ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00307

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 784 del 26/04/2017
Abbinamenti
Atto 6/00306 abbinato in data 26/04/2017
Atto 6/00308 abbinato in data 26/04/2017
Atto 6/00309 abbinato in data 26/04/2017
Atto 6/00310 abbinato in data 26/04/2017
Atto 6/00311 abbinato in data 26/04/2017
Firmatari
Primo firmatario: MARCON GIULIO
Gruppo: SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE
Data firma: 26/04/2017
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
PASTORINO LUCA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
FRATOIANNI NICOLA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
PELLEGRINO SERENA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
PAGLIA GIOVANNI SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
FASSINA STEFANO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
AIRAUDO GIORGIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
BRIGNONE BEATRICE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
CIVATI GIUSEPPE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
COSTANTINO CELESTE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
FARINA DANIELE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
GIORDANO GIANCARLO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
GREGORI MONICA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
MAESTRI ANDREA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
PALAZZOTTO ERASMO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
PANNARALE ANNALISA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017
PLACIDO ANTONIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 26/04/2017


Stato iter:
26/04/2017
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO PARLAMENTARE 26/04/2017
Resoconto RUBINATO SIMONETTA PARTITO DEMOCRATICO
 
INTERVENTO GOVERNO 26/04/2017
Resoconto BARETTA PIER PAOLO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
DICHIARAZIONE VOTO 26/04/2017
Resoconto LOCATELLI PIA ELDA MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto ALFREIDER DANIEL MISTO-MINORANZE LINGUISTICHE
Resoconto PALESE ROCCO MISTO-CONSERVATORI E RIFORMISTI
Resoconto BUTTIGLIONE ROCCO MISTO-UDC
Resoconto RAMPELLI FABIO FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Resoconto TABACCI BRUNO DEMOCRAZIA SOLIDALE - CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto ZANETTI ENRICO SCELTA CIVICA-ALA PER LA COSTITUENTE LIBERALE E POPOLARE-MAIE
Resoconto LIBRANDI GIANFRANCO CIVICI E INNOVATORI
Resoconto FASSINA STEFANO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE
Resoconto GUIDESI GUIDO LEGA NORD E AUTONOMIE - LEGA DEI POPOLI - NOI CON SALVINI
Resoconto TANCREDI PAOLO ALTERNATIVA POPOLARE-CENTRISTI PER L'EUROPA-NCD
Resoconto MELILLA GIANNI ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA
Resoconto OCCHIUTO ROBERTO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto D'INCA' FEDERICO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto MARCHI MAINO PARTITO DEMOCRATICO
 
PARERE GOVERNO 26/04/2017
Resoconto BARETTA PIER PAOLO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 26/04/2017

DISCUSSIONE IL 26/04/2017

NON ACCOLTO IL 26/04/2017

PARERE GOVERNO IL 26/04/2017

DICHIARATO PRECLUSO IL 26/04/2017

CONCLUSO IL 26/04/2017

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00307
presentato da
MARCON Giulio
testo di
Mercoledì 26 aprile 2017, seduta n. 784

   La Camera,
   premesso che:
    siamo in presenza, da un lato, di un DEF del tutto provvisorio in attesa dei risultati della trattativa con la Commissione europea e, dall'altro, di un DEF «finto» perché incorpora nel tendenziale l'incremento delle aliquote Iva per un aumento di gettito di circa 19,5 miliardi. La manovra di conseguenza risulta formalmente di dimensioni modeste;
    a legislazione vigente, la manovra prevista nel 2018 per raggiungere l'obiettivo programmatico è pari a 0,1 per cento del Pil, ossia lo scarto tra il tendenziale (-1,3 per cento), ovviamente inclusivo dell'applicazione delle clausole di salvaguardia, e il programmatico (-1,2 per cento). Quindi, se si lasciassero scattare le clausole di salvaguardia, la manovra correttiva sarebbe leggera. Anzi, dopo l'approvazione del decreto correttivo degli andamenti 2017, sarebbe una manovra espansiva dato che il deficit tendenziale scenderebbe a circa -1 per cento del Pil;
    la manovra diventa pesante in quanto si vogliono disinnescare le clausole di salvaguardia. Dati gli effetti strutturali del decreto correttivo appena emanato, per disinnescare le clausole di salvaguardia sono necessari nel 2018 circa 14-15 miliardi. Altre risorse vanno trovate per finanziare il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici e per altre spese sempre rifinanziate (ad esempio, le agevolazioni fiscali per autotrasporto, la pesca, ecc...);
    complessivamente, si prospetta, dunque, una manovra pesante che rischia di rallentare la timida crescita del Pil, già condizionata dalla struttura economica del nostro Paese e dalla polarizzazione del reddito;
    le previsioni economiche e di finanza pubblica contenute nel Def sono oltretutto molto ottimistiche, e sostanzialmente smentite dalle previsioni dei principali organismi internazionali (Commissione europea; FMI; Ocse; Consensus Forecasts), essendo il nostro Paese in presenza di fattori di rischio legati allo scenario internazionale (emergere di posizioni protezionistiche da parte degli Usa, intensificarsi di tensioni nello scacchiere geo-politico, esaurirsi della fase di debolezza dell'euro che ha, sinora, favorito le nostre esportazioni), e sostanzialmente effimere, stante l'elevato grado di incertezza che caratterizza, in questa fase, la definizione della politica di bilancio ipotizzata nel Documento;
    l'Ufficio parlamentare di bilancio ha rilevato che: «il quadro programmatico della politica di bilancio è sostanzialmente indefinito», e mancano indicazioni sulle caratteristiche e le dimensioni degli interventi espansivi e di riduzione della pressione fiscale ai quali il Documento accenna;
    siamo di fronte ad un DEF ed a un PNR con indicazioni ambiziose al limite della pura propaganda. C’è qualcosa di profondamente sbagliato quando un governo presenta il più importante documento di finanza pubblica ed annuncia degli obiettivi che sa di non poter e di non voler raggiungere;
    un Documento che ha messo in luce le contraddizioni tra il Governo ed il partito di maggioranza relativa nonché con altre forze della maggioranza che non hanno esitato a scrivere che il DEF è «un testo apocrifo»;
   considerato che:
    nel 60-esimo dei Trattati di Roma, nonostante il clima eccessivamente celebrativo, dovremmo provare a fare un’«operazione verità» sulle condizioni e le prospettive dell'Unione europea e dell'euro-zona;
    l'Ue e l'euro-zona sono su una rotta insostenibile. Gli equilibri sono sempre più precari, puntellati da una politica monetaria di emergenza sempre più mal sopportata da larghi settori del Paese leader. Le condizioni strutturali per una ripresa stabile e significativa, ossia in grado di innalzare quantità e qualità dell'occupazione, non vi sono. Anzi, la fisiologia indotta dai Trattati europei e dal Fiscal Compact è di segno opposto. Siamo invischiati in uno scenario di sotto-occupazione e insostenibilità del debito pubblico;
    la ragione di fondo del quadro anemico è il mercantilismo liberista e la conseguente svalutazione del lavoro dell'impianto dei Trattati e del Fiscal Compact. Il problema non è l'Italia, la Spagna o la Grecia, sempre indietro nel percorso delle «riforme strutturali». Il problema non sono i malati poco responsabili e poco disponibili a somministrarsi l'amara ma efficace medicina. Il Problema è la medicina che aggrava la malattia;
    l'insostenibilità del mercantilismo liberista dell'euro-zona diventa ancora più stringente nel contesto della Presidenza Trump che archivia la funzione di consumatore di ultima istanza svolta dalla fine della II Guerra mondiale dagli Stati Uniti;
    in tale contesto, è estremamente preoccupante il sostegno del Governo italiano alla cosiddetta «Europa a più velocità». Accelerare lungo una rotta insostenibile determina l'anticipazione dell'impatto del Titanic Europa con l’iceberg della sofferenza economica e sociale interpretata da forze politiche regressive;
    è, invece, urgente cambiare radicalmente rotta al fine di rivitalizzare una crescita diffusa e qualificata, buona e piena occupazione, sostenibilità del debito pubblico. Cambiare radicalmente rotta non solo in termini di finanza pubblica, ma nella regolazione degli scambi di merci e servizi (attraverso l'introduzione di standard sociali e ambientali) per proteggere il lavoro e l'ambiente e dei movimenti di capitali (attraverso controlli e limiti), nella politica industriale per l'intervento pubblico discrezionale, nella regolazione del mercato unico, ad esempio attraverso la cancellazione della Direttiva Bolkestein;
    è necessaria la sospensione del Fiscal Compact per realizzare una virata keynesiana a favore degli investimenti pubblici. Una manovra espansiva, rispetto al deficit tendenziale, di almeno mezzo punto di Pil all'anno per un triennio, diretta a progetti di messa in sicurezza del territorio e delle scuole e alla mobilità sostenibile, in stretta interazione con Comuni e Regioni. Gli effetti macro-economici sarebbero molto contenuti sulla nostra bilancia commerciale, dato il carattere labour intensive dei programmi finanziati e comunque largamente sostenibili dato l'ampio surplus dell'Italia. Gli effetti di breve periodo sul debito pubblico sarebbero negativi ma modesti e compensati nel medio periodo da una ripresa robusta e radicata del reddito e dell'occupazione;
    purtroppo, anche il Def 2018-20 conferma la linea mercantilista percorsa dal Governo Renzi negli ultimi anni in un quadro subalterno ai vincoli, impossibili, del Fiscal Compact. Le principali misure di policy hanno tutte il segno supply side, mentre nulla viene indicato in termini di misure restrittive sul versante della spesa e/o delle entrate;
    nonostante il Governo, nel parlare degli indicatori del Benessere equo e sostenibile (BES) si sia compiaciuto per i risultati e i progressi fatti dall'Italia, sostenendo, tra l'altro, che i famigerati 80 euro hanno ridotto le diseguaglianze quando l'ISTAT ha dichiarato proprio il contrario (che quella misura ha favorito le classi medio-alte e non i poveri) il quadro appare francamente scoraggiante, con la continuazione, in piccolo, delle politiche seguite in questi anni. Un po’ di sgravi, una riduzione delle tasse mai attuata, poche risorse finanziarie per i rinnovi dei contratti dei dipendenti pubblici, qualche spicciolo per il welfare e una montagna di privatizzazioni;
    introdurre un BES governativo con 4 indicatori, quando l'ISTAT lo fa con 130, serve a poco e non offre una vera idea del Benessere equo e sostenibile del nostro Paese. Presentare le performance italiane senza alcun paragone con gli altri paesi europei è scientificamente e politicamente inaccettabile: un modo per evitare un confronto per noi impietoso. Affrontare l'indicatore delle diseguaglianze senza trattare il tema della povertà è un modo abile per indorare la pillola. Parlare di indicatori del lavoro prendendo solo la «mancata partecipazione al lavoro», senza citare la precarizzazione e coloro che non cercano più lavoro — è un inno alla parzialità;
   valutato che:
    nel PNR viene confermato l'impegno sulle privatizzazioni, sia pure ridimensionato da 8 a 5 mld l'anno nel triennio (dallo 0,5 allo 0,3 per cento del Pil). Lo strumento dovrebbe essere la cd. «super-Cdp»;
    il Servizio bilancio del Senato «ritiene auspicabile un approfondimento, con indicazioni più dettagliate sulle partecipazioni oggetto di dismissioni, circa la realizzabilità degli introiti attesi dalle privatizzazioni, cifrati pari a 0,3 punti percentuali annui dal 2017, anche alla luce del fatto che, a fronte di una stima del Def 2016 che li stimava pari allo 0,5 per cento del Pil per il medesimo anno, i ricavi effettivamente conseguiti sono stati pari a circa 0,1 punti percentuali di Pil.»;
    un rilievo simile viene dalla Banca d'Italia che in riferimento alle dismissioni osserva come il Def non dà informazioni sulla strategia da seguire in merito: «se si vuole dissipare del tutto l'incertezza occorrerà meglio esplicitare i programmi»;
    complessivamente, il nostro debito pubblico, malgrado la politica di privatizzazioni, la più imponente nell'ambito dell'Unione europea, attuata ad iniziare dal 1990 con le banche di interesse nazionale e a seguire con le industrie pubbliche e con gli immobili pubblici, si è impennato;
    sul versante delle entrate il Def 2017 sembra scontare le inadempienze e i ritardi del precedente premier Renzi nell'affrontare i temi della progressività fiscale e della redistribuzione del reddito ed, in generale, del ricorso ad una diversa politica delle entrate, la cui distorsione sta alla base del costante aumento negli ultimi anni del debito pubblico, ma che sarebbe la sola in grado di garantire enormi margini di recupero di risorse da destinare da un lato al risanamento dei conti pubblici e dall'altro ad un piano di investimenti per la realizzazione di infrastrutture pubbliche, offerta di nuovo welfare, tutela del territorio, etc.;
    il suddetto approccio è peraltro avvalorato dal passaggio, all'interno del documento, che evidenzia il profilo tendenziale delle entrate per il quadriennio 2017-2020 e per il quale non si registrerà alcuna variazione particolarmente significativa per la pressione fiscale, destinata a rimanere stabile. Di contro, l'unico ricorso alla leva fiscale ritracciabile nel documento ed in perfetta continuità con il passato, è quello orientato a sostenere, peraltro in modo iniquo e generalizzato, le imprese, dimostrando come il Governo, con la programmazione fiscale, si ostini a voler perseguire l'obiettivo di una maggiore competitività dei costi, anziché da un'efficace, efficiente ed equa allocazione delle risorse e dei fattori produttivi, perseguendo una strategia del tutto coerente alla linea liberista delle istituzioni europee, che punta sulla competitività dei costi per far ripartire la produzione, ma che ha già in passato dato prova della sua inefficacia in termini di aumento di crescita economica ed occupazione;
    la conferma di tale strategia si evince anche dalla considerazione che il tanto sbandierato taglio delle aliquote Irpef, che il precedente Governo puntava a realizzare entro la legislatura, è scomparso dal cronoprogramma delle riforme: il PNR, viceversa, indica come cruciale il taglio del cuneo fiscale per ridurre il costo del lavoro ed aumentare parallelamente il reddito disponibile dei lavoratori, un impegno però condizionato dalla sua compatibilità con gli obiettivi di bilancio;
    altro obiettivo dichiarato nel PNR, questa volta orientato ad una maggiore equità del prelievo fiscale e ad una redistribuzione del reddito, è quello, insieme all'aggiornamento del patrimonio informativo catastale, di una revisione delle cc.dd. tax expenditures ovvero l'insieme delle detrazione, deduzioni e crediti d'imposta che consentono al contribuente, in sede di dichiarazione dei redditi, di sottrarsi parzialmente all'eccessiva pressione fiscale abbattendo sensibilmente il totale dell'imposta dovuta. Ma la galassia delle tax expenditures contempla voci di agevolazioni la cui quota maggiore si concentra su casa e famiglia, come le spese per mutui, sanità, assegno di mantenimento, erogazioni liberali etc., pertanto la loro revisione si tradurrà in un inesorabile aumento della pressione fiscale;
    in più passaggi del Def 2017 il Governo ricorda che pende ancora sui conti pubblici la parte non sterilizzata delle cc.dd. clausole di salvaguardia (nel 2017 per 15,1 miliardi di euro e nel 2018 per 19,6 miliardi di euro) cioè quegli aumenti di IVA ed accise messe a garanzia di provvedimenti risalenti al 2014 e 2015, sostanzialmente finanziati a debito (Jobs Act, incentivi per l'assunzione del lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, bonus 80 euro, abolizione della TASI sulla prima casa) ma che, se non disinnescate in tempo, imporrebbero il programmato aumento dell'IVA, lo spettro di una trappola in grado di deprimere la domanda con pesanti conseguenze sulla produzione di beni e servizi e sull'intera economia;
    grande assente all'interno del PNR è una strategia organica per la riduzione strutturale dell'evasione fiscale, anche se è condivisibile la strada fin qui battuta dal Governo di volersi affidare alla tecnologia per aumentare la compliance, piuttosto che puntare sulla repressione dell'evasione ormai consumata. Anche i positivi risultati in termini di gettito della voluntary disclosure, dello split payment (rispetto al quale il Governo punta dal 2017 ad una sua estensione anche alle aziende controllate direttamente o indirettamente dallo Stato o dagli Enti pubblici territoriali e le società quotate in Borsa) e del reverse charge, non sembrano suggerire al Governo modifiche sostanziali in materia di lotta ai paradisi fiscali e di riorganizzazione dei pagamenti IVA;
    il PNR, nel tracciare una rassegna delle disposizioni emanate negli ultimi anni per il sistema creditizio, sembra sottovalutare il fatto che il problema principale che da anni affligge il settore, è rappresentato da quella imponente massa di crediti deteriorati o incagliati (cosiddetti NPL) detenuta dalle banche italiane, che pesando sui loro bilanci rende difficile l'erogazione di nuovi prestiti e quindi il finanziamento dell'economia reale;
    malgrado il suddetto contesto preconizzasse il rischio di una crisi sistemica del settore, il Governo pro tempore, ne ha colpevolmente ed irresponsabilmente sottovalutato la portata, gestendola con logica emergenziale, disponendo una serie di interventi (di cui ai decreti legge n. 3 del 2015, n. 18 e n. 59 del 2016), presentandoli come una riforma complessiva ed organica del settore, che sostanzialmente hanno lasciata invariata l'incidenza dei NPL sui bilanci delle banche italiane ed alterato significativamente, compromettendolo, il quadro di tutele giuridiche e costituzionali di riferimento, con immaginabili e deleterie ricadute per i risparmiatori e per la tenuta dell'intero sistema;
    benché l'analisi del Governo converga spesso sulla necessità di maggiori Investimenti fissi, si programma un'ulteriore riduzione degli investimenti pubblici (dal 2,1 del 2016 al 2,0 per cento del PIL nel 2020). Tale impostazione, purtroppo, risulta coerente con le privatizzazioni programmate (1,2 punti di PIL nel quadriennio, ovvero 5 miliardi di euro all'anno) e la riedizione di molti incentivi generalizzati alle imprese, pur essendo ormai riconosciuto da tutti – compreso il MEF – che l'ingente numero di risorse erogate al mercato abbia restituito solo una minima parte di investimenti, innovazione e occupazione all'economia reale;
    si esaltano i 47 miliardi del piano di investimenti da qui al 2032. In 15 anni rappresentano lo 0,2 per cento del Pil (3,133 miliardi l'anno). Uno spot che ci si poteva risparmiare;
    per la spesa in conto capitale le previsioni tendenziali del DEF mostrano un andamento complessivamente decrescente nel periodo 2017-2020: a fine periodo l'aggregato si attesta su un valore pari a 56,7 miliardi, inferiore di circa 1 miliardo rispetto al valore previsto per il 2017. L'andamento descritto viene confermato dalla dinamica della spesa in termini di PIL, che dal 3,4 per cento del 2017 scende al 3,0 per cento nel 2020. Si determinano peraltro valori più elevati nel 2018 e nel 2019, che mostrano un'incidenza della spesa in conto capitale rispetto al PIL, rispettivamente, del 3,5 per cento e del 3,3 per cento;
    anche il piano Juncker, sbandierato tre anni fa come il toccasana della crescita, con investimenti per i quali era prevista una leva 1:15, è sostanzialmente fallito. A fronte di soli 21 miliardi — sottratti in gran parte ad altri capitoli di spesa o forniti dalla BERS – si sarebbero dovuti ottenere ben 315 miliardi di investimenti dai privati. Un flop del velleitario piano Juncker prevedibile (e previsto da Sinistra italiana). In controluce sembra proprio che l'OCSE sostenga che è illusorio contare sugli investimenti privati per rilanciare la domanda;
    il piano industria 4.0, che prevede una serie di incentivi volti alla diffusione di tecnologie digitali nel sistema produttivo, può costituire un utile mezzo volto alla crescita della competitività e dello sviluppo del sistema produttivo italiano. Generalmente ci si riferisce ad una serie di cambiamenti nei modi di produzione di beni e servizi che porterà inevitabilmente anche un profondo cambiamento nei rapporti di produzione, tra datore di lavoro e lavoratore;
    l'azione di un Governo responsabile non può limitarsi a fornire incentivi spesso calati «a pioggia» senza un'opera «di accompagnamento culturale» come precondizione necessaria perché le tecnologie digitali e il loro utilizzo si diffondano oltre gli attuali confini e producano effetti sistemici e rivoluzionari, non a scapito esclusivamente della forza lavoro, attraverso la sua drastica diminuzione;
    i temi della coesione, del riequilibrio territoriale e del Mezzogiorno nel DEF vengono affrontati enfatizzando immotivatamente i risultati relativi ai dati sulla chiusura del primo ciclo di programmazione 2007-2013, per il quale come osserva la UIL nell'audizione svolta «è stata fatta una corsa disperata per evitare di perdere risorse», anche se tale «corsa disperata» non ha dato tutti i frutti sperati in quanto sussiste ancora il rischio di desertificazione per una quota di circa un miliardo di euro, più precisamente 972 milioni relativi al PON Ricerca, poiché ai sensi dell'articolo 95 del Reg. (CE) 1083/06 ne è stata richiesta la sospensione. Senza considerare che la stragrande maggioranza dei singoli progetti finanziati, soprattutto al Sud, sono relativi a interventi micro-settoriali, di scarso impatto sullo sviluppo reale delle aree più bisognose, e che configurano obiettivi qualitativi che non danno la certezza di validi risultati nel medio periodo;
    nel DEF si accenna a misure di riequilibrio territoriale incentrate sui fondi strutturali, ai cosiddetti «patti per il sud», che dovrebbero collocare gli interventi in un quadro più coerente, e alla definizione di una Strategia per le Aree Interne rivolte ad invertire nel prossimo decennio il calo demografico in 68 aree pilota che comprendono 1.043 Comuni. È evidente l'inadeguatezza delle misure previste e delle risorse finanziarie stanziate rispetto alla complessità delle questioni che intervengono nei processi di abbandono territoriale. Ad infrastrutture, trasporti, difesa del suolo e ricerca sono destinati appena 2,6 miliardi l'anno. Concorre a determinare un sostanziale stallo degli interventi il tentativo del Governo di centralizzare a Palazzo Chigi la gestione delle risorse e delle competenze, peraltro in un quadro di dubbia costituzionalità. Il riferimento in questo contesto è alla struttura di missione «Casa Italia» che, sovrapponendosi alle Regioni, rischia addirittura di ritardare l'implementazione del Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico, la cui attuazione è invece di primario rilievo per il recupero territoriale delle aree interne e l'incremento dell'occupazione. Noi di sinistra italiana insisteremo nel ripresentare in questo documento di programmazione interventi volti alla messa in sicurezza del nostro territorio, perché oggi non possiamo più continuare semplicemente e solamente a tamponare le emergenze a tragedia avvenuta;
    nonostante le politiche specificatamente rivolte al Mezzogiorno esplicitate dal Masterplan per il Sud a partire dal 2015, implementato nel 2016 con una assegnazione supplementare da parte del CIPE di 13,4 miliardi di euro a valere sul Fondo di Sviluppo e Coesione (FSC) e l'emanazione nel 2017 del Decreto Mezzogiorno che prevede interventi urgenti per occupazione, ambiente, risanamento dell'Ilva, incremento del Fondo per le non autosufficienze, i risultati positivi e, soprattutto, qualitativamente significativi, non si vedono;
    nel Mezzogiorno il tasso di occupazione cresce complessivamente dello 0,9 per cento in un anno, meno tuttavia rispetto al Nord (+1,1 per cento) e ancora del 2,6 per cento sotto il livello raggiunto nel 2008. Rimangono poi estremamente accentuati i divari territoriali: nel Centro-Nord sono occupate 6 persone su 10, mentre nel Mezzogiorno il loro numero cala a 4 su 10. Il tasso di disoccupazione cresce solo al Sud, in concomitanza inoltre con una forte diminuzione del numero degli inattivi e in costanza di un continuo, incessante spopolamento del Meridione a causa del manifestarsi di un inarrestabile e crescente fenomeno di emigrazione specie di giovani laureati e diplomati, per cui i divari relativi di disoccupazione nei territori nazionali si ampliano: i disoccupati crescono al 19,6 per cento al Sud e scendono al 7,6 per cento al Nord;
    un recente studio dello SVIMEZ rivela inoltre che se l'introduzione del principio di riequilibrio territoriale nelle spese in conto capitale, tardivamente anche se meritoriamente previsto nel Decreto Mezzogiorno quest'anno, fosse stato applicato nel 2008, all'inizio della crisi, la perdita di PIL e occupazione al Sud sarebbe risultata dimezzata rispetto a quella effettivamente subita e senza ulteriori e significativi impatti negativi sull'intera economia del Paese. Come a certificare, secondo il detto popolare, che ora «si chiude la stalla quando i buoi sono scappati»;
    l'Istat ha rilevato che 4,6 milioni di persone nel nostro Paese sono in condizione di povertà assoluta e più di 8 milioni sono quelle in condizione di povertà relativa, mentre ancora una volta la scelta del Governo è quella di un intervento parziale e neanche esaustivo nei confronti delle famiglie in povertà assoluta senza prevedere alcun intervento strutturale di reddito minimo a livello europeo, previsto dall'articolo 34 della Carta di Nizza, ma anche dal Pilastro europeo dei diritti sociali;
    il tasso di occupazione è rimasto poco sopra il 50 per cento, fra i più bassi d'Europa. Se i lavori a chiamata e intermittenti sono aumentati del 2,5 per cento, quelli in somministrazione del 13 per cento, più in generale, nel 2016, abbiamo nuovi impieghi a tempo indeterminato che superano di poco il 20 per cento, mentre quelli a tempo determinato sfiorano il 65 per cento (con un aumento di oltre il 10 per cento fra i giovani), secondo la nota trimestrale sulle tendenze dell'occupazione resa pubblica il 30 marzo dall'Istat. In particolare si è assistito al boom dei voucher cresciuti in un anno di quasi il 25 per cento, superando abbondantemente il tetto dei 30 milioni nell'ultimo trimestre dell'anno passato;
    il Governo Renzi con la distribuzione a pioggia di 21 miliardi di sgravi e bonus fiscali non ha ottenuto altro risultato se non quello di aumentare la diseguaglianza economica che secondo l'Ocse, in Italia dagli anni ’80 è cresciuta del 33 per cento (il dato più alto fra i paesi Ocse). Nel 2016 i sette italiani più ricchi hanno una ricchezza pari ai 20 milioni più poveri. L'1 per cento detiene il 25 per cento del reddito nazionale e il 20 per cento delle persone più ricche possiede più di quanto detenuto dal 67 per cento della popolazione. Questa forbice è il prodotto di chiare scelte politiche: la detassazione delle grandi eredità; la detassazione della prima casa anche per i più abbienti; un sistema fiscale che penalizza lavoratori autonomi;
    quello che si prospetta, quindi, è una massa di working poors destinati a sopravvivere, a causa dell'ulteriore precarizzazione e dei bassi oneri contributivi associati al loro sfruttamento, con una pensione ben al di sotto della soglia di sussistenza, se mai saranno in grado di averla;
    nelle premesse al Documento il Governo esibisce come risultato della inversione di tendenza in materia occupazionale una crescita degli occupati di circa 734 mila unità, una contrazione del numero degli inattivi, la riduzione del tasso di disoccupazione e del ricorso ai trattamenti di cassa integrazione. Nessuna rilevanza viene attribuita, invece, al fatto che l'INPS ha segnalato che nel 2016 vi è stato un calo delle assunzioni, nel settore privato, incluse le assunzioni stagionali, di 464.000 unità rispetto al corrispondente periodo del 2015 (-7,4 per cento). Il rallentamento delle assunzioni ha riguardato principalmente i contratti a tempo indeterminato (pari a -37,6 per cento). Come lo stesso INPS ha sottolineato, la riduzione va collegata all'abbattimento integrale dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per un periodo di tre anni per le assunzioni effettuate nel 2015. Come in molti avevamo denunciato, dunque, finiti gli incentivi è finito il vantaggio ad assumere, specie a tempo indeterminato, a riprova del sostanziale fallimento del Jobs Act;
    quello che il Documento di Finanza tace, inoltre, è che l'aumento complessivo dei contratti a tempo indeterminato rispetto a inizio 2015, non ha riguardato i giovani. La frattura generazionale, anzi, complice le rigidità della legge Fornero che ha allungato l'età pensionabile, si è allargata: in 23 mesi il numero di ultracinquantenni al lavoro in Italia è cresciuto di 690mila unità. I nuovi posti per i ragazzi tra i 14 e i 25 sono stati invece solo 36mila. E se da un lato vi è stata una crescita del numero di chi è tornato a cercare un impiego, dall'altro il 2016 ha segnato un nuovo record di oltre 100.000 giovani italiani che hanno abbandonato il proprio paese per andare a trovare fortuna all'estero;
    il DEF insiste, infine, sul tema delle politiche attive del lavoro, la seconda gamba del Jobs Act, ma a parte i ritardi accumulati, quanto viene scritto ha un aspetto propagandistico, perché vi sono problemi strutturali che non ci si cura di affrontare. Basti pensare che oltre il 70 per cento dei lavoratori dell'agenzia nazionale delle politiche attive (Anpal) sono precari con contratti a tempo determinato e collaborazioni, che hanno cominciato a scadere da marzo. Proprio loro che dovrebbero coadiuvare i centri per l'impiego (anch'essi popolati da almeno 2 mila precari) i disoccupati e i precari a trovare un lavoro o ad affrontare i programmi di ricollocazione, sono dei precari a loro volta;
    per quanto concerne il settore previdenziale, il Documento di Finanza si limita a richiamare gli interventi realizzati dal Governo con la legge di bilancio per il 2017, che sostanzialmente si riducono all'introduzione dell'APE, per applicare la quale dovranno essere superati ancora molti problemi e dalla quale tanti sono i soggetti esclusi. Si tratta peraltro di una misura la cui natura è solo secondariamente previdenziale, trattandosi di un prestito che verrà fatto pagare a pensionandi già impoveriti – considerata peraltro le ridotte risorse stanziate per l'APE sociale e i requisiti per averne diritto che consentiranno l'accesso a un ridotto numero di lavoratori;
    nessun riferimento o intervento viene invece previsto per risolvere i problemi determinati dall'ultima e inutile riforma delle pensioni del 2011 con la legge Fornero, che ha prodotto dannose conseguenze sociali e occupazionali e di contro ha contribuito solo per un terzo ai risparmi che sono venuti a determinarsi, pari ad una riduzione cumulata dell'incidenza della spesa previdenziale di circa 60 punti percentuali del PIL fino al 2050, dai complessivi interventi che si sono susseguiti dal 2004;
    vi è l'esigenza di una forma di previdenza complementare pubblica presso INPS che determini maggiori entrate attraverso i contributi volontari con miglioramento dei bilanci dell'INPS e dello Stato per svariati miliardi con la possibilità di utilizzare le risorse per lo sviluppo economico del Paese, mentre oggi la previdenza complementare privata investe gran parte delle risorse in titoli stranieri;
    nel Documento il Governo, alla sezione del PNR 2017 afferma, in generale, che «il completamento e l'attuazione della riforma della Pubblica Amministrazione entro l'anno è un obiettivo chiave del Governo poiché da essa dipendono un migliore ambiente imprenditoriale, maggiori investimenti e la crescita della produttività»;
    alle dichiarazioni contenute nel DEF non corrispondono, tuttavia, dei cambi di direzione che vadano nella direzione di migliorare la grave situazione nella quale versa la Pubblica Amministrazione a causa dei continui tagli lineari alle risorse e alle assunzioni. Il DEF riporta che l'incidenza della spesa per prestazioni di lavoro pubblico è calato al 9,8 per cento del prodotto interno lordo nel 2016, contro il 10,9 per cento registrato nel 2009, per l'effetto congiunto dei provvedimenti volti a contenere le retribuzioni e di quelli che hanno limitato il turn over nelle pubbliche amministrazioni. Il blocco del turn over nel pubblico impiego, tuttavia, non ha prodotto una razionalizzazione efficace e un miglioramento dei servizi e delle prestazioni ma è stata semplicemente una delle voci ragionieristiche di spending rewiew i cui effetti si sono rilevati catastrofici per i lavoratori e per i cittadini;
    anche sul fronte dei rinnovi contrattuali nel settore del pubblico impiego, sui quali è stato raggiunto l'accordo lo scorso novembre tra Governo e sindacati, il Documento di economia e finanza non reca precise indicazioni circa le risorse necessarie per finanziarli e questa mancanza è davvero grave;
    quelli della formazione scolastica ed universitaria sembrano essere temi sfuggenti nell'ambito del Def 2017. Per entrambi, infatti, il PNR non indica nuove misure da adottare limitandosi a ricapitolare da un lato l'adozione dei provvedimenti di attuazione della legge n. 107 del 2015 (c.d. Buona Scuola) e dall'altro gli stanziamenti, peraltro del tutto insufficienti e non risolutivi per entità e destinazione, previsti dalla legge di bilancio 2017 per l'aumento dell'organico dell'autonomia, per la contribuzione studentesca, il diritto allo studio, l'orientamento ed il tutorato, il finanziamento delle attività di ricerca di base e dei dipartimenti universitari di eccellenza;
    con riferimento all'istruzione, il PNR 2017 si limita ad evidenziare che nei sei ambiti di azione che costituiscono gli assi portanti sui quali è basata la strategia da attuare nell'intervallo annuale che ci separa dal prossimo PNR, insieme alle politiche attive per il lavoro, vanno stimolate le competenze (attraverso l'apprendistato e l'alternanza scuola-lavoro), per ridurre il mismatch con il mercato del lavoro, a riprova che il Governo persiste nell'ottica, profondamente regressiva e limitativa, che tende a considerare la scuola ed i luoghi della formazione come esclusive interfacce del mondo del lavoro;
    eppure da oltre un decennio gli interventi normativi relativi all'istruzione ed all'università hanno avuto come unico fattore denominatore la logica della riduzione dei costi e del pareggio di bilancio, attuata con tagli indiscriminati alle risorse, sia umane che economiche, e con una quota di finanziamenti complessivi erogati pari all'1,1 per cento del PIL, contro il 2 per cento destinato in media dagli altri Paesi europei: un dato che ci colloca agli ultimi posti della classifica OCSE e capace di evocare lo spettro di una strisciante desertificazione culturale, scientifica e tecnologica;
    il primo grave colpo alla scuola pubblica, a cui non è stato ancora posto rimedio neanche con la riforma della Buona scuola, è stato inferto dalla legge finanziaria per l'anno 2009, che ha rivisto l'assetto ordinamentale e didattico del sistema scolastico italiano, attraverso un aumento del numero degli alunni per classe, la riduzione del personale docente ed amministrativo, l'accorpamento delle classi di concorso, la revisione dei curricula e degli orari delle discipline: un'operazione che, attraverso il taglio di 140.000 posti di lavoro e più di 8 miliardi di euro di finanziamenti, ha minato irrimediabilmente il sistema dalle fondamenta;
    precondizione essenziale ed imprescindibile per risanare il sistema d'istruzione italiano è la stabilizzazione di quell'esercito variegato di precari storici che negli ultimi decenni, con abnegazione e grande spirito di servizio, hanno consentito al sistema di funzionare nonostante tutto, in una girandola di incarichi che non può non incidere negativamente sulla continuità didattica e sui livelli di apprendimento degli alunni. Anche in quest'ambito fino ad oggi si sono avvicendati una serie di interventi normativi privi di una visione sistemica ed in grado di mettere ordine e di far uscire il sistema scolastico dalla palude del precariato storico;
    il fenomeno del precariato compromette la qualità complessiva della scuola e potrà essere pienamente superato solo attraverso una più articolata ad autonoma organizzazione del lavoro scolastico, rendendo immediatamente disponibili per l'immissione a tempo indeterminato, tutti i posti attualmente coperti con incarico annuale, sia per posto comune che per sostegno, avviando, in prospettiva, un piano pluriennale di stabilizzazioni e garantendo, inoltre, un costante equilibrio tra immissioni dalle graduatorie e nuovo reclutamento;
    pur avendo la precarietà abitativa numeri impressionanti nel nostro Paese, nel DEF 2017 non si trova traccia di alcun intervento o programma in merito; non si fa neanche menzione di interventi volti a correggere l'ultima legge di bilancio che ha azzerato il fondo contributo affitto di cui all'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, e ridotto il fondo morosità incolpevole dai circa 60 milioni di euro del 2016 ai 37 milioni di euro del 2017;
    la spesa sanitaria è prevista in diminuzione dal 2018 a partire dal 2019 dal 6,5 per cento al 6,4 per cento del Pil non garantendo risorse sufficienti per l'applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale dei Lea, mentre il Censis ha rilevato che sono 11 milioni gli italiani che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie nell'ultimo anno;
    il Governo tende, a partire dalla legge di stabilità 2016, a finanziare le mutue sostitutive del SSN tramite il cd. «welfare aziendale» depotenziando l'articolo 32 della Costituzione in materia di diritto alla salute;
    senza investimenti adeguati che non si fermino alla sola stabilizzazione delle risorse come previsto dal Def 2017, il trasporto pubblico non può essere in grado di mettersi al livello degli standard europei; la Commissione europea, aveva sottolineato come gli investimenti in infrastrutture di trasporto abbiano subito riduzioni dall'1,6 per cento del PIL nel 2006 allo 0,5 per cento nel 2013 con una bassa qualità del trasporto. Lo stesso trasporto ferroviario è soggetto a proteste periodiche da parte dei pendolari. Il trasporto pendolare diventa così il paradigma sul quale testare la volontà del Governo in materia di trasporto pubblico;
    il Governo dichiara di essere in grado di sottoporre alla consultazione pubblica e all'approvazione entro il 2017 la nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN) che dovrà costituire il quadro di riferimento per l'attuazione degli obblighi derivanti dall'Accordo di Parigi sul clima e per ridefinire il ruolo del settore nell'ambito della crescita sostenibile del Paese. In questo contesto vengono declinate nel Programma Nazionale di Riforma una serie di azioni rivolte a ridurre i costi energetici per le imprese, a incrementare l'efficienza nell'impiego delle risorse, a migliorare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico nazionale;
    per interpretare più efficacemente la reale strategia energetica del Governo bisogna in realtà rintracciarne l'orientamento in un altro capitolo del Programma Nazionale di Riforma, laddove si delineano gli interventi in materia di concessioni pubbliche, in particolare per quanto concerne le concessioni relative alla ricerca, all'estrazione e allo stoccaggio di idrocarburi liquidi e gassosi. Nel prossimo quadriennio scadranno 130 concessioni già in essere e il Ministero dello Sviluppo Economico, con il decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 3 aprile, ha già chiaramente definito una strategia rivolta a potenziare le estrazioni di fonti fossili, anche agendo in deroga al divieto di estrarre nella fascia di 12 miglia dalla costa e concedendo alle imprese già titolari di diritti estrattivi di variare il programma concessorio con l'installazione di nuovi impianti;
    una politica per l'energia che si sostanzia pertanto in un'evidente ambivalenza, che vede il Presidente del Consiglio a più riprese avventurarsi in dichiarazioni che intendono collocare l'Italia nella fascia più avanzata dei paesi europei, quando invece dal Governo giungono segnali di orientamento opposto, con gli interventi riduttivi già operati sugli incentivi per le fonti rinnovabili e con il rilancio, di fatto, di politiche rivolte all'incremento dell'estrazione e dell'impiego di fonti fossili;
    l'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e l'Agenda 2030 dell'Onu che reca 17 obiettivi per uno sviluppo sostenibile, rappresentano una sfida e un impegno che devono entrare nell'agenda politica ed economica del Governo;
    nel Def 2017 non viene presa in considerazione la riallocazione dei sussidi ecologicamente dannosi (di cui al relativo Catalogo reso disponibile dal febbraio scorso dal Ministero dell'Ambiente), pari a circa 16 miliardi annui, e destinabili a nuovi interventi sostenibili per l'avvio della strategia di raggiungimento degli obiettivi di COP 21 con importanti benefici sia sul versante dell'abbattimento della CO2 che sul versante occupazionale, con un aumento stimato di circa 200.000 ULA anno;
    attualmente il settore agroalimentare mantiene un'interessante vivacità nelle esportazioni che testimonia le potenzialità di sviluppo del comparto, in prospettiva trainante per la ripresa economica e per l'immagine dell'Italia nel mondo. Il Governo richiama nel DEF gli sgravi fiscali introdotti a favore dell'agricoltura con la Legge di Stabilità per il 2017, la recente legge di contrasto del caporalato e la necessità di dare attuazione alle deleghe conferite dal Parlamento per la riforma della normativa di settore;
    non compare invece nel DEF alcun riferimento alle gravi crisi settoriali che stanno interessando il comparto agricolo e minando la sua capacità di fronteggiare le sfide della competizione internazionale. Il riferimento va in particolare al comparto del latte, dell'allevamento zootecnico e alle aziende cerealicole, con la grave crisi di redditività che ha interessato queste produzioni di primario rilievo nel corso del 2016 e il conseguente incremento delle importazioni;
    nella Strategia per lo Sviluppo Sostenibile, alla quale si accenna nel DEF, non trovano una adeguata collocazione gli interventi per la tutela e la valorizzazione delle aree naturali protette. È noto che la maggioranza ed il Governo sostengono il disegno di legge di riforma del settore (A.C. 4144), già approvato al Senato e attualmente in discussione alla Camera dei deputati, che ha incontrato la ferma opposizione di gran parte delle associazioni ambientaliste, anche a seguito del tentativo di condizionare ulteriormente la governance dei parchi con interessi localistici;
    nessuna novità contiene il DEF in materia di immigrazione e questo costituisce una grave mancanza. Il Documento si limita a ricordare che la realizzazione dei piani UE di ricollocamento non ha dato luogo agli esiti attesi, ma che l'Italia continuerà a realizzare nuovi centri hotspot, anche tramite strutture mobili in mare;
    il recente decreto-legge n. 13 del 2017 ha persistito in una prevalente ottica repressiva del fenomeno, con l'accentuazione degli strumenti di rimpatrio forzoso, attraverso alcune modifiche di dettaglio della disciplina del rimpatrio, ma, soprattutto, con la decisione di dare inizio all'apertura di numerosi nuovi centri di detenzione amministrativa in attesa del rimpatrio (ora chiamati Centri di permanenza per i rimpatri, invece che CIE);
    da anni risulta chiaro, invece, come un sistema efficiente di rimpatri non possa basarsi solo sull'esecuzione coattiva degli stessi, ma debba, in primo luogo, riformare le norme in materia di ingresso e soggiorno, aprendo canali di ingresso regolare diversi da quello, ora quasi unico, della protezione internazionale, così dando maggiore stabilità ai soggiorni, oggi resi precari da disposizioni eccessivamente rigide, riducendo così il ricorso all'allontanamento per ipotesi limitate e comunque incentivando i rimpatri volontari, con strumenti normativi e finanziari specifici;
    secondo i dati contenuti nel Rapporto annuale dell'Alleanza atlantica presentato nel marzo scorso la spesa per la Difesa nel 2016 in Italia è aumentata del 10,63 per cento rispetto all'anno precedente e si è attestata sull'1,11 per cento del Pil quando nel 2015 la spesa era stata pari all'1,01 per cento. Quello del 2016 è il primo aumento della spesa da oltre un decennio. Raggiungere l'obiettivo del 2 per cento del Pil in spese per la Difesa come chiesto da Donald Trump per non «moderare» l'impegno degli Usa nell'Alleanza Atlantica, rappresenterebbe un conto da oltre 96 miliardi di dollari in più all'anno per i 22 paesi della Ue che fanno anche parte della Nato. All'Italia spetterebbe un aumento di 0,9 punti di Pil che corrispondono a circa 20 miliardi. Nel recente incontro a Washington Trump ha rinnovato, al nostro Presidente del Consiglio, la sua richiesta di aumento delle spese militari dando seguito alla propria politica che da un lato punta ad incentivare le spese militari interne, accentuando le proprie politiche di «gendarme del mondo» e dall'altro punta a chiede un maggior coinvolgimento degli alleati nella Nato pretendendo dagli stessi un aumento delle spese per il mantenimento della struttura. Su tale nefasta prospettiva, in netta controtendenza e in contrasto rispetto alle politiche volte alla crescita, all'uscita dalla crisi, alla lotta alla povertà e all'aumento dell'occupazione, il Governo italiano non si pronuncia,

impegna il Governo

1) per quanto concerne le privatizzazioni:
   ad evitare ulteriori privatizzazioni dirette o indirette (via Cassa Depositi e Prestiti) di asset pubblici per fare cassa, comunque irrilevanti ai fini della sostenibilità del nostro debito pubblico;
2) per quanto concerne la politica in Europa:
   ad intervenire con forza, in tutte le sedi europee, al fine di una radicale riscrittura dei Trattati europei, rimuovendo le disposizioni pro-cicliche, come quelle contenute nel Fiscal compact, scorporare la spesa per investimenti dal calcolo del saldo strutturale e in assenza di tale riscrittura, porre, assolutamente il veto all'inserimento del Fiscal compact nei Trattati europei;
   a richiedere la mutualizzazione dei rischi del Quantitative Easing e l'introduzione, a livello europeo, di politiche di bilancio di compensazione dei disallineamenti dei cicli economici dei vari Stati membri, esattamente come accadrebbe in una unione monetaria completata dall'unione politica;
   ad ottenere l'emissione di eurobond e project bond, per finanziare e promuovere l'occupazione, in particolare quella giovanile, e la riconversione ecologica del sistema produttivo europeo;
   ad assumere le opportune iniziative normative al fine di cancellare le modifiche agli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione, apportate dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, al fine di eliminare il principio dell’«equilibrio di bilancio» e di garantire la salvaguardia dei diritti fondamentali, come richiesto dalla nostra Corte costituzionale e nel contempo sospendere, per un triennio, l'applicazione del Fiscal Compact concentrando le risorse aggiuntive sul sostegno selettivo alla domanda interna, quindi investimenti pubblici nei seguenti ambiti: piano nazionale per il contrasto al dissesto idrogeologico, piano straordinario per il lavoro per un Green New Deal, riconversione ecologica dell'economia, programma straordinario di piccole opere a partire dalle zone sismiche e dall'eliminazione dell'amianto;
   a prevedere che le stime del BES – sui dati ISTAT – siano elaborate da un istituto indipendente, sul modello e la natura dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio, che non sia influenzabile dall'esecutivo di turno al fine di evitare omissioni, manipolazioni e strumentalizzazioni;
3) per quanto riguarda la politica fiscale:
   a modificare la propria politica dei redditi, ricorrendo alla leva fiscale al fine di far emergere le diverse capacità economiche dei contribuenti, di sostenere lo sviluppo, di redistribuire il reddito e di contrastare l'evasione fiscale ed il lavoro sommerso, attraverso:
    l'introduzione di un'imposta sui grandi patrimoni e la rimodulazione delle aliquote dell'imposta sulle successioni e donazioni;
    l'allargamento della base imponibile dell'imposta sulle transazioni finanziarie (c.d. Tobin tax), estendendola alle azioni, alle obbligazioni (tra cui i Titoli di Stato scambiati sul mercato secondario) ed a tutti gli strumenti derivati;
    l'introduzione nell'ordinamento giuridico della c.d. web-tax;
    l'accentuazione della progressività fiscale dell'IRPEF con la previsione di un'ulteriore aliquota per lo scaglione di redditi oltre i 100.000 euro;
    l'assoggettamento alla TASI degli immobili di pregio adibiti ad abitazione principale;
    revisione della tassazione IMU per gli enti ecclesiastici;
    l'aumento delle royalties sull'estrazione di idrocarburi;
    l'aumento della tassazione sul porto d'armi e la vendita d'armi;
    la reintroduzione della tassa di stazionamento sulle unità da diporto;
     l'abolizione del regime fiscale di favore per attrarre capitali stranieri (c.d. flat tax);
    l'inasprimento delle pene attualmente previste per il reato di falso in bilancio;
    la conclusione dell'iter di revisione delle rendite catastali;
    il ripristino, con effetto per i periodi d'imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2017, dell'aliquota nominale dell'IRES di misura pari al 27,5 per cento;
   a sostenere la domanda ed i consumi anche attraverso la sterilizzazione degli aumenti dell'IVA per 19,5 miliardi;
   ad adottare un piano di smaltimento dei non performing loans che si basi sull'acquisizione da parte di un fondo pubblico dei crediti deteriorati con garanzia reale, al fine di destinare ad uso sociale gli immobili sottostanti;
   ad adottare ulteriori politiche relative al sistema del credito tali da garantire in maniera assoluta le tutele giuridiche e costituzionali relative alle ricadute per i risparmiatori e per la tenuta dell'intero sistema economico;
4) per quanto riguarda il rilancio degli investimenti pubblici:
   a cambiare rotta ed utilizzare un punto di Pil rispetto al tendenziale, che oggi è intorno al 2,5-2,6, e arrivare al 3,6 per fare politiche pubbliche di investimento in particolare per la messa in sicurezza del paese e per l'ambiente e dare una scossa a questo Paese. Il nostro debito pubblico è alto ma anche altri paesi, tra l'altro Spagna e Francia, hanno in questi anni sforato il rapporto deficit/PIL senza che questo creasse nessun terremoto;
   ad investire 8 miliardi di euro per un programma straordinario di mille piccole opere per la messa in sicurezza del territorio, delle zone sismiche, delle scuole, per la rigenerazione urbana in collaborazione con il sistema delle autonomie locali: 5mila cantieri per interventi sul territorio per l'ambiente, le scuole da mettere in sicurezza – a partire da quelle nelle zone sismiche e dall'eliminazione dell'amianto – le energie rinnovabili (pannelli su tutti gli edifici pubblici), le infrastrutture sociali (1.500 nuovi asili nido). Riservando il 45 per cento degli investimenti pubblici al Mezzogiorno (ripristino della «Clausola Ciampi»). Mettere fuori dal Fiscal compact gli investimenti pubblici anche nazionali e non le spese militari;
5) per quanto concerne Industria 4.0:
   a salvaguardare la straordinaria biodiversità produttiva italiana che basa la sua forza nella presenza del 99,4 per cento di micro e piccole imprese nel sistema produttivo italiano;
   ad assicurare nuovi investimenti pubblici a sostegno della riuscita del progetto, innanzitutto come infrastrutture strategiche, materiali e immateriali, risorse per la ricerca e lo sviluppo, innovazione nella P.A. e incentivi «selettivi» affinché la politica industriale si fondi su una governance più democratica, considerato che la condizione del lavoro e la creazione di nuova e buona occupazione sono prerequisiti indispensabili per far crescere il nostro apparato produttivo e assicurare un salto di qualità nel nostro modello di specializzazione;
   ad assicurare che Industria 4.0 sia affiancato a Lavoro 4.0, come chiedono unanimemente i sindacati italiani. Non solo gli aspetti di innovazione tecnologica devono divenire centrali ma i temi della formazione e delle competenze, quello degli orari, della loro gestione, di una diversa redistribuzione e di nuove possibilità di riduzione, anche per fronteggiare efficacemente i rischi di disoccupazione tecnologica già messi in evidenza dal caso ormai divenuto paradigmatico dell'Adidas;
6) per quanto concerne la politica per il Mezzogiorno:
   a dimostrare di tenere in seria considerazione che lo sviluppo e la crescita del Paese passa necessariamente dalla crescita qualitativamente significativa del Mezzogiorno e intervenire non con politiche straordinarie, ma con proposte economiche concrete di medio periodo valide per tutto il territorio nazionale che contengano una declinazione specifica per il Sud e una maggiore intensità di aiuti da destinare a quei territori, così come prevedeva la cosiddetta e dimenticata «clausola Ciampi per il Sud»;
   a prevedere un piano decennale o ventennale contro il dissesto idrogeologico e la messa in sicurezza del nostro Paese al fine di salvare le comunità locali e anche tutti i nostri beni culturali e le nostre bellezze;
7) per quanto concerne il contrasto alla povertà:
   ad istituire ed adottare il reddito minimo come unico strumento strutturale, efficace di contrasto alla povertà sia assoluta che relativa e di reinserimento nella società, allo scopo di affrontare strategicamente la povertà e la disoccupazione, uno strumento necessario per garantire anche un sostegno concreto ai lavoratori che perdono il posto di lavoro, prevedendo uno stanziamento complessivo a regime non inferiore ai 7 miliardi di euro;
8) per quanto riguarda il lavoro:
   a finanziare piano straordinario del lavoro per 200mila nuovi posti di lavoro per un Green New Deal collegato ai 5mila cantieri pubblici per le piccole opere e alla riconversione ecologica (quali la rigenerazione delle periferie, l'efficienza energetica degli immobili, l'innovazione tecnologica, la cura e la valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali, pranzi bio nelle scuole e negli ospedali, ecc...) ed anche attraverso una serie di misure specifiche come: «l'imponibile di manodopera» sugli appalti pubblici, un piano speciale per il lavoro di cittadinanza di 50mila giovani nei servizi sociali del welfare locale, il sostegno ai contratti di solidarietà espansiva per ridurre l'orario di lavoro ed aumentare l'occupazione;
   ad invertire la rotta imboccata con il Jobs Act favorendo l'occupazione stabile con misure che agiscano come leve per la creazione di nuovi posti di lavoro, come proposto da Sinistra Italiana con il programma Green New Deal; sostenendo con misure adeguate i contratti di solidarietà espansiva per favorire la contrattazione della riduzione di orario a parità di salario, e ripristinando la tutela reale in caso di licenziamento illegittimo dei lavoratori, approvando un Nuovo Statuto dei Lavoratori come quello proposto dalla legge d'iniziativa popolare promossa dalla Cgil;
   nel settore degli ammortizzatori sociali occorre che il Governo, intervenga con provvedimenti mirati in quanto il perdurare della crisi economica, fa avvertire l'insufficienza di un unico strumento, quale la NaspI, che non appare in grado di coprire tutte le situazioni di criticità cui, nel passato, facevano fronte anche gli ammortizzatori sociali in deroga e l'istituto della mobilità;
9) per quanto concerne il settore previdenziale:
   a prevedere interventi per ristabilire la solidarietà interna al sistema pensionistico, mediante il principio della flessibilità di accesso alla pensione di vecchiaia, riportando l'anzianità contributiva richiesta a 40 anni, tenendo conto che la spesa pensionistica per ogni singolo soggetto non muta all'interno del regime contributivo;
   ad introdurre meccanismi di solidarietà e garanzia per tutti i percorsi lavorativi, al fine di eliminare le diseguaglianze derivanti dal rapporto intercorrente tra l'età media attesa di vita e quella dei singoli settori di attività;
   ad eliminare le diseguaglianze e le conseguenze negative delle riforme pensionistiche degli ultimi anni sulle donne;
   ad introdurre meccanismi di rafforzamento dei percorsi contributivi dei lavoratori discontinui;
   ad aumentare la concorrenza nel settore della previdenza integrativa, istituendo una forma di previdenza complementare pubblica presso INPS;
10) per quanto concerne il pubblico impiego:
   a risolvere il problema del turn over introducendo un ricambio minino del 100 per cento dei dipendenti andati in quiescenza, mentre le ipotesi di elevazione del tetto attualmente in vigore sono di molto al di sotto dei bisogni effettivi, soprattutto presso gli enti locali;
   a precisare esattamente l'entità delle risorse finanziarie certe per i rinnovi contrattuali nel settore del pubblico impiego, sui quali è stato raggiunto l'accordo lo scorso novembre tra Governo e sindacati;
11) per quanto concerne l'istruzione, la formazione e la ricerca:
   a provvedere ad un immediato e costante incremento dell'investimento pubblico per la formazione scolastica ed universitaria al fine di allinearlo con le richieste delle strategie europee e ad elevare l'attuale spesa per Ricerca e Sviluppo ad un livello pari al 3 per cento del PIL, anche al fine di accrescere i livelli di conoscenza, di produttività, di occupazione e di benessere sociale del nostro Paese;
   ad avviare nella scuola un piano straordinario di stabilizzazioni, capace di contrastare il fenomeno del precariato storico e di evitarne la sua ricostituzione, che garantisca un costante equilibrio tra immissioni dalle graduatorie e nuovo reclutamento;
12) per quanto concerne le politiche abitative:
   ad assumere misure finanziarie efficaci in materia di politiche abitative per l'incremento dell'offerta di alloggi di edilizia residenziale pubblica anche prevedendo l'istituzione di un apposito fondo presso la Cassa depositi e prestiti per il sostegno di programmi da parte dei Comuni al recupero di immobili pubblici inutilizzati del demanio civile e militare ai fini di edilizia residenziale pubblica da destinare alle famiglie collocate nelle graduatorie comunali per l'accesso ad alloggi a canone sociale e per famiglie con sfratto eseguito o da eseguire per morosità incolpevole;
   a rifinanziare il fondo contributo affitto di cui all'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998 n. 431, e ad incrementare il fondo per la morosità incolpevole;
13) per quanto concerne il diritto alla salute:
   ad assumere le necessarie misure per garantire l'effettiva universalità del Servizio sanitario nazionale al fine di raggiungere l'obiettivo di una spesa sanitaria al 7 per cento di incidenza sul PIL in particolare attraverso il finanziamento dei Livelli Essenziali di Assistenza del Fondo per la non autosufficienza, l'eliminazione del superticket, la riduzione delle liste di attesa, avviando il superamento del blocco del turn over nel comparto sanitario; individuando risorse adeguate a garantire il rinnovo dei contratti e per la stabilizzazione dei precari;
   ad attuare un contrasto efficace alla corruzione e agli sprechi nel comparto sanitario destinando le maggiori risorse: ai farmaci innovativi, alla cura delle malattie croniche, all'aumento delle risorse per la non autosufficienza, alla garanzia dell'applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale della legge 194 in materia di interruzione volontaria di gravidanza;
14) per il diritto alla mobilità:
   ad avviare un Programma per la mobilità sostenibile con una dotazione annuale adeguata, nel triennio, 2018-2020 per il rinnovo e l'aumento della dotazione dei treni destinati alle tratte dei pendolari nonché di autobus urbani e extraurbani, utilizzati in particolare da lavoratori e studenti pendolari;
15) per quanto concerne la politica energetica:
   a ridurre e progressivamente ad azzerare i sussidi alle fonti fossili con un programma di decarbonizzazione della nostra economia, anche attraverso un preciso piano di sensibile diminuzione e quindi cancellazione degli aiuti pubblici e dei sussidi diretti e indiretti alle fonti fossili, prime responsabili delle emissioni di CO2, dell'inquinamento e dei cambiamenti climatici;
   a garantire che il piano energetico nazionale preveda la centralità delle fonti energetiche rinnovabili e che le linee guida e le incentivazioni in esso contenute siano coerenti e conformi con le reali esigenze del Paese, con mezzi finanziari adeguati e procedure e misure incentivanti idonee ed efficaci e con il sostegno dell'innovazione tecnologica nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili;
   a prevedere interventi normativi concreti per la realizzazione di una maggior efficienza energetica da parte del comparto privato, del comparto pubblico e del comparto industriale, in linea con quanto fatto già dall'industria europea in termini di investimento e realizzazione in questo settore e al fine di ridurre il fabbisogno energetico;
16) per il raggiungimento degli obiettivi di COP 21:
   ad utilizzare le risorse derivanti dalla riallocazione dei sussidi dannosi di cui al «Catalogo dei sussidi dannosi e dei sussidi favorevoli» del Ministero dell'Ambiente ai fini dell'operatività effettiva dell'accordo COP 21 di Parigi e per l'attuazione dell'Agenda 2030 dell'ONU per uno sviluppo sostenibile, anche definendo, con un apposito provvedimento normativo, le modalità per la riallocazione sostenibile dei sussidi dannosi all'ambiente, ai fini della fase di transizione;
17) per quanto concerne la politica agroalimentare:
   a delineare una strategia di politica nazionale per l'agroalimentare, che si lasci alle spalle gli interventi spot e configuri un sostegno attivo alle aziende a conduzione familiare che costituiscono tuttora la spina dorsale del settore;
18) per quanto concerne le aree naturali protette:
   a rilanciare gli investimenti nella conservazione, con un nuovo Piano triennale per le aree protette adeguatamente finanziato, rivedere a fondo la dotazione organica e la capacità finanziaria degli Enti gestori, oggi allo stremo, con evidenti riflessi negativi sulle attività istituzionali, a cominciare dalla vigilanza;
19) per quanto concerne la politica migratoria:
   ad abbandonare nei fatti l'approccio repressivo al fenomeno e chiudere i centri hotspot ove si consuma una sistematica violazione dei diritti umani delle persone migranti;
   a procedere ad una ampia e organica revisione delle strategie dei flussi migratori, con la rivisitazione delle norme del testo unico sull'immigrazione che impediscono un ordinato programma di regolarizzazione ed inserimento controllato dei migranti;
   ad instaurare, parallelamente, una cooperazione mirata e rafforzata con i Paesi di origine e transito dei flussi che preveda un piano di investimenti per fronteggiare le cause di fondo del fenomeno, la ricerca di condizioni di vita dignitose, della sicurezza, del lavoro. All'offerta di supporto finanziario e operativo ai Paesi partner devono corrispondere impegni precisi in termini di efficace controllo delle frontiere, riduzione dei flussi di migranti, cooperazione in materia di rimpatri/riammissioni, rafforzamento dell'azione di contrasto al traffico di esseri umani e al terrorismo;
20) per quanto concerne la difesa:
   a ridurre la spesa complessiva per la difesa almeno del 10 per cento, pari a 2, 3 miliardi di euro; provvedere ad un graduale ma concreto disimpegno negli impegni nella Nato al fine di ridurre drasticamente le spese militari dirette ed indirette; annullare le partecipazioni alle missioni internazionali; cancellare gli impegni sin qui assunti sugli F35 e sulle fregate FREMM.
(6-00307) «Marcon, Pastorino, Fratoianni, Pellegrino, Paglia, Fassina, Airaudo, Brignone, Civati, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Gregori, Andrea Maestri, Palazzotto, Pannarale, Placido».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

prodotto interno lordo

finanziamento pubblico

investimento pubblico