ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00164

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 498 del 08/10/2015
Abbinamenti
Atto 6/00160 abbinato in data 08/10/2015
Atto 6/00161 abbinato in data 08/10/2015
Atto 6/00162 abbinato in data 08/10/2015
Atto 6/00163 abbinato in data 08/10/2015
Atto 6/00165 abbinato in data 08/10/2015
Firmatari
Primo firmatario: BRUNETTA RENATO
Gruppo: FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Data firma: 08/10/2015


Stato iter:
08/10/2015
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO GOVERNO 08/10/2015
Resoconto DE MICHELI PAOLA SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
PARERE GOVERNO 08/10/2015
Resoconto DE MICHELI PAOLA SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 08/10/2015

DISCUSSIONE IL 08/10/2015

NON ACCOLTO IL 08/10/2015

PARERE GOVERNO IL 08/10/2015

DICHIARATO PRECLUSO IL 08/10/2015

CONCLUSO IL 08/10/2015

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00164
presentato da
BRUNETTA Renato
testo di
Giovedì 8 ottobre 2015, seduta n. 498

   La Camera,
   premesso che:
    le prospettive di medio termine relative alla crescita globale sono più deboli rispetto allo scorso anno. Come confermato di recente dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), ci troviamo di fronte ad una congiuntura difficile e complessa;
    la stabilità finanziaria resta ancora un lontano miraggio e sulla ripresa economica pesano non solo l'indebitamento degli Stati sovrani, l'invecchiamento della popolazione e la bassa produttività dei fattori, ma anche il rallentamento della Cina, le turbolenze sui mercati finanziari, la politica monetaria della Federal Reserve americana, i rischi elevati nei Paesi emergenti ed i recenti scandali nel mercato automotive;
    il timore generale è che l'economia globale entri oggi in una seconda fase acuta della crisi esplosa nel 2008. I principali sintomi provengono dalla Cina, e se a questo si aggiunge il possibile nuovo crollo dell'industria automobilistica, potrebbe cominciare un nuovo ciclo recessivo;
    nonostante il contesto internazionale incerto, il quadro macroeconomico descritto dal Governo nella Nota di Aggiornamento al Def è venato da una notevole dose di ottimismo, come dimostrato anche dal confronto delle previsioni dell'esecutivo, nettamente più rosee rispetto a quelle di tutte le principali Istituzioni internazionali: dal Fondo Monetario Internazionale all'Ocse. Stime, quelle del Governo, tra l'altro non adeguatamente giustificate;
    l'entità della manovra di prossima presentazione è indicata in termini di scostamento tra indebitamento tendenziale e programmatico, ma non vi è alcuna indicazione circa la composizione quantitativa delle misure che si intendono adottare. Rilievo ampiamente condiviso, in sede di audizione, dai principali organismi economici italiani quali: Servizio Bilancio del Senato; Ufficio parlamentare di bilancio; Corte dei Conti; Banca d'Italia;
    l'intenzione del Governo di fare ricorso a nuovi margini di flessibilità europea attraverso l'applicazione della cosiddetta «clausola delle riforme» (per 4 decimali di Pil, pari a circa 6,4 miliardi di euro), della cosiddetta «clausola degli investimenti» (per 3 decimali di Pil, pari a circa 4,8 miliardi di euro) e di una eventuale clausola per l'immigrazione (per 2 decimali di Pil, pari a circa 3,2 miliardi di euro), non ancora decisa a livello Ue, appare del tutto infondata;
    quanto alla «clausola delle riforme», ci sono almeno tre motivi ostativi: 1) il Governo ne ha già fatto ricorso lo scorso anno, quando, proprio con questa giustificazione, il rapporto deficit/Pil relativo al 2016 fu aumentato dall'1,4 per cento inizialmente previsto all'1,8 per cento finale; 2) il Governo non può chiedere per due volte consecutive margini di flessibilità riferiti alle medesime riforme: se non è riuscito ad attuarle, o se gli effetti sperati non si sono ancora realizzati, non ha alcun diritto a chiedere ulteriori deroghe. Ci sarebbe, piuttosto, da domandarsi se l'esecutivo non sia venuto meno agli impegni presi con l'Europa, e se, quindi, anche quello 0,4 per cento già concesso l'anno scorso non debba essere rimesso in discussione; 3) non ricorrono quest'anno le «circostanze eccezionali», vale a dire crescita negativa del Pil e dell'inflazione, cui ci si era appellati un anno fa;
    quanto alla «clausola degli investimenti», ci sono almeno tre motivi ostativi: 1) il Fiscal compact impone che il paese che ne fa ricorso abbia un andamento discendente del debito pubblico: condizione non rispettata dall'Italia, dove il debito pubblico continua a crescere; 2) il ricorso a tale clausola è legato al cofinanziamento di fondi strutturali europei già stanziati. Ma se, come accade in Italia, a causa di ritardi di qualsiasi tipo, gli investimenti non vengono effettuati, o slittano all'anno successivo, viene meno per il Governo la possibilità di usufruire della flessibilità europea; 3) il Governo italiano non ha ancora speso circa 10 miliardi di Fondi strutturali del Bilancio europeo 2007-2013, Non ha, quindi, la credibilità necessaria per poter chiedere di spendere i Fondi del bilancio europeo 2014-2020;
    quanto all'emergenza immigrazione, nessuna decisione circa la possibilità di concedere maggiore flessibilità ai paesi che più soffrono gli sbarchi è stata presa a livello Ue;
    il Governo dà per acquisita una deviazione dal percorso di risanamento dei conti pubblici, in termini di deficit, su cui la Commissione europea e l'Eurogruppo non si sono ancora espressi. Tali valutazioni, infatti, vengono effettuate a seguito dell'analisi dei documenti programmatici degli Stati membri soltanto dopo la presentazione della Legge di stabilità, il cui termine è fissato per il 15 ottobre, e comunque non prima del 30 novembre di ogni anno (articolo 7 del Regolamento (CE) n. 473/2013);
    ad ogni modo, le dichiarazioni rilasciate nelle ultime settimane tanto dal Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, quanto dai commissari Moscovici e Dombrovskis, lasciano pensare a margini di manovra di gran lunga inferiori a quelli auspicati dal Governo;
    ma se pure all'Italia venisse concesso di aumentare il deficit relativo al 2016 fino al 2,2 per cento, come richiesto dall'esecutivo, pesanti manovre correttive dovranno essere attuate entro il 2017, al fine di riportare l'indebitamento netto all'1,1 per cento, come scritto proprio nella Nota di aggiornamento al Def presentata dallo stesso Governo;
    questo dimostra una strategia di politica economica dell'esecutivo miope, del tutto priva di una visione di lungo periodo, più propensa a «mettere la polvere sotto il tappeto» e rinviare la soluzione dei già gravi problemi che riguardano i conti pubblici italiani;
    la pressione fiscale in Italia aumenta nel triennio 2015-2017. Dopo essere aumentata, anche, di tre decimali (dal 43,4 per cento al 43,7 per cento), dal 2014 al 2015, nell'anno degli 80 euro. Come hanno fatto notare pure i tecnici del Servizio Bilancio del Senato, secondo quanto scritto nella Nota di aggiornamento al Def presentata dal Governo, la pressione fiscale a legislazione vigente, vale a dire stando alle norme che sono già legge, crescerà dal 43,7 per cento del 2015 al 44,2 per cento del 2016 e, ancora, dal 44,2 per cento del 2016 al 44,3 per cento del 2017. Complessivamente, dal 2014, ovvero da quando l'attuale Governo è in carica, al 2017, la pressione fiscale nel nostro Paese aumenta di quasi un punto di Pil (dal 43,4 per cento del 2014 al 44,3 per cento del 2017);
    queste ultime, sempre stando a quanto scritto nella Nota, calerebbero leggermente solo nel passaggio dal «tendenziale» al «programmatico», vale a dire se il Governo disinnescasse davvero le clausole di salvaguardia che prevedono l'aumento dell'Iva, fino al 25,5 per cento nel 2018, e delle accise. Ma nel documento approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 18 settembre, il Governo non spiega come intende farlo;
    il debito pubblico italiano si attesta al 132,8 per cento nel 2015, in crescita dello 0,3 per cento rispetto alle previsioni dello scorso aprile. L'Italia conferma ancora una volta il primato di secondo debito pubblico più alto dell'Eurozona, dopo soltanto la Grecia. Una bomba ad orologeria. Pericolosa al punto da indurre la banca Centrale europea ad un richiamo ufficiale al nostro Paese;
    sono quattro i punti evidenziati dalla Bce: 1) l'Italia è in «consistente ritardo» nel percorso di riduzione del debito pubblico; 2) il mancato rispetto della «regola del debito» preclude ogni possibilità di fare ricorso a qualsivoglia clausola di flessibilità europea, in quanto il Paese ha dimostrato di non onorare gli impegni. 3) la spesa pubblica italiana, a dispetto dei numerosi proclamati piani di revisione e riduzione, è aumentata, nonostante le condizioni economiche congiunturali estremamente positive e, soprattutto, irripetibili. 4) il Governo italiano non ha dato alcun seguito alle ripetute raccomandazioni della Commissione europea;
    il monito della Bce è chiaro; le eventuali disponibilità straordinarie, connesse da una spesa per interessi inferiore alle attese derivante dal Quantitative easing europeo, devono essere utilizzate per la riduzione del deficit (o del debito). Proprio il contrario rispetto a quanto intende fare il Governo;
    percorrere con successo il sentiero dello sviluppo è, tuttavia, possibile. L'euro debole, il Quantitative easing e il basso prezzo del petrolio attualmente offrono enormi vantaggi a tutta l'eurozona. Ma le proposte governative rischiano di creare un buco nell'acqua e di sprecare le opportunità offerte da fattori esogeni che non possono durare all'infinito. Non approfittarne con politiche ambiziose, focalizzate sul mercato e sui suoi meccanismi di funzionamento, non può che comportare un tragico errore;
    la dimostrazione di quanto appena detto si ritrova nelle previsioni dei principali organismi internazionali. Sempre secondo il Fondo Monetario Internazionale, ma non solo, nei prossimi anni l'Italia crescerà ad un ritmo più basso rispetto alla media dei Paesi dell'Eurozona;
    le stime parlano di uno sviluppo medio del Pil del nostro Paese che fatica a raggiungere l'1 per cento nel 2015 e a superarlo di poco nel 2016, contro, rispettivamente l'1,5 per cento e l'1,6 per cento della media dell'Eurozona;
    meglio dell'Italia non faranno solo la Germania (+1,5 per cento; +1,6 per cento), la Francia (+1,2 per cento; +1,5 per cento) e la Spagna (+3,1 per cento; +2,5 per cento), ma anche il Portogallo (+1,6 per cento; +1,5 per cento), la Slovenia (+2,3 per cento; +1,8 per cento) e Malta (+3,4 per cento; +3,5 per cento). Paesi, questi, che hanno subito una crisi finanziaria che li ha portati sull'orlo del default, ma che hanno saputo reagire;
    è bene guardare al futuro con meno incoscienza e più determinazione. Il Governo punta a far crescere il Paese attraverso improbabili riforme in deficit. Una contraddizione in termini. Non è possibile, infatti, utilizzare risorse una tantum, quali l'auspicata flessibilità europea, per interventi strutturali, che necessitano di «coperture» certe nel medio-lungo periodo;
    il gruppo parlamentare Forza Italia, nella sua riflessione critica della Nota di Aggiornamento al Def, ha rinunciato alla facile demagogia, facendo emergere preoccupazioni che sono reali, quali premessa per ulteriori sviluppi e confronti parlamentari, dai quali non intende sottrarsi, nella consapevolezza dei rischi prospettici che gravano sulla società italiana,

impegna il Governo

a soprassedere da qualsiasi decisione circa l'ulteriore distribuzione a pioggia di risorse che non siano contabilmente certificate, impostando una strategia di politica economica che non rimandi le necessarie misure da intraprendere ad un tempo indefinito, e/o disallineato rispetto alle dinamiche della congiuntura internazionale. L'obiettivo è uscire dalla genericità delle enunciazioni circa la necessità di un maggiore sviluppo, indispensabile per arrestare i fenomeni di ulteriore arretramento rispetto alla realtà internazionale. Non dimenticando che, a differenza della maggior parte dei Paesi dell'Eurozona, per ritornare alla situazione pre-crisi l'Italia deve ancora recuperare circa 9 punti di Pil. Ed è questo il duro fardello che deve essere rimosso, nel tempo più breve possibile.
(6-00164) «Brunetta».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

prodotto interno lordo

bilancio di societa'

fondo CE