ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00102

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 571 del 17/01/2012
Abbinamenti
Atto 6/00099 abbinato in data 17/01/2012
Atto 6/00100 abbinato in data 17/01/2012
Atto 6/00101 abbinato in data 17/01/2012
Firmatari
Primo firmatario: BERNARDINI RITA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 17/01/2012
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
MECACCI MATTEO PARTITO DEMOCRATICO 17/01/2012
BELTRANDI MARCO PARTITO DEMOCRATICO 17/01/2012
FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA PARTITO DEMOCRATICO 17/01/2012
TURCO MAURIZIO PARTITO DEMOCRATICO 17/01/2012
ZAMPARUTTI ELISABETTA PARTITO DEMOCRATICO 17/01/2012


Stato iter:
17/01/2012
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 17/01/2012
Resoconto SEVERINO DI BENEDETTO PAOLA MINISTRO - (GIUSTIZIA)
 
DICHIARAZIONE VOTO 17/01/2012
Resoconto MELCHIORRE DANIELA MISTO-LIBERAL DEMOCRATICI-MAIE
Resoconto PISICCHIO PINO MISTO-ALLEANZA PER L'ITALIA
Resoconto BUONFIGLIO ANTONIO MISTO-FAREITALIA PER LA COSTITUENTE POPOLARE
Resoconto PALOMBA FEDERICO ITALIA DEI VALORI
Resoconto LEHNER GIANCARLO POPOLO E TERRITORIO (NOI SUD-LIBERTA' ED AUTONOMIA, POPOLARI D'ITALIA DOMANI-PID, MOVIMENTO DI RESPONSABILITA' NAZIONALE-MRN, AZIONE POPOLARE, ALLEANZA DI CENTRO-ADC, LA DISCUSSIONE)
Resoconto NAPOLI ANGELA FUTURO E LIBERTA' PER IL TERZO POLO
Resoconto RAO ROBERTO UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO
Resoconto MOLTENI NICOLA LEGA NORD PADANIA
Resoconto ORLANDO ANDREA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto COSTA ENRICO POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto PEPE MARIO (PD) PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto PUGLIESE MARCO MISTO
Resoconto CONSOLO GIUSEPPE FUTURO E LIBERTA' PER IL TERZO POLO
Resoconto PORFIDIA AMERICO MISTO-NOI PER IL PARTITO DEL SUD LEGA SUD AUSONIA
Resoconto BERNARDINI RITA PARTITO DEMOCRATICO
Fasi iter:

NON ACCOLTO IL 17/01/2012

PARERE GOVERNO IL 17/01/2012

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 17/01/2012

DISCUSSIONE IL 17/01/2012

RESPINTO IL 17/01/2012

CONCLUSO IL 17/01/2012

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00102
presentata da
RITA BERNARDINI
testo di
martedì 17 gennaio 2012, seduta n.571

La Camera,
udite le comunicazioni del ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150;
premesso che:
la crisi della giustizia e delle carceri, a causa dei numerosi e complessi problemi cui non si è data in tanti anni adeguata risposta da parte del legislatore e del Governo, rappresenta la più grave questione sociale del nostro Paese perché colpisce direttamente milioni di persone vittime della lentezza dei processi, di condizioni di detenzione intollerabili e di reati che restano impuniti, con ciò minando alle fondamenta il principio stesso di legalità e certezza del diritto;
è un dato oggettivo e non più un'opinione di alcuni che lo stato della giustizia nel nostro Paese abbia raggiunto livelli di inefficienza assolutamente intollerabili, sconosciuti in altri paesi democratici, per i quali l'Italia versa, da anni ed in modo permanente, in una situazione di sostanziale illegalità, tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo;
il diritto ad ottenere giustizia è garantito a tutti dalla Costituzione repubblicana, ma è oggi posto seriamente in discussione: le attuali condizioni degli uffici giudiziari italiani e del sistema giustizia nel suo complesso, unitamente ad una mancata riforma organica della normativa sostanziale e processuale, impediscono di fatto di assicurarlo in tempi brevi e in modo efficace;
il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, nella risoluzione del 2 dicembre 2010, ha posto sotto osservazione speciale lo stato della giustizia del nostro Paese e ha ribadito che i tempi eccessivi dei procedimenti giudiziari pongono in discussione la stessa riconoscibilità nel nostro Paese di un vero e proprio Stato di diritto, tutto ciò prospettando il rischio di gravi sanzioni a carico dell'Italia, con disdoro internazionale dell'immagine del Paese e vanificazione dei sacrifici sopportati dai cittadini per costruire una nazione degna di far parte del gruppo di testa della Comunità europea;
nel settore civile i fascicoli accumulati sono oltre 5 milioni e mezzo, una montagna di carta che, secondo recenti stime, si traduce in quasi 96 miliardi di euro di mancata ricchezza (pari al 4,8% del PIL). La lentezza dei processi frena la crescita per cittadini, imprese e investimenti esteri con costi enormi per il Paese; un recente studio di Confindustria ha calcolato che il solo abbattimento del 10% dei tempi della giustizia civile potrebbe determinare un incremento dello 0,8% del PIL. L'Ufficio studi di Confartigianato stima che la giustizia-lumaca sottrae agli imprenditori risorse per 2,2 miliardi di euro;
in tema di competitività del sistema giudiziario, il rapporto «Doing Business 2012» della Banca Mondiale risulta addirittura impietoso, atteso che per esso l'Italia risulta essere il fanalino di coda nella Unione europea e 158esima sui complessivi 183 paesi del pianeta. Secondo il citato rapporto, nel nostro Paese servono 1.210 giorni per tutelare un contratto (in Germania 394, in Gran Bretagna 389 e in Francia 331) ossia ben 692 giorni in più rispetto alla media dei 518 paesi dell'Ocse. Stime della Banca d'Italia indicano un impressionante deficit pubblico giudiziario tutto da sanare e osservano che «la perdita annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a un punto percentuale», basti pensare che le aziende straniere incassano i danni nel giro di 12 mesi, mentre quelle italiane devono aspettare in media oltre tre anni oppure accettare accordi al ribasso, e nel frattempo chiedere prestiti per sopravvivere. Per non parlare dei fallimenti, che durano in media non meno di 10 anni;
nel settore della giustizia penale i procedimenti pendenti ammontano a circa 3.300,00, cifra che sale a più di 5.000.000 se nella conta si includono anche i procedimenti pendenti nei confronti di ignoti. In media, ogni anno, si hanno tre milioni di notizie di reato e se a ciò si aggiunge la cifra oscura del crimine si è portati inevitabilmente a delineare uno scenario dirompente. La durata media dei procedimenti presso le procure della Repubblica è di circa 400 giorni; quella dei processi penali davanti ai tribunali si attesta intorno ai 350 giorni, mentre i procedimenti davanti alle Corti d'appello durano in termini assoluti più di 730 giorni. Ma la situazione della giustizia penale è addirittura ben peggiore di quella che emerge da tali dati: questi, infatti, si riferiscono a medie che comprendono anche i processi che si esauriscono in pochi giorni, se non in poche ore e comunque non tengono conto del lasso temporale che intercorre, ad esempio, per la redazione del provvedimento definitorio e per la trasmissione degli atti al giudice della fase successiva;
dall'analisi che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha compiuto sulle proprie decisioni nel cinquantennio 1959-2010 risulta che l'Italia ha riportato 2.121 condanne, la maggior parte delle quali dovute all'eccessiva lunghezza dei processi (1.139); alla mancanza di un equo processo (238); alla violazione del diritto di proprietà (297) e alla violazione del diritto ad un ricorso effettivo (76). Il nostro Paese risulta quindi quello tra i più condannati in ambito dell'Unione europea; mentre rispetto alla più ampia platea dei 47 paesi che aderiscono alla CEDU, il nostro Paese si attesta al secondo posto superato solo dalla Turchia (Turchia 2.573; Italia 2.121, Russia 1.079);
rispetto a tale situazione la stessa introduzione della cosiddetta «legge Pinto», strumentalmente approvata al solo fine di evitare continue condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, ha ulteriormente sovraccaricato i ruoli delle Corti di appello e, d'altra parte, per quanto è stato autorevolmente affermato, se tutti gli aventi diritto dovessero agire nei confronti dello Stato sulla base della cosiddetta «legge Pinto», lo Stato stesso sarebbe costretto a dichiarare bancarotta;
ed invero dall'entrata in vigore della cosiddetta legge Pinto, sono stati promossi dinanzi alle Corti d'appello quasi 40.000 procedimenti camerali per l'equa riparazione dei danni derivanti dall'irragionevole durata del processo, con costi enormi per le finanze dello Stato (nel 2008 il danno per le casse dello Stato è stato di 81,3 milioni di euro, l'anno successivo è lievitato a 267 e nel 2010 ha superato i 300 milioni), il quale, inoltre, ritarda nel pagamento degli indennizzi già liquidati in via giudiziale, al punto che la stessa Corte di Strasburgo, nel comunicato stampa n. 991 del 21 dicembre 2010, ha reso noto di aver pronunziato, in un solo mese, 475 sentenze di condanna dell'Italia per ritardati pagamenti di indennizzi e che presso di essa sono già pendenti oltre 3.900 ricorsi aventi il medesimo fondamento;
l'oggettiva impossibilità di evadere nel settore penale un numero così elevato di carichi pendenti ha indotto in passato alcune procure della Repubblica ad emanare circolari nelle quali viene stabilita una scala di priorità nella trattazione dei procedimenti, ciò in aperta violazione della legalità giudiziaria stabilita dal precetto costituzionale e codicistico dell'obbligatorietà dell'azione penale;
negli ultimi dieci anni, a causa dell'eccessivo ed esorbitante numero dei procedimenti pendenti, sono stati dichiarati estinti per intervenuta prescrizione poco meno di due milioni di reati (in media, ogni anno, si registrano in Italia circa 180 mila prescrizioni con un costo per i contribuenti di poco più di 84 milioni di euro), il che ha dato vita ad una vera e propria amnistia strisciante, crescente, nascosta, di classe e non governata;
il sistema giudiziario italiano si contraddistingue inoltre per non essere in grado di far fronte alla massa crescente dell'illegalità che pervade il Paese. La giustizia relativa ai reati minori sta addirittura scomparendo, schiacciata dalle esigenze di quella maggiore. Sicché la giustizia italiana, avendo smarrito la sua funzione di forza stabilizzante e riparatrice, non può più dare né speranza né conforto, e genera invece sofferenza. Anche da questo punto di vista i numeri confermano largamente la crisi in atto. Infatti, su circa tre milioni di delitti denunziati, quasi due terzi riguardano i furti, di cui rimangono ignoti gli autori nella misura del 97,4 per cento. Del resto anche per gli altri reati non è che vada molto meglio, giacché su omicidi, rapine, estorsioni e sequestri di persona a scopo di estorsione, la percentuale media degli autori che rimane impunita supera l'80 per cento;
l'elevato numero dei reati che ogni anno rimangono sostanzialmente impuniti, unito all'enorme numero di processi pendenti e all'impossibilità che questi siano definiti in tempi ragionevoli, ha ormai determinato una sfiducia generalizzata dei cittadini nel sistema giustizia tale da rendere sempre più concreto il pericolo che si ricorra a forme di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Del resto se si pensa che ogni processo penale coinvolge un numero di persone, come imputati o parti lese, certamente superiore alle cifre sopra indicate, si ha subito la sensazione concreta dell'entità dell'interesse e del malcontento che per la giustizia hanno i cittadini. Non senza considerare le spese e i costi materiali e le ansie che i processi comportano per ciascuna delle persone coinvolte e dei loro familiari;
le numerose condanne che ancora vengono pronunciate nei confronti dell'Italia dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo testimoniano come le misure adottate dal nostro Paese in questi ultimi due decenni non siano risultate idonee ad assicurare il ripristino di condizioni di funzionamento dell'apparato giudiziario ritenute normalmente accettabili a livello internazionale;
la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente un sistema giudiziario efficiente, per il cui miglioramento è necessario realizzare riforme normative organiche e stanziare risorse adeguate e idonee a realizzare un effettivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia;
per realizzare una seria riforma della giustizia occorre un progetto organico di interventi diretti a restituire credibilità ed efficienza all'intero sistema giudiziario, allo scopo di farlo funzionare, fornendo risposte rapide ed efficienti alle attese dei cittadini e assicurando loro una ragionevole durata dei processi civili e penali, nel rispetto dell'articolo 111 della Costituzione e senza rinunziare alle altre garanzie costituzionali;
il sistema giudiziario, oltre che efficiente, va reso anche giusto e garantito, sicché occorre realizzare una riforma complessiva del diritto e del processo penale, il cui obiettivo sia quello di assicurare non solo l'efficacia del sistema giudiziario, ma anche l'affermazione di principi quali, tra gli altri, la terzietà del giudice, la responsabilità civile dei magistrati e il superamento del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale;
in particolare, per il sistema penale, è di massima importanza introdurre strumenti di deflazione del carico di lavoro degli uffici inquirenti e giudicanti quali: la depenalizzazione dei reati minori, l'introduzione dell'istituto dell'archiviazione dell'irrilevanza penale del fatto e la mediazione dei conflitti interpersonali. In questa stessa chiave assume un ruolo strategico la previsione di una clausola di necessaria offensività del fatto penale. Già da sole, queste innovazioni assicurerebbero maggiore razionalità, coerenza ed efficienza al sistema penale;
considerato inoltre che:
la situazione di grave crisi e sfascio in cui versa il nostro apparato giudiziario incide pesantemente sulla sua appendice ultima, quella carceraria, sicché nel contesto dato i concetti stessi di «pena certa» e di esecuzione «reale» della stessa rischiano di risultare fortemente limitativi se non del tutto fuorvianti;
il numero elevato ed in costante crescita della popolazione detenuta, che al 31 dicembre 2011 ammontava a 67.600 unità - a fronte di una capienza regolamentare ufficiale di 45.320 posti -, produce un sovraffollamento insostenibile delle nostre strutture penitenziarie (la popolazione detenuta risulta in sovrannumero di ben 22.280 unità);
i nostri istituti di pena stanno affrontando una fase di profonda regressione perché «affogati» e privi di funzionalità a causa dell'aumento di misure contraddittorie ed incontrollabili nell'ambito dell'esecuzione pena e del sistema penitenziario;
sempre al 31 dicembre 2011 i condannati con sentenza definitiva risultavano essere 37.591, mentre i detenuti ristretti in custodia cautelare 28.220, di questi ben 14.260 sono in attesa della sentenza di primo grado. In pratica il 42 per cento dei reclusi - ossia una percentuale quasi doppia rispetto a quella della media europea - è in attesa di giudizio e quasi la metà di loro verrà assolta all'esito del processo; il che significa che il ricorso sempre più frequente alla misura cautelare in carcere e la lunga durata dei processi - dato abnorme e anomalia tipicamente italiana - costringe centinaia di migliaia di presunti innocenti a scontare lunghe pene in condizioni spesso illegali e disumane;
nel corso del convegno: «Giustizia! In nome del popolo sovrano», svoltosi lo scorso 28 e 29 luglio presso il Senato della Repubblica, il dottor Ernesto Lupo, primo presidente della Corte di Cassazione, ha dichiarato: «[...]Tenere sempre presente la concreta realtà carceraria può e deve costituire un efficace antidoto all'uso non necessitato della custodia cautelare e contribuire a far diminuire il dato percentuale dei detenuti imputati, oggi ancora elevato, per quanto inferiore a quello degli anni passati. [...]Il carcere, in queste condizioni, rischia di essere un fattore generatore di illegalità, in contrasto palese e inaccettabile con la sua fisionomia normativa [...]»;
complessivamente, a febbraio 2011, i condannati ammessi ad una misura alternativa risultavano essere 16.018, dei quali 8.604 sono in affidamento ai servizi sociali, 858 in semilibertà e 6.556 in detenzione domiciliare. Tra quanti in Italia stanno scontando una condanna definitiva, il 34,4 per cento ha un residuo di pena inferiore ad un anno, addirittura il 62,9 per cento inferiore a tre anni, soglia che rappresenta il limite di pena per l'accesso alle misure alternative della semilibertà e dell'affidamento in prova, il che dimostra come in Italia il sistema delle misure alternative si sia sostanzialmente inceppato; ciò sebbene le statistiche abbiano dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che il detenuto che sconta la pena con una misura alternativa ha un tasso di recidiva bassissimo, mentre chi sconta la pena in carcere torna a delinquere con una percentuale vicina al 70 per cento; le misure alternative quindi abbattono i costi della detenzione, riducono la possibilità che la persona reclusa commetta nuovi reati aumentando la sicurezza sociale e sconfiggono il deleterio «ozio del detenuto» avviandolo a lavori socialmente utili con diretto vantaggio per l'intera comunità;
il 30 per cento dei detenuti è tossicodipendente, il 20 per cento invece è affetto da patologie psichiatriche. Negli ultimi 12 anni (periodo 2000-2011) nelle carceri italiane sono morti 1.856 detenuti, e altri 700 si sono tolti la vita. Nel 2011 all'interno dei nostri istituti di pena si sono verificati 186 decessi, di cui 66 suicidi. In Italia la percentuale delle morti violente in carcere su 10.000,00 detenuti è pari al 10,24 per cento, negli Stati Uniti del 2,55 per cento: in pratica nelle carceri italiane le morti violente accadono con una frequenza addirittura 4 volte maggiore rispetto a quanto avviene nei famigerati penitenziari americani;
in tale contesto si registra, inoltre, una gravissima carenza organica del Corpo di polizia penitenziaria per circa 7.500,00 unità; situazione che riguarda anche il personale addetto al trattamento e alla rieducazione dei detenuti: educatori e assistenti sociali per non parlare degli psicologi, figura professionale importantissima, in via di estinzione nelle nostre carceri;
il sovraffollamento, la mancanza di spazi, l'inadeguatezza delle strutture carcerarie, la carenza degli organici e del personale civile, lo stato di sofferenza in cui versa la sanità all'interno delle carceri, tutto ciò provoca una situazione contraria ai principi costituzionali ed alle norme del regolamento penitenziario impedendo il trattamento rieducativo e minando l'equilibrio psico-fisico dei detenuti, con incremento, negli ultimi due anni, dei suicidi e di gravi malattie; ed invero il sovraffollamento ha effetti dirompenti, tra l'altro, proprio sulle condizioni di salute dei reclusi, ai quali non vengono garantite le più elementari norme igieniche e sanitarie, atteso che gli stessi sono costretti a vivere in uno spazio che non corrisponde a quello minimo vitale, con una riduzione della mobilità che è causa di patologie specifiche;
il sovraffollamento rischia di assumere dimensioni tali da creare addirittura problemi di ordine pubblico; in questa situazione di emergenza la funzione rieducativa e riabilitativa della pena è venuta meno; il rapporto numerico tra detenuti ed educatori e assistenti sociali ha frustrato ogni possibile serio tentativo di intraprendere e seguire, per la maggior parte dei reclusi, percorsi individualizzati così come previsto dall'ordinamento penitenziario. Tutto ciò rappresenta innanzitutto una questione di legalità perché nulla è più disastroso che far vivere chi non ha recepito il senso di legalità - avendo commesso reati - in una situazione di palese non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto viene attuato in pratica ed è quotidianamente vissuto dagli operatori del settore e dai detenuti stessi;
l'enorme tasso di sovraffollamento comporta automaticamente porsi fuori dalle regole minime, costituzionalmente previste, della funzione rieducativa della pena per scadere in quei trattamenti contrari al senso di umanità sanzionati non solo dal nostro ordinamento giuridico, ma anche dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo se è vero, come è vero, che recentemente lo Stato italiano è stato condannato - sulla base dell'articolo 3 della Convenzione (divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti) - a mille euro di risarcimento per aver costretto un detenuto a vivere due mesi e mezzo all'interno di una cella in uno spazio di appena 2,7 metri quadrati (Sulejmanovic c. Italia - ricorso n. 22635/03);
nel gennaio 2010 il ministro della giustizia aveva comunicato all'Assemblea del Senato che per affrontare la drammatica situazione del nostro sistema carcerario il Consiglio dei ministri aveva disposto la dichiarazione dello stato di emergenza per tutto il 2010: uno «strumento fondamentale» a parere del ministro - per provvedere alla realizzazione di quegli interventi che avrebbero consentito di rispettare il precetto dell'articolo 27 della Costituzione, secondo il quale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
il cosiddetto Piano carceri per il 2010, rimane in gran parte inattuato: il primo pilastro del piano, relativo agli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione di nuovi padiglioni e di istituti necessari ad aggiungere oltre 20.000 posti alla dotazione disponibile, è molto lontano dall'essere realizzato: come ammesso dalla stessa amministrazione penitenziaria solamente per la creazione di 10.806 nuovi posti ci sarebbe una adeguata copertura finanziaria, senza però considerare i costi per il personale da assumere per le nuove strutture, la gestione quotidiana delle carceri, per non parlare dell'eventuale costo del lavoro dei detenuti. Si punta tutto sulla realizzazione di nuovi padiglioni da costruirsi all'interno delle mura di cinta di istituti penitenziari già esistenti occupando, quindi, spazi oggi a disposizione del personale penitenziario o della popolazione detenuta per attività sportive o ricreative che si tengono all'aperto, attività essenziali ad assicurare quel minimo di vivibilità delle attuali strutture;
non si è ancora interamente proceduto alle duemila assunzioni di nuovi agenti di polizia penitenziaria che avrebbero dovuto costituire il terzo pilastro del piano. Inoltre, riguardo agli interventi normativi annunciati - il secondo pilastro del piano del ministro - la legge sull'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori un anno (legge n. 99 del 2010) sta avendo effetti trascurabili sulla popolazione penitenziaria;
di fronte alle drammatiche condizioni di vita dei detenuti, il «piano carceri» fornisce risposte di tutta evidenza inadeguate. È indispensabile l'elaborazione e l'attuazione di un progetto che punti insieme alla riduzione della pena carceraria e, soprattutto, dell'area della penalità; occorre inoltre riavviare il sistema delle misure alternative, ripensando quel meccanismo di preclusioni automatiche che - soprattutto con riferimento ai condannati a pene brevi - ha finito per imprimere il colpo mortale alla capacità di assorbimento del sistema penitenziario; su tale versante è anche necessario rafforzare e rendere più estesa l'applicazione della detenzione domiciliare quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
intervenendo in occasione del convegno: «Giustizia! In nome del popolo sovrano», svoltosi lo scorso 28 e 29 luglio presso il Senato della Repubblica, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dichiarato che la giustizia «è una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile» e che la realtà carceraria rappresenta «un'emergenza assillante, fuori del trattato costituzionale, che ci umilia in Europa e nel mondo», sollecitando quindi dalla politica «uno scatto e delle risposte»;
nel libro «Diritti e Castighi», Lucia Castellano e Donatella Stasio - rispettivamente direttrice di carcere e giornalista - hanno definito la condizione carceraria presente all'interno dei nostri istituti di pena con l'espressione «tortura legalizzata»;
in un recente saggio il dottor Alberto Gargani, professore di diritto penale, studiando il rapporto tra sovraffollamento e violazione dei diritti umani, ha scritto che nei confronti dei detenuti vengono consumate quotidianamente forme di maltrattamento massive e seriali a causa dell'eccessivo numero delle persone ristrette all'interno dei nostri istituti di pena;
con riferimento alla situazione esistente all'interno dei nostri istituti di pena, nel 2006 il dottor Sebastiano Ardita - allora responsabile della direzione generale dei detenuti e trattamento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - ha dichiarato: «siamo consapevoli di versare in una situazione di grave, perdurante, quanto involontaria ed inevitabile divergenza dalle regole, per il fatto di non essere nella materiale possibilità di garantire, a causa del sovraffollamento, quanto previsto dalle normative vigenti e dal recente regolamento penitenziario» (fonte ANSA 1o marzo 2006);
il dottor Francesco Cascini, magistrato, responsabile del servizio ispettivo del DAP, in occasione del workshop realizzato all'interno del seminario per giornalisti «Redattore Sociale» tenutosi nel novembre 2009 ha reso noto che «in tutti i paesi europei ci sono circa 500 mila detenuti, di cui 130 mila in attesa di giudizio. L'Italia contribuisce con oltre 31mila detenuti. È di gran lunga il Paese con il numero più alto di detenuti in attesa di giudizio»;
in questo contesto, le condizioni disumane in cui si espia la pena in carcere sono diventate più una forma di perpetuazione dell'ingiustizia, piuttosto che uno strumento di affermazione della certezza del diritto anche nel suo aspetto punitivo; nei nostri istituti di pena vengono recluse, infatti, soprattutto le persone meno in grado di utilizzare la pressoché paralisi del sistema giudiziario a proprio vantaggio, per esempio attraverso l'istituto della prescrizione, o gli autori dei reati collegati a fenomeni sociali come l'immigrazione e la tossicodipendenza, che lo Stato aggrava con leggi più criminogene che adeguate a risolverli;
di fronte ad un sistema giudiziario e ad una realtà carceraria così ingiusti e così lontani dai loro veri scopi e alla luce delle gravi condizione igieniche e di vivibilità che hanno ormai trasformato la pena in una tortura legalizzata e il carcere in un sistema chiuso, sempre più patogeno e criminogeno, occorrono soluzioni immediate e radicali in grado di assicurare l'improcrastinabile rientro da parte del nostro Paese nel perimetro della legge e dello stato di diritto;
ritenuto infine che:
in un contesto di tale sfascio e assenza di legalità, su iniziativa dei deputati e senatori radicali eletti nelle liste del partito democratico, in questa legislatura sono già state presentate e approvate risoluzioni e mozioni che hanno impegnato il precedente Governo a varare alcune importanti riforme sia in ambito giudiziario che penitenziario;
in particolare, nella seduta del 28 gennaio 2009 la Camera dei deputati, previo parere favorevole del Governo, ha approvato una risoluzione presentata dai deputati radicali eletti nelle liste del Partito Democratico, nella quale si chiede che si dia finalmente corso ad una riforma organica della giustizia di carattere democratico e liberale, fondata su alcuni capisaldi, tra i quali: l'abolizione della obbligatorietà dell'azione penale, in modo da non assoggettare più la stessa all'arbitrio delle procure della Repubblica; una modifica ordinamentale basata sul principio della effettiva separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti; la responsabilizzazione del pubblico ministero per l'osservanza delle priorità fissate; la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura che riconduca tale consesso all'originario ruolo attribuitogli dai costituenti, sottraendolo ai giochi di corrente e all'influenza del sindacato della magistratura; la reintroduzione di severi vagli della professionalità dei magistrati nel corso dei 40-45 anni della loro permanenza in carriera; la modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, con modalità tali da garantire ai cittadini ingiustamente danneggiati da provvedimenti del giudice o del pubblico ministero, di ottenere il risarcimento integrale dei danni direttamente dal magistrato, pur con la previsione di meccanismi volti ad eliminare il pericolo di azioni intimidatorie e strumentali; la revisione delle modalità di collocamento fuori ruolo dei magistrati e di attribuzione degli incarichi extragiudiziari, salvaguardando le contrapposte esigenze di non disperdere forza lavoro né, per contro, preziose professionalità; l'incompatibilità tra la permanenza nell'ordine giudiziario e l'assunzione di incarichi, elettivi e non, in rappresentanza di formazioni politiche; la promozione di una seria modernizzazione tecnologica degli uffici giudiziari; l'adeguamento numerico e la promozione di qualificazioni professionali degli organici del personale anche amministrativo; la notifica della natura dei termini processuali, con la previsione generalizzata di termini perentori e di sanzioni disciplinari per la loro inosservanza da parte dei magistrati; la radicale semplificazione delle modalità di modifica degli atti giudiziari; la definizione di tempi standard dei procedimenti civili e penali; la modifica delle procedure di nomina dei capi degli uffici e un potenziamento del ruolo gestionale del dirigente amministrativo dell'ufficio; una forte depenalizzazione ed una razionalizzazione delle fattispecie criminose;
inoltre nella seduta del 12 gennaio 2010 la Camera dei deputati, previo parere favorevole espresso dal Governo, ha approvato la mozione n. 1-00288 presentata dai deputati radicali eletti nelle liste del Partito Democratico e sottoscritta da quasi cento parlamentari aderenti a pressoché tutti i gruppi politici, con la quale il precedente esecutivo si era impegnato ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad attuare, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma davvero radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi, che preveda la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale; l'introduzione di meccanismi in grado di garantire una reale ed efficace protezione del principio di umanizzazione della pena e del suo fine rieducativo, assicurando al detenuto un'adeguata tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei suoi diritti; il rafforzamento sia degli strumenti alternativi al carcere previsti dalla cosiddetta legge «Gozzini», da applicare direttamente anche nella fase di cognizione, sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dalla estensione dell'istituto della messa alla prova, previsto dall'ordinamento minorile, anche nel procedimento penale ordinario; l'applicazione della detenzione domiciliare, quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità, anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti; l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extra-comunitari, quale strumento per favorirne l'integrazione ed il reinserimento sociale e quindi ridurre il rischio di recidiva; la creazione di istituti «a custodia attenuata» per tossicodipendenti, realizzabili in tempi relativamente brevi anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento; la piena attuazione del principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, in modo da poter esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest'ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza; l'adeguamento degli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti; il miglioramento del servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, in modo che la stessa possa trovare, finalmente, effettiva e concreta applicazione; l'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000 n. 193 (cosiddetta legge «Smuraglia»); l'esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini; una forte spinta all'attività di valutazione e finanziamento dei progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, nonché di aiuti alle loro famiglie, prevista dalla legge istitutiva della Cassa delle ammende;
nel corso della presente legislatura, i deputati radicali eletti nelle liste del PD hanno elaborato anche diverse proposte volte a tradurre in altrettanti articolati di legge i punti più rilevanti e salienti di entrambi i documenti sopra richiamati;
tuttavia le proposte contenute tanto nella risoluzione sulla giustizia del 28 gennaio 2009 quanto nella mozione sulle carceri del 12 gennaio 2010, sono state mano a mano «differite nel tempo», più o meno esplicitamente, fino al punto, oggi, da essere apparentemente accantonate nei fatti;
l'attuale situazione di profonda e devastante illegalità in cui versano il nostro sistema giudiziario e penitenziario non può essere affrontata con misure tanto effimere quanto intempestive sul fronte dell'edilizia penitenziaria, della depenalizzazione dei reati minori o del parziale rafforzamento delle misure alternative, ma solo con provvedimenti quali l'amnistia e l'indulto i quali avrebbero il pregio di riattivare immediatamente i meccanismi giudiziari ormai prossimi al collasso, evitando una dissennata lotta contro la prescrizione incombente, consentendo così al nostro Stato di rientrare nella legalità e di ricondurre il sistema carcerario a forme più umane, il che faciliterebbe l'avvio di quelle riforme strutturali e funzionali della Giustizia capaci di impedire il rapido ritorno alla situazione attuale;
l'amnistia e l'indulto, quindi, non rappresentano soltanto una risposta d'eccezione ed umanitaria al dramma della condizione carceraria, ma costituiscono la premessa indispensabile per l'avvio e l'approvazione di riforme strutturali relative al sistema delle pene, alla loro esecuzione e più in generale all'amministrazione della giustizia. Inoltre la loro approvazione è necessaria per ricondurre entro numeri sostenibili il carico dei procedimenti penali nonché per sgravare il carico umano che soffre in tutte le sue componenti (detenuti, personale civile, amministrativo e di custodia) la condizione disastrosa delle prigioni, perché nessuna giustizia e nessuna certezza della pena possono essere assicurate se uno Stato per primo non rispetta la propria legalità ed è impossibilitato a garantire la certezza del diritto,
impegna il Governo:
a dare concreta attuazione alla risoluzione n. 6-00012 approvata dalla Camera dei deputati il 28 gennaio 2009; nonché alla mozione n. 1-00288 approvata dalla Camera dei deputati in data 12 gennaio 2010;
a prevedere scadenze certe, rapide ed improrogabili entro le quali con adeguati provvedimenti dimezzare il numero dei procedimenti penali pendenti e ricondurre il numero dei detenuti all'interno della capienza regolamentare dei nostri istituti di pena;
a presentare per tale ultimo scopo un disegno di legge volto alla concessione di un'ampia amnistia e dell'indulto in grado, da un lato, di ridurre gran parte dell'arretrato pendente che attualmente soffoca l'amministrazione quotidiana della giustizia penale, con ciò liberando risorse umane ed economiche da riversare anche nel civile e, dall'altro, di ricondurre il sistema carcerario al rispetto del dettato costituzionale e della legalità internazionale.
(6-00102) «Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Farina Coscioni, Maurizio Turco, Zamparutti».