ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00309

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 784 del 26/04/2017
Abbinamenti
Atto 6/00306 abbinato in data 26/04/2017
Atto 6/00307 abbinato in data 26/04/2017
Atto 6/00308 abbinato in data 26/04/2017
Atto 6/00310 abbinato in data 26/04/2017
Atto 6/00311 abbinato in data 26/04/2017
Firmatari
Primo firmatario: BRUNETTA RENATO
Gruppo: FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Data firma: 26/04/2017
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
GIORGETTI ALBERTO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 26/04/2017
OCCHIUTO ROBERTO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 26/04/2017
MILANATO LORENA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 26/04/2017
PRESTIGIACOMO STEFANIA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 26/04/2017


Stato iter:
26/04/2017
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO PARLAMENTARE 26/04/2017
Resoconto RUBINATO SIMONETTA PARTITO DEMOCRATICO
 
INTERVENTO GOVERNO 26/04/2017
Resoconto BARETTA PIER PAOLO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
DICHIARAZIONE VOTO 26/04/2017
Resoconto LOCATELLI PIA ELDA MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto ALFREIDER DANIEL MISTO-MINORANZE LINGUISTICHE
Resoconto PALESE ROCCO MISTO-CONSERVATORI E RIFORMISTI
Resoconto BUTTIGLIONE ROCCO MISTO-UDC
Resoconto RAMPELLI FABIO FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Resoconto TABACCI BRUNO DEMOCRAZIA SOLIDALE - CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto ZANETTI ENRICO SCELTA CIVICA-ALA PER LA COSTITUENTE LIBERALE E POPOLARE-MAIE
Resoconto LIBRANDI GIANFRANCO CIVICI E INNOVATORI
Resoconto FASSINA STEFANO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE
Resoconto GUIDESI GUIDO LEGA NORD E AUTONOMIE - LEGA DEI POPOLI - NOI CON SALVINI
Resoconto TANCREDI PAOLO ALTERNATIVA POPOLARE-CENTRISTI PER L'EUROPA-NCD
Resoconto MELILLA GIANNI ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA
Resoconto OCCHIUTO ROBERTO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto D'INCA' FEDERICO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto MARCHI MAINO PARTITO DEMOCRATICO
 
PARERE GOVERNO 26/04/2017
Resoconto BARETTA PIER PAOLO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 26/04/2017

DISCUSSIONE IL 26/04/2017

NON ACCOLTO IL 26/04/2017

PARERE GOVERNO IL 26/04/2017

DICHIARATO PRECLUSO IL 26/04/2017

CONCLUSO IL 26/04/2017

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00309
presentato da
BRUNETTA Renato
testo di
Mercoledì 26 aprile 2017, seduta n. 784

   La Camera,
   premesso che:
    in data 12 aprile 2017, il Governo ha presentato alle Camere il testo del DEF come previsto dall'articolo 10 della legge n. 196 del 2009;
    le previsioni di crescita riportate nel nuovo quadro macroeconomico programmatico indicano:
   a) per quanto riguarda il PIL, un aumento dell'1,1 per cento nel 2017, dell'1,0 per cento nel 2018 e 2019, e dell'1,1 per cento nel 2020;
   b) una diminuzione del tasso di disoccupazione che scende all'11,5 nel 2017, all'11,1 nel 2018, al 10,5 nel 2019 e al 10 per cento nel 2020;
   c) un indebitamento netto pari al 2,1 per cento nel 2017, all'1,2 per cento nel 2018, allo 0,2 per cento nel 2019 e al pareggio nel 2020;
   d) un saldo primario che si colloca all'1,7 per cento nel 2017, al 2,5 per cento nel 2018, al 3,5 per cento nel 2019 e al 3,8 per cento nel 2020;
   e) una spesa per interessi che si colloca al 3,9 del PIL nel 2018, per scendere al 3,7 nel 2018 e 2019 e, nuovamente in salita, al 3,8 nel 2020;
   f) un debito pubblico lordo previsto al 132,5 per cento del PIL nel 2017, al 131 per cento nel 2018, al 128,2 per cento nel 2019 e al 125,7 per cento nel 2020;
   g) un dato relativo al PIL tendenziale in valori assoluti che viene stimato a 1.709,5 milioni di euro nel 2017, 1.758,6 nel 2018, 1.810,4 nel 2019 e 1.861,9 nel 2010;
   h) un dato relativo al PIL programmatico in valori assoluti stimato a 1.710,6 milioni di euro nel 2017, 1.757,1 milioni di euro nel 2018; 1.809,3 nel 2019 e 1.860,6 nel 2020;
    come riportato nello stesso Documento, il Governo attua immediatamente misure di riduzione dell'indebitamento strutturale pari a 0,2 punti del PIL per quest'anno; il pacchetto comprende misure volte alla riduzione dell'evasione dell'IVA e di altri tributi; vengono ridotte alcune spese e vengono previsti maggiori investimenti nelle zone colpite dai recenti eventi sismici pari a 1 miliardo di euro annui per il periodo 2017-2020;
    l'effetto congiunto degli interventi delineati, determina una revisione al ribasso dell'indebitamento netto programmatico del 2017 dal 2,3 al 2,1 per cento del PIL;
    lo scenario programmatico del DEF prevede, quindi, una discesa del deficit nei due anni successivi stimato all’ 1,2 per cento del PIL nel 2018 e allo 0,2 per cento nel 2019, mentre per il 2020, si prevede un ulteriore miglioramento del saldo verso il pareggio di bilancio;
    con riferimento alle Amministrazioni pubbliche, l'indebitamento netto nel 2016 è stato pari 40,8 miliardi di euro con una riduzione di quasi 3,4 miliardi rispetto al 2015, miglioramento ascrivibile anche alla riduzione degli interessi passivi che hanno determinato margini per 1,8 miliardi;
    la spesa per interessi si è ridotta per il quarto anno consecutivo, collocandosi a 66,3 miliardi nel 2016, mentre l'incidenza della spesa per interessi sul PIL è scesa al 4 per cento del PIL ed è stimata, come suindicato, in discesa al 3,9 nel 2017 e poi al 3,7 nel 2018 e 2019, per risalire al 3,8 nel 2020;
    l'avanzo primario in rapporto al PIL collocatosi all'1,5 per cento nel 2016, viene confermato allo stesso valore percentuale nel 2017 e in crescita al 2,4 nel 2018, al 3,1 nel 2019, al 3,4 nel 2020;
    la pressione fiscale calcolata al 42,9 per cento nel 2016, è prevista in riduzione di 0,6 punti percentuali nel 2017, in aumento al 42,8 nel 2017 nel 2018 e nel 2019 e poi al 42,4 nel 2020;
    a fronte della prolungata emergenza legata all'immigrazione clandestina – che continua a evidenziare un aumento costante dei flussi –, degli eventi terroristici in Europa e stante l'urgenza degli interventi sul territorio a seguito dei numerosi eventi sismici che si sono succeduti dal mese di agosto 2016, il Governo ha richiesto all'Europa il pieno utilizzo degli strumenti di flessibilità previsti nelle regole del Patto di stabilità e di crescita;
    in particolare, per fronteggiare l'emergenza legata all'aumento dei flussi migratori, il DEF stima una spesa per il 2017 pari a 4,7 miliardi, in crescita quindi rispetto ai 3,7 impegnati nel 2016;
    per il rafforzamento della sicurezza nazionale in considerazione degli avvenimenti internazionali relativi ai gravi eventi terroristici, è indicata una spesa pari a 1.038,3 milioni nel 2016;
    con riferimento agli eventi sismici, invece, per la messa in sicurezza degli edifici il costo degli incentivi fiscali è stimato nel DEF pari a 2 miliardi di euro; tale cifra rappresenta un anticipo di circa il 15 per cento della spesa totale prevista nel 2017, mentre – come si legge nel Documento – una quota rilevante sarà assegnata nel 2017 per garantire la messa in sicurezza di scuole e uffici pubblici e l'adozione di interventi per prevenire il rischio sismico e il dissesto idrogeologico;
    rispetto agli 829 miliardi del totale delle spese del 2016, si passa a 839 nel 2017, 849 nel 2018, 861 nel 2019 e 874 nel 2020;
    per le entrate si passa dai 788 miliardi del 2016, ai 799 del 2017, agli 826 del 2018, agli 850 del 2019 e agli 865 del 2020;
    con riferimento alle entrate, si registreranno misure one-off per 7,5 miliardi nel 2017 e per 3 miliardi nel 2018;
    gli interventi di dismissioni immobiliari prevedono entrate pari a 900 milioni nel 2017, 850 nel 2018 e 870 per ciascuno degli anni 2019 e 2020;
    come evidenziato nel DEF, nonostante nel 2016 il PIL mondiale abbia registrato un incremento di circa il 3,0 per cento, e pur in presenza di una ripresa negli ultimi mesi, la crescita del commercio internazionale ha continuato a essere molto debole. Il DEF evidenzia, altresì che lo scenario internazionale continua ad essere caratterizzato da una prevalenza di rischi al ribasso di natura economica; che sono ancora pienamente da verificare i possibili danni al commercio internazionale e all'economia mondiale derivanti da eventuali misure protezionistiche da parte degli Stati Uniti; che gli effetti della Brexit rimangono di difficile quantificazione; che le nazioni con disavanzi di partite correnti, elevata posizione debitoria in dollari e maggiore dipendenza commerciale verso gli Stati Uniti potrebbero essere soggette a maggiori rischi al ribasso nel breve termine;
   considerato che:
    il Programma Nazionale di Riforma (PNR) 2017 è strutturato su un doppio binario di breve e medio periodo, prevedendo da un lato le misure che necessitano di immediata approvazione (gli interventi di liberalizzazione, la riforma del processo penale e la disciplina della prescrizione), e dall'altro misure declinate secondo 6 ambiti strategici con l'obiettivo di affrontare gli squilibri macroeconomici del Paese (tra questi, il PNR indica le misure per la produttività; l'azione di contrasto alla povertà attraverso il varo del reddito di inclusione; il riordino delle prestazioni assistenziali e il rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali, finalizzato a garantire maggiore omogeneità delle prestazioni sul territorio);
    anche sul fronte del debito pubblico, nel DEF 2017 emerge l'impegno del Governo a raggiungere un sostanziale pareggio strutturale di bilancio nel 2019 al fine di poter intraprendere un percorso discendente dello stesso, unitamente alla ulteriore riduzione della pressione fiscale sui fattori produttivi. A tal fine, il PNR indica come obiettivo il taglio del cuneo fiscale per ridurre il costo del lavoro;
    il PNR non reca più la previsione della riduzione dell'IRPEF;
    come si legge nella premessa al PNR «In merito alle clausole di salvaguardia tuttora previste in termini di aumento delle aliquote IVA e delle accise, il Governo intende sostituirle con misure sul lato della spesa e delle entrate, comprensive di ulteriori interventi di contrasto all'evasione. Tale obiettivo sarà perseguito nella Legge di bilancio per il 2018...»;
    l'approvazione definitiva della legge annuale per la concorrenza e quella della riforma della giustizia (come il processo penale, l'efficienza del processo civile e la prescrizione) sono solo due degli obiettivi prioritari per rilanciare gli investimenti e la competitività del Paese e recare immediati benefici in termini di produttività e di crescita;
    con riferimento agli investimenti fissi lordi, il DEF indica per gli anni 2017-2020 una ulteriore riduzione dal 2,1 del 2016 al 2,0 per cento del PIL nel 2020;
    al di là dei lodevoli intenti enunciati nel DEF, e degli obiettivi che il Governo si prefigge per rilanciare gli investimenti e per conferire maggiore centralità alle politiche di coesione, le misure e le azioni di contrasto per ridurre il gap tra il Mezzogiorno e il resto del Paese appaiono ancora marginali e comunque non risolutive in ordine al divario infrastrutturale ed economico tra le due aree del Paese;
    secondo i dati Eurostat comunicati a gennaio 2017, nella zona euro il tasso di disoccupazione si è stabilito al 9,6 per cento a dicembre 2016, rispetto al 9,7 per cento del mese di novembre, mentre 1 anno prima il livello di disoccupazione era al 10,5 per cento. Nell'Unione europea il tasso di disoccupazione si è fermato all'8,2 per cento, il livello più basso dal mese di febbraio 2009; la disoccupazione è ai minimi storici nella Repubblica Ceca (3,5 per cento) e in Germania (3,9 per cento), mentre resta elevata in Grecia (23 per cento) e in Spagna (18,4 per cento). Con riferimento ai Paesi più grandi l'Eurostat evidenzia tassi di disoccupazione del 12 per cento per l'Italia, del 9,6 per cento per la Francia, del 5,9 per cento per la Polonia e del 4,8 per cento per il Regno Unito (4,8 per cento); il record negativo della disoccupazione giovanile under 25 spetta a Grecia, Spagna e Italia, con dati superiori al 40 per cento;
    nonostante il Governo proceda nell'attuazione della riforma del mercato del lavoro e nonostante la legge di bilancio per il 2017 abbia introdotto alcune misure che si prefiggono di incentivare le politiche attive rivolte ai giovani disoccupati e di favorire il reinserimento delle categorie più svantaggiate (quali incentivi per l'occupazione al Sud; incentivi per i giovani NEET; sgravi contributivi per le assunzioni di studenti in alternanza scuola-lavoro; incentivi per assunzione degli over 50), il nostro Paese registra ancora un elevato tasso di disoccupazione a causa del quale (unitamente alla mancanza di un efficace sistema di protezione sociale per le famiglie più svantaggiate) corre il serio rischio di un ulteriore ampliamento delle diseguaglianze;
    con riferimento al sistema previdenziale, nel DEF 2017 non viene affrontato il tema della rivalutazione delle pensioni, con particolare attenzione a quelle minime;
    con riferimento alla spesa sanitaria, sebbene il DEF la preveda in valori assoluti in crescita – da 112 miliardi nel 2016 a 114 miliardi di euro nel 2018 e a 115 miliardi nel 2019 – si evidenzia una riduzione della stessa in rapporto al PIL, fattore che rischia di generare ulteriori tagli sui servizi sanitari e, di conseguenza, sugli interventi volti a garantire il diritto alla salute e alle cure dei cittadini, dato ancora più preoccupante se considerato in relazione ai processi ormai consolidati di denatalità e invecchiamento della popolazione, con conseguente espansione dell'area sociale di coloro che richiedono un maggiore contributo da parte del SSN, e, correlativamente, dall'afflusso crescente di cittadini stranieri che, in attesa della definizione della relativa posizione rispetto alla normativa sugli ingressi, comunque aumentano progressivamente il numero di coloro che si rivolgono al SSN senza possibilità di discriminazione di sorta al riguardo;
   evidenziato che:
    si riscontra ancora una volta un drastico ribasso rispetto ai DEF precedenti; il Documento del 2014 prevedeva per quell'anno una crescita del PIL dello 0,8 per cento, per il 2015 +1,3, per il 2016 +1,6, per il 2017 +1,8 e per il 2018 +1,9; in realtà nel 2014 si ebbe un calo dello 0,35 per cento, per il 2015 +0,8, per il 2016 +0,9 per cento; il DEF di quest'anno prevede per il 2017 una crescita dell'1,1 per cento, per il 2018 dell'1 per cento; in totale, dunque, nel 2014 si prevedeva una crescita del 7,4 per cento mentre sommando i dati già consolidati per il 2014-2016 alle previsioni di quest'anno per il 2017-2018 si arriva solo a un +3,45; una differenza di ben 3,95 punti, pari a oltre 60 miliardi di PIL annuale persi rispetto alle previsioni;
    tutte le Istituzioni ascoltate in Commissione bilancio sul DEF 2017 hanno sottolineato che il Paese non pare essere ancora uscito dalla crisi e che la ripresa prosegue molto lentamente, e che quindi le previsioni del Governo, anche per il 2017, sembrano eccessivamente ottimistiche;
    il Servizio del Bilancio della Camera e del Senato ha rilevato che «... per il 2017 l'incremento in valore assoluto del debito pubblico (+48 miliardi) indicato nel DEF non sembra compatibile con le stime relative alle sue componenti, che sembrano condurre ad un risultato complessivo inferiore, pari a circa 43 miliardi di euro. Analoghe discrasie sembrano emergere in relazione agli anni successivi. Infine, si osserva che il rapporto di inizio anno del Governo consegnato alla Commissione indica un valore del rapporto debito/PIL pari al 132 per cento per il 2017, al netto del supporto al sistema bancario. Atteso che la stima per il presente anno non dovrebbe aver subito modificazioni per altre motivazioni, si può presumere che l'indicazione per l'omologo dato del valore del 132,5 per cento nel presente DEF derivi dall'ipotesi di un impatto ulteriore per mezzo punto percentuale sul fabbisogno delle misure precauzionali predisposte a tutela del settore bancario...»;
    dal documento dell'ISTAT emergono dati preoccupanti: nel 2016 in Italia ammonta a 1,1 milione (535 mila nel 2008) il numero di famiglie in cui tutti i componenti appartenenti sono in cerca di occupazione e non percepiscono, quindi, redditi da lavoro. Di questi, più della metà (il 54,1 per cento) è residente nel Mezzogiorno; il 2016 non ha registrato alcuna riduzione dell'indicatore di grave deprivazione materiale e, secondo i dati provvisori del 2016, la quota di persone in famiglia che sperimentano sintomi di disagio si attesta all'11,9 per cento, sostanzialmente stabile rispetto al 2015;
    sempre dai dati Istat emerge che nel 2016 risultano in condizione di grave deprivazione 1 milione e 250 mila minori, pari al 12,3 per cento della popolazione con meno di 18 anni. I dati confermano pertanto l'urgenza degli interventi previsti dal Governo per il contrasto alla povertà;
    i dati forniti da Rete Imprese Italia fotografano una ripresa economica fragile, con un tasso di crescita tra il 2017 e il 2018 tra i più bassi d'Europa, situazione aggravata da un eccessivo prelievo fiscale rispetto all'Eurozona e che richiederebbe maggiori investimenti e la necessità di risposte rapide e concrete alle imprese;
    secondo Confedilizia, nonostante gli obiettivi generali dichiarati dal Governo siano condivisibili, il quadro degli interventi specifici ipotizzati non lascia intravedere coraggiosi cambi di rotta in termini di diminuzione della spesa pubblica, di privatizzazione e di riduzione del carico fiscale. Il settore immobiliare è ancora in piena sofferenza, se si considera che nel 2016 il numero delle compravendite è stato inferiore di circa il 25 per cento rispetto al 2008 e di circa il 14 per cento rispetto al 2011. Per tali ragioni, Confedilizia ritiene «essenziale avviare un'opera di correzione delle politiche tributarie avviate nel 2011, riducendo progressivamente un carico impositivo che comprime la crescita, l'occupazione e i consumi...»;
    le previsioni macroeconomiche dell'Italia pubblicate dal Fondo monetario internazionale nel World economie outlook, e diffuse nei giorni scorsi, forniscono una visione più pessimistica rispetto a quella delineata nel DEF – +1,1 per cento e + 1 per cento rispettivamente nel 2017 e nel 2018 –, prevedendo i successivi 2 anni stabili con un PIL a + 0,8 per cento;
    con riferimento al rapporto deficit-PIL, il FMI lo prevede al -2,4 per cento e al -1,4 per cento nel 2018, mentre la stima sul debito pubblico in rapporto al Pil è prevista al 132,8 per cento (rispetto al 132,5 per cento indicata dal Governo, al 132,7 per cento) dell'OCSE e al 133,3 per cento dell'Unione europea);
    secondo il FMI, la crescita potenziale è trattenuta da una produttività debole e da fattori demografici negativi, e l'inflazione rimarrà in Italia ben al di sotto del 2 per cento, traguardo di medio periodo della Bce: +1,4 per cento quest'anno e + 1,3 per cento nel 2018. Con riferimento ai conti pubblici, il Fondo stima che l'indebitamento netto sarà al 2,4 per cento del Pil nel 2017 e all'1,4 per cento l'anno prossimo (mentre il saldo netto strutturale sarà negativo, rispettivamente, per l'1,6 per cento e per lo 0,8 per cento); valuta lo stock del debito pubblico in rapporto al prodotto pari al 132,8 per cento quest'anno e al 131,6 per cento nel 2018;
    ancora una volta, quindi, il quadro programmatico macroeconomico descritto nel Def, se confrontato con le previsioni del Fondo Monetario Internazionale e della Commissione europea, risulta venato da una notevole dose d'ottimismo;
    l'Italia rimane il fanalino di coda tra i paesi europei, in termini di crescita, unica tra i paesi membri dell'Unione europea a registrare un tasso di crescita del Pil inferiore al +1 per cento;
    il problema dell'enorme debito pubblico accumulatosi nel tempo non viene per nulla risolto e a nulla giova farlo apparire in riduzione attraverso qualche gioco contabile né, ancor peggio, con masochistiche vendite, a prezzi spaventosamente bassi, dei «gioielli di famiglia», che se anche contribuiscono a una momentanea riduzione dello stock di debito riducono, allo stesso tempo, gli incassi da dividendi per un ammontare analogo, cosicché il rapporto debito/Pil, ormai superiore alla soglia del 132 per cento, continui a crescere di mese in mese;
    secondo le previsioni dell'Esecutivo il debito comincerà a scendere già a partire da quest'anno. Trend confermato anche per i successivi tre anni. Ma c’è sentore di trucco contabile. La diminuzione del rapporto debito/Pil è, infatti, dovuta soltanto all'aumento del denominatore. Il Governo sovrastima la crescita del prodotto interno lordo a partire da quest'anno e per gli anni a venire. Prospettiva che, senza l'attuazione di un serio piano di spending review, senza un piano di privatizzazioni, in uno scenario economico caratterizzato da bassa crescita e con deficit di nuovo in aumento, è di impossibile realizzo. In ogni caso, anche se il rapporto debito/PIL dovesse scendere al ritmo ottimistico previsto dal Governo, tale discesa non sarebbe affatto sufficiente ad assicurare il rispetto della relativa regola numerica comunitaria entro l'orizzonte di programmazione;
    della spending review non vi è traccia. Anzi. Nei prossimi 4 anni le spese dello Stato, a legislazione vigente, cresceranno costantemente, con un incremento in valore assoluto di quasi 45 miliardi di euro, ovvero del +5,4 per cento. La spesa pubblica passerà dagli 829 miliardi del 2016 agli 874 miliardi di euro del 2019;
    tra il 2017 e il 2020, in base a quanto scritto nel Def, è prevista una stangata fiscale di quasi 80 miliardi di euro. Nei prossimi 4 anni le tasse aumenteranno sistematicamente e il gettito complessivo supererà quota 865 miliardi rispetto ai 788 miliardi del 2016;
    un pericolo ulteriore deriva dall'aumento dell'inflazione programmata, che secondo le stime del DEF passerà dal +0,2 per cento del 2016 al +1,2 per cento del 2017, per aumentare ulteriormente al +1,7 per cento nel 2018. L'aumento generalizzato dei prezzi, considerato che crescerà ad un ritmo superiore al tasso di crescita del Pil, comporterà inevitabilmente una forte erosione del potere d'acquisto delle famiglie italiane e ad un generale peggioramento delle condizioni di vita degli italiani, già duramente provati da 9 anni di crisi;
    è fuor di dubbio che la produttività del lavoro difficilmente aumenta in periodi di recessione, almeno nella fase iniziale, perché la caduta della produzione per assenza di domanda è in genere superiore alla riduzione immediata di occupazione. Ma, dopo nove anni di crisi e un massiccio aumento della disoccupazione, il fatto che la produttività continui a non aumentare in maniera significativa è preoccupante;
    nel periodo 2007-2012, con l'impatto violento generato dalla crisi, la produttività del lavoro è rimasta stagnante, per poi crollare successivamente. Una discesa della produttività del lavoro non avviene quasi mai nelle fasi di ripresa, per questo l'eccezione italiana è un segnale inquietante;
    in Italia sono diventati negativi anche gli investimenti al netto degli ammortamenti. Ciò significa che si è ridotto lo stock di capitale in valore assoluto. Non sorprende, quindi, che i dati Eurostat indichino una caduta del prodotto potenziale italiano, cioè della sua capacità produttiva. La questione è europea: se non ripartono gli investimenti non aumenta la domanda interna e, soprattutto, la produttività. Tutti ormai invocano un aumento di investimenti pubblici, dalla Bce al Fondo monetario internazionale, perché, soprattutto quelli in infrastrutture materiali e immateriali, servono ad aumentare anche il rendimento, cioè la produttività, degli investimenti privati;
    in Italia, nei due anni di Governo Renzi e con il Governo Gentiloni, gli investimenti pubblici, che pur nel pieno della crisi si erano mantenuti intorno al 3 per cento del Pil (poi scesi al 2,6 per cento nel corso della crisi del debito del 2012) sono crollati al loro minimo nel 2016, al 2,1 per cento, e così si manterranno nei prossimi anni, secondo le ultime previsioni della Commissione europea;
    da queste due gravi debolezze dell'economia italiana (bassa produttività e scarsi investimenti) deriva anche la debolezza del nostro Paese nelle trattative con gli altri partner europei, i quali comprendono certamente che la produttività non può crescere per decreto governativo, ma anche che l'uso di risorse scarse per finanziare spese correnti di vario tipo non rappresenta una politica di sostegno all'innovazione tecnologica e alla formazione di quel capitale umano necessario per fare la quarta rivoluzione industriale attualmente in corso nei paesi più industrializzati. Questa è la vera critica fatta all'Italia dai più importanti economisti internazionali, mentre il Governo continua a propagandare le sue false riforme e i suoi falsi risultati strabilianti di politica economica e finanza pubblica. È evidente che non solo i conti nel nostro Paese non sono in ordine, ma essi sono pericolosamente a rischio, mentre l'aumento della produttività e degli investimenti sono un tema da cui non si può prescindere se si vuole davvero cambiare il Paese;
    il giudizio in merito all'atteggiamento dell'Esecutivo sul tema della cosiddetta «flessibilità» è pesantemente negativo: l'Italia, con il Governo Renzi prima e con quello Gentiloni poi, la chiede per il quarto anno consecutivo, ma le regole europee consentono ai paesi membri di fare maggior deficit solo una volta e sulla base delle riforme effettuate, che nel caso italiano non solo non sono state ancora completate, ma la cui efficacia è tutta ancora da verificare. Su questo, valgono le parole di Mario Draghi secondo cui l'abuso di «flessibilità», vale a dire una politica economica orientata alla creazione di ulteriore deficit, porta alla perdita di credibilità dei paesi che ne abusano. E la credibilità del sistema paese è quella che orienta le decisioni dei mercati e degli investitori internazionali, con le relative ricadute sull'economia reale e sull'acquisto dei nostri titoli di Stato; ne è una dimostrazione il recente aumento dello spread tra i BTP e i Bund tedeschi, ormai costantemente sopra la pericolosa soglia dei 200 punti base, anche per effetto del prossimo completamento del programma di Quantitative Easing da parte della BCE, che ha contribuito fortemente a garantire, negli scorsi anni, bassi rendimenti sui titoli di Stato italiani, anche in relazione a quelli degli altri paesi finanziariamente più solidi;
    l'Italia ha bisogno di una vera manovra espansiva, che crei crescita e occupazione, con l'aumento della produttività dei fattori e della competitività del Paese, la riduzione vera della pressione fiscale e la cancellazione definitiva delle clausole di salvaguardia relative all'aumento dell'Iva, che il Governo Renzi ha sempre rinviato ma che ormai anche l'Ufficio Parlamentare del Bilancio giudica di «difficile realizzazione»;
   tenuto conto che:
    in risposta all'annessione della Crimea da parte della Russia avvenuta nel marzo 2014, l'Unione europea ha imposto una serie di azioni restrittive contro la Federazione Russa, rafforzate a settembre dello stesso anno. Sono azioni di natura diplomatica (l'esclusione, ad esempio, dalle riunioni del G8), di carattere restrittivo (congelamento dei beni e il divieto di visto applicati a persone ed entità responsabili di azioni contro l'integrità territoriale dell'Ucraina) e di tipo economico, azioni che sono state da ultimo prorogate fino al 31 luglio 2017 dal Consiglio Europeo (decisione del Consiglio del 19 dicembre 2016);
    a seguito delle decisioni assunte dall'Unione, la Federazione Russa ha posto limiti all'importazione, in particolare, di alcuni prodotti della filiera alimentare, e agli acquisti da parte degli enti pubblici russi di prodotti tessili, di abbigliamento, di calzature e pelli, di dispositivi medici, di veicoli, di mezzi d'opera e di servizio, limiti che sono costati alle imprese italiane 3,7 miliardi di euro. Le esportazioni verso la Federazione russa sono, infatti, scese dai 10,7 miliardi del 2013 ai 7,1 miliardi di euro del 2015 (- 34 per cento), mentre nei primi 10 mesi del 2016 hanno subito una ulteriore vistosa perdita, con stime per l'anno non inferiori a 1 miliardo;
    inoltre, la riduzione delle esportazioni verso la Federazione russa ha provocato la perdita di posti di lavoro e una situazione di eccesso di offerta con conseguente riduzione dei prezzi;
   valutato che:
    negli ultimi 7 anni le imposte statali e quelle locali sono cresciute, così come il costo dei servizi delle utenze a tariffa. Le prime sono salite del 6,1 per cento, le seconde, invece, dell'8 per cento, anche se in valore assoluto quelle nazionali (come IRPEF, IVA, IRES) sono aumentate di 21,6 miliardi e quelle locali (IMU, IRAP, addizionali comunali e regionali IRPEF, etc.) di 7,7 miliardi di euro. Tra le principali tasse locali, solo l'IRAP (-4,2 miliardi pari a una variazione del -13 per cento) ha subito una contrazione abbastanza decisa: tutte le altre, invece, hanno registrato un netto aumento. Tra il 2010 e il 2015 l'addizionale regionale IRPEF è aumentata di 3,1 miliardi di euro (+39 per cento) mentre quella comunale è aumentata di 1,4 miliardi (+51 per cento):
    le imposte che hanno subito l'incremento più sensibile dal 2011 ad oggi sono state quelle sugli immobili. Nel 2016 si è registrato un gettito pari a circa 50 miliardi. In particolare 20 miliardi da IMU e TASI, 11 miliardi da TARI, tributo provinciale per l'ambiente, contributi ai consorzi di bonifica, 9 miliardi di tributi indiretti sui trasferimenti (IVA, imposta di bollo, imposta di registro, imposte ipotecarie e catastali, imposta sulle successioni e donazioni), 9 miliardi di tributi reddituali (IRPEF, addizionali regionale e comunale, IRES, cedolare secca), 1 miliardo di tributi indiretti sulle locazioni (imposte di registro e di bollo), con una pressione fiscale sul settore immobiliare più che triplicata nel periodo di riferimento con effetti che non possono che deprimere in maniera drammatica il settore immobiliare e tutta la filiera di riferimento (dall'edilizia residenziale e non residenziale al settore del mobile e del «bianco», tradizionali punti di forza per sostenere la domanda interna), accrescendo i volumi invenduti che, a loro volta, pesano sui bilanci delle imprese di costruzione e si deprezzano ulteriormente in un circolo vizioso che l'assenza di interventi a sostegno da parte degli ultimi esecutivi non fa altro che amplificare gravemente;
    il mercato immobiliare ha subito un calo delle compravendite del 25 per cento tra il 2008 (anno di inizio della crisi mondiale) e il 2016, e del 14 per cento tra il 2011 (anno in cui viene inasprita la tassazione immobiliare) e il 2016. Inoltre tra il 2011 e il 2016 il valore delle abitazioni esistenti è sceso del 20 per cento. La eccessiva tassazione degli immobili non abitativi locati sta contribuendo alla chiusura delle attività commerciali. Peraltro, quest'ultimo dato deve essere inteso come direttamente incidente sulla ricchezza delle famiglie, posto che, come è noto, gran parte della ricchezza immobiliare complessiva risulta da investimenti effettuati nel passato delle famiglie anche in immobili ad uso non abitativo; con effetti, quindi, di ulteriore incremento della pressione fiscale e riduzione della ricchezza reale nei loro confronti;
    i crediti delle imprese nei confronti della PA, secondo l'ultimo aggiornamento sul sito on-line del MEF dell'11 agosto 2015, fotografano la seguente situazione: il Governo ha stanziato 56 miliardi di euro per il pagamento dei debiti non estinti dalla PA maturati al 31 dicembre 2014, 38,6 miliardi (69 per cento) è stato l'importo con cui sono stati pagati i creditori, le risorse finanziarie disponibili agli enti debitori è pari a 44,6 miliardi (79 per cento). La Ragioneria Generale dello Stato ha creato una piattaforma per il monitoraggio dei crediti commerciali, il cui ultimo aggiornamento è del 2 aprile 2016 e da cui si desume che vi sono 21,5 mln di fatture emesse per un valore di 129 miliardi di euro. Gli Enti registrati sono oltre 20.000 di cui 7.400 (35 per cento) sono «enti pubblici attivi», cioè operano oltre il 75 per cento delle fatture registrate e indirizzate a loro. Il debito di questi enti ammonta a 8,9 mln di fatture pagate, per un importo di circa 60,5 miliardi, con un tempo medio di lavorazione di una fattura di 46 giorni;
    ricordato che i cittadini e le imprese operanti in territori della ex Jugoslavia, già soggetti alla sovranità italiana hanno subito, e continuano ancora oggi a subire un'illegittima discriminazione rispetto ad altri cittadini italiani egualmente illegittimamente espropriati dei loro beni in terre ora straniere ma che un tempo furono soggette alla sovranità italiana,

impegna il Governo:

1) a valutare una semplificazione dell'attuale sistema fiscale e una riduzione del suo peso:
   a) adottando interventi percepibili di diminuzione della pressione fiscale, a partire dalla riduzione dell'IRPEF, così come previsto e non attuato dal DEF 2016, finanziando l'operazione anche attraverso tagli alla spesa pubblica inefficiente, utilizzando e potenziando il programma di spending review elaborato a fine 2013-inizio 2014 dall'allora commissario Cottarelli, in grado di generare risparmi per un totale di 60-65 miliardi nel prossimo triennio;
   b) scongiurando la annunciata revisione delle tax expenditures su lavoro e famiglie;
   c) sterilizzando le clausole di salvaguardia poste a garanzia dei conti pubblici, che farebbero aumentare IVA e accise nel 2018;
   d) introducendo, anche in via sperimentale o progressiva, il cd. «quoziente familiare», che considera il nucleo familiare, e non più il singolo contribuente, come soggetto passivo dell'Irpef, con conseguenti vantaggi fiscali per le famiglie più numerose;
2) a soprassedere da qualsiasi decisione circa l'ulteriore distribuzione a pioggia di risorse e moltiplicazione di «bonus» estemporanei, impostando una strategia di politica economica che non rimandi le necessarie misure da intraprendere ad un tempo indefinito e/o disallineato rispetto alle dinamiche della congiuntura internazionale, e conseguentemente, a chiarire le misure di politica economica che intende mettere in atto ai fini della necessaria correzione dei conti pubblici italiani, onde evitare l'apertura di una procedura di infrazione per debito eccessivo nei confronti del nostro Paese da parte della Commissione europea;
3) a valutare l'attivazione di politiche di sostegno alla crescita, ai consumi, alla domanda interna e alla produttività:
   a) individuando misure strutturali e universali per la riduzione del costo del lavoro, con riguardo al cuneo fiscale e contributivo, vincolando l'impresa a reinvestire i conseguenti minori oneri e determinando contemporaneamente un immediato incremento del reddito percepito dal lavoratore;
   b) introducendo la possibilità di compensazione tra crediti commerciali e debiti tributari, previdenziali e assistenziali, da attivare su iniziativa del creditore a fronte di inadempimenti degli enti territoriali, aziende del SSN e amministrazioni centrali dello Stato;
   c) rendendo il sistema camerale più efficace e meno oneroso per le imprese;
   d) incentivando gli investimenti privati, anche attraverso la previsione di agevolazioni fiscali non distribuite a vantaggio di imprese non residenti e che non generano occupazione in Italia, ma concentrate a favore delle imprese italiane ed Unione europea che producano effetti positivi in termini occupazionali e di gettito fiscale in Italia;
   e) introducendo misure di più equa distribuzione della pressione fiscale rispetto ad imprese che dirottino i proventi delle attività svolte in Italia verso la tassazione in Paesi con un ordinamento fiscale più accondiscendente, così determinando una situazione di alterazione delle regole di corretta competizione concorrenziale soprattutto rispetto alle PMI che non possono avvalersi di strumenti elusivi di tale sofisticazione;
   f) prevedendo la deducibilità di IMU e TASI corrisposta sugli immobili strumentali delle imprese dalle imposte dei redditi e dall'IRAP;
   g) abolendo l'applicazione del meccanismo dello split-payment, in quanto questo rappresenta una ingiusta penalizzazione delle piccole imprese e dei professionisti;
   h) modificando le disposizioni di attuazione nel nostro Paese della cosiddetta direttiva Bolkestein sulle concessioni che regolano le attività sulle aree pubbliche e demaniali, che riguardano le piccole e micro imprese;
4) a valutare un responsabile piano di semplificazione delle procedure e della complessità della struttura della Pubblica Amministrazione:
   a) accompagnando una revisione strutturale delle piante organiche laddove, in conseguenza della semplificazione dei procedimenti e delle autorizzazioni e a seguito della digitalizzazione della PA, queste risultino ancora ridondanti;
   b) programmando, di conseguenza, una graduale riduzione della spesa per redditi da lavoro dipendente delle amministrazioni pubbliche, che ha superato i 164 miliardi di euro nel 2016 pur senza determinare effetti di riduzione retributiva, ma anzi consentendo l'effettiva selezione meritocratica e la valorizzazione anche dal punto di vista retributivo non distribuita a pioggia, ma concentrata sul merito reale;
   c) adottando misure reali ed effettive per la riduzione credibile degli oneri relativi ai consumi intermedi delle amministrazioni pubbliche centrali, al di là di mere enunciazioni o operazioni contabili costantemente riproposte in maniera solo formale;

5) ad adottare un nuovo approccio nei confronti degli Enti territoriali che in questi cinque anni hanno sopportato la parte prevalente della spending review, per un valore complessivo di 25 miliardi di tagli tra Regioni, Province e Comuni:
   a) adottando una previsione finanziaria sostenibile per le funzioni delle regioni a garanzia dell'attuazione dei Livelli Essenziali dell'Assistenza;
   b) adottando una previsione finanziaria sostenibile per supportare le funzioni fondamentali delle Province relative alle strade e all'edilizia scolastica che, nonostante il ridisegno operato dalla legge Delrio, sono ancora previste dalla Costituzione;
   c) adottando nell'ambito della regola dell'equilibrio di bilancio dei comuni una ulteriore semplificazione dei vincoli di finanza pubblica degli Enti territoriali, che ampli le possibilità di finanziamento degli investimenti sul territorio;
   d) adottando ulteriori misure di revisione della spesa, ma esclusivamente a carico delle amministrazioni centrali e delle aziende da queste partecipate;
6) a promuovere un grande piano per il Mezzogiorno, intervenendo per compensare il ridimensionamento delle quote di cofinanziamento dei fondi strutturali nell'ambito dei programmi operativi regionali del Sud, aumentando la spesa in conto capitale ordinaria dello Stato in favore delle aree territoriali che rientrano nel «piano di convergenza», al fine di sostenere l'economia meridionale e il capitale sociale dell'area, i servizi di pubblica utilità e alla persona, la messa in sicurezza dei territori; più in generale, ad adottare ogni iniziativa volta a rafforzare l'attività e la capacità competitiva degli impianti produttivi che già operano nel Mezzogiorno, attraverso il potenziamento dei presidi di legalità, l'implementazione di interventi mirati a colmare il gap infrastrutturale e di servizi, nonché misure specifiche volte a garantire l'accesso al credito, sostenendo altresì politiche di decontribuzione rafforzata, in particolare per le nuove imprese che decidono di investire nella zona creando conseguentemente sviluppo e posti di lavoro;
7) a valutare l'introduzione di misure volte ad una riduzione del carico tributario sugli immobili, al fine di rendere più dinamico il mercato immobiliare e far ripartire il comparto delle costruzioni:
   a) evitando la revisione del catasto laddove portasse ad un aumento del prelievo fiscale indiscriminato sugli immobili e comunque scongiurando ogni ipotesi di aumento del prelievo in capo a ogni singolo cittadino;
   b) estendendo la cedolare secca alla tassazione degli affitti dei locali commerciali;
   c) stabilizzando al 10 per cento la cedolare secca per i contratti di locazione a canone calmierato sull'intero territorio nazionale;
   d) uniformando la disciplina relativa alle locazioni non abitative a quella delle locazioni abitative in materia di imposizione sui canoni non percepite;
   e) ripristinando la deduzione IRPEF del 15 per cento per i redditi da locazione;
   f) estendendo l'esenzione dell'IMU per gli immobili non venduti alle società immobiliari;
   g) anticipando una norma che preveda il blocco dell'aumento della TARI da parte dei comuni;
   h) agevolando l'aggregazione delle imprese edilizie, al fine di favorire un aumento dei livelli di produttività del settore;
   i) riducendo le incombenze normative e fiscali in materia edilizia a carico dei cittadini e delle imprese;
8) a proseguire senza indugio il programma di infrastrutturazione del Paese:
   a) riducendo l'impatto delle normative e dei passaggi burocratici adottando misure per un rapido avvio dei cantieri e della ricostruzione degli edifici pubblici e privati e delle infrastrutture nelle zone colpite dai più recenti eventi sismici, dove il tempo sembra essersi fermato al 24 agosto 2016;
   b) attuando un puntuale monitoraggio delle condizioni e dello stato di manutenzione del patrimonio infrastrutturale esistente (ponti, cavalcavia, strade, ferrovie);
   c) attuando una responsabile valutazione delle infrastrutture non completate (opere finanziate, risorse impegnate e spese), per regione, con una nota ragionata sull'effettiva utilità pubblica dell'opera stessa;
   d) individuando e avviando nuove grandi opere infrastrutturali, completando la parte italiana che collega il nostro Paese ai corridoi europei, accanto alla necessaria azione di costruzione e completamento delle reti di collegamento delle aree urbane e dei poli produttivi e turistici strategici;
   e) introducendo ulteriori azioni che rendano ancora più economica la mobilità dei passeggeri e delle merci;
9) ad accompagnare il programma di ricostruzione nelle aree colpite da calamità naturali con misure strutturali di carattere generale volte a stabilizzare in maniera credibile gli oneri a carico dei bilanci pubblici e sostenere nel tempo il valore delle unità immobiliari, attraverso un programma di assicurazione generale del patrimonio immobiliare, anche progressivo o sperimentale, assistito da misure di calmierazione degli oneri in presenza di una concorrente responsabilizzazione delle amministrazioni locali sull'uso del territorio e attiva partecipazione dei cittadini residenti;
10) ad implementare le politiche di fruizione dell'immenso patrimonio culturale italiano, trasferendo, ove possibile, le risorse dei Fondi europei nella conservazione dei beni storici, un settore che possiede uno tra i più alti moltiplicatori dell'investimento ed agisce da volano per l'intera industria del turismo;
11) ad adoperarsi affinché l'Unione europea interrompa l'applicazione di misure restrittive nei confronti della Federazione russa, tenuto conto sia del fatto che si tratta di un partner strategico e indispensabile per il mantenimento della stabilità internazionale e l'efficace contrasto al diffondersi di radicalismi, sia dei motivi connessi ad un miglioramento dell'export di prodotti agricoli e manifatturieri dell'economia italiana;
12) a proporre una nuova politica in tema di migrazioni:
   a) attivandosi presso le istituzioni europee affinché l'Unione europea si faccia completamente carico delle spese legate alla emergenza immigrazione, cresciute a dismisura nel bilancio dello Stato dagli 840 milioni di euro del 2011 ai 4,7 miliardi del 2017, risorse che vengono sistematicamente sottratte a famiglie e imprese italiane;
   b) fissando una riduzione dei trasferimenti monetari dell'Italia all'Unione europea, pari a 250 mila euro per ogni migrante accolto in Italia e non ricollocato secondo il meccanismo permanente per i ricollocamenti approvato dalla Unione europea, proponendo di conseguenza di porre tale penalizzazione in capo ai Paesi che non hanno accettato i ricollocamenti previsti;
   c) incrementando l'efficacia delle politiche di rimpatrio;
   d) portando la sfida al fenomeno della migrazione nei Paesi di origine, anche attraverso la creazione di un Fondo capiente in sede europea, a carico dei Paesi membri della Unione europea, per sostenere economicamente i Paesi del Nord Africa e del Medio oriente che si impegnino ad accogliere in loco e a frenare le partenze dei migranti, sul modello dell'accordo siglato da Unione europea e Turchia adottato per contenere le migrazioni dalla Siria;
13) a farsi promotore, in sede europea, di specifiche iniziative volte a modificare la direttiva BRRD sul bail-in degli istituti di credito, in maniera da ridurre il perimetro delle passività bancarie chiamate a sopportare le perdite in caso di fallimento della banca, escludendo, in ogni caso, quelle emesse e/o acquistate dai clienti prima dell'entrata in vigore della normativa di recepimento della suddetta direttiva, per evitare la retroattività di quest'ultima, e a predisporre strumenti eccezionali di intervento nel caso in cui si abbia la percezione che il sacrificio di azionisti e creditori derivante dall'applicazione del bail-in possa mettere a repentaglio la stabilità dell'intero sistema bancario;
14) ad assumere in sede europea opportune iniziative volte a disporre una garanzia europea comune sui depositi bancari, in quanto, in una unione monetaria, quale è l'Eurozona, la condivisione dei rischi, e di tutto quanto ne consegue in termini di sacrifici richiesti ai governi e ai propri cittadini, non può che procedere di pari passo con la condivisione delle garanzie che quei rischi stessi servono a coprire, anche per far fronte a episodi di «panico finanziario»;
15) a valutare la possibilità di promuovere un percorso normativo di ripensamento dei parametri e dei criteri che ad oggi regolano i procedimenti di indennizzo e contributo relativi alle perdite subite dai cittadini italiani nei territori ceduti alla Jugoslavia e nella zona B dell'ex territorio libero di Trieste, al fine di riconoscere la eguale misura di indennizzo a tutti i cittadini italiani illegittimamente espropriati dei propri beni in terre, ora straniere, ma che un tempo furono soggette alla sovranità italiana.
(6-00309) «Brunetta, Alberto Giorgetti, Occhiuto, Milanato, Prestigiacomo».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

prodotto interno lordo

crescita economica

debito