ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00058

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 193 del 19/03/2014
Abbinamenti
Atto 6/00056 abbinato in data 19/03/2014
Atto 6/00057 abbinato in data 19/03/2014
Atto 6/00059 abbinato in data 19/03/2014
Atto 6/00060 abbinato in data 19/03/2014
Firmatari
Primo firmatario: RICCIATTI LARA
Gruppo: SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Data firma: 19/03/2014
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
PANNARALE ANNALISA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 19/03/2014
SCOTTO ARTURO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 19/03/2014
LACQUANITI LUIGI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 19/03/2014
MARCON GIULIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 19/03/2014
MELILLA GIANNI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 19/03/2014
DI SALVO TITTI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 19/03/2014
MIGLIORE GENNARO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 19/03/2014


Stato iter:
19/03/2014
Partecipanti allo svolgimento/discussione
COMUNICAZIONE GOVERNO 19/03/2014
Resoconto RENZI MATTEO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 19/03/2014
Resoconto GARAVINI LAURA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto PALESE ROCCO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto TANCREDI PAOLO NUOVO CENTRODESTRA
Resoconto GALGANO ADRIANA SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Resoconto SCOTTO ARTURO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Resoconto SCHIRO' GEA PER L'ITALIA
Resoconto DI SALVO TITTI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Resoconto GUIDESI GUIDO LEGA NORD E AUTONOMIE
Resoconto CARINELLI PAOLA MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto OLIVERIO NICODEMO NAZZARENO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto FORMISANO ANIELLO MISTO-CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto TAGLIALATELA MARCELLO FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Resoconto CAUSI MARCO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto LOCATELLI PIA ELDA MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto OTTOBRE MAURO MISTO-MINORANZE LINGUISTICHE
 
INTERVENTO GOVERNO 19/03/2014
Resoconto RENZI MATTEO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 19/03/2014
Resoconto LOCATELLI PIA ELDA MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto ALFREIDER DANIEL MISTO-MINORANZE LINGUISTICHE
Resoconto TABACCI BRUNO MISTO-CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto CORSARO MASSIMO ENRICO FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Resoconto BUTTIGLIONE ROCCO PER L'ITALIA
Resoconto PINI GIANLUCA LEGA NORD E AUTONOMIE
Resoconto ROMANO ANDREA SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Resoconto CICCHITTO FABRIZIO NUOVO CENTRODESTRA
Resoconto MIGLIORE GENNARO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Resoconto BRUNETTA RENATO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto PISANO GIROLAMO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto MARTELLA ANDREA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto VECCHIO ANDREA SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Resoconto BUONANNO GIANLUCA LEGA NORD E AUTONOMIE
Resoconto LIBRANDI GIANFRANCO SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Resoconto VILLAROSA ALESSIO MATTIA MOVIMENTO 5 STELLE
 
PARERE GOVERNO 19/03/2014
Resoconto BOSCHI MARIA ELENA MINISTRO SENZA PORTAFOGLIO - (RIFORME COSTITUZIONALI E RAPPORTI CON IL PARLAMENTO)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 19/03/2014

DISCUSSIONE IL 19/03/2014

NON ACCOLTO IL 19/03/2014

PARERE GOVERNO IL 19/03/2014

RESPINTO IL 19/03/2014

CONCLUSO IL 19/03/2014

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00058
presentato da
RICCIATTI Lara
testo di
Mercoledì 19 marzo 2014, seduta n. 193

   La Camera,
   premesso che:
    in data 20 e 21 marzo 2014 si terrà il Consiglio «Affari Generali» dell'Unione europea con un corposo ordine del giorno relativo: ad un primo giudizio sulle manovre di bilancio degli Stati; al rilancio della competitività industriale; alle politiche relative al clima e all'energia; nonché allo stato delle relazioni esterne, in particolare con l'Africa;
   per quanto riguarda le manovre di bilancio:
    l'Unione europea rivolge all'Italia una serie di pesanti critiche, in primis in relazione alla limitata produttività del lavoro, che è ritenuta una delle cause principali dell'alto debito pubblico e della scarsa competitività dell'Italia, alla mancanza di riforme strutturali e ad un insufficiente piano di correzione dei conti;
    la Commissione, valutando l'aggiustamento strutturale per il 2014 insufficiente, ritiene necessaria «un'azione urgente» su debito e competitività, attraverso riforme efficaci e un intervento di manutenzione sui conti pubblici, paventando altrimenti un contagio del resto dell'Eurozona;
    le istituzioni finanziarie europee a breve potrebbero chiedere l'apertura per l'Italia di una procedura per squilibrio eccessivo, con relative sanzioni, finora mai applicate, stante le deboli capacità reali del Paese di adottare le necessarie misure in termini di riforme strutturali, di contenimento del deficit e di drastico abbassamento del debito, che ha visto nei sette anni della crisi un aumento costante fino a raggiungere il 133,33 per cento del Pil, dovuto in misura preponderante alla decrescita del nostro Paese, che ha determinato un aumento della disoccupazione ad oggi del 12,6 per cento (laddove quella dell'Unione europea è prevista ridursi al 12 per cento), con un conseguente continuo aggravamento del disagio sociale in assenza di una chiara, forte e visibile sterzata da parte del Governo e delle parti sociali;
    il rientro dell'Italia nella procedura per squilibri eccessivi pone il nostro Paese in un'ulteriore situazione di svantaggio che avrà sicuramente effetti negativi sulla fiducia dei mercati finanziari determinando una penalizzazione soprattutto in riferimento all'aumento di ostacoli e difficoltà nell'azione di risanamento del debito pubblico;
    l'Unione europea rivede la stima per la crescita dell'Eurozona nel 2014 portandola dall'1,1 all'1,2 per cento, mentre prevede una riduzione per l'Italia dello 0,1 per cento dallo 0,7 allo 0,6 per cento – sconfessando le irrealistiche stime del Governo Letta che la fissavano all'1,1 per cento. La crescita italiana (in realtà una decrescita) si pone così in controtendenza in Europa essendo stimata la metà di tutta l'Eurozona;
    le politiche dei Governi che si sono succeduti dallo scatenarsi della crisi sino ad oggi e che hanno vieppiù acuito profondi disagi sociali, sono state improntate a misure che hanno favorito un risanamento dei conti pubblici appesantiti dal contestuale alimentarsi della recessione economica, come ad esempio le sciagurate misure dei tagli alla previdenza, l'aumento della pressione fiscale su aziende e cittadini, la stretta creditizia e poche misure volte al rilancio economico che hanno offerto scarsissimi risultati;
    la crescita non è quindi impedita a causa dell'elevato debito pubblico o dall'eccessiva spesa sociale del welfare, ma dalle misure recessive adottate in risposta alla crisi stessa, che non si risolverà con le politiche di «austerità espansiva» che l'hanno provocata. Pensare che il taglio dei deficit pubblici possa essere compensato dall'aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come emerge inequivocabilmente da studi e dall'esperienza pratica di altri Paesi europei come la Grecia, il moltiplicatore fiscale in una fase di recessione è positivo, e l'austerità porta inevitabilmente ad un calo del prodotto interno lordo maggiore del calo del debito rendendo impossibile raggiungere l'obiettivo della riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo;
    allo stesso modo, il superamento del credit crunch, che rappresenta una condizione necessaria sebbene non sufficiente per la ripresa, non potrà avvenire nel quadro delle politiche attuali concernenti il patto di stabilità europeo, con particolare riguardo alla necessità di riattivare i flussi di credito in direzione delle piccole e medie imprese;
    l'Europa non risponde alle sfide imposte dalla crisi con una stessa voce determinando un accentuarsi degli squilibri tra Paesi del nord e del sud, proponendo soluzioni diverse a situazioni analoghe. I Paesi che di recente hanno goduto di una certa flessibilità sono proprio quelli sotto la Procedura per disavanzo eccessivo: ad esempio, Spagna, Portogallo e Francia, che hanno ottenuto dilazioni per rientrare nel limite del 3 per cento del rapporto deficit/Pil;
    allo stato attuale servirebbe soprattutto una politica economica europea coerente con lo sviluppo dell'area euro, che definisca le politiche tese ad aumentare la domanda e, in particolare, gli investimenti in settori strategici in grado di creare occupazione, sviluppo sostenibile e coesione sociale. Tali investimenti sono rilevanti in primo luogo per gli effetti aggregati sull'economia, che vedrebbe un aumento del Pil e quindi un miglioramento degli indicatori di sostenibilità del debito. In secondo luogo, l'investimento in tali settori condurrebbe l'Italia ad avvicinarsi in misura significativa agli obiettivi di Europa 2020 in una varietà di campi sociali e ambientali;
    nell'ultima sessione plenaria il Parlamento europeo ha approvato con una larga e trasversale maggioranza due rapporti d'indagine sul ruolo e sulle operazioni svolte dalla cosiddetta Trojka (BCE, Commissione europea e FMI) nei Paesi UE sotto assistenza finanziaria (Grecia, Irlanda, Portogallo e Cipro) definendoli responsabili di un vero e proprio «tsunami sociale», ed evidenziando come l'avvio del processo di risanamento abbia creato danni sociali rilevantissimi con la perdita di lavoro da parte di milioni di persone e quindi il peggioramento delle condizioni di vita. Tali conclusioni indicano chiaramente che non si tratta di un problema di coinvolgimento delle istituzioni europee ma di un cambiamento radicale di politica: fine delle politiche di rigore e avvio di politiche di sviluppo e di investimento;
   per quanto riguarda la politica industriale:
    in seguito all'adozione, nel 2010, di una delle iniziative faro della Strategia Europa 2020, «Una politica industriale integrata per l'era della globalizzazione», nell'ottobre 2012, la Commissione europea ha riesaminato la situazione del settore attraverso la pubblicazione della Comunicazione «Un'industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica», sulla quale il Consiglio ha adottato le proprie conclusioni nel dicembre dello stesso anno;
    tale documento presenta una serie di azioni prioritarie destinate a favorire la ripresa nel breve e medio termine ed a garantire la competitività e la sostenibilità a lungo termine dell'industria europea: investire nell'innovazione, garantire migliori condizioni di mercato, favorire l'accesso al credito e ai capitali, sostenere l'adattamento della manodopera alle trasformazioni industriali;
    la Commissione europea ha successivamente adottato il quadro di valutazione sull'efficienza dell'industria degli Stati membri e la relazione sulla competitività europea per il 2013;
    con tali documenti, la Commissione ha evidenziato sia i settori nei quali si sono verificati miglioramenti, sia quelli più problematici. I primi includono le esportazioni, l'innovazione, il contesto imprenditoriale e le competenze della manodopera. Al contrario, le principali tendenze negative sono state registrate nel settore degli investimenti, che restano bassi, in quello energetico, i cui prezzi elevati costituiscono uno dei fattori della perdita di competitività dell'Unione europea, e nella pubblica amministrazione che, in alcuni Paesi membri, risulta poco efficiente;
    in particolare, per quanto riguarda l'Italia, la Commissione europea ha individuato alcuni fattori che contribuiscono alla sua scarsa competitività, ossia l'evasione fiscale, il mancato adempimento dei contratti, il livello ridotto di investimenti privati in ricerca e sviluppo, la mancanza di start up innovative, la scarsa disponibilità di competenze, la mancanza di finanziamenti attraverso il capitale personale, la modesta crescita delle imprese e dell'internazionalizzazione, il cattivo funzionamento della pubblica amministrazione;
    il Parlamento europeo ha approvato, il 15 gennaio 2014, una risoluzione d'iniziativa sulla reindustrializzazione dell'Europa per promuovere la competitività e la sostenibilità nella quale si evidenzia il ruolo fondamentale svolto dall'industria europea per affrontare le sfide sociali, attraverso l'offerta di posti di lavoro, beni e servizi ed entrate fiscali, e per sostenere la transizione dell'Europa verso un'economia a basse emissioni di gas serra;
    successivamente, in data 22 gennaio 2014, è stata pubblicata la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Per una rinascita industriale europea» (COM(2014)14 final), con la quale l'Esecutivo comunitario invita il Consiglio ed il Parlamento europeo ad adottare proposte in materia di energia, trasporti, spazio e reti di comunicazione digitali, nonché ad applicare la legislazione sul completamento del mercato interno;
    fra le priorità di intervento individuate dalla Commissione vi sono: la massimizzazione del potenziale del mercato interno, attraverso lo sviluppo di infrastrutture e l'offerta di un quadro normativo semplificato (in particolare procedendo alla revisione dello Small Business Act), che incoraggi l'imprenditoria e l'innovazione, integri i mercati dei capitali, migliori le possibilità di formazione e di mobilità per i cittadini e completi il mercato interno dei servizi, nonché l'attuazione di strumenti di finanziamento europei basati su combinazioni efficaci tra i programmi COSME e Horizon 2020, i Fondi strutturali e le risorse nazionali, ed il conferimento di un ruolo più strategico alla Banca europea per gli investimenti in materia di erogazione dei prestiti, ma anche una maggiore integrazione progressiva delle imprese europee, in particolare le piccole e medie imprese, nelle catene di valore globali al fine di promuoverne la competitività e assicurarne l'accesso ai mercati internazionali a condizioni più favorevoli;
    in data 17 febbraio 2014, è stata pubblicata la relazione «EU industrial structure report 2013: Competing in Global Value Chains», con la quale si analizza la situazione dell'industria europea. Tale relazione mette in evidenza le significative differenze tra settori e Stati membri e la tendenza discendente dell'industria manifatturiera, nonché l'accresciuta interdipendenza tra il settore manifatturiero e quello dei servizi, l'effetto trainante che il primo esercita sul secondo, nonché l'importanza della partecipazione alle catene di valore globali per aumentare la competitività dell'industria europea;
    la crescita, come evidenziato dalla Commissione nell'ambito della citata comunicazione «Per una rinascita industriale europea», rimane ancora molto debole e, sarà di solo +1,4 per cento del prodotto interno lordo con un tasso di disoccupazione che non scenderà sotto l'11 per cento nei prossimi due anni;
    la crisi europea ha, del resto, reso evidente l'importanza dell'economia reale, nonché l'esigenza di un'industria solida che vada ben oltre il settore manifatturiero per abbracciare anche il mercato delle materie prime, i servizi alle imprese, i servizi per i consumatori, la cultura e il turismo;
    l'Unione europea non può, quindi, prosperare senza una forte base industriale e la Commissione considera l'industria al centro della competitività e della rinascita economica dell'Europa;
    senza alcun dubbio, l'iniziativa promossa dalla Commissione con la citata comunicazione «Per la rinascita industriale europea» è da ritenersi condivisibile nel merito, considerato che il comparto industriale dell'Unione europea ha dato prova di resistenza di fronte alla crisi, ma nonostante ciò dal 2008 a oggi, con la crisi industriale, sono stati bruciati 3,5 milioni di posti di lavoro in tutta l'Unione europea e contestualmente il settore manifatturiero ha conosciuto una flessione arrivando a rappresentare il 15,1 per cento del Pil dell'Unione, ovvero lo 0,3 per cento in meno rispetto ai livelli di sei anni fa;
    oggi, dunque, l'Europa è ancora lontana dall'obiettivo del 20 per cento di Pil generato dal solo comparto industriale e la competitività industriale deve essere al centro dell'agenda del vertice del prossimo Consiglio europeo di marzo;
    la comunicazione annuncia la possibilità di garantire il pieno accesso ai 100 miliardi messi a disposizione dall'Unione europea sui fondi strutturali e di investimento europei (fondi ESI) per il periodo 2014-2020 per investimenti nell'innovazione, in linea con le priorità della politica industriale, mentre il programma Horizon 2020, attraverso il suo pilastro «Leadership industriale» dovrebbe fornire fino a 80 miliardi di euro per la ricerca e l'innovazione, incluso il sostegno alle tecnologie abilitanti fondamentali che ridefiniranno le catene di valore globali;
    il nostro Paese, come emerge dal «Rapporto sulla Competitività» presentato lo scorso anno a Bruxelles, attraversa ormai da troppo tempo una fase di preoccupante deindustrializzazione, essendo l'unico Stato dell'Eurozona che, insieme alla Finlandia, ha peggiorato la propria produttività, venendo superato anche dalla Spagna e per tali ragioni appare sempre più urgente e non più procrastinabile rispondere alla crisi industriale italiana attraverso la predisposizione di un quadro organico di interventi tesi a creare effettive condizioni favorevoli allo sviluppo e all'innovazione delle imprese, al fine di rendere l'Italia più capace di attrarre investimenti industriali e creare nuovi posti di lavoro;
    si evidenzia, inoltre, come sino ad ora non sia stato ancora presentato un programma nazionale di politica industriale teso a rilanciare concretamente il comparto manifatturiero con azioni mirate a: 1) realizzare una politica energetica più concorrenziale, in linea con le direttive dell'Unione europea, fondata sull'efficienza e sul risparmio energetico, sulla diversificazione delle fonti, sulla riduzione dei combustibili fossili e sullo sviluppo delle fonti rinnovabili; 2) a riallocare le energie lavorative sui livelli più alti della filiera produttiva e sui livelli più raffinati dal punto di vista tecnologico; 3) a ottenere un effettivo snellimento burocratico, in un contesto caratterizzato da un eccesso di leggi, scarsità o duplicazione dei controlli, sovrapposizione di competenze; ridurre il carico fiscale e contributivo per liberare risorse da destinare alla produzione e al lavoro; 4) a sostenere concretamente la domanda interna procedendo velocemente alle liberalizzazioni dei settori realmente protetti; 5) ad allentare il patto di stabilità interno per rilanciare il settore dell'edilizia riqualificando, in particolare, quella scolastica e garantendo al contempo un migliore utilizzo dei fondi strutturali europei; 6) a modernizzare il sistema produttivo con lo sviluppo delle tecnologie ambientali e dei servizi sociali, settori che possono offrire interessanti sbocchi occupazionali; 7) ad attuare l'Agenda digitale italiana e molto altro ancora, come del resto evidenziato nelle mozioni presentate dal gruppo parlamentare Sinistra Ecologia e Libertà e sottoposte all'attenzione del precedente Governo sul rilancio del settore manifatturiero (1-00164) e la deindustrializzazione del Paese (1-00196) ed oggi all'attuale Governo con riferimento alla necessità di sbloccare le procedure d'implementazione normativa in ritardo (1-00356), in relazione all'opportunità di attivare un nuovo sistema di politica industriale-ambientale teso a favorire la riqualificazione ed il rilancio delle aree del Paese deindustrializzate, a sostenere la ricerca universitaria, l'innovazione pubblica e privata, i processi di internazionalizzazione e le reti di imprese, e, infine, a incoraggiare la domanda e l'offerta di bioprodotti (1-00352);
    in particolare, con riferimento allo stato di attuazione dell'Agenda digitale Italia contenute nei decreti-legge n. 83 del 2012, n. 179 del 2012 e n. 69 del 2013 si evidenzia che dei 55 adempimenti considerati dalla normativa vigente, ne sono stati adottati, solo 17 (per gli adempimenti non ancora adottati in 21 casi risulta già scaduto il termine per provvedere; rispetto alla ricognizione precedente sono state prese in considerazione le misure dell'articolo 13 del decreto-legge n. 69 del 2013, nonché ulteriori disposizioni del decreto-legge n. 179 del 2012 in precedenza non considerate ma comunque collegate all'attuazione dell'agenda digitale;
    sarebbe, inoltre, necessario intraprendere urgenti iniziative legislative per impedire la delocalizzazione delle attività produttive delle nostre imprese anche alla stregua delle linee tracciate dalla cosiddetta «Legge Flonrange» approvata recentemente in Francia ove si prevede che le aziende con almeno mille dipendenti non possano chiudere e delocalizzarsi, prima di avere trovato un acquirente per garantire la continuità aziendale e produttiva. Nel caso di mancato rispetto dell'obbligo, le aziende dovranno restituire gli aiuti pubblici ottenuti negli ultimi due anni e saranno multate fino al 2 per cento del fatturato. Intanto centinaia di vertenze che attendono di essere risolte da tavoli aperti, ormai da troppo tempo, presso il Dicastero dello Sviluppo economico;
   per quanto riguarda la politica energetica ed ambientale:
    si fanno sempre più diffuse le espressioni di insoddisfazione di comunità, istituzioni, organismi e associazioni europei, per la mancanza di ambizione che emerge dalla, proposta formulata dalla Commissione UE per un nuovo Pacchetto «Clima-Energia» al 2030 che viene giudicato inadeguato ad affrontare la sfida di una economia e di una società low carbon, a svolgere un'azione efficace di contrasto dei cambiamenti climatici e che rischia di far perdere quel ruolo di leadership che l'Unione europea aveva conquistato all'interno dei colloqui UNFCCC, al fine di raggiungere un Accordo per contenere il riscaldamento globale entro i 2o C alla fine del secolo, e che dovrà essere approvato nell'ambito della Conferenza di Parigi a fine 2015;
    gli obiettivi comunitari al 2030 proposti dalla Commissione nel libro bianco – 40 per cento di riduzione delle emissioni interne di CO2 e aumento non vincolante per gli Stati membri al 27 per cento per le rinnovabili – non consentono all'Europa di mettere in campo una forte e coerente azione di contrasto ai cambiamenti climatici in grado di invertire la rotta e contribuire ad un accordo globale ambizioso e giusto. L'Unione europea per uscire dalla crisi deve innovare l'economia definendo politiche attente agli interessi dei cittadini e dell'ambiente e in quest'opera potrà svolgere un ruolo decisivo solo se sarà in grado di definire obiettivi ambiziosi di riduzione dei gas-serra e di spinta verso una economia low-carbon attraverso target legalmente vincolanti che sostengano in maniera decisa lo sviluppo delle fonti rinnovabili e gli interventi di efficienza energetica a livello nazionale;
    l'Europa deve porsi dei traguardi molto concreti, che corrispondano ad una vera e propria rivoluzione energetica, che può tradursi nell'individuazione di obiettivi climatici ed energetici che siano coerenti con la traiettoria di riduzione delle emissioni di gas-serra di almeno il 95 per cento al 2050, in grado di contribuire a contenere il riscaldamento del pianeta almeno sotto alla soglia critica dei 2o C;
    solo attraverso una vera ed efficace azione che apra la strada a nuovi investimenti con la creazione di nuovi posti lavoro, l'Europa sarà in grado di assicurare un notevole indotto all'economia di tutti i Paesi membri;
    il confronto dei prezzi dell'energia tra l'Italia e gli altri membri dell'Unione europea e della stessa Unione europea con quelli dei suoi principali partner commerciali, rileva che i prezzi dell'energia sono notevolmente aumentati in quasi tutti gli Stati membri, ma maggiormente in Italia, a partire dal 2008, soprattutto a causa di imposte e tasse, ma anche dei maggiori costi di rete. Il confronto con i partner europei ed internazionali, evidenzia un aumento dei differenziali di prezzo, che segna la competitività dell'Italia, segnatamente per le industrie ad alta intensità energetica;
    l'Italia paga anche un alto prezzo per gli effetti ormai visibili del cambiamento climatico, caratterizzato da una forte erosione del territorio costiero e montano, con ripercussioni gravi e permanenti anche sull'industria agroalimentare;
    a fronte di tali emergenze ormai conclamate, relative ad un approvvigionamento inefficiente e non competitivo dell'energia nonché agli effetti devastanti sul territorio del cambiamento climatico, l'Italia non si è dotata di nessuno strumento strategico per una politica energetica efficiente ed una politica di risanamento e tutela del dissesto ambientale ed idrogeologico;
   per quanto riguarda lo stato delle relazioni esterne, in particolare con l'Africa:
    le relazioni tra Unione europea e Africa sono largamente basati sulla strategia comune Unione europea-Africa (Joint Africa-EU Strategy – JAES) adottata nel 2007 a Lisbona, da cui è stato elaborato il piano d'azione 2011-2013 concordato all'ultimo summit tenutosi a Tripoli nel 2010;
    gli obiettivi fissati in tale piano riguardano principalmente la cooperazione in talune aree specifiche d'intervento quali il mantenimento della pace e della sicurezza, la governance democratica e il rispetto dei diritti umani;
    il prossimo summit tra Unione europea e Africa si svolgerà a Bruxelles il 2 e 3 aprile del 2014 con il tema «Investire nelle persone, nella prosperità e nella pace» e sarà il quarto dopo quelli tenuti al Cairo, Lisbona e Tripoli;
    nata con l'obiettivo di unificare gradualmente gli accordi di cooperazione dell'Unione europea in atto con il continente africano e di dare un quadro di visione continentale ai vari strumenti di finanziamento esistenti la JAES riflette le priorità dell'Unione nelle sue relazioni con l'Africa. È strutturata in 8 capitoli tematici: pace e sicurezza; governance, democrazia e diritti umani; energia, commercio, integrazione regionale e infrastrutture; migrazione, mobilità e occupazione; cambiamento climatico; obiettivi di sviluppo del Millennio e il capitolo su scienza, società dell'informazione e spazio;
    in termini di azioni, dialogo politico e finanziamenti i risultati della JAES sono stati pressoché deludenti non essendo stata l'Unione europea in grado, soprattutto sul terna della pace e della sicurezza, di promuovere processi di pace e di prevenzione diplomatica e non violenta dei conflitti;
    in particolare uno dei punti principali in tema di pace e sicurezza è lo sviluppo di una forza di pronto intervento africana. A tale scopo, dal 2004, l'Unione europea ha contribuito con oltre 1,1 miliardi di euro al Fondo per la pace in Africa, che sostiene la missione dell'Unione africana in Somalia (AMISOM) e finanzia la missione di sostegno internazionale al Mali guidata dall'Africa (AMISMA), inviando circa 6000 soldati in Mali nella prima metà del 2013;
    l'Unione europea promuove anche la missione internazionale nel Sahel Niger (EUCAP) cui partecipa anche l'Italia con un contingente di personale militare così come per le missioni AMISOM e MINUSMA;
    il territorio del Sahel è prevalentemente desertico e divide l'Africa del Nord dall'Africa nera e subsahariana, comprendendo gli Stati del Senegal, Sudan, Eritrea, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad, Mauritania;
    gli Stati saheliani sono considerati tra i più poveri del mondo, caratterizzati spesso da vere e proprie crisi umanitarie date da periodi di forte siccità, con circa 15 milioni di abitanti coinvolti in crisi alimentari ed elevati rischi di malnutrizione grave;
    l'ONU, nella figura del suo inviato speciale per il Sahel, Romano Prodi, sta predisponendo un piano di rilancio e ricostruzione per il Sahel, per avviare una fase di crescita sostenibile dei Paesi centrali, in modo tale da poter far emancipare la parte più povera e arretrata dell'intero continente africano;
    oltre all'invio di truppe, nelle citate missioni, anche per tutelare in numerosi interessi dell'Unione europea nella regione, hanno prevalso le attività militari di contrasto al terrorismo, al crimine organizzato e all'immigrazione clandestina in ragione delle parimenti necessarie attività di cooperazione, integrazione e politiche umanitarie di contrasto all'emergenza alimentare;
    diversamente in alcune crisi come in Mauritania, Guinea, Guinea-Bissau, il consolidamento del dialogo politico ha permesso la soluzione delle stesse, avviando le necessarie politiche di cooperazione e sostegno;
    alcuni Paesi africani quali Ghana, Kenya, Tanzania, Uganda, Sudafrica, Namibia, Botswana e Mozambico, hanno conosciuto e continuano a vivere periodi duraturi di pace, sicurezza, stabilità economica e politica e partecipazione democratica, mentre altri continuano a sprofondare in conflitti interminabili come in Guinea, Liberia e Sierra Leone;
    Paesi, questi ultimi, ricchi di preziose risorse naturali, i cui conflitti per il loro controllo hanno fatto precipitare la regione in una grave crisi che ha provocato un enorme flusso di rifugiati. Senza parlare del conflitto del Darfur che infuria nel Sudan, della «guerra dimenticata» nel nord dell'Uganda, della persistente insicurezza nelle regioni orientale e settentrionale della Repubblica centrafricana e dell'instabilità del Congo;
    occorrerebbe, quindi, una forte azione dell'Unione europea per arrivare alla stabilizzazione dei Paesi del Corno d'Africa attraverso politiche di supporto ai processi democratici e per il rafforzamento della cooperazione decentrata;
    nel sostegno ai processi democratici e per il rispetto dei diritti umani ancora di meno è stato concretizzato, essendo per lo più concentrata l'attività esterna dell'Unione europea all'impegno nei forum internazionali a sostenere tali processi. Scarse appaiono anche i finanziamenti a tali attività, partecipando con 2 milioni di euro al segretariato dell’African Peer Review Mechanism e con 1 milione di euro all’AU's Electoral Assistance Fund;
    relativamente alle infrastrutture, al commercio, l'azione dell'Unione europea è stata mirata più che altro alla creazione di un clima favorevole per gli investimenti europei più che incentrata ad un reale sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, di cui molti Paesi sono ricchi e allo sviluppo agricolo, indispensabile per combattere la povertà e carestie e garantire la sicurezza alimentare;
    nonostante alcuni Paesi africani abbiano registrato una crescita economica straordinaria, la ripartizione estremamente irregolare dei redditi continua ad essere uno dei problemi del continente. La Namibia registra uno dei livelli di disuguaglianza più elevati al mondo, ma tale problema riguarda anche molti Paesi poveri quali la Sierra Leone e la Repubblica centrafricana, ed anche Paesi più ricchi come Lesotho, Botswana e Sudafrica hanno questo problema;
    il tasso di alfabetizzazione nel continente africano, nonostante i deboli progressi compiuti negli ultimi anni, continua ad essere tra i più bassi al mondo confermando le disuguaglianze che si registrano anche in termini di reddito pro-capite. Soprattutto le donne e le minoranze etniche continuano ad essere le categorie più emarginate, garantendo alle élite ottimi livelli di istruzione;
    sul versante sanitario la pandemia di HIV/AIDS rappresenta un grave peso per numerosi Paesi africani: il tasso di prevalenza tra gli adulti oscilla tra meno dell'1 per cento della popolazione in Senegal e Mauritania e oltre il 25 per cento in Swaziland, Botswana e Lesotho, dove la speranza di vita media è sensibilmente diminuita;
    per l'Africa poi, il cambiamento climatico comporterà una sempre maggiore pressione sulle risorse idriche e avrà ripercussioni negative sulla biodiversità e sulla salute umana, provocando un peggioramento della sicurezza alimentare e l'aumento della desertificazione;
    le inondazioni e la siccità, frequenti in Africa, sono destinate ad aumentare in seguito a tale cambiamento, mentre i sistemi di allarme preventivo sono inadeguati e la gestione delle catastrofi mediocre. L'adeguamento al cambiamento climatico è quindi una necessità impellente per lo sviluppo dell'Africa;
    un recente studio ha evidenziato che sul 46 per cento del territorio africano è in atto un processo di desertificazione a cui si aggiunge il problema del disboscamento, a fini commerciali o agricoli, il quale desta grave preoccupazione, poiché rappresenta anche un'enorme perdita di ricchezza economica naturale per il continente;
    tali cambiamenti del territorio e le catastrofi naturali hanno creato in questi anni una nuova categoria di rifugiati, quelli ambientali che poco o niente trovano tutela nel contesto dell'Unione europea;
    l'Unione europea dovrebbe potenziare il proprio sostegno nei settori considerati essenziali per il conseguimento degli OMS (pace, sicurezza e buon governo), nei settori che creano un contesto favorevole alla crescita economica, agli scambi e all'interconnessione, nonché nel settore della coesione sociale e ambientale;
    le guerre e i conflitti violenti nel continente africano hanno distrutto milioni di vite e vanificato decenni di sviluppo economico e che quindi l'intervento dell'Unione europea a favore della pace deve essere impostata ad una azione globale per la prevenzione dei conflitti, cercando di rimuovere alla radice le cause dei conflitti violenti, tra cui figurano la povertà, il degrado, lo sfruttamento e la distribuzione ineguale delle terre e delle risorse naturali e il relativo accesso, una governance debole, le violazioni dei diritti umani e la disparità tra i sessi;
    è necessario un intervento forte per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria sostenendo la messa a punto di nuovi farmaci e vaccini contro le malattie trasmissibili;
    la conservazione della diversità ambientale, il sostegno alla corretta gestione dei prodotti chimici nel campo agricolo e il miglioramento della gestione sostenibile dei terreni sono azioni non procrastinabili per arrestare la desertificazione, la conservazione della biodiversità e limitare gli effetti del cambiamento climatico,

impegna il Governo:

   sul piano nazionale e europeo ed, in particolare, in occasione del Consiglio europeo del 20-21 marzo 2014,
   sul bilancio:
    basandosi sulle recentissime direttive prese a maggioranza dal Parlamento europeo, a chiedere con forza l'abbandono delle politiche di rigore e l'avvio di politiche di sviluppo e di investimento, senza timidezze nel chiedere la inevitabile revisione del fiscal-compact misura indispensabile per assicurare al nostro Paese una crescita pari alla media europea;
    a concordare con gli organismi dell'Unione europea la rinegoziazione della cosiddetta «golden rule» (vale a dire lo scorporo degli investimenti dal calcolo del vincolo di deficit del 3 per cento), consegnandola alla sovranità del Parlamento nazionale, non solo per i programmi co-finanziati dai fondi strutturali europei, ma per tutti gli investimenti degli enti territoriali, che consentano lo sviluppo di nuova e qualificata occupazione;
    a verificare la possibilità che tali investimenti – da realizzarsi in parallelo anche negli altri Paesi dell'Eurozona – siano finalizzati a scala europea per consentire all'insieme dell'Unione di uscire dal ristagno economico;
    a proporre un nuovo e radicale programma europeo, un «social compact» vincolante per tutti gli Stati membri, per lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale, la lotta alle disuguaglianze e alla povertà, che abbia chiare priorità di investimenti per lo stimolo dell'occupazione e per compensare lo squilibrio nei Paesi tra i Paesi dell'eurozona con bilance commerciali in forte attivo nei confronti degli altri partner europei, del mercato interno per ricostruire una politica di ridistribuzione dei redditi che favorisca la domanda aggregata, ed avvii in Europa una trasformazione sociale ed ecologica del modello di sviluppo a partire dal rilancio delle politiche per la formazione, l'educazione e l'innovazione, con particolare riferimento al settore energetico, delle tecnologie digitali e da quello dei trasporti, con l'istituzione di una nuova catena di creazione di valori nei mercati-pilota del futuro;
    a superare – in assenza delle misure precedentemente elencate – il tetto del 3 per cento per l'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni nel bilancio 2014, giustificando tale azione politica con le condizioni di gravissima crisi economica e sociale del Paese;
    a sostenere la radicale modifica del trattato sulla convergenza dei bilanci, il cosiddetto «fiscal compact», una delle cause della recessione, concordando con i partner europei misure sostanziali a favore dello sviluppo sostenibile, a partire da una europeizzazione non parziale del debito sovrano almeno per la quota che supera il 60 per cento del prodotto interno lordo, secondo le proposte avanzate da diversi economisti anche italiani;
    ad attivarsi in sede europea per il superamento di tutti i trattati e regolamenti che imponendo rigide regole di bilancio sono causa delle politiche di austerità ed a promuovere politiche, misure e strumenti di politica economica, fiscale e di spesa, di carattere espansivo a favore dell'occupazione, dello sviluppo sostenibile, del welfare;
   sulla politica industriale:
    ad adottare, prima dell'inizio del semestre europeo, in coerenza con i contenuti delle linee di politica industriale e della programmazione europea sui temi della ricerca, sviluppo e innovazione e tenuto conto della programmazione dei fondi strutturali 2014-2020 un programma nazionale di politica industriale ove vengano tracciate le traiettorie di sviluppo industriale del nostro Paese con l'obiettivo di estendere il sistema infrastrutturale e trasportistico, realizzare un'industria integralmente ecologica che promuova l'utilizzo delle biotecnologie garantendo la salute, il benessere e la sicurezza delle persone, attuare l'agenda digitale italiana e le smart communities, rilanciare il turismo alla creatività e il patrimonio culturale, considerato che tale programma costituisce la necessaria premessa per soddisfare la condizionalità ex ante che la Commissione richiede agli Stati membri al fine di poter usufruire dei fondi strutturali per la programmazione 2014-2020;
    a ribadire la necessità che i fondi comunitari prevedano un alleggerimento delle procedure di spesa, una diminuzione dei formalismi burocratici e una maggiore attenzione ai risultati, sostenendo al contempo la più efficace attuazione degli strumenti di finanziamento europei basati su combinazioni utili tra i programmi COSME e Horizon 2020, i fondi strutturali e le risorse nazionali, ed il conferimento di un ruolo più strategico alla Banca europea per gli investimenti in materia di erogazione dei prestiti;
    a ribadire che nell'ambito della nuova disciplina europea in materia di reti di trasporto trans-europee (reti TEN-T), si faccia ricorso alla cosiddetta golden rule, consentendo di non far gravare sugli investimenti infrastrutturali di rilievo comunitario i vincoli di Maastricht, in particolare evitando che i fondi per la realizzazione di tali opere incidano sulla determinazione dell'ammontare del debito pubblico e concentrando lo sforzo finanziario europeo sull'intermodalità tra gomma, mare e ferro;
    a sostenere e implementare l'iniziativa della Commissione relativa alla utilizzazione dei cosiddetti project bond citata dalla comunicazione «Per una rinascita industriale europea (COM(2014)14 final), vale a dire di obbligazioni emesse da soggetti privati per il finanziamento a debito di infrastrutture di trasporto di particolare rilevanza strategica rientranti nelle reti TEN-T;
    a sostenere le misure proposte dalla Commissione nell'ambito della comunicazione «Per una rinascita industriale europea» (COM(2014)14 final) relative alla modernizzazione industriale, con particolare all'innovazione e alle nuove tecnologie, incoraggiando le politiche di investimento nei settori strategici dei processi di fabbricazione avanzati, delle tecnologie abilitanti fondamentali, dei veicoli e trasporti puliti, dei bioprodotti, della costruzione sostenibile e materie prime e reti intelligenti;
   sulla politica energetica e climatica:
    ad assumere un atteggiamento deciso e determinato per rendere gli obiettivi per il 2030 per la produzione di energia da fonti rinnovabili, vincolanti anche in coerenza con la già avvenuta sottoscrizione del documento «Going Green Growth», da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    ad assumere, in particolare nell'ambito del semestre di Presidenza europea italiana, un ruolo propulsore per una vera e propria rivoluzione energetica, che veda un'Europa leader nella sfida per un'economia e per una società low-carbon al 2030 attraverso la realizzazione vincolante di tre obiettivi: il taglio del 55 per cento delle emissioni di CO2, il raggiungimento di una quota pari ad almeno il 45 per cento di energia da fonti rinnovabili ed ad almeno il 40 per cento di efficienza energetica;
    a sostenere il processo di governance della politica energetica dell'Unione europea, garantendo che il piano energetico nazionale sia sufficientemente ambizioso in termini di centralità delle fonti energetiche rinnovabili e che le linee guida e le incentivazioni in esso contenute siano coerenti e conformi per tutto il periodo interessato, prioritariamente attraverso la modifica della Strategia energetica nazionale (SEN) per adeguarla a tali obiettivi definiti a livello europeo;
    ad aumentare gli sforzi per una maggior efficienza energetica da parte del comparto privato, del comparto pubblico e del comparto industriale, in linea con quanto fatto già dall'industria europea in termini di investimento e realizzazione in questo settore e al fine di ridurre il fabbisogno energetico;
    ad approvare un ambizioso piano per la messa in sicurezza del territorio italiano, in termini di sicurezza geologica, idrologica ed agroalimentare, in grado di tutelare il territorio ed i suoi abitanti e sviluppare un comparto industriale con potenzialità di volano per l'economia nazionale e elevata qualificazione degli operatori anche per i mercati esteri;
    a sostenere con mezzi idonei ed efficaci l'innovazione tecnologica nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili;
   sullo stato delle relazioni estere, in particolare con l'Africa:
    a sostenere la necessità di un processo di stabilizzazione del continente africano, in particolare dell'area del Corno d'Africa, attraverso il rafforzamento della cooperazione decentrata;
    a promuovere un incremento del Fondo globale per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria, che porti alla messa a punto di nuovi farmaci e vaccini contro le malattie trasmissibili e ad un piano di assistenza sanitaria per combattere la mortalità infantile;
    a incoraggiare le politiche di accoglienza per i profughi e i rifugiati provenienti dal continente africano, in particolare prevedendo anche assistenza per i rifugiati cosiddetti «ambientali»;
    a sostenere il processo di alfabetizzazione del continente attraverso una azione coordinata dell'Unione europea con le organizzazioni internazionali e le ONG.
(6-00058) «Ricciatti, Pannarale, Scotto, Lacquaniti, Marcon, Melilla, Di Salvo, Migliore».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC :

diritti umani

politica sanitaria

politica comunitaria

politica industriale

rete di trasporti

energia rinnovabile

Corno d'Africa