ATTO CAMERA

INTERPELLANZA URGENTE 2/00452

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 187 del 11/03/2014
Firmatari
Primo firmatario: DAGA FEDERICA
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 11/03/2014
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BUSTO MIRKO MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
DE ROSA MASSIMO FELICE MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
TERZONI PATRIZIA MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
MANNINO CLAUDIA MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
SEGONI SAMUELE MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
ZOLEZZI ALBERTO MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
MICILLO SALVATORE MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
COLONNESE VEGA MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
NESCI DALILA MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
CARINELLI PAOLA MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
DI MAIO LUIGI MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
VIGNAROLI STEFANO MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
FICO ROBERTO MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
CECCONI ANDREA MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
BARONI MASSIMO ENRICO MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
GIORDANO SILVIA MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
DALL'OSSO MATTEO MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
DI VITA GIULIA MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
GRILLO GIULIA MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
LOREFICE MARIALUCIA MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
MANTERO MATTEO MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
GALLO LUIGI MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
BRESCIA GIUSEPPE MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
MARZANA MARIA MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
D'UVA FRANCESCO MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
DI BENEDETTO CHIARA MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
VACCA GIANLUCA MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
VALENTE SIMONE MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014
BATTELLI SERGIO MOVIMENTO 5 STELLE 11/03/2014


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE delegato in data 11/03/2014
Stato iter:
14/03/2014
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 14/03/2014
Resoconto DAGA FEDERICA MOVIMENTO 5 STELLE
 
RISPOSTA GOVERNO 14/03/2014
Resoconto TOCCAFONDI GABRIELE SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ISTRUZIONE, UNIVERSITA' E RICERCA)
 
REPLICA 14/03/2014
Resoconto DAGA FEDERICA MOVIMENTO 5 STELLE
Fasi iter:

DISCUSSIONE IL 14/03/2014

SVOLTO IL 14/03/2014

CONCLUSO IL 14/03/2014

Atto Camera

Interpellanza urgente 2-00452
presentato da
DAGA Federica
testo presentato
Martedì 11 marzo 2014
modificato
Venerdì 14 marzo 2014, seduta n. 190

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   in occasione dello svolgimento di interpellanze urgenti recentemente il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha affermato «Per quanto riguarda le iniziative assunte dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, volte al dialogo con i diversi segmenti del settore idrico, si porta a conoscenza che, con decreto ministeriale n. 358 del 13 dicembre 2013, è stata istituita una task force per individuare le strategie e le priorità politiche al fine di valutare, tra l'altro, le migliori pratiche in materia di sostenibilità nell'uso delle risorse idriche (il predetto provvedimento è visionabile presso il sito del Ministero). In merito alla contaminazione delle acque potabili, nel rammentare che la materia è regolata dal decreto legislativo n. 31 del 2001 e che le deroghe ai parametri di potabilità in esso previste sono scadute e non più rinnovabili, si rappresenta che la maggior parte delle contaminazioni presenti nelle acque sono di origine naturale e i sindaci di molti comuni italiani hanno provveduto ad imporre divieti, limiti e prescrizioni nell'uso delle acque. Visto che sovente la contaminazione interessa l'intera falda e non vi è la disponibilità di altre risorse idriche a cui attingere per il soddisfacimento della domanda ad uso potabile, quindi si ricorre a forniture sostitutive, atteso anche che le opere di risanamento di tal genere richiedono ingenti investimenti e che, allo stato, non trovano un'adeguata copertura finanziaria e richiedono anche tempi di attuazione di medio e lungo periodo»;
   l'acqua è un bene essenziale ed insostituibile per la vita e, pertanto, la disponibilità e l'accesso all'acqua potabile e all'acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto inviolabile dell'uomo, un diritto universale e indivisibile, che si può annoverare fra quelli di cui all'articolo 2 della Costituzione;
   l'Onu, con la risoluzione dell'Assemblea generale del 28 luglio 2010 (GA/10967), ha dichiarato il diritto all'acqua un diritto umano universale e fondamentale;
   la risoluzione sottolinea ripetutamente che l'acqua potabile e per uso igienico, oltre ad essere un diritto di ogni uomo, concerne la dignità della persona, è essenziale al pieno godimento della vita ed è fondamentale per tutti gli altri diritti umani; la medesima risoluzione raccomanda gli Stati ad attuare iniziative per garantire a tutti un'acqua potabile di qualità, accessibile e a prezzi economici;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del luglio 2012, all'articolo 1, ha esattamente definito le funzioni del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in materia di servizio idrico integrato, individuandole principalmente nell'ambito del coordinamento dei vari livelli di pianificazione, della definizione degli standard di qualità della risorsa, del risparmio idrico e, per quanto riguarda i temi tariffari, della definizione dei criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori di impiego dell'acqua, anche in proporzione al grado di inquinamento ambientale derivante dai diversi tipi e settori di impiego e ai costi conseguenti a carico della collettività, in attuazione del principio del recupero integrale del costo del servizio e del principio «chi inquina paga»;
   l'articolo 155 (tariffa del servizio di fognatura e depurazione) del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede che «Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'autorità d'ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito. La tariffa non è dovuta se l'utente è dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell'autorità d'ambito.
  2. In pendenza dell'affidamento della gestione dei servizi idrici locali al gestore del servizio idrico integrato, i comuni già provvisti di impianti di depurazione funzionanti, che non si trovino in condizione di dissesto, destinano i proventi derivanti dal canone di depurazione e fognatura prioritariamente alla manutenzione degli impianti medesimi.
  3. Gli utenti tenuti al versamento della tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura, di cui al comma 1, sono esentati dal pagamento di qualsivoglia altra tariffa eventualmente dovuta al medesimo titolo ad altri enti pubblici.
  4. Al fine della determinazione della quota tariffaria di cui al presente articolo, il volume dell'acqua scaricata è determinato in misura pari al cento per cento del volume di acqua fornita.
  5. Per le utenze industriali la quota tariffaria di cui al presente articolo è determinata sulla base della qualità e della quantità delle acque reflue scaricate e sulla base del principio «chi inquina paga». È fatta salva la possibilità di determinare una quota tariffaria ridotta per le utenze che provvedono direttamente alla depurazione e che utilizzano la pubblica fognatura, sempre che i relativi sistemi di depurazione abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell'Autorità d'ambito.
  6. Allo scopo di incentivare il riutilizzo di acqua reflua o già usata nel ciclo produttivo, la tariffa per le utenze industriali è ridotta in funzione dell'utilizzo nel processo produttivo di acqua reflua o già usata. La riduzione si determina applicando alla tariffa un correttivo, che tiene conto della quantità di acqua riutilizzata e della quantità delle acque primarie impiegate»;
   in attuazione della legge n. 526 del 1999 (legge comunitaria 1999), il decreto legislativo n. 31 del 2001 ha recepito la direttiva 98/83/CE del Consiglio, del 3 novembre 1998, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, in modo da adempiere agli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunità europee;
   l'articolo 4 (obblighi generali) di tale decreto prevede che: «1. Le acque destinate al consumo umano devono essere salubri e pulite.
  2. Al fine di cui al comma 1, le acque destinate al consumo umano:
    a) non devono contenere microrganismi e parassiti, né altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana»;
   l'articolo 5 (punti di rispetto delle conformità) al comma 3 prevede: «fermo restando quanto stabilito al comma 2, qualora sussista il rischio che le acque di cui al comma 1, lettera a), pur essendo nel punto di consegna rispondenti ai valori di parametro fissati nell'allegato I, non siano conformi a tali valori al rubinetto, l'azienda sanitaria locale dispone che il gestore adotti misure appropriate per eliminare il rischio che le acque non rispettino i valori di parametro dopo la fornitura. L'autorità sanitaria competente ed il gestore, ciascuno per quanto di competenza, provvedono affinché i consumatori interessati siano debitamente informati e consigliati sugli eventuali provvedimenti e sui comportamenti da adottare»;
   la direttiva 98/83/CE del Consiglio, del 3 novembre 1998, prevede che in caso di inosservanza dei valori di parametro, lo Stato membro interessato provvede affinché vengano tempestivamente adottati i provvedimenti correttivi necessari per ripristinare la qualità delle acque. Indipendentemente dal rispetto o meno dei valori di parametro, gli Stati membri provvedono affinché la fornitura di acque destinate al consumo umano, che rappresentano un potenziale pericolo per la salute umana, sia vietata o ne sia limitato l'uso e prendono qualsiasi altro provvedimento necessario. I consumatori vengono informati di tali misure;
   la direttiva, inoltre, prevede che gli Stati membri possano stabilire deroghe ai valori di parametro fino al raggiungimento di un valore massimo, purché:
    a) la deroga non presenti un rischio per la salute umana;
    b) l'approvvigionamento delle acque potabili nella zona interessata non possa essere mantenuto con nessun altro mezzo congruo;
    c) la deroga abbia durata più breve possibile, non superiore a un periodo di tre anni (è prevista la possibilità di rinnovare la deroga per due periodi addizionali di tre anni);
    d) le deroghe devono indicare particolareggiatamente i motivi che hanno indotto a concederle, salvo qualora lo Stato membro interessato ritenga che l'inosservanza del valore di parametro sia trascurabile e che un'azione correttiva possa risolverla tempestivamente;
    e) lo Stato membro che si avvale di una deroga provvede affinché ne sia informata la popolazione interessata;
   la Commissione riceve comunicazione, entro un termine di due mesi, se la deroga riguardi una singola fornitura d'acqua superiore a 1000 m3 al giorno in media o l'approvvigionamento di 5000 o più persone;
   il 31 dicembre 2012 sono scadute le ultime deroghe possibili alla direttiva 98/83/CE (recepita con il decreto legislativo n. 31 del 2001) concesse dall'Unione europea, rispetto ai valori massimi di arsenico presenti nell'acque alimentari attestanti a 10 microgrammi per litro; dunque ai sindaci non è rimasta altra scelta che dichiarare la non potabilità dell'acqua, facendo fioccare ordinanze di divieto di utilizzo dell'acqua. Ma dopo anni di noncuranza di amministratori e gestori non si può certo dire che sia una sciagura inaspettata;
   infatti, quando nel 2010 l'Unione europea aveva «rispedito al mittente» la terza richiesta consecutiva di concessione di deroga per presenza di arsenico per valori superiori a 20 microgrammi per litro e si sarebbe dovuto intervenire in modo drastico; invece le deroghe, previste solo come misura transitoria, sono diventate un espediente per non fare i necessari interventi di potabilizzazione;
   si legge nella nota informativa dell'Istituto superiore sanità: «In Italia particolare rilevanza nel contesto dei regimi di deroga ha riguardato, a tutt'oggi, il parametro «arsenico», presente in acque di origine sotterranea in molte aree del Paese e generalmente ricondotto a contaminazione di natura geogenica. In passato, numerose Regioni e molteplici Comuni, che si sono avvalsi dell'istituto delle deroghe nell'ambito dei due successivi trienni 2003-2006-2009 sono rientrati nel valore limite di 10 microgrammi/litro previsto dal decreto legislativo n. 31 del 2001, mentre per alcune aree più o meno vaste di quattro Regioni (Lombardia, Toscana, Lazio e Umbria) e delle Province Autonome di Trento e Bolzano è stato necessario ricorrere ad una terza deroga, concessa dalla CE con le due Decisioni C(2010)7605 e C(2011)2014, fino ad un valore massimo di 20 microgrammi/litro. Tali decisioni, trasposte con i decreti interministeriali del 24 novembre 2010 e 11 maggio del 2011 e quindi implementate mediante normativa regionale, hanno inizialmente interessato una popolazione totale di 1.030.477 abitanti. È da sottolineare che un fondamentale vincolo che presiede la concessione di ogni provvedimento di deroga da parte della CE è l'implementazione delle azioni correttive, elaborate da parte di soggetti competenti sul territorio (gestori idrici, Autorità d'Ambito Ottimale) sotto l'egida della Regione per il rientro in conformità delle acque secondo un rigoroso crono programma, parte integrante della richiesta di deroga»;
   secondo Janez Potocnik, il Commissario europeo per l'ambiente che l'ha firmata, la deroga «è stata valutata sulla base di dati scientifici dell'Organizzazione Mondiale della Sanità». Fino al 31 dicembre 2012, il limite massimo ammesso passa da 10 microgrammi per litro a 20 microgrammi per litro, ma non sono concessi limiti superiori ai 20 microgrammi, «perché – ha aggiunto Potocnik – potrebbero causare danni alla salute». Il Commissario europeo ha poi sottolineato che ogni Stato membro deve fornire un rendiconto triennale relativo alla presenza di sostanze nell'acqua e, per quanto riguarda l'esercizio 2005-2006, «l'Italia non ha ancora fornito la sua documentazione»;
   studi scientifici rivelano che l'assunzione, anche in minime quantità (2/3 microgrammi per litro), di arsenico distribuita nel tempo è dannosa per la salute umana e può portare a patologie croniche e, in casi estremi, anche alla morte;
   Roger Aertgeerts, responsabile acqua e igiene dell'Organizzazione mondiale della sanità, afferma che «Il valore di arsenico massimo consentito è di 10 microgrammi per litro. La Direttiva 98/83/CE del Consiglio del 3 novembre 1998 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano si basa sulle Linee guida Oms per l'acqua potabile. Il valore massimo per la concentrazione di arsenico nell'acqua specificato nella Direttiva, è di 10 microgrammi per litro, ed è lo stesso fissato nelle Linee Guida Oms; evidenze che provengono d studi epidemiologici, infatti, indicano che il consumo di livelli elevati di arsenico attraverso l'acqua potabile è casualmente associato allo sviluppo di tumori in vari siti, in particolare pelle, vescica e polmone. Tuttavia, resta una considerevole incertezza rispetto alla curva dose-risposta per esposizioni a bassi quantitativi. I composti di arsenico inorganico sono classificati nel Gruppo 1 (cancerogeni per l'uomo) dall'Agenzia internazionale della ricerca sul cancro (Iarc); secondo l'Oms quindi, le tecniche di trattamento delle acque, correttamente implementate, dovrebbero essere in grado di raggiungere livelli di arsenico di 5 microgrammi per litro, equivalenti alla metà del valore delle Linee guida»;
   è nota a tutti la vicenda dei giorni scorsi relativa all'ordinanza del sindaco di Roma, Marino, che proibisce in modo categorico, con decorrenza immediata e fino a 31 dicembre 2014, di usare l'acqua per uso alimentare e igiene personale in numerose zone dei municipi XIV e XV, servite dagli acquedotti gestiti da Arsial. Secondo l'ordinanza, gli acquedotti in questione «presentano acqua con caratteristiche chimiche e batteriologiche ovvero solo batteriologiche non adatte al consumo umano a causa del superamento dei valori prescritti». In realtà, sono stati i livelli elevati di arsenico ad avere messo in allarme gli operatori dell'asl. Solo per citare il caso che ha assunto maggior clamore;
   per non parlare del caso del cromo esavalente nelle acque di Brescia;
   infatti, il decreto legislativo n. 152 del 2006 impone nelle acque sotterranee una concentrazione massima di cromo esavalente pari a 5 microgrammi per litro ed il limite di 50 microgrammi per litro per quanto riguarda il cromo totale (ossia la somma di tutte le diverse valenze chimiche dell'elemento);
   il decreto legislativo n. 31 del 2001 statuisce, altresì, che il limite previsto per il cromo totale non debba superare i 50 microgrammi per litro per l'acqua destinata al consumo umano;
   non è previsto un ulteriore limite esplicito per la concentrazione di cromo VI nelle acque destinate al consumo umano;
   è evidente che il decreto legislativo n. 31 del 2001 non abbia previsto un limite specifico per il cromo VI, per il semplice fatto che il suo livello nell'acqua potabile dovrebbe essere minimo, in conformità con quanto stabilito dal testo unico in materia ambientale (il decreto legislativo n. 152 del 2006) che considera contaminate quelle acque sotterranee in cui la concentrazione di cromo VI sia superiore a 5 microgrammi per litro;
   questa considerazione implicita contenuta nel decreto legislativo n. 31 del 2001 ha creato però una distorsione interpretativa della legge, inducendo alcuni organi preposti al controllo a verificare, sì, il limite di 5 microgrammi per litro di cromo VI per le acque di falda, ma non a verificare lo stesso limite per l'acquedotto, permettendo il consumo di acqua con concentrazioni di cromo VI che possono arrivare fino a 50 microgrammi per litro (quantità dieci volte maggiore a quella prescritta dal decreto legislativo n. 152 del 2006);
   appare, quindi, esservi una chiara contraddizione tra le forme di tutela introdotte per le acque sotterranee e quelle erogate all'utenza;
   è risaputo, inoltre, quanto il cromo esavalente sia carcinogenico e mutagenico;
   permettere una concentrazione di cromo esavalente pari a 50 microgrammi per litro nelle acque destinate al consumo umano significa innalzare la concentrazione di una sostanza cancerogena che non dovrebbe essere somministrata al corpo umano, in quanto si lega alle proteine e al dna causando mutazioni genetiche e aberrazioni cromosomiche;
   inoltre, dal 26 dicembre 2014, l'acqua potabile italiana dovrà contenere meno piombo. Entrano, infatti, in vigore i nuovi limiti previsti dal decreto legislativo n. 31 del 2001, che riduce di oltre la metà la quantità ammessa, da 25 a 10 microgrammi per litro. Un limite che in realtà era già stato previsto da una direttiva europea del 1998, ma che, in Italia, non è stato possibile rendere efficace da subito. Si è così disposta una fase di transizione, per consentire un adeguamento graduale per tutti gli edifici, pubblici e privati, da parte di regioni, asl e gestori degli acquedotti;
   il piombo, infatti, è un metallo tossico. Può causare disturbi neurologici e del comportamento, malattie cardiovascolari e, secondo il recente allarme dell'Organizzazione mondiale della sanità, anche ritardi nello sviluppo neurologico dei bambini. Senza dimenticare problemi ai reni, ipertensione, ridotta fertilità, aborti, ritardo nella maturazione sessuale e alterato sviluppo dentale. Tuttavia, al momento, non è possibile conoscere la situazione degli edifici italiani, perché non esistono dei dati aggiornati e precisi sugli edifici. La presenza di piombo è legata alle tubature vecchie, fatte in piombo. Non è stato possibile adeguarsi da subito ai limiti imposti dall'Europa perché sarebbero state troppe le risorse da spendere per mettersi in regola, così si è deciso per una fase di transizione, in modo da consentire un passaggio graduale;
   anche l'Istituto superiore di sanità ha da poco pubblicato sul sito una «Nota informativa in merito alla potenziale contaminazione da piombo in acque destinate a consumo umano», ma neanche questa presenta dati aggiornati. Sugli edifici ad uso privato, spiega l'Istituto superiore di sanità, «i dati di alcune Regioni evidenziano sporadiche criticità in vecchie costruzioni», e si cita il caso della Toscana, e in particolare di Firenze, dove si stima che circa il 30 per cento degli edifici sia a rischio e dove è stato rilevato un superamento del valore di 10 microgrammi per litro su circa il 5 per cento di campioni analizzati. Generalmente, rassicura l'Istituto superiore di sanità le acque fornite dal gestore del servizio idrico contengono livelli di piombo significativamente inferiori ai 10 microgrammi, anche se concentrazioni superiori possono essere riscontrate al punto d'utenza in edifici con tubature, rubinetteria o altre componenti o saldature in piombo o stagno, per via della corrosione dei materiali con conseguente rilascio del metallo nell'acqua. I centri o i quartieri storici sono le aree più a rischio. Quindi, ancora una volta, dovranno essere i singoli cittadini a preoccuparsi e pagare per l'eventuale messa a norma delle tubature delle abitazioni;
   inoltre, il rapporto di Legambiente «Ecosistema Urbano», sempre per quanto riguarda gli investimenti relativi alle acque, ha segnalato nell'ottobre 2013 come il 30 per cento dell'acqua non venga consumata e vada perduta;
   dalla ricerca emerge che la dispersione della rete (ossia la differenza percentuale tra l'acqua immessa e quella consumata) offra un panorama variegato per cui si passa dal 10 per cento di Pordenone e Reggio Emilia al 68 per cento dell'Aquila e di Cosenza, ma in linea generale, in oltre la metà delle città italiane, si perde quasi un terzo dell'acqua immessa;
   infine, il 23 gennaio 2014, è stata data notizia che l'Italia risulta inadempiente sul trattamento delle acque reflue. La Commissione europea ha, infatti, presentato ricorso alla Corte di giustizia dell'Unione europea, lamentando la non corretta attuazione in varie parti del territorio nazionale di una direttiva del maggio 1991. Secondo Bruxelles, l'Italia avrebbe omesso di prendere le disposizioni necessarie per garantire che gli agglomerati, aventi un numero di abitanti superiore a 10.000 e scaricanti in acque recipienti considerate «aree sensibili», siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane (comuni lombardi di Bareggio, Cassano d'Adda, Melegnano, Mortara, Olona Nord, Olona Sud, Robecco sul Naviglio, San Giuliano Milanese Est, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Trezzano sul Naviglio, Turbigo e Vigevano). Inoltre, non sarebbero state prese le disposizioni necessarie a garantire che le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente o, in altri casi, ad un trattamento «più spinto». Infine, per non aver preso le disposizioni necessarie per la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, realizzati per garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e affinché la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico;
   non sono state, inoltre, prese le disposizioni necessarie per garantire che, negli agglomerati aventi un numero di abitanti equivalenti o superiore a 10.000, le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente (comuni di Pescasseroli (Abruzzo), Aviano Capoluogo, Cormons, Gradisca d'Isonzo, Grado, Pordenone/Porcia/Roveredo/Cordenons, Sacile (Friuli Venezia Giulia), Bareggio, Broni, Calco, Cassano d'Adda, Casteggio, Melegnano, Mortara, Orzinuovi, Rozzano, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Somma Lombardo, Trezzano sul Naviglio, Turbigo, Valle San Martino, Vigevano, Vimercate (Lombardia), Pesaro, Urbino (Marche), Alta Val Susa (Piemonte), Nuoro (Sardegna), Castellammare del Golfo I, Cinisi, Terrasini (Sicilia), Courmayeur (Valle d'Aosta) e Thiene (Veneto));
   così come non sono state assunte le disposizioni necessarie affinché la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, realizzati per ottemperare ai requisiti fissati agli articoli da 4 a 7 della direttiva 91/271/CEE, siano condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e affinché la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico (comuni di Pescasseroli (Abruzzo), Aviano Capoluogo, Cividale del Friuli, Codroipo/Sedegliano/Flaibano, Cormons, Gradisca d'Isonzo, Grado, Latisana Capoluogo, Pordenone/Porcia/Roveredo/Cordenons, Sacile, San Vito al Tagliamento, Udine (Friuli Venezia Giulia), Frosinone (Lazio), Bareggio, Broni, Calco, Cassano d'Adda, Casteggio, Melegnano, Mortara, Orzinuovi, Rozzano, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Somma Lombardo, Trezzano sul Naviglio, Turbigo, Valle San Martino, Vigevano, Vimercate (Lombardia), Pesaro, Urbino (Marche), Alta Val Susa (Piemonte), Francavilla Fontana, Montelasi, Trinitapoli (Puglia), Dorgali, Nuoro, ZIR Villacidro (Sardegna), Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini, Trappeto (Sicilia), Courmayeur (Valle d'Aosta) e Thiene (Veneto));
   la Commissione europea afferma, in sostanza, che «la mancanza di idonei sistemi di raccolta e trattamento, previsti dall'Unione europea già dal 1998, comporta rischi per la salute umana, le acque interne e l'ambiente marino». Nonostante «i buoni progressi – spiega la Commissione europea – la gravità delle persistenti lacune ha indotto ad adire nuovamente alla Corte di giustizia»;
   già con la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (settima sezione) del 19 luglio 2012 ”Commissione Europea contro Repubblica Italiana, Inadempimento di uno Stato alla Direttiva 91/271/CEE, sul Trattamento delle acque reflue urbane (Causa C-565/10), la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia per non aver predisposto adeguati sistemi per il convogliamento e il trattamento delle acque reflue in numerosi centri urbani con oltre 15.000 abitanti, ai sensi degli articoli 3, 4, paragrafi 1 e 3, e 10 della direttiva 91/271/CEE, come modificata dal regolamento (CE) n. 1137/2008;
   secondo l'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 91/271/CEE, gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti superiore a 15.000 avrebbero dovuto essere provvisti di reti fognarie per le loro acque reflue urbane entro il 31 dicembre 2000. L'articolo 4, paragrafo 1, prevede che, negli agglomerati con oltre 15.000 abitanti, la totalità delle acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie devono, prima dello scarico, essere sottoposte ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, al più tardi entro il 31 dicembre 2000. L'articolo 10 prevede che la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane realizzati per ottemperare ai requisiti fissati dalla direttiva debbano essere condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche e tenendo conto delle variazioni stagionali di carico;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha preso atto della rinuncia della Commissione europea a procedere riguardo ad alcuni agglomerati urbani, avendo l'Italia posto rimedio a numerose situazioni non conformi. Per gli altri agglomerati l'Italia è stata considerata inadempiente. Si tratta di 116 centri urbani non in regola con le disposizioni della direttiva;
   di questi, 51 erano sprovvisti delle reti fognarie per le acque reflue urbane ai sensi dell'articolo 3 della direttiva (18 in Calabria, uno in Friuli, uno nel Lazio, 3 in Puglia e 28 in Sicilia), mentre 92 risultano sprovvisti di adeguati impianti di trattamento secondario delle acque reflue ai sensi dell'articolo 4, paragrafi 1 e 3, e dell'articolo 10 della direttiva (uno in Abruzzo, 9 in Calabria, 10 in Campania, uno in Friuli, 9 in Liguria, 5 in Puglia e 57 in Sicilia);
   considerato quanto disposto dall'articolo 155 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il quale afferma chiaramente che «Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'Autorità d'ambito, che lo mette disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito», appare grave agli interpellanti che tali interventi di fognatura e depurazione in molti comuni tuttora non siano stati effettuati –:
   se sia effettuato un monitoraggio periodico della risorsa idrica, costante ed esteso a tutto il territorio nazionale, in relazione agli inquinanti comuni quali arsenico, vanadio e fluoruri, come stabilito dal decreto legislativo n. 31 del 2001;
   se le analisi siano state pubblicate secondo quanto previsto dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE, per l'accesso alle informazioni ambientali che non richiede l'obbligo della motivazione, come confermato dall'articolo 3-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», che ha introdotto l'istituto dell'accesso civico che consente a tutti i cittadini senza limiti di legittimazione e senza obbligo di motivazione di accedere a documenti, informazioni e dati per i quali sia previsto l'obbligo di pubblicazione;
   quali siano i dati attuali relativi ai 128 comuni a cui nel 2010 la Commissione europea voleva negare la deroga ai limiti di potabilità;
   se il Ministro interpellato ritenga che sia stata data corretta informazione ai cittadini rispetto a questi dati e se non intenda renderli noti, anche fornendo la relativa documentazione, fondamentale per la tutela della salute e dell'ambiente;
   se il Governo abbia fornito il rendiconto triennale relativo alla presenza di sostanze nell'acqua che gli Stati membri sono tenuti a fornire alla Commissione europea, e quale sia il periodo di riferimento dell'ultimo rendiconto;
   se la task force istituita con il decreto ministeriale 13 dicembre 2013, n. 358, si occuperà del monitoraggio dell'effettiva realizzazione degli investimenti necessari sia sul fronte della depurazione sia sul fronte delle infrastrutture per la distribuzione della risorsa;
   di quali elementi il Ministro interpellato disponga circa le azioni poste in essere da gestori idrici, autorità d'ambito e regioni per il rientro in conformità delle acque secondo il rigoroso cronoprogramma parte integrante della deroga;
   quali iniziative urgenti il Ministro interpellato intenda porre in essere per la tutela della salute e dell'ambiente e per affrontare il grave problema messo in evidenza dal ricorso presentato dalla Commissione europea contro l'Italia relativamente al trattamento delle acque reflue urbane.
(2-00452) «Daga, Busto, De Rosa, Terzoni, Mannino, Segoni, Zolezzi, Micillo, Colonnese, Nesci, Carinelli, Luigi Di Maio, Vignaroli, Fico, Cecconi, Baroni, Silvia Giordano, Dall'Osso, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero, Luigi Gallo, Brescia, Marzana, D'Uva, Di Benedetto, Vacca, Simone Valente, Battelli».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC :

consumo alimentare

acqua potabile

zona urbana

trattamento dell'acqua

sostanza tossica

sicurezza alimentare

protezione delle acque