel settore dell'istruzione; un Programma di 25 milioni di euro a sostegno di donne e ragazze vulnerabili in Iraq, Giordania, Libano e Turchia; un Programma di 21 milioni di euro destinato a sostenere la Serbia nella gestione della crisi dei rifugiati e dei migranti lungo la rotta dei Balcani; un Programma di 10 milioni di euro destinato al sistema sanitario pubblico giordano, ed infine un Programma di 3 milioni di euro a sostegno dei rifugiati siriani in Armenia. A fronte di questo la situazione relativa al rispetto dei diritti umani in Turchia appare drammatica;
    il Sistema europeo di asilo è attualmente disciplinato dal cosiddetto Regolamento Dublino III (Regolamento 604/2013/UE). Esso prevede che la domanda di asilo debba essere esaminata dallo Stato in cui il richiedente ha fatto ingresso nell'Unione, e disciplina il sistema Eurodac, ossia un archivio comune delle impronte digitali dei richiedenti asilo. Il regolamento di Dublino, quindi, stabilisce i criteri e i meccanismi per determinare quale Stato membro sia responsabile dell'esame di una domanda di asilo. Tuttavia, la mancanza spesso di meccanismi di controllo efficaci sul rispetto della normativa dell'Unione europea in materia di asilo ha fatto sì che alcuni Paesi dell'Unione europea abbiano predisposto sistemi di accoglienza e di astio più attraenti rispetto ad altri, consentendo ai richiedenti asilo di ricercare le condizioni di asilo più vantaggiose (il cosiddetto «asylum shopping»);
    la recente crisi migratoria ha dimostrato l'inidoneità del cosiddetto regolamento Dublino III a gestire efficacemente i flussi migratori. In particolare, l'attuale sistema ha messo in luce non poche problematiche per una operazione sostenibile e una responsabilizzazione equoripartita tra gli Stati membri. A tal fine, la Commissione, dando seguito all'Agenda europea sulla migrazione del 13 aprile 2015 e alle più recenti richieste del Consiglio europeo (conclusioni del 18/19 febbraio 2016) e del Parlamento europeo (risoluzione del 12 aprile 2016, 2015/2095(INI)), nel maggio 2016 ha presentato un programma globale di riforma del Sistema europeo comune d'asilo (CEAS) (Comunicazione riformare il Sistema europeo comune d'asilo e potenziare le vie d'accesso legali all'Europa, COM(2016) 197 final);
    obiettivo fondamentale della proposta di riforma contenente tre regolamenti rispettivamente la rifusione del regolamento Dublino III (COM(2016) 270 final), la nuova Agenzia europea per il sostegno all'asilo (COM(2016) 271 final) e la riforma del sistema EURODAC (COM(2016) 272 final) è quello di realizzare progressivamente un sistema comune d'asilo basato sui principi di responsabilità e di solidarietà tra gli Stati membri. Il nuovo pacchetto prevede: 1) l'instaurazione di un meccanismo automatico che stabilisca le ipotesi in cui uno Stato membro sta trattando un numero sproporzionato di richieste di asilo ed in tal caso attivare la ricollocazione automatica. Uno Stato membro avrà inoltre la possibilità di non partecipare temporaneamente al ricollocamento ma, in tal caso, dovrà versare un contributo di solidarietà di 250.000 euro allo Stato membro in cui è ricollocato il richiedente del quale sarebbe stato responsabile secondo un meccanismo di equità; 2) la previsione di un sistema più efficiente per la gestione delle istanze di trasferimento e per l'esecuzione dei trasferimenti dei richiedenti asilo tra gli Stati membri; 3) la ridefinizione degli obblighi giuridici per i richiedenti asilo, compreso il dovere di rimanere nello Stato membro competente per la loro richiesta, con la conseguente previsione di sanzioni in caso di violazione delle norme; 5) l'introduzione di maggiori garanzie per i minori non accompagnati e un ampliamento della nozione di «famiglia» ai fini della tutela internazionale. Parte integrante della proposta consiste nella trasformazione dell'attuale Ufficio europeo di sostegno per l'asilo, la Commissione europea ha inoltre integrato la precedente proposta in luglio, sostituendo la direttiva sulle procedure di asilo con un regolamento che stabilisce una procedura comune europea per la protezione internazionale al fine di ridurre le differenze operative degli Stati membri nei processi di riconoscimento dei richiedenti asilo;
    il 13 luglio 2016, la Commissione europea ha presentato il secondo pacchetto di misure di riforma. Si tratta di due proposte di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio destinate l'una ad abrogare la direttiva procedure (COM(2016) 467 final), l'altra a modificare la direttiva qualifiche (COM(2016) 466 final) e di una proposta di rifusione della direttiva accoglienza (COM(2016) 465 final);
    il Governo italiano ha siglato accordi, quale il Memorandum d'intesa con il Governo libico, con cui ci si impegna a fornire strumentazione e sostegno militare, strategico e tecnologico al fine di controllare le partenze dei migranti in fuga;
    nell'ultimo anno, specialmente dopo il referendum sulla Brexit, la Commissione europea ha dato un nuovo impulso all'idea di una difesa comune europea sia attraverso i documenti ordinari (Programma di lavoro della Commissione per il 2017 – Realizzare un'Europa che protegge, dà forza e difende), sia con l'adozione del cosiddetto Piano d'Azione europeo in materia di difesa, sia con il recente documento di «riflessione sul Futuro della Difesa Europea» ad opera dei due vicepresidenti Federica Mogherini e Jyrki Katainen. Tali linee programmatiche sottolineano favorevolmente un'intensa cooperazione NATO-UE, subordinando di fatto la creazione dell'UED (Unione europea di Difesa) al rispetto del contesto NATO;
    per le cosiddette minacce ibride, come l'attuale tensione tra Unione europea e Russia, non si sviluppa una vera alternativa per ribilanciare gli equilibri in seno alla NATO e riportarla al suo ruolo di alleanza prettamente difensiva;
    si chiede di istituire il Fondo europeo per la Difesa dell'Unione europea – previsto dal Piano d'Azione Europea in tema di difesa, ma ulteriormente ribadito nel recente vertice di Praga del 9 giugno 2017 – per la ricerca militare congiunta, senza però prevedere paletti su obiettivi e priorità di questa ricerca;
    si propone di creare un quartier generale congiunto per missioni militari e civili, con il rischio di una commistione inaccettabile tra le missioni civili e quelle militari, che dovrebbero al contrario rimanere ben distinte;
    gli atti in questione rafforzano l'intenzione di sostenere gli obiettivi di Varsavia, ovvero spese militari al 2 per cento del PIL di ogni singolo Paese dell'Unione europea (o anche oltre), non percorribile per le economie di molti Paesi (Italia compresa), invece che quella di perseguire in via prioritaria l'obiettivo dell'UED per ottenere economie di scala e contrastare efficacemente la corruzione ottenendo per questa via una riduzione del bilancio attribuito alla difesa;
    una vera Unione europea di Difesa deve essere fortemente ancorata ai principi di difesa e della pace e vedere la Unione europea come protagonista nella risoluzione dei conflitti e non, invece, come responsabile degli stessi. Per questo sarebbe necessario una radicale correzione dell'indirizzo politico e programmatico della Commissione;
    incautamente si propone l'obiettivo di poter dispiegare al confine orientale quanto prima i battlegroups rivisti e rafforzati, come già sta facendo la NATO;
    molte delle missioni internazionali, che ogni anno sono state rifinanziate, si sono rivelate fallimentari (per esempio Afghanistan, Iraq, Libia), comportando peraltro importanti distrazioni di risorse economiche e umane;
    viene rilanciato un importante impegno in Europa e negli organismi internazionali per stabilire posizioni condivise sul disarmo e sul controllo degli armamenti. In questo, l'Italia dovrebbe dare l'esempio perseguendo tali obiettivi, invece di contraddirli con ingenti investimenti in programmi d'armamento di tipo offensivo (F35 ma non solo) e rifiutandosi di chiedere l'allontanamento dal territorio italiano delle bombe nucleari Usa ancora dislocate nel nostro Paese;
    è necessaria una cooperazione difensiva alternativa alla NATO, o quantomeno una cooperazione capace di ridare autonomia ai Paesi europei per ribilanciare gli equilibri e allontanare la pericolosa china interventista statunitense riscontrata negli ultimi decenni;
    è necessario prevedere uno strumento orientato principalmente, se non esclusivamente, alle missioni di peacekeeping, anche al servizio delle Nazioni Unite, non certo ad innalzare il livello dello scontro e delle tensioni verso i Paesi del vicinato (si veda il caso russo in particolare) come vorrebbero i Paesi baltici, la Polonia e la Romania;
    l'Unione europea deve rafforzare l'attività diplomatica e di cooperazione per giungere alla prevenzione e alla risoluzione dei conflitti nei Paesi vicini. Inoltre, sempre in un'ottica di sicurezza e difesa, sarebbe opportuno potenziare ed incrementare lo sviluppo di strumenti come le reti di intelligence e la cyber security;
    si può operare un vero contrasto del terrorismo partendo dall’intelligence, dalla prevenzione e dalla lotta alle predicazioni radicali e ai loro sponsor diretti e indiretti. Infatti, nonostante i 4.400 miliardi di dollari spesi nelle guerre in Iraq, Afghanistan e altre aree di crisi, sono nate più di 30 nuove sigle terroristiche. Le bombe non estirpano il male, anzi lo stimolano permettendogli di rafforzarsi;
    gli Stati europei non possono più essere gelosi custodi delle loro informazioni e delle loro intelligence. Gli strumenti esistenti (Europol, Eurojust, il sistema di scambio dati Siena) non funzionano correttamente per la volontà di molti Stati di non condividere le informazioni;
    il coinvolgimento del nostro Paese nella guerra in Afghanistan dura ormai da 16 anni, e in questa guerra, dipinta come missione di pace, ha portato alla perdita di 52 soldati italiani e un numero imprecisato di civili afghani, molti dei quali uccisi dai bombardamenti NATO. Peraltro, tale intervento è costato finora ai cittadini italiani oltre 5 miliardi di euro e, allo stato attuale, non risulta ci siano stati miglioramenti significativi delle condizioni di vita e di sicurezza del popolo afghano;
    è necessario valutare di ritornare ad una economia europea solidale, per combattere la disoccupazione, nonché la povertà, e per rilanciare la crescita e gli investimenti. L'attuazione di questi obiettivi richiede però ultimi ingenti investimenti pubblici che mal si conciliano con gli attuali vincoli del «Fiscal Compact»;
    l'Europa sociale necessita di un cambio di paradigma verso un modello sociale alternativo basato sulla solidarietà, l'integrazione, la giustizia sociale, l'equa distribuzione della ricchezza, l'uguaglianza di genere, sistemi di istruzione pubblica di elevata qualità, un'occupazione di qualità e una crescita sostenibile: un modello che assicuri l'uguaglianza e la protezione sociale, che consenta l'emancipazione dei gruppi vulnerabili, accresca la partecipazione e migliori gli standard di vita di tutti i cittadini. Indicatori sociali vincolanti nonché il rafforzamento dei sindacati e del dialogo sociale sono essenziali in tale contesto;
    servono urgentemente politiche «anticicliche», per sostenere gli investimenti pubblici oltre i vincoli consentiti, in quanto solo il rilancio dell'economia e la crescita del PIL consentono di conseguire maggiori risorse da destinare alla riduzione futura e progressiva del debito;
    il cosiddetto Fiscal Compact è un trattato internazionale, cui hanno aderito gli Stati membri dell'Unione europea, ad eccezione della Gran Bretagna e della Repubblica ceca, e che prevede, all'articolo 3, l'obbligo di introdurre negli ordinamenti nazionali, preferibilmente in una fonte permanente e a carattere costituzionale, il vincolo di pareggio di bilancio. L'Italia ha dato attuazione al Trattato con la legge costituzionale n. 1 del 2012, che ha modificato gli articoli 81, 97,117 e 119 della Costituzione e ha comportato, quindi, il vincolo di «equilibrio di bilancio», ovvero che il rapporto tra entrate e spese dello Stato sia in pareggio o in attivo. Il Fiscal compact va ad inserirsi nell'ambito del quadro giuridico della governance economica europea e delle novità introdotte in sede europea attraverso l'adozione di atti (ad esempio Six Pact, Two Pact, Patto europlus, MES) volti a rafforzare gli stringenti parametri in materia di contenimento delle politiche di bilancio nazionali (si fa riferimento all'articolo n. 126 TFUE che disciplina la procedura in caso di disavanzi eccessivi e che stabilisce che il rapporto tra debito pubblico e PIL non può essere superiore al 60 per cento per cento che il rapporto tra deficit e PIL non può superare il 3 per cento). Infatti, lo stesso Fiscal compact stabilisce che gli Stati contraenti, in qualità di Stati membri dell'Unione europea, devono astenersi da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli obiettivi dell'Unione nel quadro dell'unione economica. Inoltre, l'articolo n. 16 FC stabilisce espressamente che, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del Trattato, vengono adottate in conformità del TUE e del TFUE le misure necessarie per incorporarne le disposizioni nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea;
    gli obiettivi fissati nel luglio 2015 con il report «Completare l'Unione economica e monetaria dell'Europa», ossia creare un percorso di convergenza delle politiche economiche nazionali e modificare la governance economica nella zona euro, nonché la possibilità più volte ripresa di creare un ministro delle finanze europeo dotato di risorse finanziarie proprie, non possono prescindere dal superamento della dualità creatasi fra le economie dei Paesi membri europei più forti ed i paesi dell'area mediterranea;
    il 23 giugno 2016 si è tenuto un referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea, a cui ha partecipato il 72,2 per cento degli aventi diritto al voto, e che ha decretato la vittoria del leave (ovvero l'uscita dall'UE) con il 51,9 per cento dei voti rispetto al remain, attestatosi al 48,1 per cento;
    la vittoria del leave è espressione del fallimento delle recenti politiche promosse dall'Unione europea in termini di vincoli economici stringenti, nonché della mancanza di effettive politiche di inclusione sociale e di welfare e di chiare procedure di gestione dell'importante fenomeno migratorio. Appare dunque evidente che questa situazione abbia creato un clima di malcontento e sfiducia nei confronti delle Istituzioni europee;
    il Trattato sull'Unione Europea stabilisce, all'articolo 50, che ogni Stato membro può decidere di recedere dall'Unione notificando la relativa volontà al Consiglio europeo. Quest'ultimo formula degli orientamenti sulla base dei quali l'Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso. L'accordo viene concluso a nome dell'Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo. I Trattati europei cessano di avere efficacia per lo Stato recedente dall'entrata in vigore dell'accordo di recesso ovvero, in ogni caso, dopo due anni la presentazione della notifica, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine;
    il 29 marzo 2017 il Regno Unito ha notificato formalmente al Consiglio europeo l'intenzione di uscire dall'UE, attivando pertanto formalmente l'articolo 50 e il 31 marzo 2017 è stato presentato un progetto di orientamenti per i negoziati ai leader dell'UE da parte del Presidente del Consiglio europeo Tusk;
    nella Risoluzione del 5 aprile 2017 sui negoziati con il Regno Unito, il Parlamento europeo sottolinea che l'accordo deve avere ad oggetto lo status giuridico dei cittadini dell'UE-27 che risiedono o hanno risieduto nel Regno Unito e dei cittadini del Regno Unito che risiedono o hanno risieduto in altri Stati membri, nonché altre disposizioni concernenti i loro diritti; il regolamento degli obblighi finanziari tra il Regno Unito e l'Unione europea; le frontiere esterne dell'Unione europea; il chiarimento della situazione per quanto riguarda gli impegni internazionali assunti dal Regno Unito in qualità di Stato membro dell'Unione europea, dal momento che l'Unione europea a 27 Stati membri sarà il successore legale dell'Unione europea a 28 Stati membri; la certezza del diritto per le persone giuridiche, incluse le imprese; la designazione della Corte di giustizia dell'Unione europea quale autorità competente per l'interpretazione e l'applicazione dell'accordo di recesso. Inoltre, sottolinea che qualsiasi futuro accordo tra l'Unione europea e il Regno Unito è subordinato al costante rispetto, da parte di quest'ultimo, delle norme previste dagli obblighi internazionali;
    il 19 giugno 2017, a quasi un anno dal referendum sull'uscita della Gran Bretagna sull'Unione europea, sono iniziati i negoziati per il recesso ai sensi dell'articolo n. 50 TUE, a cura del Ministro per la Brexit Davis e del delegato dell'Unione europea Barnier. Tuttavia, la negoziazione si prospetta difficile sia per la parziale sfiducia che la Premier May ha registrato in occasione delle elezioni politiche dell'8 giugno 2017, guadagnando una maggioranza risicata in Parlamento rispetto al partito laburista, sia per la crescente paura per i numerosi attentati terroristici che hanno colpito l'Inghilterra,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi perché la discussione sul futuro dell'Unione europea conduca sul versante istituzionale ad un miglioramento in chiave di rappresentatività e democraticità, che implichi una redistribuzione sostanziale del potere tra le istituzioni, il rafforzamento di tutti gli strumenti di democrazia diretta e partecipata di comprovata utilità e al contempo una maggiore trasparenza delle decisioni, in primo luogo per ciò che concerne il Consiglio;

2) a richiedere immediata attuazione da parte di tutti gli Stati membri – nessuno escluso – delle decisioni del Consiglio che prevedono il ricollocamento di un totale di 160.000 migranti;

3) ad adoperarsi affinché la modifica del Sistema Dublino III (regolamento n. 604/2013/UE) determini l'eliminazione del principio secondo il quale la richiesta di protezione internazionale vada presentata nello Stato di primo approdo, definendo, al contrario, regole armonizzate tra gli Stati membri in tema di politica di asilo e una strategia che consenta la costituzione di strutture funzionanti di accoglienza e di permanenza dei migranti, nel rispetto dei diritti umani e della dignità umana;

4) a favorire l'Istituzione di Agenzie europee che operino negli Stati di transito e, ove possibile, di partenza dei migranti, anche al fine di eliminare l'attuale indegno traffico di vite umane nel tentativo di travalicare le frontiere dell'Unione;

5) a richiedere con decisione una equa distribuzione del peso e dei costi connessi alla gestione della crisi migratoria attraverso la condivisione di queste politiche e il loro coordinamento interamente a livello di Unione;

6) ad assumere le iniziative per sospendere l'accordo in vigore con la Turchia, opporsi alla conclusione di qualsiasi ulteriore accordo, arrestare il processo di liberalizzazione dei visti, interrompere gli aiuti economici già disposti, sino a che la Turchia non dimostri di rispettare pienamente ed interamente i diritti fondamentali, secondo quanto stabilito dalle convenzioni internazionali siglate per il loro rispetto, incluso l'articolo 38 della direttiva 2013/32/UE sia nei confronti dei migranti che dei cittadini Turchi, cessi qualsiasi tipo di violenza nei confronti delle minoranze (religiose, linguistiche e altro), ripristini integralmente le condizioni per favorire la libertà di stampa e prenda una posizione chiara e decisa in ordine alla lotta al terrorismo internazionale e al problema dei foreign fighters, acconsentendo tra l'altro ad una missione dell'Unione europea in ambito PSDC tesa al monitoraggio della frontiera turco/siriana al fine di assicurare che si fermi il passaggio di combattenti;

7) a rafforzare i meccanismi di collaborazione tra le varie agenzie di intelligence per bloccare il traffico di armi per scopi terroristici o bellici;

8) a contribuire alla definizione di uno strumento orientato principalmente, se non esclusivamente, alle missioni di peacekeeping, anche al servizio delle Nazioni Unite, e non ad innalzare il livello dello scontro e delle tensioni verso i Paesi del vicinato (si veda il caso russo), contrariamente alle intenzioni dei Paesi baltici, della Polonia e della Romania;

9) a favorire l'azione diplomatica dell'Unione europea per giungere alla prevenzione e alla risoluzione dei conflitti nei Paesi vicini;

10) a rinsaldare la cooperazione europea, al fine di riequilibrare i rapporti di forze della NATO, oggi troppi sbilanciati in favore degli interessi geopolitici degli Stati Uniti, favorendo un'alleanza improntata all'apporto condiviso e eguale da parte degli Stati aderenti;

11) a elaborare un piano di rientro immediato del contingente militare dall'Afghanistan e a stornare le cifre impegnate per il 2017 relative alla missione per il ritiro completo del nostro contingente;

12) a svolgere un controllo diretto e mirato del sostegno economico italiano, sia per i finanziamenti bilaterali che tramite accordi con l'Unione europea e con la NATO;

13) a concentrarsi su un'operazione coordinata di contrasto del terrorismo, che parta dall’intelligence, dalla prevenzione e dalla lotta alle predicazioni radicali e ai loro sponsor diretti e indiretti, nonostante i 4.400 miliardi di dollari spesi nelle guerre in Iraq, Afghanistan e altre aree di crisi, sono nate più di 30 nuove sigle terroristiche;

14) ad assumere iniziative per migliorare la riuscita del finanziamento delle missioni militari dell'Unione europea, attraverso una revisione del meccanismo ATHENA che ne garantisca una maggiore efficacia dell'azione e consenta di ampliare stabilmente la quota di costi comuni finanziati, provvedendo in particolare alle spese connesse al dispiegamento dei Battlegroup, strumento mai utilizzato nonostante abbia raggiunto la capacità operativa prevista già nel 2007;

15) ad adottare tutte le misure di politica economica per accelerare il tasso di crescita dell'economia, derogando sin dalla programmazione 2017-2020 in corso alle regole di austerity imposte dal Fiscal compact, nell'ottica di impedire la sua incorporazione nei Trattati europei e dare corso ad un periodo di politica economica espansiva, che abbia come priorità la destinazione di tutte le risorse disponibili agli investimenti pubblici, al sostegno dei redditi più bassi e al miglioramento delle condizioni di vita della collettività;

16) a rilanciare il principio di una gestione autonoma del debito da parte degli Stati, basata non più su politiche di rigore, bensì sulla riduzione progressiva del debito pubblico attraverso la crescita economica;

17) ad assumere iniziative per sostituire target basati su strumenti obsoleti quale il prodotto interno lordo con obiettivi macroeconomici e sociali basati su indicatori che tengano conto del benessere equo e sostenibile dei cittadini e che siano capaci di misurare lo sviluppo economico integrando nell'analisi fattori ambientali e sociali che mirino a rilanciare l'economia, l'aumento dell'occupazione e in generale ad un miglioramento del benessere diffuso dei cittadini europei e del welfare;

18) a promuovere l'uso di strumenti, incluso la fiscalità e il bilancio condivisi, atti a costituire un'unione economica e che si giovi di azioni di politiche economiche convergenti;

19) a promuovere in sede europea iniziative per l'armonizzazione interna dei montanti di surplus/deficit tra i vari Paesi dell'Unione;

20) a individuare nella garanzia dei diritti sociali una base giuridica di ordine costituzionale, in modo tale da attuare un modello sociale europeo «contraddistinto da un legame indissociabile tra prestazione economica e progresso sociale», autonomo rispetto alle politiche di alleati anche potenti o ai condizionamenti degli organismi finanziari sovranazionali;

21) ad assumere iniziative per garantire, negli accordi sull'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea, adeguata protezione degli interessi e la piena reciprocità dei diritti dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea che attualmente vi risiedono, lavorano, studiano o svolgono qualsivoglia altra attività, al contempo il totale rispetto degli obblighi e degli impegni di bilancio assunti dal Regno Unito e la piena partecipazione dello stesso a quanto compete agli Stati membri fino all'uscita definitiva dall'Unione, l'annullamento della correzione degli squilibri di bilancio accordata alla Gran Bretagna, posto che l'entità della spesa agricola è costantemente diminuita nel corso di oltre 30 anni e che la programmazione della Pac per il periodo 2014-2020 prevede una significativa decurtazione dei fondi disponibili per l'Italia.
(6-00333) «Battelli, Baroni, Luigi Di Maio, Fraccaro, Petraroli, Vignaroli, Fico».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

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