ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00095

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 321 del 30/10/2014
Abbinamenti
Atto 6/00094 abbinato in data 30/10/2014
Atto 6/00096 abbinato in data 30/10/2014
Atto 6/00097 abbinato in data 30/10/2014
Atto 6/00098 abbinato in data 30/10/2014
Firmatari
Primo firmatario: BRUNETTA RENATO
Gruppo: FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Data firma: 30/10/2014


Stato iter:
30/10/2014
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 30/10/2014

DICHIARATO PRECLUSO IL 30/10/2014

CONCLUSO IL 30/10/2014

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00095
presentato da
BRUNETTA Renato
testo di
Giovedì 30 ottobre 2014, seduta n. 321

   La Camera,
   premesso che:
    a giustificazione dello scostamento dall'obiettivo programmatico di medio termine il Governo si appella al comma 2, lettera a) dell'articolo 6 della legge 243 del 2012: «periodi di grave recessione economica». Fatto noto da tempo, quello della recessione, e non evento improvviso, che avrebbe giustificato invece il riferimento alla successiva lettera b);
    al tempo stesso queste intenzioni erano state già annunciate agli inizi dell'anno, allorquando l'Italia aveva proposto di posticipare di un anno il perseguimento dell'obiettivo a medio termine, dal 2015 al 2016. E la risposta della Commissione non era stata certo positiva. Visto che insieme alla sola Croazia ed alla Slovenia, il nostro Paese era stato inserito nella lista dei Paesi sottoposti a «vigilanza speciale»;
    nonostante questi ripetuti avvenimenti, quel traguardo è stato addirittura rinviato di un altro anno. Ottenendo come risposta la lettera che il Vice presidente della Commissione europea, Jyrky Katainen ha inviato, in data 22 ottobre, al Ministro dell'economia;
    nelle more della conclusione di questa complessa vicenda, il Parlamento italiano era chiamato a votare, congiuntamente, il 14 ottobre scorso, sia la risoluzione che approvava la Nota di aggiornamento al DEF sia il piano di rientro. Confondendo i due diversi piani;
    nella logica della legge precedentemente richiamata, infatti, la Nota di aggiornamento al DEF doveva assicurare «almeno il conseguimento dell'obiettivo di medio termine ovvero il rispetto del percorso di avvicinamento a tale obiettivo» (articolo 3, comma 3). Mentre l'impossibilità di perseguire un simile obiettivo doveva dar luogo alla redazione di uno specifico «piano di rientro» da sottoporre a votazione con maggioranza assoluta;
    il Parlamento si sarebbe così trovato di fronte ad una duplice opzione e due distinte manovre: la prima tesa semplicemente al rispetto dei vincoli imposti dalla disciplina europea; la seconda postulante un diverso intervento da far decorrere dall'esercizio successivo;
    nessuna di queste regole è stata rispettata. La Nota al DEF incorporava già un «piano di rientro», con una manovra espansiva che era cifrata in circa 25 miliardi. Subito dopo la sua presentazione, il Governo ipotizzava una manovra ben più ampia – circa 36 miliardi – che diveniva il presupposto per la redazione della successiva Legge di stabilità;
    veniva pertanto reciso il nesso che, fin dal 1978, lega l'analisi preventiva della situazione economica e finanziaria ai risultati che si intende perseguire con la successiva Legge di stabilità. Va da sé che questa discrasia impedisce al Parlamento di poter valutare la congruenza del successivo intervento legislativo con gli obiettivi che sono posti a fondamento della Nota al DEF;
    siamo pertanto in presenza di una manovra al «buio» sulla quale si sono appuntati – una forte aggravante – gli strali della Commissione europea. Alla quale il Ministro dell'economia ha risposto, proponendo un'ulteriore modifica del precedente impianto legislativo, con scelte discutibili rappresentate da un dimezzamento dei fondi per la coesione, a danno di un Mezzogiorno già stremato, ed un ulteriore appesantimento di clausole di salvaguardia, che lasciano presuppone la grande labilità delle coperture finanziarie ipotizzate;
    alla luce di quanto esposto, si rischia di creare un pericoloso precedente destinato a render ancor più caotica la legislazione in tema di bilancio. In una fase in cui una situazione internazionale quanto mai incerta rischia di fare del nostro Paese una vittima sacrificale;
    sarebbe stato pertanto necessario ristabilire il rispetto dei precetti legislativi e regolamentari. Procedere, in altri termini, ad un grande reset. Fornire al Parlamento i necessari elementi di giudizio, in base ai quali poter valutare il rischio implicito nelle diverse opzioni, prima di giungere alla discussione sulla Legge di stabilità;
    un iter rispettoso delle prassi e delle relative disposizioni di legge era l'unica soluzione possibile al caos che potrebbe derivare da un loro uso disinvolto;
    il piano di rientro, che deve contenere sia le indicazioni programmatiche di contenimento del deficit, nominale e strutturale, sia le indispensabili coperture finanziarie, deve essere esteso all'intero triennio, e non solo al 2015, come ha fatto il governo;
    se si considera anche il trascinamento sul 2016, infatti, emerge che, a seguito delle correzioni intervenute in termini di deficit strutturale sul 2015 (da -0,9 per cento a -0,6 per cento), tra il 2015 e il 2016 è prevista una riduzione inferiore rispetto allo 0,5 per cento richiesto dai Trattati;
    il deficit strutturale, infatti, nel 2016 non passa più da -0,9 per cento a -0,4 per cento, come previsto dal vecchio Def, ma da -0,6 per cento (vale a dire il deficit strutturale del 2015 rivisto dopo le misure correttive richieste dall'Ue) a -0,4 per cento (nel 2016): una correzione pari a soli due punti decimali invece che ai 5 necessari. Questo non potrà che sollevare ulteriori obiezioni da parte della Commissione;
    attualmente la previsione del governo è quella di un aumento della pressione fiscale di 3,3 miliardi (per il solo 2015) mentre altri 700 milioni (strutturali) verranno da nuove misure di lotta all'evasione dell'Iva. Misure talmente poco credibili da richiedere, sotto forma di clausola di salvaguardia, un corrispondente aumento strutturale delle accise;
    inoltre, con le correzioni introdotte dal governo si riduce da 1 miliardo a 500 milioni (per il solo 2015) l'utilizzo dei Fondi strutturali europei destinati alle regioni del Sud, proprio nel momento in cui il rapporto Svimez parla di rischio di desertificazione;
    la diversità temporale delle 3 misure, limitate a un anno la prima e la terza, permanente la seconda, la dice lunga sulla labilità del piano di rientro del governo;
    il governo, temendo l'esito del voto, oggi fugge, nascondendosi dietro al miglioramento dei saldi. Ma non basta dire che si riduce il deficit, strutturale e nominale: il Parlamento deve potersi esprimere sugli strumenti attraverso i quali si intende perseguire questo obiettivo;
    cosa che, impedendo il voto a maggioranza assoluta, l'esecutivo non ci consente di fare, incurante delle prerogative del Parlamento e del dettato della norma di rango costituzionale che prevede tale votazione. Un vulnus istituzionale gravissimo, un pessimo segnale all'Europa e ai mercati, che ci guardano,

impegna il Governo

ad operare in coerenza con le premesse indicate, quale precondizione per sviluppare un più intenso dialogo intereuropeo, al fine di dare a quel semestre di presidenza italiano – fin troppo scialbo – l'occasione di un rilancio. Dobbiamo sgomberare il campo dall'ipotesi che l'accento riposto sulla necessità dello sviluppo sia un alibi per continuare nelle vecchie abitudini di sempre. L'impegno proposto mira, appunto, a rafforzare la posizione negoziale dell'Italia e a costringere anche gli altri – soprattutto la Germania – a fare la propria parte.
(6-00095) «Brunetta».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

situazione economica

evasione fiscale

presidente della Commissione