ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00119

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 394 del 18/03/2015
Abbinamenti
Atto 6/00117 abbinato in data 18/03/2015
Atto 6/00118 abbinato in data 18/03/2015
Atto 6/00120 abbinato in data 18/03/2015
Atto 6/00121 abbinato in data 18/03/2015
Atto 6/00122 abbinato in data 18/03/2015
Atto 6/00123 abbinato in data 18/03/2015
Firmatari
Primo firmatario: BRUNETTA RENATO
Gruppo: FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Data firma: 18/03/2015
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
PALESE ROCCO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 18/03/2015


Stato iter:
18/03/2015
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 18/03/2015
Resoconto GOZI SANDRO SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 18/03/2015
Resoconto DI LELLO MARCO MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto RAMPELLI FABIO FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Resoconto MARAZZITI MARIO PER L'ITALIA - CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto PRATAVIERA EMANUELE LEGA NORD E AUTONOMIE
Resoconto GALGANO ADRIANA SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Resoconto SCOTTO ARTURO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Resoconto CICCHITTO FABRIZIO AREA POPOLARE (NCD-UDC)
Resoconto BRUNETTA RENATO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto DI STEFANO MANLIO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto BORDO MICHELE PARTITO DEMOCRATICO
Fasi iter:

NON ACCOLTO IL 18/03/2015

PARERE GOVERNO IL 18/03/2015

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 18/03/2015

DISCUSSIONE IL 18/03/2015

RESPINTO IL 18/03/2015

CONCLUSO IL 18/03/2015

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00119
presentato da
BRUNETTA Renato
testo di
Mercoledì 18 marzo 2015, seduta n. 394

   La Camera,
   considerato che:
    l'ordine del giorno del prossimo Consiglio europeo riguarderà la politica energetica; le relazioni estere, con specifico riferimento alle vicende russoucraine e il prossimo vertice di Riga; lo scambio di opinioni sulla situazione economica, in vista della conclusione del primo semestre del 2015;
    per quanto riguarda il primo punto – la politica energetica – in vista della futura Energy Union sarà opportuno aggiornare le analisi in relazione ai mutamenti intervenuti negli equilibri di mercato, a seguito della forte caduta del prezzo del petrolio;
   all'origine di quest'evento sono, infatti, fenomeni al tempo stesso congiunturali e strutturali. Sono fenomeni congiunturali la caduta della domanda globale di energia dovuta al rallentamento dei ritmi di sviluppo dell'economia mondiale. Quindi la decisione dei principali Paesi produttori di petrolio di non ridurre l'offerta per considerazioni di natura politica: i rapporti soprattutto dell'Arabia Saudita con l'Iran e la Russia. Occorrerà, tuttavia, tener conto, quali fenomeni strutturali, anche delle nuove tecnologie di produzione del petrolio dagli scisti bituminosi – lo «shale oil» – il cui costo di estrazione si colloca intorno ai 70 dollari al barile e fa da pivot agli andamenti complessivi del prezzo dell'energia;
    fenomeni di questa complessità inducono a rivedere il quadro complessivo, ferma restando la necessità di considerare il problema energetico sempre più come priorità europea, al fine di consentire ai singoli Stati nazionali di sostenere un rischio di carattere sistemico legato agli enormi investimenti necessari per realizzare le tecnologie del futuro. Si consideri che tra gli obiettivi già indicati a livello comunitario c’è quello di migliorare l'efficienza energetica di almeno il 27 per cento entro il 2030. Mentre già nel 2020 il consumo d'energia a livello europeo dovrà essere ridotto del 20 per cento rispetto al 1990. Un taglio che equivale a disattivare circa 400 centrali elettriche e che richiederà ingenti investimenti di ammodernamento per le altre (per consentire almeno la loro interconnessione con le varie forme di energia rinnovabile) e nelle reti di trasmissione. Con una previsione di investimento, solo per queste ultime, pari a circa 1.000 miliardi di euro. A cui si aggiunge il problema del gas (gasdotti e accresciute possibilità di stoccaggio) al fine di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti;
    l'intera azione non può essere delegata all'Unione europea. I singoli Stati nazionali devono, al contrario, fare la loro parte contribuendo a realizzare ogni possibile risparmio. Nel solo settore edilizio i consumi sono pari al 40 per cento di quelli energetici e lo stesso è responsabile del 36 per cento della produzione dei gas serra, di cui l'80 per cento attribuibile al riscaldamento. Specie in Italia è necessario pertanto giungere quanto prima ad una diversa politica per la casa, non solo riducendo il livello di tassazione che la colpisce, ma anche per favorire un processo di ammodernamento complessivo altrimenti difficile da realizzare;
    circa il secondo punto – i rapporti con la Russia, anche in vista del prossimo summit di Riga – è necessario non prescindere da un panorama internazionale più complessivo, che è tra i più preoccupanti dalla fine della Seconda guerra mondiale. Segnato com’è dal prevalere di conflitti – Al Qaeda, l'Is-Daesh – che segnano il ritorno ad antiche barbarie: dai genocidi alle esecuzioni sommarie, veicolate attraverso i social network; dall'uso di bambini negli attentati terroristici all'organizzazione dei grandi flussi di immigrazione dalla Libia e non solo, gestiti con l'intento di destabilizzare l'Italia e l'Europa e ricavare, al tempo stesso, le risorse necessarie per sviluppare la loro azione militare. Il rapporto con la Russia deve essere valutato anche alla luce di questo quadro più complessivo;
    per quanto riguarda l'Ucraina, non bisogna dimenticare che quel Paese rappresenta la frontiera della volontà politica e della capacità economica dell'Unione europea di adempiere alla sua vocazione di unificazione continentale. La definizione di «rivoluzione democratica», usata dall'Europa, contrasta con quella russa di «colpo di stato anticostituzionale». Per Mosca, che rivendica il proprio diritto a difendere le popolazioni di etnia russa, si è trattato di un «movimento di autodeterminazione che ha portato alla riunificazione di una entità separata dalla Storia». Per gli Stati Uniti e l'Europa, invece, Mosca ha superato un punto di non ritorno, con l'uso illegittimo della forza per ridisegnare i confini dell'Europa post-sovietica e per destabilizzare il Paese vicino. La responsabilità di questa tragedia è materia complessa che non si presta a una separazione tra buoni e cattivi;
    di certo le sanzioni economiche contro la Federazione Russa sono state precipitose e, oltre a determinare gravi danni alla nostra economia, hanno aperto una pericolosa fase di guerra fredda dagli esiti imprevedibili;
    un passo positivo è stato l'accordo stipulato a Minsk, ma il raggiungimento della pace e la stabilizzazione democratica dell'area sono ancora obiettivi distanti e irrealizzati;
    in questo quadro drammatico, si constata l'impotenza dell'Europa, che non ha una politica estera unitaria e chiara, e l'incapacità del Governo del nostro Paese di incidere con efficacia;
    lontano è il ruolo di protagonisti che portò il nostro Paese a essere artefice e ospite a Pratica di Mare (maggio 2002) del momento più alto e collaborativo tra i Paesi della Nato e la Federazione Russa;
    il prossimo summit di Riga, rivolto a realizzare una maggiore cooperazione economica con l'Armenia, l'Azerbaijan, la Bielorussia, la Georgia, la Moldavia e l'Ucraina, non può dar luogo ad alcuna «sterzata» – come si legge nell'ordine del giorno del Consiglio – se con questo termine si intende un drastico cambiamento delle prospettive, rispetto ai precedenti incontri;
    la partnership con questi Paesi rimane essenziale, ma deve restare ancorata al terreno della semplice cooperazione. Non può rappresentare l'anticamera per un loro ingresso, a pieno titolo, nell'Unione europea. Né tanto meno il loro inserimento nelle strutture della Nato. L'Unione europea deve rimanere una realtà inclusiva che non è rivolta contro altri Paesi che hanno storie e tradizioni diverse. Specie se questi ultimi hanno quel ruolo strategico che la storia, oltre che la geopolitica, ha loro attribuito. Ne deriva che solo il ripristino di relazioni politiche complessive, nel segno della pace e del reciproco rispetto, può favorire processi di aggregazione più vasti, il cui significato non possa essere interpretato come forme più o meno larvate di aggressione;
    per quanto attiene l'ultimo punto – la conclusione della prima fase del semestre europeo 2015 – la base di discussione è offerta dal draft del Segretariato generale del Consiglio, quale premessa di una riflessione rivolta alla definizione dei compiti futuri;
    il documento analizzato contiene spunti d'interesse, specie per quanto riguarda l'impegno della Commissione europea a fornire con continuità dati più strutturati, in grado di dare una visione d'insieme dello stato dell'Unione e al tempo stesso individuare le eventuali criticità;
    per il resto, tuttavia, l'analisi, rivolta a far emergere i problemi veri dell'Europa, rimane fumosa. Per molti versi generica e contraddittoria. Dopo una petizione di principio - la Commissione «individua le principali priorità strategiche per l'occupazione e la crescita dell'Unione europea» – si riafferma la necessità che «le politiche strutturali, di bilancio e monetario devono contribuire a un approccio che stimoli la crescita, per affrontare efficacemente i problemi della persistente crescita lenta, dell'inflazione molto bassa, del debito elevato e dell'alto tasso di disoccupazione, agendo contemporaneamente sul lato della domanda e dell'offerta». Un astratto «dover essere» che non fornisce alcuna concreta indicazione sulla effettiva realizzazione degli obiettivi;
    del tutto inaccettabile, inoltre, è la piatta locuzione secondo la quale è necessario correggere gli squilibri, «in particolare l'elevato indebitamento pubblico e privato e gli elevati livelli del debito estero che sollevano preoccupazioni in merito alla sostenibilità». Cosa del tutto scontata. Sennonché – ecco il punto di maggior dissenso – «al tempo stesso in alcuni Stati membri permangono avanzi molto consistenti delle partite correnti, che continueranno a richiedere un esame più approfondito». Da un lato, quindi, le preoccupazioni concrete per gli assetti di finanza pubblica e privata; dall'altro un puro accenno rituale agli squilibri dell'economia reale, che sono tra le principali determinanti degli squilibri finanziari;
    appare quindi essenziale rovesciare quest'ordine di priorità. Partire cioè dall'eccesso di quegli avanzi, per misurarne l'impatto deflazionistico sull'intera economia dell'eurozona. Considerando ch'esso è determinato dalla politica economica di un solo Paese – la Germania – che, con un attivo corrente che sfiora il 7 per cento del Pil, contribuisce, per l'80 per cento, all'avanzo delle partite correnti di tutta l'Eurozona. Ricordando che risultati di questa dimensione sono contrari allo spirito e alla lettera dei Trattati;
    il problema può sembrare meno rilevante a causa della progressiva svalutazione dell'euro nei confronti delle altre monete. Ma questo è un fatto contingente: dovuto al «Quantitative easing» della Bce e all'eccesso di liquidità che si è determinato. Liquidità che non trovando possibilità d'impiego all'interno dell'Eurozona, a causa della debolezza complessiva della sua domanda interna, dà luogo a movimenti di capitale verso l'estero. Soprattutto verso gli Stati Uniti, in procinto di mutare con il rialzo dei tassi di interesse la loro politica monetaria;
    negli anni passati, la politica di austerità ha cercato di adattare le politiche monetarie e di bilancio alla debolezza dell'economia reale dell'Eurozona, resa tale dalla mancata reflazione tedesca. Si è potuta constatare l'inconcludenza di questa politica. Gli squilibri finanziari sono aumentati invece di diminuire. Il problema della sostenibilità del debito è divenuto più pressante. Un cambiamento di direzione non può avvenire soltanto facendo leva su una maggiore flessibilità finanziaria, bensì deve aumentare il tasso di crescita complessivo dell'economia dell'Eurozona. Se alla sua domanda interna è consentito uno sviluppo fino al limite fisiologico del pareggio delle partite correnti;
    se questa prospettiva non si realizza, è illusorio pensare ad un rilancio degli investimenti. Quelli pubblici, al di là dei limitati margini rappresentati dalle ipotesi di riqualificazione della spesa o della spending review, incontrano immediatamente i limiti del Fiscal compact. Quelli privati non si sviluppano a causa dell'eccesso di capacità produttiva inutilizzata per carenze nella domanda effettiva. Un «circolo vizioso» che si manifesta sotto forma di eccesso di deficit pubblico e basso tasso di sviluppo dell'economia reale;
    al tempo stesso, il permanere di questa politica determina una divaricazione profonda negli assetti di quella che non è ancora un'area monetaria ottimale, accentuando gli squilibri territoriali tra l'Europa baltica e quella mediterranea. Il ripetersi di una contraddizione ben nota agli studiosi dello sviluppo – il fenomeno della «causazione circolare cumulativa» studiato per prima da Gunnar Myrdal, premio Nobel dell'economia nel 1974 - che per molti anni contrappose Paesi sviluppati e non, prima dell'avvento dei processi di globalizzazione. E che, se non contrastato, porterà, quasi ineluttabilmente, alla crisi dell'euro. Come mostra il caso greco ed il pericolo di contagio che accompagna la crisi di quel piccolo Paese;
    il problema delle riforme non è quindi un affare che riguarda solo alcuni Paesi e affranca altri. Al contrario, al fine di ridurre l'impatto sistemico negativo, che si riverbera sull'intera Eurozona, sono soprattutto i Paesi in surplus valutario a dover sviluppare politiche di reflazione, puntando su un allargamento del loro mercato interno, liberalizzandolo dalle pratiche occulte che frenano le importazioni dagli altri partner, contenendo i processi di delocalizzazione, che si traducono in una competizione unfair con il resto dell'Eurozona;
    i Paesi sottoposti ad una crescente marginalizzazione, come avviene per tutto il fronte Sud dell'Eurozona, a loro volta devono realizzare quelle riforme promarket che siano in grado di aumentare la produttività complessiva: sia la produttività totale dei fattori, che quella più specificatamente di carattere aziendale. Il che comporta politiche salariali coerenti con i sottostanti livelli di produttività. Soprattutto un abbassamento del carico fiscale, che può essere ottenuto solo riducendo il perimetro dello Stato, la cui inefficienza complessiva comporta oneri sempre meno sostenibili. Abbattere quindi il cuneo fiscale, in modo generalizzato, senza ricorrere alla pratica dei sussidi, com’è avvenuto per il bonus degli 80 euro; ridurre la pressione fiscale sulle imprese, e sulle famiglie. A partire dal settore dell'edilizia, al fine di rimettere in moto i meccanismi dell'effetto ricchezza, che sono la garanzia più certa per una ripresa dei consumi, in una prospettiva di medio e lungo periodo;
    solo questo sforzo congiunto e coordinato – dove non c’è un «prima» ed un «dopo», ma la simultaneità dell'azione comune – può arrestare il «circolo vizioso» della progressiva divaricazione ed attivare processi di convergenza verso quell'area monetaria ottimale che è il presupposto per la sopravvivenza, nel lungo periodo, dell'euro. E che è in grado di consentire all'Europa di svolgere un ruolo positivo in un contesto internazionale sempre più caratterizzato dalla dialettica delle grandi aree economiche integrate: l'Europa, appunto; gli Stati Uniti e il continente americano; la Cina con il contorno dei Paesi del Far East; l'India e in prospettiva la stessa Africa, giunta in ritardo sulle sponde della globalizzazione;
    si ritiene, infine, inaccettabile e del tutto contrario alle norme del diritto internazionale e del rispetto dei diritti della persona umana la vicenda che ha coinvolto Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ormai più di tre anni fa, scaturita da un incidente accaduto in acque internazionali, mentre erano nell'espletamento di funzioni ad essi attribuite e normativamente disciplinate, anche sul piano del diritto internazionale;
    la partecipazione italiana alle missioni internazionali antipirateria deve essere valutata anche in relazione al concreto sostegno all'Italia ed al contributo fattivo per la positiva risoluzione del caso che daranno le Nazioni Unite, la Nato, l'Unione europea, oltre che in relazione all'evolvere stesso della vicenda giudiziaria indiana;
   tutto ciò premesso,

impegna il Governo:

   a sviluppare un'azione coerente con le premesse indicate, sia in campo energetico che nelle relazioni internazionali. Per quanto riguarda la prospettiva dell'economia del Continente, è necessario far prevalere nelle sedi europee competenti tutte le azioni indispensabili rivolte ad arrestare i processi di divaricazione in atto per rovesciarli nel loro contrario, consapevoli che l'onere maggiore dell'aggiustamento ricade soprattutto sui Paesi in surplus, dalle cui politiche economiche deve derivare il principale impulso per rimettere in moto un processo di convergenza, senza il quale la stessa Unione europea, come istituzione, rischia la sua disintegrazione economica, e quindi politica;
   sviluppare in Italia una politica economica che miri a recuperare il terreno perduto rispetto agli altri partner. In particolare, l'obiettivo programmatico, per il 2015 e gli anni successivi deve essere un tasso di sviluppo almeno pari a quello della media dell'Eurozona, che le recenti previsioni della Bce quantificano nell'1,5 per l'anno in corso e nell'1,9 per cento per il 2016, perché solo così le differenze rilevanti, in termini di crescita economica e di minor reddito individuale pro-capite, che pure esistono, non subiscono un'ulteriore divaricazione;
   per ottenere simili risultati non basta far leva sulle opportunità recate dalla finestra macroeconomica che si è aperta anche per l'Italia. Caduta del prezzo del petrolio, svalutazione dell'euro e «Quantitative easing» rappresentano uno shock simmetrico che favorisce tutti i Paesi, ma non modifica le relative gerarchie interne. È come l'alta marea che alza il livello del mare, ma non incide sulla distanza che separa le diverse imbarcazioni. Per ridurre quelle differenze occorre un di più di politica economica, che il Governo deve sviluppare, partendo da quel «minimo sindacale», per così dire, rappresentato da un tasso di sviluppo, complessivo che sia in linea con i valori medi dell'intera Eurozona;
   a definire come una priorità della propria politica estera e delle sue relazioni internazionali la rapida soluzione della vicenda dei due Fucilieri di Marina e, quindi, ad assumere, sia a livello internazionale sia presso le autorità indiane, tutte le iniziative politiche, diplomatiche e giudiziarie che si rendano necessarie per una soluzione rispettosa del diritto internazionale e dei diritti dei due Marò e del nostro Paese, con il convinto coinvolgimento dell'Onu, della Nato e dell'Unione europea, in coerenza con la competenza internazionale sulla vicenda.
(6-00119) «Brunetta, Palese».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

politica energetica

zona euro

conseguenza economica