ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00090

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 315 del 22/10/2014
Abbinamenti
Atto 6/00088 abbinato in data 22/10/2014
Atto 6/00089 abbinato in data 22/10/2014
Atto 6/00091 abbinato in data 22/10/2014
Atto 6/00092 abbinato in data 22/10/2014
Atto 6/00093 abbinato in data 22/10/2014
Firmatari
Primo firmatario: BRUNETTA RENATO
Gruppo: FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Data firma: 22/10/2014
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
PALESE ROCCO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 22/10/2014
BERGAMINI DEBORAH FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 22/10/2014


Stato iter:
22/10/2014
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 22/10/2014
Resoconto GOZI SANDRO SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 22/10/2014
Resoconto DI LELLO MARCO MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto TABACCI BRUNO MISTO-CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto ALFREIDER DANIEL MISTO-MINORANZE LINGUISTICHE
Resoconto DI SALVO TITTI MISTO-LIBERTA' E DIRITTI - SOCIALISTI EUROPEI (LED)
Resoconto LA RUSSA IGNAZIO FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Resoconto DELLAI LORENZO PER L'ITALIA
Resoconto FEDRIGA MASSIMILIANO LEGA NORD E AUTONOMIE
Resoconto SCOTTO ARTURO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Resoconto GALGANO ADRIANA SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Resoconto TANCREDI PAOLO NUOVO CENTRODESTRA
Resoconto PALESE ROCCO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto L'ABBATE GIUSEPPE MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto NICOLETTI MICHELE PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto ZOLEZZI ALBERTO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto BUENO RENATA MISTO-MAIE-MOVIMENTO ASSOCIATIVO ITALIANI ALL'ESTERO - ALLEANZA PER L'ITALIA (API)
Resoconto DE ROSA MASSIMO FELICE MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto BORDO FRANCO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 22/10/2014

NON ACCOLTO IL 22/10/2014

PARERE GOVERNO IL 22/10/2014

DISCUSSIONE IL 22/10/2014

RESPINTO IL 22/10/2014

CONCLUSO IL 22/10/2014

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00090
presentato da
BRUNETTA Renato
testo di
Mercoledì 22 ottobre 2014, seduta n. 315

   La Camera,
   udite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo del 23-24 ottobre,
   premesso che:
    obiettivo del prossimo Consiglio europeo è quello di giungere ad un accordo in merito agli obiettivi della politica climatica ed energetica dell'Unione europea per il 2030. Tale politica si concentrerà sugli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, sullo stato del sistema di scambio di quote di emissione, sull'efficienza energetica, sulle fonti energetiche rinnovabili e sulla sicurezza energetica;
    il Consiglio europeo ha già avviato la discussione sulla strategia europea di sicurezza energetica, presentata dalla Commissione e strettamente connessa al quadro per le politiche dell'energia e del clima per il 2030. In particolare, il dibattito si è incentrato sulla necessità di ridurre la dipendenza energetica dell'Unione europea adottando specifiche misure in materia di: rafforzamento dei meccanismi di emergenza e solidarietà esistenti; pieno rispetto delle norme dell'Unione europea in materia di concorrenza e mercato interno con riferimento agli investimenti nelle infrastrutture energetiche anche di Paesi terzi; avvio di un dialogo con i partner internazionali per ridurre il rischio di interruzione nella fornitura di gas naturale; rafforzamento della Comunità dell'energia;
    il Consiglio europeo ha inoltre già discusso sulla opportunità di realizzare una maggiore integrazione del mercato europeo dell'energia e il potenziamento dell'interconnettività;
    ora il Consiglio è chiamato a prendere una decisione in merito al quadro clima ed energia al 2030, in particolare sui criteri per una ripartizione equa degli oneri tra gli Stati membri, sul meccanismo di lotta alla delocalizzazione delle emissioni (carbon leakage) e sull'impatto delle misure proposte (una riduzione vincolante di almeno il 40 per cento delle emissioni di CO2 nel 2030 e l'obiettivo europeo del 27 per cento di rinnovabili) in ogni Stato membro;
    i leader del Consiglio europeo che si riunirà il 23-24 ottobre discuteranno inoltre in merito allo stato dell'economia europea sulla base di una presentazione della Commissione europea e dei lavori preliminari completati in sede di Consiglio «Affari generali». Si prevede che siano discusse anche questioni di rilevanza internazionale quali la crisi dell'Ebola, la situazione in Ucraina e nel Medio Oriente;
sul punto, va rilevato che la situazione internazionale rischia di volgere al peggio, tanto dal punto di vista economico-finanziario, quanto dal punto di vista politico;
    sul piano politico, l'intera Europa è assediata – sia sul fronte sud che ad oriente – da conflitti militari ed economici che ne minano la sicurezza e la espongono alle possibili scorrerie del terrorismo internazionale. Le fratture all'interno dell'Occidente impediscono a quest'ultimo di esercitare quella funzione che, negli anni precedenti, gli ha consentito di governare i conflitti locali e di garantire, pur con contraddizioni e difficoltà, un lungo periodo di pace;
    decisive saranno, in proposito, le elezioni americane di mid-term, per la stabilità politica di quel Paese, visti i possibili cambiamenti negli equilibri politici complessivi;
    la Russia sta vivendo un periodo travagliato. Le vicende ucraine hanno alimentato diffidenze che sembravano appartenere ad un lontano passato. L'improvvisa caduta del prezzo del petrolio ne mina l'economia, sottraendole i mezzi finanziari che, in questi anni, hanno consentito di accelerare il processo di modernizzazione economica e finanziaria, dopo il crollo dell’ancien régime. Processo che è il viatico essenziale per un completo ritorno alla democrazia;
    un'Europa politicamente divisa ed incerta non riesce a coprire quel vuoto che gli avvenimenti appena richiamati rischiano di allargare;
    tutto ciò determina una crisi di leadership di cui sarebbe sbagliato non cogliere i possibili pericoli;
    per quanto riguarda gli aspetti economici e finanziari si assiste, da un lato ad un rallentamento del ritmo di crescita dell'economia reale, dall'altro ad una forte volatilità dei mercati finanziari, con pesanti ricadute sia nel comparto borsistico che in quello obbligazionario, con notevoli ripercussioni sulla dinamica degli spread, specie nei confronti dei Paesi più esposti, e la ripresa di movimenti di capitali flight to quality, soprattutto a vantaggio dei bund tedeschi e dei 10-year Treasury bond americani;
    lo stesso Fondo Monetario Internazionale è stato costretto a rivedere a ribasso le sue precedenti stime sul tasso di crescita complessivo dell'economia mondiale, ritoccandolo dalla previsione originale del 3,7 per cento al 3,4 per cento;
    secondo la valutazione dei principali osservatori internazionali, al centro delle preoccupazioni dei mercati sono soprattutto la forte caduta che si è registrata nel prezzo del petrolio e delle altre materie prime; lo spettro della recessione e della deflazione in Europa; ed un fattore, ugualmente importante ma sottovalutato, quale la crescita del debito complessivo della Cina (debito pubblico e privato), che ha raggiunto il 250 per cento del Pil ed è, ormai, pari alla sua intera ricchezza nazionale;
    in quest'ultimo anno il prezzo del petrolio è sceso dai 115 dollari al barile ad 85, con un calo di quasi il 30 per cento, raggiungendo un valore pari a quello di quattro anni fa, malgrado non vi sia stato alcun aumento della produzione, a dimostrazione del fatto che quella caduta è dovuta essenzialmente a carenza di domanda, a sua volta riflesso dei mancati investimenti. Com’è ulteriormente dimostrato dal calo della produzione elettrica per usi industriali;
    fenomeni analoghi, anche se più contenuti, si registrano in tutti i comparti delle commodities. Il prezzo dei prodotti agricoli, negli ultimi 6 mesi, è sceso in media del 15,5 per cento. Quello delle materie prime industriali del 3,4 per cento. Ne sono derivate forti difficoltà per le bilance commerciali dei Paesi produttori, costretti a ridurre la domanda di importazioni, comprimendo gli spazi di mercato delle economie più avanzate;
    ne è derivato un forte aumento degli squilibri intersettoriali. Se l'economia americana mantiene un tasso di sviluppo più elevato, anche se non privo di interrogativi – l'occupazione cresce meno del previsto – la quasi raggiunta autosufficienza nel settore energetico ne riduce la dipendenza dall'estero e si traduce in un più forte contenimento delle importazioni, determinando impulsi meno espansivi sulla restante parte dell'economia mondiale. In un solo anno l'output derivante dallo sfruttamento dello shale-oil è cresciuto del 13 per cento. Il 56 per cento in più rispetto ai livelli del 2011. Il suo break-even point è ormai inferiore ai 70 dollari al barile. Una rivoluzione silenziosa si sta compiendo, sotto i nostri occhi, senza che se ne abbia piena contezza;
    in Giappone si assiste ad un primo rallentamento della crescita (7,1 nel secondo trimestre dell'anno) determinato dall'aumento, seppur modesto, delle tasse sui consumi (dal 5 per cento all'8 per cento) che ha portato, tuttavia, ad una forte contrazione della domanda interna (circa -2 per cento). Ciò che più hanno preoccupato sono state le motivazioni addotte: l'esigenza prioritaria di porre freno alla crescita di un debito pubblico, che ha ormai raggiunto il 240 per cento del Pil. Nonostante si tratti di un debito quasi interamente domestico, compensato dai forti attivi della sua bilancia dei pagamenti;
    della Cina non preoccupa tanto la solvibilità del suo debito pubblico, quanto il suo sommarsi al debito privato. Insieme, come già detto, raggiunge il 250 per cento del Pil. Con una crescita pari al 150 per cento negli ultimi sei anni. Ed un tasso di incremento annuo simile a quello che precedette la crisi di molte banche asiatiche nel 1997 e quella più recente delle banche americane;
    in Europa il rallentamento complessivo zona dell'euro è un fatto ormai certo. Gli ultimi dati inerenti la produzione industriale mostrano una forte caduta nel mese di agosto (-1,4 per cento sul corrispondente periodo dell'anno precedente). Una vera e propria svolta rispetto ai mesi precedenti. Nei confronti delle altre grandi aree del Pianeta essa è ormai considerata come l'epicentro della deflazione;
    in difficoltà Francia ed Italia, per non parlare della Grecia, ormai stremata dal punto di vista sociale e forse pronta per un cambio di leadership a favore dei movimenti antieuropei. Ma la stessa Germania è stata costretta a rivedere le sue previsioni di crescita per l'anno in corso e per quelli successivi: dall'1,8 per cento all'1,2 per cento e dal 2 per cento all'1,3 per cento per il 2015;
    in compenso – dato paradossale – cresce l'attivo della bilancia commerciale dell'Eurozona: 9.200 miliardi di surplus nell'agosto 2014, contro i 7.300 del corrispondente mese dell'anno precedente. Frutto della compressione della domanda interna e di un eccesso di mercantilismo, dovuto principalmente alla Germania, che vi contribuisce per oltre l'80 per cento;
    all'origine di queste contraddizioni, che fanno girare l'Eurozona al di sotto del suo potenziale produttivo e producono l'artificioso rialzo del valore dell'euro nei confronti del dollaro e dello yen, sono le politiche perseguite nel segno dell'austerity e degli squilibri regionali, contro i quali la stessa politica monetaria, voluta da Mario Draghi, si dimostra essere poco efficace;
    non vi può essere una politica monetaria espansiva ed una politica di bilancio restrittiva. Quest'asimmetria determina un corto circuito che accentua il «circolo vizioso» che divide, da tempo, l'Europa e si risolve in un ulteriore elemento di squilibrio. Favorisce i Paesi finanziariamente più forti, riducendo ulteriormente i loro tassi di interesse per il finanziamento degli investimenti. Gli interessi sui bund tedeschi hanno toccato il loro record più basso: 0,72 per cento in ottobre e tassi reali negativi a lungo termine. Penalizza quelli più deboli costretti a pagare un maggior premio per il rischio, in un gioco a somma negativa per l'intera area monetaria. La carenza di domanda effettiva complessiva impedisce, infatti, anche alle industrie dei Paesi più forti di avere un mercato adeguato alle potenzialità della rispettiva offerta;
    sono questi squilibri intersettoriali, caratteristici di una «area monetaria non ottimale», unite alle incertezze del quadro internazionale che accentuano la deflazione e rischiano di mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza dell'euro;
    nei mesi precedenti la Banca centrale europea aveva margini maggiori per intervenire, ma ora il semplice rifinanziamento della provvista bancaria, pur a tassi reali molto contenuti, non è più sufficiente. La deflazione ha ristretto enormemente il mercato. Di conseguenza le imprese non sono in grado, per mancanza di domanda, di programmare i loro investimenti, se non nell'ottica di una fortissima razionalizzazione delle loro produzioni, e pertanto non ricorrono al credito bancario. Le banche, a loro volta, utilizzano solo parzialmente le linee di credito messe a loro disposizione per la carenza di una domanda solvibile da parte delle imprese;
    su ogni altro elemento domina inoltre l'incertezza dei risultati degli stress-test che spinge gli Istituti di credito ad un atteggiamento ancor più conservativo, che li porta a valutare con una severità, a volte anche eccessiva, le richieste di finanziamento che provengono dal mercato. Tutto ciò ha generato quella «tempesta perfetta» che ha gelato ogni attesa di sviluppo;
    a ciò si aggiunga che il 17 settembre la Federal Reserve americana ha ridotto ulteriormente la sua iniezione mensile di liquidità sui mercati, annunciando, tra l'altro, che gli acquisti di ottobre, pari 15 miliardi di dollari, potrebbero essere gli ultimi. Con meno soldi in circolazione le scelte di portafoglio dei gestori diventeranno più selettive e i primi titoli che saranno smobilizzati saranno quelli dei Paesi europei considerati più deboli. La prossima riunione del comitato operativo della Fed è in agenda per il 29 ottobre. Solo allora sapremo se la linea della presidente Janet Yellen verrà confermata, o se prevarranno le istanze del presidente della Federal Reserve di Saint Louis, James Bullard, che, invece, preme per il prolungamento del Quantitative easing. Un'ulteriore data da segnare sul calendario è quella del 17 dicembre: dall'ultima riunione dell'anno della Fed, che si terrà quel giorno, infatti, emergerà anche l'orientamento della banca centrale americana sui tempi per un eventuale aumento dei tassi di interesse negli Usa. Secondo fattore, insieme alla fine del Quantitative easing, di possibile destabilizzazione dei mercati internazionali;
    per risalire la china è indispensabile, come insegna la teoria dei giochi, un atteggiamento cooperativo da parte di tutti i player europei che devono sviluppare linee di politica economica che siano coerenti con le diverse posizioni di partenza;
    i Paesi più deboli dell'Euromed devono dare priorità assoluta alle riforme che aumentano la loro produttività sia a livello aziendale che quella «totale dei fattori» e solo dopo e non prima pensare a misure di carattere espansivo, basate sul rilancio dei semplici consumi interni. Rovesciare quest'ordine di priorità comporta inevitabilmente situazioni di moral hazard. Costringe Paesi troppo deboli nei loro fondamentali ad esercitare una velleitaria funzione di «piccole locomotive», accrescendo la loro dipendenza dall'estero, con conseguente deficit della loro bilancia commerciale e obbligo di rifinanziamento sui mercati internazionali destinato a far lievitare ulteriormente il loro ingente debito pubblico;
    i Paesi più forti, concentrati soprattutto nella zona baltica dell'Europa, devono reflazionare le loro economie, utilizzando pienamente i margini finanziari a loro disposizione. Una stima conservativa per la sola Germania dimostra che la spesa per infrastrutture può aumentare, nel 2015 di circa lo 0,7 per cento del Pil e dello 0,5 per cento nel 2016, senza alcuna violazione delle leggi di bilancio. Su questi temi, com’è noto, insistono da tempo sia le Istituzioni internazionali sia il Dipartimento di Stato americano;
    al tempo stesso è necessario prevedere interventi di carattere comunitario in tema di investimenti – le proposte di Juncker – e riprendere le proposte sugli euro-bond con l'obiettivo di trasformare almeno una parte dei debiti sovrani in obbligazioni europee, visto le aporie interne alla politica monetaria, che non riesce a conseguire gli obiettivi previsti dal suo statuto. In particolare un’inflation targeting del 2 per cento. Per la stessa ragione è necessario sostenere le proposte non convenzionali che il Presidente della Bce riterrà opportuno proporre, aiutandolo a vincere le resistenze più conservative di alcuni Paesi;
    per quanto riguarda invece la situazione internazionale legata al tema delle migrazioni, è chiaro come una politica migratoria europea lungimirante e globale, fondata sulla solidarietà, rappresenti un obiettivo fondamentale per l'Unione europea. Da tempo si invoca un intervento coordinato a livello europeo, per definire una politica migratoria in grado di offrire un approccio equilibrato per affrontare sia l'immigrazione regolare, sia quella clandestina, e per migliorare i controlli alle frontiere;
    purtroppo su questo tema l'Europa non ha saputo ancora offrire una risposta soddisfacente, e il Semestre di presidenza italiana non ha affrontato la questione con la giusta determinazione;
    sarebbe stata infatti necessaria un'importante e decisiva azione ad iniziativa italiana sul tema, proprio perché, secondo l'esperienza che in primis il nostro Paese continua a vivere, appare non più procrastinabile da parte dell'Unione europea un cambio di strategia nel rispondere ai nuovi flussi migratori e ai fenomeni in atto, che chiamano in causa la capacità di intervento e di mobilitare risorse da parte di tutta l'Unione europea, e non solo dei territori più esposti come Lampedusa o Malta;
    il Governo non ha infatti sostenuto con forza in Europa alcune misure necessarie non solo per migliorare le operazioni portate avanti dal nostro Paese, ma anche per garantire a pieno i diritti dei migranti, in particolare dei richiedenti asilo e protezione internazionale provenienti da Paesi caratterizzati da conflitti o da situazioni di violenza generalizzata;
    lo stesso Ministro degli interni ha da tempo affermato che Mare nostrum (che si è comunque rivelata totalmente inadeguata nel contrasto al flusso di immigrazione clandestina) è insufficiente a fronteggiare il carattere strutturale assunto dalle correnti migratorie, proprio perché queste alimentano un flusso che è connesso a mutamenti di portata storica che hanno interessato il continente africano e altri Paesi di origine dei flussi;
    c’è infatti un elemento che mette in evidenza il carattere delle nuove correnti migratorie verso il continente europeo: gli ultimi dati elaborati dall'Ufficio europeo di sostegno all'asilo (EASO, ottobre 2014), riguardanti i richiedenti asilo nel territorio dell’«UE+» (cioè nei 28 Paesi dell'Unione più Svizzera e Norvegia) registrano, nei primi 8 mesi dell'anno, un aumento del 28 per cento delle domande asilo presentate nell'Unione europea rispetto allo stesso periodo del 2013, anno nel quale c’è stato comunque un aumento complessivo di istanze del 30 per cento rispetto al 2012;
    solo ad agosto 2014, i richiedenti asilo siriani (circa 12.800) sono aumentati del 6 per cento rispetto a luglio, quelli eritrei (6.350) del 21 per cento, mentre quelli ucraini (1.700 persone) del 32 per cento, con l'aumento percentualmente più elevato, i richiedenti fuggiti da questo Paese in Polonia avendo per la prima volta dall'inizio della crisi in Ucraina superato quelli in Italia;
    secondo il rapporto annuale Global Trends pubblicato dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), si assiste per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale ad un enorme aumento di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni, che in tutto il mondo sono circa 51 milioni di persone. E solo nel 2013 sono aumentati di sei milioni, passando dai 45,2 milioni del 2012 ai 51,2 milioni del 2013; sempre secondo lo stesso UNHCR, questo rapido e significativo aumento è stato causato in larga misura dalla guerra civile in Siria, un disastro umanitario che da solo ha prodotto 6,5 milioni di sfollati interni e 2,5 milioni di rifugiati all'estero, e in secondo luogo dagli esodi forzati avvenuti nella Repubblica Centrafricana e in Sud Sudan;
    il Regolamento Dublino III – che sostituisce il cosiddetto Regolamento Dublino II (Regolamento 343 del 2003), che a sua volta innovava la Convenzione di Dublino del 1990 – contiene i criteri e i meccanismi per individuare lo Stato membro che è competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o apolide;
    all'interno del sistema europeo comune di asilo, il Regolamento Dublino III è stato ampiamente discusso e criticato, non solo dal punto di vista delle conseguenze negative sulla vita dei richiedenti asilo, ma anche per la scarsa efficienza del sistema (COM 2008/820, 3 dicembre 2008); sono state evidenziate una serie di carenze per lo più connesse con il livello di protezione garantito ai richiedenti protezione internazionale soggetti alla procedura Dublino, e con l'efficienza del sistema istituito dall'attuale quadro normativo, dal momento che appena il 25 per cento circa delle richieste di trasferimento in un altro Stato è stato poi seguito da un trasferimento effettivo;
    il principio generale alla base del Regolamento Dublino III è lo stesso della vecchia Convenzione di Dublino del 1990 e di Dublino II: ogni domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro e la competenza per l'esame di una domanda di protezione internazionale ricade in primis sullo Stato che ha svolto il maggior ruolo in relazione all'ingresso e al soggiorno del richiedente nel territorio degli Stati membri, salvo eccezioni (COM 2008/820, 3 dicembre 2008): la competenza è individuata attraverso i criteri «obiettivi» del Regolamento, che lasciano uno spazio ridottissimo alle preferenze dei singoli, e, quindi, molti dubbi in merito alla tutela dei diritti umani dei richiedenti asilo, laddove l'esercizio di un loro diritto fondamentale – quello a fare domanda di protezione internazionale – è subordinato ad un regolamento, che, in questo caso, non terrebbe pienamente conto di un principio generale universalmente garantito e sovraordinato nella gerarchia delle fonti del diritto, quale quello del rispetto dei diritti umani;
    è stato di recente annunciato l'avvio dell'operazione di Frontex chiamata «Triton», che avrà inizio a novembre con un budget iniziale di 2,9 milioni di euro al mese (a fronte dei 9 milioni mensili spesi per Mare Nostrum);
    non è credibile la progressiva sostituzione di Mare Nostrum da parte di Triton, ma è evidente invece, come sostenuto da Frontex, che questa svolgerà piuttosto un intervento di supporto all'operazione italiana, in quanto dispone di un numero più esiguo di mezzi navali rispetto alla nostra Marina militare e la sua «autonomia» si ferma a trenta miglia dalle coste italiane; non potranno quindi essere garantite le operazioni di salvataggio come fino ad ora gestite da Mare Nostrum, considerando inoltre che il personale della Marina militare italiana opera anche screening sanitari a bordo, che rappresentano un valido deterrente contro la diffusione delle epidemie (ebola e Tbc); nel frattempo il Governo, nonostante ripetuti annunci in merito alla dismissione dell'operazione Mare Nostrum, ne ha disposto il rifinanziamento attraverso il decreto-legge n. 119 del 2014 (cosiddetto decreto «violenza stadi»);
    il semestre di presidenza italiana ha prodotto quindi solo Triton, ovvero un'operazione «di facciata», e una risposta «tiepida» da parte dei principali partner europei coinvolti nei nuovi flussi di migranti. Le frontiere italiane sono le frontiere dell'Unione europea, ma evidentemente non abbiamo ancora avuto la forza di far passare questo fondamentale concetto nelle sedi opportune;
    in vista del prossimo Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2014, è opportuno che il nostro Paese metta in evidenza l'urgenza di definire una politica condivisa in materia di immigrazione e diritto d'asilo;
    vi è la ferma convinzione che si debba separare il problema dell'asilo da quello dell'immigrazione economica, per evitare che il sistema costruito dagli Stati membri per proteggere chi chiede asilo crolli sotto la pressione, comprensibile, di persone in cerca di accettabili livelli di benessere ma non bisognose, in senso stretto, di protezione;
    alla luce del «Sistema Dublino», per il quale, come già ricordato, risulta competente lo Stato membro attraverso il quale il richiedente ha fatto ingresso nel territorio dell'Unione europea, si pone con forza l'esigenza di equilibrare gli sforzi da parte di tutti i Paesi membri proprio nell'accoglienza dei profughi, cioè di coloro che fuggono da situazioni di violenza, auspicando, in tal senso, una revisione dei criteri per la determinazione dello Stato competente per l'esame della domanda di asilo, che non necessariamente coincide con quello nel cui territorio la domanda è stata presentata;
    ogni tentativo di riforma dovrebbe poi essere accompagnato da una periodica determinazione della percentuale di profughi che ciascuno Stato membro sarebbe tenuto ad accogliere in base alla propria situazione economica e da meccanismi di compensazione (burden sharing) per quegli Stati membri che si trovino ad accogliere una percentuale di profughi superiore a quella loro spettante;
    la normativa europea già prevede, con la direttiva 2001/55/CE, che il Consiglio dell'Unione possa concedere protezione temporanea a determinati gruppi di persone, con distribuzione dei profughi tra i vari Stati membri in base alla disponibilità accordata da ciascuno Stato;
    l'istituzione di un regime di questo tipo potrebbe essere accompagnata (anche in base alle disposizioni della direttiva stessa) dalla creazione di corridoi umanitari, ossia da misure di evacuazione dei destinatari della protezione, senza che essi debbano affidarsi a trafficanti e scafisti per raggiungere il territorio dell'Unione europea,

impegna il Governo:

   ad esercitare un'intensa opera diplomatica affinché ci si confronti con il reale stato dell'economia internazionale ed i pericoli impliciti nella sua evoluzione, già così evidenti nell'accresciuta volatilità dei mercati, che rischia di determinare il ripetersi di crisi, anche acute, come quelle conosciute negli anni precedenti;
   a porre particolare attenzione sulle tendenze dei nuovi sviluppi tecnologici. Il calo intervenuto nei prezzi del petrolio segna il possibile passaggio da una situazione di relativa scarsità – com'era quella degli anni passati – ad una situazione di relativa abbondanza, determinata dalle nuove tecniche di estrazione dallo shale-oil, il cui break-even point – come detto in premessa – è ormai inferiore ai 70 dollari al barile. Le potenzialità implicite in questo cambiamento di scenario rischiano di essere vanificate dall'esistenza di atteggiamenti conservativi e dal mancato coordinamento delle politiche economiche tra i diversi partner con la conseguenza di determinare artificiose situazioni di scarsità e quindi di malessere sociale nella potenziale abbondanza;
   a far sì che l'Europa in particolare prenda atto che il ciclo, che si era aperto nel lontano 1989 con il piano Delors, si è ormai concluso. Occorre pertanto ripensare strategicamente al futuro destino del Continente. Puntare sulle forze spontanee del mercato è condizione necessaria, ma non sufficiente. La politica deve fare la sua parte, facendo appello agli elementi costitutivi che rappresentano la ragione stessa della sua esistenza. Senza questo rinnovato slancio la stessa sopravvivenza dell'euro rischia di essere messa in forse, dalla reazione dei mercati e da un crescente disamore di vasti strati della pubblica opinione che comprendono sempre con maggior fatica perché si debba ancora «morire per Danzica»;
   a procedere in tempi rapidi all'aggiornamento della strategia energetica nazionale, favorendo un sistema energetico distribuito, fondato sul risparmio energetico, sull'efficienza e sulle fonti rinnovabili;
   a mettere in atto ogni iniziativa utile a realizzare, in tempi ravvicinati, gli obiettivi di efficienza energetica indicati a livello europeo;
   a procedere, nell'ambito delle proprie competenze, alle opportune iniziative normative in materia ambientale e sanitaria, relativamente alle attività di monitoraggio e controllo con particolare riferimento agli impianti industriali altamente inquinanti;
   ad adoperarsi affinché il Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2014 preveda l'applicazione di quanto stabilito in caso di «afflusso massiccio di sfollati nell'Unione europea», con le modalità di concessione della protezione temporanea, secondo quanto previsto dalla direttiva 2001/55/CE, definendo quote di accoglienza per ciascuno Stato membro, anche al fine di garantire ai richiedenti asilo e protezione internazionale il diritto costituzionalmente garantito della libertà di circolazione;
   ad assumere iniziative a livello europeo per una rapida revisione del regolamento «Dublino III» affinché si preveda la compartecipazione di tutti gli Stati membri nelle attività di accoglienza e di identificazione dei migranti superando l'attuale principio del «Paese di primo arrivo», anche al fine di garantire il diritto fondamentale dei richiedenti asilo di presentare domanda di protezione alle autorità del loro Paese di elezione;
   a promuovere un sistema che regoli la concessione del diritto di asilo secondo standard e procedure comuni, assicurando anche un sistema di mutuo riconoscimento tra gli Stati membri della concessione del diritto di asilo, tale da garantire la libertà di stabilimento del beneficiario in ogni Stato membro, prodromico all'istituzione del sistema europeo di accoglienza;
   a provvedere all'interruzione dell'operazione Mare nostrum e ad adoperarsi per il potenziamento dell'operazione Triton, garantendo in particolare adeguati controlli sanitari direttamente a bordo delle navi, nonché misure di controllo sanitario più stringenti nei confronti dei migranti e dei richiedenti asilo provenienti dai Paesi attualmente focolaio del virus ebola, quali Liberia, Sierra Leone e Nuova Guinea.
(6-00090) «Brunetta, Palese, Bergamini».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

asilo politico

diritto d'asilo

paese membro