ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00078

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 469 del 28/04/2011
Abbinamenti
Atto 6/00077 abbinato in data 28/04/2011
Atto 6/00079 abbinato in data 28/04/2011
Atto 6/00080 abbinato in data 28/04/2011
Atto 6/00081 abbinato in data 28/04/2011
Firmatari
Primo firmatario: DONADI MASSIMO
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 28/04/2011
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BORGHESI ANTONIO ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
CAMBURSANO RENATO ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
DI PIETRO ANTONIO ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
EVANGELISTI FABIO ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
ORLANDO LEOLUCA ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
BARBATO FRANCESCO ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
CIMADORO GABRIELE ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
DI GIUSEPPE ANITA ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
DI STANISLAO AUGUSTO ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
FAVIA DAVID ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
FORMISANO ANIELLO ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
MESSINA IGNAZIO ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
MONAI CARLO ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
MURA SILVANA ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
PALADINI GIOVANNI ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
PALAGIANO ANTONIO ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
PALOMBA FEDERICO ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
PIFFARI SERGIO MICHELE ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
PORCINO GAETANO ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
ROTA IVAN ITALIA DEI VALORI 28/04/2011
ZAZZERA PIERFELICE ITALIA DEI VALORI 28/04/2011


Stato iter:
28/04/2011
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO GOVERNO 28/04/2011
Resoconto CASERO LUIGI SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
DICHIARAZIONE VOTO 28/04/2011
Resoconto LA MALFA GIORGIO MISTO-LIBERAL DEMOCRATICI-MAIE
Resoconto COMMERCIO ROBERTO MARIO SERGIO MISTO-MOVIMENTO PER LE AUTONOMIE-ALLEATI PER IL SUD
Resoconto LANZILLOTTA LINDA MISTO-ALLEANZA PER L'ITALIA
Resoconto CAMBURSANO RENATO ITALIA DEI VALORI
Resoconto DELLA VEDOVA BENEDETTO FUTURO E LIBERTA' PER IL TERZO POLO
Resoconto CESARIO BRUNO INIZIATIVA RESPONSABILE (NOI SUD-LIBERTA' ED AUTONOMIA, POPOLARI D'ITALIA DOMANI-PID, MOVIMENTO DI RESPONSABILITA' NAZIONALE-MRN, AZIONE POPOLARE, ALLEANZA DI CENTRO-ADC, LA DISCUSSIONE)
Resoconto GALLETTI GIAN LUCA UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO
Resoconto MONTAGNOLI ALESSANDRO LEGA NORD PADANIA
Resoconto DUILIO LINO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto MILANESE MARCO MARIO POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto BELTRANDI MARCO PARTITO DEMOCRATICO
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 28/04/2011

DISCUSSIONE IL 28/04/2011

DICHIARATO PRECLUSO IL 28/04/2011

CONCLUSO IL 28/04/2011

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00078
presentata da
MASSIMO DONADI
testo di
giovedì 28 aprile 2011, seduta n.469

La Camera,
esaminato il Documento di economia e finanza 2011;
rilevato come:
il dibattito sul Documento di economia e finanza italiano va inquadrato nella cornice europea dopo la sostituzione del Patto di stabilità (e crescita) siglato a Maastricht nel 1991 con uno strumento molto più stringente: il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) da approvare a giugno da parte del Consiglio europeo. Questo dovrebbe prevedere, tra l'altro, interventi automatici di un Fondo europeo dotato di risorse pari a 500 miliardi di euro in cambio di cure drastiche. Il primo passo in questa direzione è già stato compiuto nel Consiglio europeo del 24/25 marzo con l'accordo sul Patto Euro Plus (PEP);
le economie più in difficoltà del continente saranno messe sostanzialmente sotto amministrazione controllata da parte della Banca centrale europea secondo i principi di un nuovo «Frankfurt consensus»;
l'interesse a stabilizzare i sistemi finanziari di alcuni paesi europei è così forte perché, stando agli ultimi dati della Banca dei regolamenti internazionali (giugno 2010), il sistema bancario tedesco è esposto sulla Grecia per 65,4 miliardi, sull'Irlanda per 186,4, sul Portogallo per 44,3 e sulla Spagna per 216,6, e che solo prestiti internazionali possono salvare le banche tedesche per le quali un crack finanziario dei propri debitori avrebbe effetti devastanti;
si sta in pratica edificando, come da tempo chiedevano i più illuminati fra gli economisti, un governo dell'economia europeo che si affiancherà alla moneta unica;
l'obiettivo non è più quello di un indebitamento annualmente non superiore al 3 per cento del PIL, ma è ora il pareggio annuale, pertanto il 2015 non sarà l'anno di avvio per l'applicazione delle nuove regole, ma l'anno in cui si comincerà a verificare come le si è applicate nel triennio precedente, e quindi a partire dal 2012;
sarà introdotta la regola che qualunque entrata ulteriore a quelle poste in bilancio dovrà andare a riduzione del disavanzo, mai a copertura di nuove o maggiori spese;
c'è anche l'impegno ad introdurre in Costituzione il vincolo della disciplina di bilancio;
rileviamo un paradosso: i debiti pubblici sono fortemente cresciuti durante la crisi più che altro per gli interventi di salvataggio delle banche e di sostegno ai mercati finanziari. In sostanza sono stati scaricati sugli Stati i debiti privati che sono dunque diventati debito pubblico. I mercati finanziari si rivolgono oggi proprio contro i governi che li hanno salvati (a spese dei contribuenti) perché oberati da troppi debiti. Oltretutto i Paesi in difficoltà (con l'eccezione della Grecia) erano Paesi con i conti pubblici in ordine secondo i dettami del Trattato di Maastricht;
la soluzione che viene proposta è semplice: tagliare la spesa pubblica a partire dagli sprechi e dalle spese inutili. Andranno naturalmente valutati l'impatto sulla crescita, garantendo comunque la spesa sociale insopprimibile;
serve dunque una riflessione più approfondita. La crisi attuale è figlia sia dell'incapacità delle politiche liberiste sia di quelle keynesiane ad affrontare i problemi posti dalla globalizzazione dell'economia;
valutato come, se gli obiettivi che il Governo ci propone con il PNR 2011 saranno raggiunti, l'Italia occuperà l'ultimo posto in quasi tutti gli ambiti della strategia Europa 2020;
nell'ambito di «Europa 2020» sono stati definiti grandi ambiti di azione, con obiettivi quantitativi da raggiungere a livello comunitario. Essi riguardano il tasso di occupazione (75 per cento), il rapporto spese di R&S/PIL (3 per cento), la riduzione degli abbandoni scolastici (al 10 per cento), la quota di giovani 30-34 con educazione «terziaria» (40 per cento), la riduzione del numero di poveri di 2 milioni, e i tre obiettivi energetici 20 per cento-20 per cento-20 per cento (riduzione delle emissioni, aumento dell'efficienza energetica, quota delle rinnovabili). Gli Stati membri devono contribuire a questa strategia: con i propri «Programmi Nazionali di Riforma» si sono dati propri obiettivi nazionali da raggiungere;
una comparazione fra gli obiettivi 2020 dei singoli Stati membri, fra loro e con quelli comunitari è particolarmente interessante: l'analisi è svolta sugli obiettivi presentati nei Piani di Riforma 2010 ma per l'Italia con il PNR 2011 sono rimasti gli stessi;
il primo obiettivo riguarda il tasso di occupazione; obiettivo comunitario: il 75 per cento degli europei al lavoro. Il quadro è ovviamente diversificato. La Svezia conta di superare questo limite, e di arrivare all'80 per cento; anche altri paesi (Austria, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia) contano di superarlo; alcuni, come Francia e Germania, di arrivare proprio al 75 per cento nel 2010. L'obiettivo italiano è 67-69 per cento. È il più basso in Europa dopo quello di Malta (62,9 per cento). La Romania ha il 70 per cento, la Polonia il 71 per cento;
il secondo obiettivo riguarda la spesa in ricerca e sviluppo (espressa in percentuale del PIL); l'Unione punta al 3 per cento. Svezia e Finlandia contano di arrivare al 4 per cento. Francia e Germania, anche in questo caso, puntano a raggiungere al proprio interno lo stesso obiettivo comunitario del 3 per cento, insieme a diversi altri, fra cui Spagna e Portogallo. L'Italia punta all'1,53 per cento; un obiettivo più basso ce l'hanno solo Malta, Cipro e Slovacchia. La Polonia, per esempio, punta all'1,7 per cento; la Romania al 2 per cento;
nel campo dell'energia gli obiettivi sono tre: riduzione delle emissioni rispetto alla situazione del 2005; quota di produzione delle rinnovabili; efficienza energetica (e cioè la riduzione dei consumi): le tre percentuali già citate del 20-20-20. Nel primo caso ci accontentiamo di ridurre le emissioni del 13 per cento; qui siamo a metà classifica perché in molti paesi dell'Europa orientale sono previste in crescita. Nel secondo caso, l'obiettivo italiano è di portare le rinnovabili al 17 per cento; sempre sotto il target comunitario, ma anche in questo caso meglio di diversi paesi dell'Est. Solo nell'aumento dell'efficienza energetica, finalmente, abbiamo un obiettivo più ambizioso di quello europeo: puntiamo al 27,9 per cento, ben oltre il 20 per cento e dietro Francia e Germania;
per l'istruzione la situazione torna a peggiorare di molto. L'Europa vuole ridurre la percentuale di quanti lasciano prematuramente la scuola al 10 per cento. I paesi europei più ambiziosi sono Polonia, Slovenia, Repubblica Ceca, che vogliono scendere intorno al 5 per cento; i grandi puntano a stare sotto il 10 per cento. L'Italia ha l'obiettivo più modesto di tutti (tranne Malta!): punta al 15-16 per cento. È interessante notare che questo obiettivo è molto inferiore al target (10 per cento) che l'Italia si è data, per le sole regioni del Mezzogiorno (in cui la situazione è peggiore), con il Quadro strategico nazionale per i fondi comunitari 2007-2013. In questo fondamentale aspetto, quindi, non solo puntiamo al ventiseiesimo posto in Europa, ma riduciamo anche moltissimo i nostri obiettivi rispetto a quanto abbiamo convenuto solo quattro anni fa con l'Unione europea. È un esempio dello scarso impegno politico e strategico che il Governo sta mettendo nelle politiche di coesione nazionali;
lo stesso accade per la percentuale di laureati. L'Europa mira al 40 per cento. L'Irlanda al 60 per cento; la Francia al 50 per cento; la Polonia al 45 per cento, la Spagna al 44 per cento, la Bulgaria al 36 per cento, la Grecia al 32 per cento. L'Italia ha l'obiettivo più basso di tutti: se tutto va bene avremo il 26-27 per cento di laureati, siamo quasi alla pari con la Romania (26,7 per cento) per l'ultimo posto;
il documento europeo ci fa comprendere una triste realtà: il nostro Governo si è dato, come obiettivo per la fine del decennio, quello di essere il paese peggiore fra i 27 europei; non solo rispetto alla Germania, ma alla Romania;
negli anni '80 l'economia italiana è cresciuta del 25 per cento. Negli anni '90 è cresciuta del 16 per cento. Tra il 2000 ed il 2007 è cresciuta del 7 per cento, mentre gli altri paesi dell'area euro crescevano del 14. Nel biennio 2008-2009 la crisi ci ha tolto il 6,5 per cento del PIL, mentre gli altri paesi euro ne perdevano 3,5. Il divario fra l'Italia e gli altri Paesi euro perdura anche nelle fasi di ripresa visto che si prevedono aumenti del PIL di poco più dell'1 per cento;
nel volgere di tre anni il debito è salito ancora di 15 punti del PIL, oltre il 119 per cento, non lontano dai livelli dei primi anni '90. Ma allora il patrimonio pubblico era maggiore, la popolazione più giovane, vi era la prospettiva che il debito si sarebbe ridotto,
considerato che:
il Governo sostiene che nel prossimo biennio si farà soltanto «manutenzione contabile ordinaria». La Banca d'Italia ha calcolato che se si ritiene di concentrare la manovra per raggiungere il pareggio di bilancio tra il 2013 ed il 2014, questa non potrà essere inferiore ai 35 miliardi di euro nel biennio;
infatti, fra il 2010 e il 2014 la spesa pubblica al netto degli interessi dovrà scendere di 5,5 punti di PIL. Di questi 3,2 punti stanno già (secondo il Governo) nel quadro tendenziale della seconda sezione del Documento di economia e finanza. Altri 2,3 punti deriveranno da ulteriori manovre sul 2013-2014 basate su ulteriori tagli alla spesa pubblica;
una riduzione così drastica della spesa, nonché del disavanzo al netto degli interessi, non sarà facilmente realizzabile anche in relazione al tasso di crescita previsto, di poco superiore all'1 per cento;
c'è dunque un'apparente rinuncia a procedere quest'anno ed il prossimo sulla strada delle riforme strutturali per rimandare alla prossima legislatura l'aggiustamento dei conti, mentre sarebbe necessario anche in base alle nuove regole di governance europee dettagliare la manovra correttiva di 35-40 miliardi fin dal prossimo settembre;
il Documento di economia e finanza 2011 prevede per il 2014 non solo il pareggio di bilancio ma anche un avanzo primario del 5,2 per cento del PIL, cioè un valore simile a quello che il nostro Paese ottenne al momento dell'ingresso nell'euro. A tale fine il Governo si impegna a mantenere la dinamica della spesa pubblica al di sotto del tasso di crescita del PIL nel medio termine «riducendo la spesa primaria di oltre 4 punti percentuali del PIL nel triennio 2012-2014». Tale obiettivo appare di difficile realizzazione anche tenendo conto del fatto che nel decennio che ha preceduto la crisi del 2007-2008 la spesa primaria è cresciuta in termini reali del 2 per cento l'anno;
nel 2011 e nel 2012 la spesa al netto degli interessi dovrebbe rimanere pressoché invariata a prezzi correnti, il che ne comporta una notevole riduzione in termini reali. In gran parte i tagli sono già stati inseriti nelle tabelle approvate dal Parlamento con la legge di stabilità 2011 (legge 13 dicembre 2010, n. 220), ma quelle per ora sono scritture contabili. Sarà quindi necessario valutare chi sarà colpito e quale sarà l'impatto sull'intera economia;
per la spesa pubblica in conto capitale è prevista una contrazione anche in termini nominali: infatti nel 2012 dovrebbe scendere al 2,8 per cento del PIL, il valore più basso degli ultimi decenni, mentre gli sforzi di riduzione della spesa andrebbero concentrati sulle voci di bilancio che meno pesano sullo sviluppo economico;
ci si può chiedere al riguardo che fine abbia fatto la proposta, contenuta nel programma con il quale questa maggioranza si è presentata alle elezioni, di abolizione delle province che farebbe risparmiare - secondo lo stesso ex-ministro Scajola - «almeno due miliardi»;
i tagli non sembrano accompagnati da misure capaci di incidere sui meccanismi di spesa ed è dunque ben concreto il rischio che essi si traducano in rinvii di spese necessarie - si pensi alla spese di manutenzione degli edifici pubblici o dei beni culturali -, o in debiti sommersi verso i fornitori;
il migliore indicatore dell'azione governativa è il saldo di bilancio primario aggiustato per il ciclo economico, cioè il saldo di bilancio al netto degli interessi sul debito (il cui livello dipende solo minimamente dal governo attuale, e soprattutto dallo stock di debito accumulato in precedenza) e depurato dagli effetti del ciclo economico (il saldo peggiora automaticamente se l'economia è in recessione, senza colpa del Governo);
il Governo prevede un miglioramento costante di tale saldo, di circa tre punti percentuali da qui al 2014, in gran parte dovuto a riduzioni di spesa. Ma questo dato è da prendere con molta cautela, perché si basa su stime ottimistiche, ed è frutto in gran parte di misure saltuarie o non specificate, non di cambiamenti strutturali alla dinamica della spesa;
prendendo il 2012 come esempio, il Governo stima che i provvedimenti presi nel 2010 ridurranno il disavanzo di circa 25 miliardi, oltre 1,7 punti di PIL. Ma gran parte degli effetti sono imputati a due misure, la lotta all'evasione e la revisione del patto di stabilità con gli enti locali, entrambe basate su assunzioni da verificare;
un'altra fonte di risparmi riguarda i salari pubblici, frutto del blocco del turnover, che non può essere ripetuto all'infinito. Il Governo continua a prevedere cospicui risparmi su questa voce fino al 2014, ma non è chiaro su che base concreta;
tutto questo rende il miglioramento del saldo primario estremamente aleatorio. Ma se anche si realizzasse, poco o niente in queste misure ha la natura di una riforma strutturale che riduca finalmente il peso della spesa pubblica;
il punto più dolente è rappresentato dalla bassa crescita prevista ad un livello che si attesta a poco più o poco meno di un punto percentuale: la metà di quel due per cento che il governatore Draghi ha indicato come il livello minimo per potere interrompere ed invertire la corsa all'aumento del debito pubblico, e nel contempo assorbire almeno in parte una disoccupazione sempre crescente;
i nostri conti pubblici sono estremamente vulnerabili a causa della persistente assenza di crescita, e sono destinati ad andare fuori linea, mentre l'obiettivo del pareggio di bilancio entro l'anno 2014 richiederà probabilmente una manovra correttiva persino più ampia rispetto a quella ipotizzata nell'ultimo bollettino della Banca d'Italia;
la disoccupazione in Italia, se viene calcolata correttamente (computando anche una grossa fetta dei cassaintegrati), supera il 10 per cento e non vi sono prospettive realistiche di un recupero;
in Italia, peraltro non ci sono state crisi bancarie e necessità di salvataggi, eppure il nostro debito pubblico ha raggiunto di nuovo i livelli massimi della prima metà degli anni '90 (120 per cento del PIL rispetto ad una media europea dell'84 per cento). Il PIL pro-capite italiano a parità di potere d'acquisto è ritornato sostanzialmente ai livelli del 1999. Abbiamo perso 10 anni, e se il nostro tasso di crescita resterà inchiodato all'1 per cento, ci vorranno altri 6 anni per ritornare al punto di partenza;
anche secondo il presidente dell'Istat «lo sviluppo della nostra economia è caratterizzato da una velocità troppo bassa per contribuire significativamente al riassorbimento dell'offerta di lavoro inutilizzata ed al consolidamento della finanza pubblica»;
sullo stesso tema è intervenuto anche il presidente della Corte dei conti sottolineando come la manovra correttiva profilata dal Governo: «desta qualche perplessità alla luce degli andamenti della finanza pubblica influenzati dal permanere di condizioni di crescita lenta, che riducono la dinamica del gettito e rendono più difficile sostenere i costi di un programma di riduzione della spesa pubblica»;
l'inflazione riparte sia per la dinamica dei prezzi internazionali (alimentari e carburanti) che a causa di mercati domestici (soprattutto nei servizi) scarsamente competitivi. La previsione contenuta nel Documento di economia e finanza di una crescita dell'inflazione del 2,2 per cento nel 2011 «può essere conseguita - secondo l'Istat - solo con una forte attenuazione nei mesi a venire delle tendenze accelerative»;
in ogni caso non sembra adeguatamente contabilizzato l'impatto della prevedibile crescita dei tassi di interesse sul servizio del debito (già cresciuti dello 0,25 per cento ad inizio aprile);
la «scossa» all'economia che il Governo aveva promesso non c'è proprio stata e il surplus di crescita necessario non può essere assicurato da un documento in cui non c'è un impegno preciso ed in cui si ritirano fuori le grandi opere infrastrutturali bloccate da questo stesso Governo e per le quali si riducono drasticamente le risorse;
le oltre 160 pagine del Programma Nazionale di Riforma (PNR) indicano le misure programmatiche del Governo da qui alla fine della legislatura. Delle quattordici misure elencate come programmatiche, cioè ancora da realizzare da qui alla fine della legislatura, alcune sono semplici piani (il piano triennale del lavoro, il programma di inclusione delle donne, etc.). Altre misure sono titoli vuoti come la promozione delle energie rinnovabili: si proclama la centralità delle energie rinnovabili salvo averne bloccato lo sviluppo grazie alla forte incertezza sul sistema degli incentivi (e sulla recente opzione nucleare, poi frettolosamente smentita);
manca qualsiasi indicazione operativa (e come tale controvertibile) a quelle generiche enunciazioni, vaghe e sommarie anche sul tema della riforma tributaria;
la bassa crescita non ha impedito che nel 2010 l'indebitamento delle pubbliche amministrazioni fosse più basso del previsto, grazie al contenimento delle spese ed alla stabilità delle banche italiane;
negli anni a venire si prevede un ulteriore contenimento della spesa rispetto al PIL: dopo un collasso di oltre il 16 per cento nel 2010, gli investimenti fissi pubblici continueranno a cadere, anche in termini assoluti (con buona pace delle imprese di costruzione); si ridurranno in quota i redditi dei dipendenti. La pressione tributaria e quella fiscale (che include i contributi) resterà invariata al notevole livello del 42 e mezzo per cento del prodotto;
secondo gli esponenti del Governo, il testo del PNR contiene interventi organici in funzione della crescita. Con due direttrici principali: la grande riforma fiscale e una pervasiva revisione dell'impianto regolatorio dall'altra. Ma la riforma fiscale è una delega senza copertura finanziaria rinviata alle cure del prossimo Governo nel 2013, ripetendo il trucco che lo stesso ministro dell'economia e delle finanze fece nel 2003 (legge n. 80 del 2003 - Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale); l'unica misura per la crescita rimane dunque la deregolamentazione di appalti, la costituzione di aree a «burocrazia zero» nel Sud e di distretti turistico-balneari attraverso una non ben definita intenzione di ridefinire il demanio marittimo;
prosegue dunque l'unica politica «per lo sviluppo» di questo Governo: una spinta verso il lassismo. Come le misure adottate in precedenza: abolizione del falso in bilancio, condoni, finanza creativa, tassazione dei redditi da capitale più bassa di quelli da lavoro;
il problema del perpetuarsi dell'uno virgola di crescita resta dunque irrisolto: la vaghezza del PNR pone la sordina a una seria discussione di riforme mirate e non costose. «Tenere i conti» è necessario, ma non basta; alla lunga, se non riparte la crescita, non si risolve neanche il problema del debito;
non c'è solo la disoccupazione, né c'è solo la maldistribuzione delle risorse di cui il Paese dispone per finalità primarie come gli investimenti, la formazione e la ricerca. C'è la questione stessa del debito pubblico, che in assenza di crescita può finire per avvitarsi su se stessa. Se non cresciamo, il debito totale non scende neppure con un indebitamento annuo pari a zero. Mentre con un indebitamento annuo sotto controllo e un PIL che cresce di più, tutto il portato della crescita si traduce in riduzione percentuale del debito totale;
il rilancio della crescita passa per riforme strutturali a basso costo per i conti pubblici e che possono avere un impatto già nel breve termine come le liberalizzazioni e le semplificazioni. Secondo stime della Commissione europea una riduzione dei margini di profitto nei servizi pari all'un per cento, farebbe aumentare il PIL di uno 0,5 per cento, mentre il taglio dei costi amministrativi per le imprese produrrebbe un incremento del PIL dello 0,6 per cento. Più a lungo termine, solo un aumento della produttività totale dei fattori, stagnante da molto tempo in Italia ed in calo nell'ultimo decennio, può condizionare strutturalmente il tasso di crescita;
nei prossimi tre anni - stante anche le incertezze del quadro internazionale - la crescita dipenderà dall'evoluzione della domanda interna, e dunque, in ultima analisi, da una distribuzione del reddito più sostenibile,
considerato inoltre che:
la pressione fiscale in Italia supera di 4 punti percentuali la media dell'Unione europea;
la completa attuazione della riforma fiscale adombrata nei documenti al nostro esame potrà avvenire solo verso la fine della legislatura, e nelle intenzioni del Governo dovrà prevedere una «drastica riduzione dello sterminato numero di regimi di favore fiscale, esenzione ed erosione dell'imponibile» che sono circa 400, lasciando in piedi solo poche detrazioni mirate: lavoro, natalità e ricerca. Tutte le altre agevolazioni (che nel complesso valgono oltre 200 miliardi di euro l'anno) verranno cancellate, permettendo così insieme alla riduzione della spesa pubblica e al recupero dell'evasione, «di acquisire le risorse per finanziare la riduzione delle aliquote». Il Governo intende quindi attuare uno spostamento dell'asse del prelievo fiscale dalle imposte dirette (IRPEF, IRE, IRAP, ICI) a quelle indirette (IVA, imposte di registro, di bollo, ipotecarie, catastali, accise);
l'altro tassello della riforma fiscale sarà la separazione tra l'assistenza sociale e le forme surrettizie di sostegno offerte dalla fiscalità generale «che deve finanziare l'assistenza sociale e non sostituirla attraverso caotiche, irrazionali e spesso regressive forme di sovrapposizione e duplicazione»;
per la riforma fiscale - annunciata nel Programma Nazionale di Riforma - si prevedono tempi lunghissimi dato che, intanto, occorrerà attendere la chiusura dei gruppi di lavoro che devono svolgere il lavoro preparatorio, al quale dovrà seguire la stesura di una legge delega. Approvata questa, si procederà con i decreti attuativi, senza contare che molto probabilmente si tratterà di una riforma fiscale per «tranche», come fu per la riforma varata, sempre dal Governo Berlusconi, alla fine del 2003 (legge n. 80 del 2003 - Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale), che tra le altre cose prevedeva due sole aliquote per l'IRPEF;
l'obiettivo sbandierato era quello di ridurre a due le aliquote dell'imposta sul reddito, rispettivamente pari al 23 per cento fino a 100.000 euro e al 33 per cento oltre tale importo: in pratica una flat tax per quasi tutti i contribuenti. Ovviamente tutto si arenò per mancanza di copertura finanziaria la quale era stata demandata alle future Leggi finanziarie. Si trattava, in buona sostanza, di una norma manifesto, uno spot come rischia di diventare quella delineata dalla premessa al Documento di economia e finanza 2011 al nostro esame;
si tratta dunque di una delega a futura memoria;
oggi, bisogna porsi il problema della redistribuzione del reddito e del gettito fiscale. In Italia il 10 per cento delle famiglie ha il 45-50 per cento del patrimonio mentre il 50 per cento delle famiglie ha meno del 10 per cento: una sperequazione evidente;
la base imponibile dell'IRPEF è composta per l'80 per cento, cioè per i 4/5 da reddito dipendente e di pensione;
a fronte di aliquote che sono in linea con gli altri paesi, in Italia abbiamo invece un gettito molto più basso, con un gap del 22 per cento. C'è quindi un'area di evasione fiscale soprattutto riferita all'IVA consistente. Ogni euro di IVA che perdiamo si porta dietro altri 2,43 euro di IRPEF non pagato;
il Governo vanta di aver contenuto la spesa pubblica e recuperato svariati miliardi con la lotta all'evasione fiscale. Non è accettabile che non un solo euro vada a ridurre le tasse sui produttori;
dai dati della Banca mondiale è emerso che l'onere fiscale effettivo delle imprese in Italia è del 68,6 per cento, pressione che rende difficile la competitività del sistema italiano. La pressione fiscale, nel nostro Paese, è inversamente proporzionale alla dimensione dell'impresa - più l'impresa è piccola e più è tassata - questione che risulta paradossale;
sulle spalle delle imprese - in particolare piccole e medie - si abbattono i costi della burocrazia, che annualmente, in particolare per le piccole imprese, si aggirano intorno ai 12 mila euro, per un totale di circa 15 miliardi di euro. Agli obblighi fiscali e contributivi, le imprese destinano 334 ore di lavoro all'anno (in Germania sono 196 e in Francia 213);
il disegno di legge cosiddetto «Brunetta-Calderoli» in materia di semplificazione - considerato dal Governo anch'esso fautore di «una svolta epocale» per gli oneri gravanti sulle imprese è stato approvato dalla sola Camera dei deputati esattamente un anno fa e da allora langue al Senato;
il Documento di economia e finanza al nostro esame quantifica in 8.129 milioni di euro le entrate del 2010 derivanti dal Lotto, lotterie e altre attività di gioco, si stima inoltre di incassare per il 2011, per la categoria « Lotto e altre lotterie», maggiori risorse per 104 milioni di euro (al netto delle regolazioni contabili). Tali cifre devono essere valutate, tuttavia, tenendo conto del fenomeno degli illeciti della raccolta effettiva del gioco i quali hanno assunto dimensioni macroscopiche e sono oggetto di un rilevantissimo contenzioso tra operatori ed erario statale: in definitiva, i costi sociali ed economici del settore giochi risultano essere di gran lunga superiori ai benefici conseguiti con il gettito fiscale;
occorre, pertanto, senza indugio alcuno, arrestare tale deriva di succulenta occasione di business per la criminalità organizzata, connessa all'effetto depressivo dell'economia causato dalla contaminazione criminale, oltre ai danni ingentissimi inferti all'erario ed ai patrimoni mobiliari ed immobiliari delle famiglie italiane;
come esplicitato nella relazione della Commissione parlamentare antimafia, il settore del «gioco» costituisce il punto di incontro di plurime, gravi distorsioni dell'assetto socio-economico quali, in particolare, l'esposizione dei redditi degli italiani a rischio di erosione; l'interesse del crimine organizzato; la vocazione «truffaldina» di taluni concessionari che operano, sovente, in regime di quasi monopolio; il germe di altri fenomeni criminali come usura, estorsione, riciclaggio; infine, la sottrazione di ingenti risorse destinate all'erario. Peraltro, nei periodi di crisi economica si denota ancor più tale fenomeno degenerativo, in quanto, nella impossibilità di un aumento della tassazione, si accentua il ricorso ad incentivazioni della «malattia del gioco», un meccanismo che, quanto più cresce, tanto più è destinato a favorire forme occulte di prelievo dalle tasche dei cittadini, mascherando tale prelievo con l'ammiccante definizione di gioco, divertimento e intrattenimento;
il Governo deve contrastare, anche con iniziative di carattere normativo ed amministrativo, il settore del gioco - lecito ed illecito - considerando il grande allarme sociale del fenomeno sia sotto il profilo della sempre più massiccia infiltrazione malavitosa, sia sotto quello degli effetti patrimoniali sulle famiglie italiane e, più in generale, sulle categorie sociali più deboli;
a tal fine sarà necessario impartire all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato apposite direttive volte a non dar luogo alla determinazione di giochi di nuova ideazione, conferendo in tal modo carattere di prevalenza normativa alla ratio legis sottesa all'intento di contrastare i fenomeni di ludopatia connessi al gioco compulsivo, anche al fine di frenare eventuali forme occulte e «truffaldine» di prelievo fiscale indiretto;
l'attuazione del federalismo fiscale ha superato i due scogli principali - il fisco municipale e quello regionale - ma resta incompiuto negli aspetti più delicati, in quanto, sanità a parte, non è stata affrontata né risolta la questione delle spese essenziali. Senza risposta è, per il momento, anche l'altro nodo, che riguarda la perequazione, ossia come verrà affrontata la redistribuzione delle risorse tra regioni ricche e povere e tra enti locali ricchi e poveri: le questioni dirimenti sono state rinviate a successivi interventi. Al momento la perequazione è materia di là da venire, mentre quanto vi è di propedeutico per il calcolo del costo dei fabbisogni standard è oggetto di analisi, studio e «radiografia» da parte della SOSE e dell'IFEL;
dal federalismo municipale il Paese ha ereditato, a decorrere da quest'anno, la cosiddetta «cedolare secca» sugli affitti: tale nuovo regime di tassazione rende inefficace il ricorso alla leva fiscale quale strumento di contenimento dei canoni, ad avvantaggiarsene saranno unicamente i proprietari delle abitazioni, in particolare quelli che affittano a canone di libero mercato e collocati negli scaglioni di reddito più elevati;
ad un mese dal 21 maggio 2011, termine ultimo - in procinto di essere prorogato, in quanto molti provvedimenti non sono stati emanati - per l'attuazione del federalismo fiscale si possono trarre stime ed indicazioni certe sul suo impatto. A prescindere dai «numeri» e dalle cifre diramati da più parti fin dalla fine dello scorso anno, onestà impone di dichiarare che non è affatto chiaro quello che avverrà da qui al 2014 (entrata in vigore dell'autonomia tributaria e, dunque, di uno dei principi cardine del federalismo), ma soprattutto non è chiaro quello che succederà dopo;
è assai probabile un aumento della pressione fiscale complessiva;
al momento, quello italiano è solo un federalismo annunciato;
sottolineato che per quanto concerne le politiche per lo sviluppo:
il Documento di economia e finanza 2011 non prevede, come invece avrebbe dovuto, un progetto di riforma fiscale che porti ad una sostanziale riduzione del prelievo su lavoro e imprese;
non prevede misure efficaci volte a realizzare, entro tempi certi, interventi tesi alla liberalizzazione dei mercati. Su questo punto il PNR non soddisfa poiché si limita a prevedere in modo generico l'emanazione della legge annuale per il mercato e la concorrenza. Su questo tema, per altro, l'attuale Esecutivo continua ad essere in grave ritardo. Il disegno di legge sulla concorrenza, che andava presentato entro il 31 maggio 2010, ancora non c'è. Le liberalizzazioni sono al palo, mentre il loro rilancio è cruciale per tornare a crescere. L'analisi a oltre due anni e mezzo dall'inizio della legislatura, secondo l'Antitrust, «evidenzia che il processo di apertura dei mercati è rimasto largamente incompiuto»;
non prevede misure adeguate tese a ridurre oneri amministrativi a carico delle imprese. Il PNR, si pone come obiettivo la drastica semplificazione di obblighi formali e degli oneri burocratici per le imprese, mentre dedica un intero capitolo al disegno di legge recentemente presentato dal Governo al Parlamento ove si propongono le modifiche agli articoli 41, 97 e 118 della Costituzione in materia di libertà di iniziativa economica privata e buon funzionamento della pubblica amministrazione. Sotto tale profilo appare opportuno sottolineare che, nonostante l'attuale Governo non manchi di vantarsi ad ogni occasione di essere riuscito a contribuire significativamente a ridurre gli oneri amministrativi a carico delle imprese - grazie anche all'approvazione delle recentissime disposizioni in materia di SCIA -, l'Italia continua a rappresentare il Paese europeo a più alto tasso burocratico, dove è stabile una vera e propria diseconomia dell'adempimento, che si ripercuote negativamente soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese. L'avvio di una nuova attività imprenditoriale resta la fase burocraticamente più critica soprattutto per quanto concerne i costi, superiori del 67, 2 per cento rispetto alla media europea;
non innova minimamente rispetto agli interventi attesi in materia di accesso al credito e rafforzamento patrimoniale delle imprese. Il PNR si limita ad esaltare il ruolo e la funzione dal Fondo centrale di garanzia e dal Fondo italiano di investimento, fondo quest'ultimo nato il 18 marzo 2010, con una dotazione di 1,2 miliardi di euro, che tuttavia risulta operativo solo da ottobre 2010 e sino ad oggi ha solo approvato pochissime operazioni di investimento. Si rileva, peraltro, che il tasso di crescita dei prestiti in Italia, si è ridotto nel giro di un anno, di dieci punti, colpendo in primo luogo le piccole e medie imprese che già risultavano fortemente penalizzate dall'applicazione degli accordi internazionali di Basilea, sia in termini di possibilità di accesso al credito, sia in termini di aumento di tassi di interesse legati all'erogazione del credito stesso;
non affronta le problematiche relative ai ritardi di pagamento dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. Si parla genericamente della necessità di attuare la Small Business Act e le indicazioni ivi contenute ma, di fatto, il Governo, sino a oggi, non ha ancora previsto misure concrete al riguardo, nonostante la recente pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 23 febbraio 2011 della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, entrata in vigore il 16 marzo 2011 scorso;
non prevede alcun intervento mirato in materia di imprenditoria giovanile e femminile. Il PNR parla genericamente della necessità di attuare le indicazioni contenute nella Small Business Act, ma non si parla né di rifinanziamento del Fondo per l'imprenditoria femminile, né di misure concrete per sostenere l'imprenditoria giovanile. Eppure nel PNR si legge nero su bianco che l'Italia si posiziona in generale al di sotto della media europea, con peggioramenti in termini di performance relativamente alle politiche per la promozione della concorrenza e di un ambiente favorevole, sia in termini di barriere all'imprenditorialità, sia in termini di start up, mentre non si registrano progressi per la regolazione specifica dei settori;
in materia di energia nucleare, nonostante la drammatica tragedia che ha investito recentemente il Giappone, si limita a parlare di una semplice «sospensione dell'opzione nuclearista». In particolare, nel testo del PNR si legge «Nonostante il riconoscimento del ruolo sempre più ampio che potranno investire le energie rinnovabili e l'efficienza energetica, il Governo ha riaperto la possibilità di riprendere la produzione nucleare, come tecnologia in grado di coniugare la sicurezza degli approvvigionamenti, l'economicità e la sostenibilità ambientale, economica e sociale. La profonda riflessione che si è aperta a livello europeo e anche mondiale sulla sicurezza dell'energia nucleare a seguito della tragedia di Fukushima in Giappone ha indotto il Governo, pur ritenendo che non siano venute meno le ragioni che avevano portato a riconsiderare l'opzione nucleare, a non procedere per il momento, all'attuazione del programma nucleare fino a che le iniziative già avviate a livello europeo non forniranno elementi in grado di dare piene garanzie sotto il profilo della sicurezza».Con questa pericolosissima manovra, il Governo non fa altro che sminuire la portata del referendum abrogativo della disposizione che ammette la costruzione di nuove centrali nucleari in Italia giudicato pienamente ammissibile dalla Corte costituzionale con sentenza n. 28 del 2011;
non fornisce adeguate certezze in merito alla necessità che attraverso il pieno recepimento del «Terzo pacchetto mercato interno» venga migliorata significativamente la legislazione sulla regolazione del mercato energetico. E questo sia sotto il profilo della conformità delle norme ivi contenute al dettato delle direttive e dei regolamenti comunitari, sia e soprattutto sotto il profilo della piena realizzazione nel nostro Paese dei principi dell'Unione in materia di concorrenza e liberalizzazione dei mercati con particolare riferimento a quello del gas dove manca il principio della separazione proprietaria separazione effettiva delle attività relative alle reti di trasporto da quelle di produzione e fornitura del gas;
non contiene interventi credibili in materia di investimenti in ricerca e innovazione. Su questo punto il Documento di economia e finanza 2011 ed il relativo PNR non sembra essere altro che l'ennesimo libro dei sogni. Il World Economic Forum (Wef), proprio in questi giorni, ha bocciato l'Italia in tecnologia e innovazione. È il decimo anno che il Wef pubblica un Global Information Technology Report e ogni volta va sempre peggio per l'Italia, nella classifica che analizza 138 Paesi mondiali. Ora siamo 51esimi, sotto Paesi come India, Tunisia, Malesia. Abbiamo perso tre posizioni nell'ultimo anno. Nel 2006 eravamo 38esimi: un tracollo costante;
in materia di turismo, non prevede interventi idonei a rilanciare in modo significativo l'intero comparto, se non attraverso l'istituzione dei cosiddetti «Distretti turistico-balneari» ed una non meglio precisata ridefinizione del demanio marittimo finalizzata alla introduzione sistematica lungo le coste di «zone a burocrazia zero»;
in materia di banda larga, conferma la totale assenza nella programmazione del Governo di rendere efficace una volta per tutte un meccanismo di finanziamento pluriennale degli interventi per la realizzazione delle infrastrutture per la banda larga, sbloccando lo stanziamento di 800 milioni di euro previsti dal decreto-legge n. 78 del 2009 per il finanziamento delle nuove reti tecnologiche; ma anche di realizzare l'asta digitale in tempi congrui e nel pieno rispetto della legislazione vigente che, come noto, riserva alle tv locali almeno un terzo delle frequenze televisive;
considerato che per quanto concerne le politiche del lavoro e sociali:
il Patto Euro Plus del 25 marzo 2011 contiene diverse indicazioni;
la crescita dell'occupazione viene considerata intimamente correlata alla crescita della competitività nella zona euro, mentre i tassi di disoccupazione giovanile, quelli di lungo periodo e i tassi di attività, sono presi a parametro del buon funzionamento del mercato del lavoro;
il Governo italiano afferma di aver fatto già molto di quanto previsto dal Patto, in particolare la riforma delle pensioni, con l'allineamento dell'età pensionabile alla effettiva speranza di vita e il collegamento tra retribuzione e produttività;
tra le molte cose che rimangono da fare il Governo dichiara di puntare alla realizzazione dello Statuto del lavoro, che tra le altre cose intende eliminare lo Statuto dei lavoratori dal mondo del diritto;
se da un lato il corpus delle leggi che oggi disciplinano il diritto del lavoro è diventato ipertrofico e necessita di essere semplificato, dall'altro le garanzie per i lavoratori non possono essere ridotte ed anzi vanno accresciute a favore di quelli che oggi ne sono privi;
la deregolamentazione che continua a proporre il Governo, al contrario, rischia di diminuire garanzie e diritti;
il Governo punta altresì sull'ulteriore incentivazione del contratto di apprendistato, che vuole rendere «il tipico e conveniente contratto di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro grazie alla semplificazione regolatoria e alla efficacia della formazione in ambiente lavorativo»;
con il contratto di apprendistato il Governo vuole illuderci che riuscirà a risolvere il problema dell'occupazione giovanile e femminile, specie nelle regioni meridionali, e di centrare così gli obiettivi europei;
al Governo sembra sfuggire che i giovani disoccupati in Italia sono più del 25 per cento, mentre l'occupazione femminile è ferma al 47 per cento e che con questi dati siamo il fanalino di coda dell'euro zona;
il Governo ignora la complessità del problema della disoccupazione e rinuncia a mettere in campo interventi e risorse consistenti, come richiesto dall'Europa, prova ne sia che nel Documento di economia e finanza i dati relativi alla disoccupazione mostrano solo una flessione dello 0,3 per cento nel triennio, mentre l'Italia ha il numero di inattivi e di scoraggiati più alto di tutta Europa;
per questa mancanza di impegno e di prospettiva, il Governo farebbe bene a non farsi vanto delle risorse messe a disposizione per la cassa integrazione, in particolare per quella straordinaria che cresce. Il Governo trascura che la diminuzione dell'utilizzo di quella ordinaria, che dà la certezza di ritornare sul proprio posto di lavoro, dipende dal fatto che le imprese hanno esaurito i periodi massimi, mentre l'aumento della cassa integrazione straordinaria e quella in deroga, sono sintomatiche di una crisi irreversibile e della rottura del rapporto di lavoro. Ciò dovrebbe allarmare il Governo per il rischio che la disoccupazione aumenti ancora di più;
il PNR appare molto debole sia sul piano delle diagnosi sia su quello delle proposte e ciò è vero soprattutto per il fronte del mercato del lavoro, dove mancano gli investimenti che altri governi, come quelli inglese, tedesco e francese, hanno invece inserito nei propri PNR;
sul fronte del pubblico impiego, il Governo vanta i tagli operati e il blocco del turn over, ma non svolge alcun approfondimento sulla tenuta della pubblica amministrazione in relazione ai servizi che deve erogare per legge;
nel PNR manca qualsiasi riferimento al precariato, vera piaga del lavoro italiano, perché da noi la flessibilità viene trasformata in assoluta incertezza del posto di lavoro. I precari sono quasi quattro milioni, di cui il 56 per cento concentrato nelle regioni centro-meridionali;
i dati relativi alle comunicazioni obbligatorie di assunzione relative al biennio 2009-2010, dicono che circa il 76 per cento delle assunzioni è avvenuta secondo una delle tipologie di contratti cosiddetti flessibili, che sono diventati ormai una dozzina. Si tratta di quasi 11 milioni di nuovi contratti su 14,3 milioni complessivi. Di contratto flessibile in contratto flessibile, i lavoratori non vengono mai stabilizzati con evidente abuso di queste forme contrattuali. Ciò è un grave danno per i lavoratori e per l'economia, contro cui il Governo non fa nulla;
tra i precari vi sono anche i 240 mila della pubblica amministrazione, di cui circa 120 mila quest'anno perderanno definitivamente il lavoro a causa del taglio della spesa pubblica per lavoratori flessibili. Basti citare per tutti i 1240 lavoratori che l'INPS ha già lasciato a casa lo scorso 15 aprile per scadenza del contratto di somministrazione, nonostante gli impegni del Governo. È stato calcolato che le indennità di disoccupazione per questi lavoratori costeranno all'INPS circa 7,5 milioni di euro, il che dovrebbe far riflettere che sarebbe economicamente più conveniente mantenerli a lavoro, considerato il grave danno che l'INPS subirà in termini di prestazione di servizi resi all'utenza;
particolarmente grave risulta la situazione occupazionale nella scuola pubblica, dove il Ministero interessato chiede, già per l'anno in corso, la copertura di 30 mila posti vacanti nell'organico dei docenti e di 35 mila per assistenti, tecnici e amministrativi. Se anche venissero assunti tutti i precari della scuola, il Ministero dovrebbe coprire le carenze di organico bandendo concorsi per migliaia di posti. Ma il Governo continua ad ignorare;
gli interventi già operati in materia di pensioni mostrano che l'Italia si è assicurata un risparmio sulla spesa che inciderà meno sul PIL, ma il Governo ignora del tutto la questione della crescita dell'età media della popolazione e della riduzione degli importi delle pensioni e del loro potere d'acquisto rispetto all'inflazione;
riguardo alle politiche di inclusione sociale, il Governo nel PNR fa esplicito riferimento agli interventi attivati e volti a «realizzare infrastrutture socio-assistenziali per facilitare l'accesso ai servizi dei soggetti a rischio marginalità e azioni a sostegno dell'economia e delle imprese sociali». Inoltre si riconferma l'obiettivo della riduzione della povertà;
la realtà però, è che se c'è un settore che ha subito da parte di questo Governo tagli insostenibili, anche in conseguenza dei pesantissimi tagli alle regioni e agli enti locali, è proprio questo delle politiche sociali;
per la prima volta, il Governo, non ha più rifinanziato il Fondo per la non autosufficienza. Le risorse assegnate annualmente al Fondo, pari a 400 milioni si sono esaurite con il 2010. Per il 2011, tutto azzerato, non è stata stanziata dal Governo alcuna risorsa, obbligando in tal modo i parenti dei pazienti non autosufficienti a provvedere da sé alle cure del malato, i cui costi sono comunque a carico delle famiglie;
le risorse tagliate quest'anno al Fondo per le politiche sociali e al Fondo per le politiche per la famiglia, rispetto allo scorso anno sono state pari a circa 311 milioni di euro. Il Fondo per le politiche giovanili si è ridotto da 81 a 13 milioni di euro. Il Fondo affitti (per le categorie più disagiate), è passato da 141 milioni a 33 milioni di euro;
rilevato come per le politiche ambientali:
1) per quanto concerne le energie rinnovabili e il risparmio energetico:
l'Esecutivo ne promette la promozione ma nulla di concreto si dice su cosa si voglia fare in proposito. Nell'elencazione delle misure finora adottate e tuttora vigenti in materia, non si può non constatare come la gran parte delle disposizioni indicate nel PNR, sono state approvate nella scorsa legislatura dal Governo Prodi, e infatti:
a) il Governo indica tra le misure approvate e operative in tema di risparmio energetico, quelle relative alla riqualificazione energetica degli edifici pubblici e privati. L'attuale esecutivo non ha però introdotto sostanzialmente nulla di nuovo, e praticamente tutti gli interventi in materia di efficienza e risparmio energetico sono stati introdotti dal precedente Governo. Al contrario, ricordiamo che gli incentivi previsti per la riqualificazione energetica degli edifici, sono stati «annacquati», facendo passare la prevista rateizzazione da 5 a 10 anni. Tra l'altro la detrazione del 55 per cento, vale solo fino alla fine del 2011. Nonostante ciò, nel testo del PNR, viene sottolineato come le detrazioni fiscali del 55 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici, «si siano rivelate di particolare efficacia non solo in termini di risparmio energetico ma anche in termini di emersione del lavoro e di maggiori entrate tributarie»;
b) nel Programma Nazionale di Riforma (PNR), si ribadisce la volontà di procedere con l'attuazione del «Piano d'azione dell'efficienza energetica 2007», per il raggiungimento degli obiettivi di miglioramento dell'efficienza energetica e dei servizi energetici. Anche in questo caso, si fa riferimento a una decisione e a un provvedimento varato dal precedente Governo;
l'unico provvedimento di rilievo di questa legislatura che ha riguardato le energie alternative, è stato il recente decreto legislativo n. 28 del 2011 di attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili. Un provvedimento che è riuscito a raccogliere una tale serie di forti critiche sia dal mondo imprenditoriale del settore che dalla totalità delle associazioni ambientaliste, che il Governo sta provvedendo a varare un decreto correttivo del decreto n. 28 del 2011;
tutta questa incertezza e totale improvvisazione, si ripercuote negativamente sugli investimenti in un settore strategico e «anticiclico» quale è appunto quello delle energie pulite, che avrebbe invece bisogno di certezze e di un quadro normativo chiaro e non in continua modificazione;
di fatto, sulle fonti energetiche rinnovabili il Governo non ha investito praticamente nulla, ma, al contrario, ha scelto di porre al centro delle strategie energetiche di questi primi tre anni di legislatura, il ritorno al nucleare;
2) per quanto concerne le politiche di contrasto ai cambiamenti climatici:

il capitolo relativo alla lotta ai gas serra, contenuto nel PNR, mostra una totale assenza di iniziativa legislativa da parte dell'esecutivo;
sostanzialmente tutte le misure illustrate nel PNR, sono state proposte e approvate dal precedente Governo Prodi. Al massimo questo Governo ha provveduto a rifinanziarne alcune;
tra gli strumenti adottati a seguito della ratifica del Protocollo di Kyoto, finalizzati a ridurre del 6,5 per cento le emissioni di gas serra rispetto al 1990, ricordiamo:
1) il Fondo rotativo per il finanziamento delle misure finalizzate all'attuazione del Protocollo di Kyoto (Fondo istituito con la Legge finanziaria per il 2007 del Governo Prodi);
2) il Fondo per la promozione delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica (Fondo istituito con la Legge finanziaria per il 2008 del Governo Prodi);
3) il Fondo per la mobilità sostenibile (Fondo istituito con la Legge finanziaria per il 2007 del Governo Prodi) per il potenziamento del trasporto pubblico e il miglioramento della qualità dell'aria nelle aree urbane;
relativamente alle suddette politiche di potenziamento del trasporto pubblico e il miglioramento della qualità dell'aria, va ricordato che da quest'anno non è più possibile detrarre il 19 per cento delle spese sostenute per abbonamenti al trasporto pubblico, che è stata una misura importante voluta dal Governo di centro-sinistra per incentivare l'uso dei mezzi pubblici;
il Governo promette un pacchetto di misure per la riduzione delle emissioni inquinanti e del PM10. Misure chiaramente non ancora operative in quanto - come sottolinea il PNR - "è ancora in fase di definizione la relativa copertura finanziaria";
in questo ambito, si ricorda che la Commissione europea da due anni ammonisce il nostro Governo per farci rispettare i limiti imposti dalla normativa comunitaria già dal 2005. Nel novembre scorso è arrivata la definitiva comunicazione della Commissione sul deferimento del nostro Paese alla Corte di giustizia per il non rispetto della direttiva europea sulla qualità dell'aria in particolare rispetto ai limiti del PM10;
3) relativamente alle iniziative volte alla tutela dell'ambiente:
su questo aspetto nel Documento di economia e finanzia 2011, c'è poco più che un vago riferimento agli investimenti in servizi ambientali (risorse idriche e rifiuti), alla prevenzione dei rischi e al recupero dei siti inquinati e alla valorizzazione delle risorse naturali. Il Governo, tra l'altro, promette di far "diventare le aree naturali (....) un punto di forza su cui investire per lo sviluppo economico sostenibile";
in realtà in questi ultimi tre anni, abbiamo assistito a una costante e pesantissima riduzione di risorse assegnate dalle ultime leggi finanziarie al Ministero dell'ambiente. Parliamo di un taglio secco in tre anni di circa 1 miliardo di euro della dotazione complessiva per il Ministero guidato dalla Prestigiacomo;
non una sola parola del Documento di economia e finanza 2011, viene spesa per le politiche per la difesa del suolo, e per la tutela del territorio. Questo dimostra la miopia di un Governo che non vuole vedere come la lotta al dissesto idrogeologico e la messa in sicurezza del nostro territorio, può rappresentare la vera grande opera pubblica di questo Paese;
4) per quanto riguarda l'edilizia abitativa e il Piano casa:
nel Programma Nazionale di Riforma (PNR) al Piano di edilizia abitativa vengono dedicate poche righe. Ricordiamo che il Piano di edilizia abitativa (articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008) prevede l'incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l'offerta di alloggi di edilizia residenziale. Le risorse finanziarie necessarie per la realizzazione del piano erano però quelle stanziate dai provvedimenti in materia adottati dal precedente Governo Prodi;
per quanto riguarda invece il cosiddetto «Piano casa 2», il Governo avrebbe dovuto predisporre un intervento legislativo volto a favorire lavori di modifica del patrimonio edilizio esistente, nonché a prevedere la semplificazione dei titoli abilitativi all'attività. In realtà, questo secondo Piano casa promesso dal Governo dall'inizio della legislatura, e ripresentato recentemente come una delle misure in grado di dare una «frustata» all'economia, si è finora tradotto in null'altro che un bluff. Quel poco che è stato fatto, è stato realizzato con singole iniziative legislative delle regioni;
inoltre, nella gestione dei procedimenti per l'ottenimento dei titoli abilitativi edilizi, il PNR propone di introdurre il silenzio-assenso per il rilascio del permesso di costruire e di estendere lo strumento della SCIA all'edilizia. Bisognerà valutare i suddetti provvedimenti quando saranno presentati al Parlamento, ma alla luce della sensibilità ambientale dimostrata finora da questo esecutivo, l'intenzione di proseguire sulla strada di una sempre maggiore riduzione degli obblighi relativi agli interventi edilizi, rischia di avvenire a scapito di un territorio già abbondantemente segnato da abusivismo, edificazioni selvagge e fuori controllo, e urbanizzazioni intensive;
5) relativamente al capitolo infrastrutture:
per l'attuale Governo, il rilancio delle infrastrutture doveva essere il volano della ripresa economica del nostro Paese. La situazione effettiva è invece del tutto diversa, e il settore delle costruzioni e delle opere pubbliche è fermo. Di fatto siamo in presenza di un sostanziale fallimento: a dieci anni dalla legge obiettivo risulta completato solo il 20 per cento dei lotti, mentre per un altro 55 per cento di opere il cantiere non è mai stato neppure aperto. Secondo stime l'ANCE, gli investimenti pubblici in costruzioni sono in valore assoluto, i più bassi degli ultimi 20 anni;
premesso che, per quanto concerne la scuola e l'università:
il Documento di economia e finanza per il 2011, a fronte degli obiettivi elencati, nella sezione del Piano Nazionale di Riforma, per quanto attiene al capitolo istruzione, conferma tutti i tagli e il calo della spesa;
il calo, come è spiegato nello stesso documento, sarà effetto delle misure di contenimento della spesa per il personale, infatti c'è stato un piano triennale di tagli all'organico, a cui segue un andamento «gradualmente decrescente nel trentennio successivo, dovuto alla riduzione strutturale della popolazione scolastica». In sostanza, il personale diminuirà ulteriormente;
il Documento di economia e finanza dunque, conferma i pesanti tagli stabiliti, per i settori scuola e università, dalla legge 133 del 2008. Tagli che, a partire dal 2012, prevedono ulteriori risparmi per 4.561 milioni di euro per ciascun anno. In particolare, dal 2009 al 2011 sono previste economie di spesa per il personale pari a oltre 1293 milioni nel 2009, 2809 milioni nel 2010, 39011 nel 2011 e 4561 milioni a decorrere dal 2012;
per l'università, a parte gli oneri previsti dalla legge delega n. 240 del 2010 (27,5 milioni per il 2011, 96,5 milioni per il 2012 e 176,5 a decorrere dal 2013), eventuali economie di spesa saranno valutate nell'ambito dei decreti attuativi della riforma;
poca cosa rappresentano gli stanziamenti operati con la Legge di stabilità per il 2011 a favore del fondo ordinario per l'università, di 800 milioni per il 2011 e di 500 milioni a partire dal 2012 o gli incentivi per il rientro in Italia dei ricercatori;
l'Italia è tra i paesi europei che meno spendono per l'università (0,9 per cento del PIL prima dei tagli del 2008, contro una media OCSE dell'1,5 per cento). I principali paesi europei, dalla Francia alla Germania, per uscire dalla crisi hanno programmato nuovi investimenti per miliardi di euro;
il finanziamento delle università e della ricerca, dunque, a causa dei pesanti tagli operanti dal Governo, ha portato il sistema, già pesantemente sottofinanziato, al di sotto della soglia di sostenibilità;
tutto ciò conferma il disinteresse del Governo per un settore fondamentale per la crescita del Paese quale quello dell'istruzione in generale e di quella universitaria in particolare, che purtroppo non potrà non continuare a risentire di una politica di tagli i quali, anno dopo anno, producono dissesto ed una situazione economica inammissibile;
i proclami non possono bastare, mentre è indiscutibile che l'investimento nella formazione delle nuove generazioni rappresenta un parametro vitale per qualunque Paese voglia elaborare un positivo progetto di crescita per il proprio futuro;
il documento dei 27 «Europa 2020» dà un solo imperativo agli Stati membri per promuovere nuova crescita: investire in istruzione, infatti aumentare il livello e la qualità dell'istruzione rappresenta uno dei 5 obiettivi nazionali dell'Agenzia Europa 2020;
è più che necessario investire in maniera da valorizzare le immense risorse culturali e le competenze professionali che risiedono nel Paese;
per ciò che concerne l'amministrazione della giustizia:
l'imponente e disordinata produzione legislativa di emergenza di questo Governo si è sovrapposta in modo irrazionale causando incertezze ed instabilità della disciplina processuale ed una ancor più grave precarietà sul piano organizzativo, determinando tra gli operatori una diffusa insoddisfazione;
la mini-riforma del processo civile entrata in vigore nel luglio dello scorso anno, avrebbe potuto essere gestita diversamente, con un respiro diverso e con apporti più qualificati se, invece che essere contenuta all'interno di un provvedimento di carattere economico collegato alla finanziaria, fosse stata oggetto di uno specifico provvedimento discusso nella Commissione competente;
l'esigenza primaria e reale del nostro sistema giudiziario va individuata nell'oggettiva inadeguatezza della nostra giustizia civile rispetto al comportamento della nostra società, anche in un'ottica di competitività economica europea ed internazionale. Lo stato di totale paralisi dei tribunali, di merito e di legittimità, e la sfiducia di cittadini ed imprese nella capacità del sistema giudiziario civile di dirimere giustizia e di risolvere le controversie, sono sotto gli occhi di tutti e rendono evidente come l'intervento del legislatore anche sulle regole del processo civile sia episodico ed emergenziale, ed abbia perciò ormai fallito;
esistono diverse questioni a monte che rendono l'organizzazione della giustizia ingestibile: irrazionale distribuzione degli uffici; irrazionale distribuzione dei magistrati negli uffici (piante organiche sperequate); incontrollata distribuzione del lavoro tra i magistrati ed assenza di dati e controlli effettivi sulla produttività degli uffici e dei singoli; attribuzione da parte di molti dirigenti ai magistrati onorari di affari anche al di fuori delle ipotesi previste, vuoti cronici d'organico e stasi dei concorsi ordinari;
il rapporto Cepej, riporta che in Italia le sopravvenienze civili annue contenziose di primo grado per ogni giudice ammontano a 438,06, contro le 224,15 della Francia e le 54,86 della Germania. I procedimenti penali e civili per ogni grado, definiti per ogni giudice, emerge con evidenza lo sforzo della magistratura per portare a termine i processi. Nel civile il dato è di 411,33 per l'Italia, di 215,67 per la Francia e di 78,86 per la Germania. Nel penale 181,09 per l'Italia, 87,06 per la Francia, 42,91 per la Germania;
il rapporto Doing Business 2011, della Banca mondiale, che annualmente indica i Paesi in cui è vantaggioso investire, ancora colloca l'Italia all'80o posto (su 183);
condizione indispensabile per ogni riforma strutturale del settore giustizia è la disponibilità di risorse finanziarie adeguate: ed invece queste, nel tempo, si sono andate assottigliando sempre di più fino a raggiungere un livello assai basso;
si è assistito e si assiste alla reiterazione da parte di questo Governo di scelte che, dal punto di vista delle politiche finanziarie, delle dotazioni infrastrutturali, delle politiche del personale e del quadro normativo, non vanno in tale direzione. Esse non solo procedono in direzione diametralmente opposta a quella auspicata dagli operatori del settore ma anche a quella suggerita, più semplicemente, dal «buon senso» e dalla buona amministrazione ordinaria;
il settore giustizia negli ultimi dieci anni, otto dei quali governati dal centrodestra, non ha visto alcuna riforma strutturale corrispondente ad un impianto complessivo e strategico di rilancio, mentre le poche riforme avviate in passato hanno incontrato ostacoli applicativi e rilevanti problemi in sede di attuazione, non da ultimi a causa delle ripetute e sostanziali decurtazioni di risorse al bilancio dell'amministrazione;
la scopertura degli uffici è un'emergenza assoluta: mancano oggi più di mille magistrati su un organico di 9000. Dato già di per sé allarmante, ma che preoccupa ancor di più se si pensa che l'ultima legge di stabilità ha previsto il blocco delle assunzioni fino al 2013 e che attualmente mancano le risorse economiche necessarie all'assunzione dei vincitori dell'ultimo concorso. A ciò si aggiunga che i vincitori del penultimo concorso sono stati assunti finanziando la spesa con un aumento di 3 euro del contributo unificato;
la magistratura onoraria è una risorsa che in tempi brevi deve trovare una più adeguata collocazione nell'ambito dell'ordinamento giudiziario attraverso una riforma radicale ed un riordino dei ruoli che non meritano di essere ulteriormente differiti, senza la politica delle infinite proroghe. Una riforma che deve riguardare il mantenimento della distinzione tra magistrati onorari nei tribunali e nelle procure (che agiscono in sostituzione dei magistrati ordinari) e giudici di pace, che operano autonomamente, ma senza stabilizzazione,
impegna il Governo:
per le materie di sua competenza, a mettere in atto ogni iniziativa necessaria per superare gli ostacoli alla crescita dell'Italia e avviare il processo per raggiungere gli obiettivi al 2020 su occupazione, conoscenza, energia e clima, povertà, secondo le seguenti priorità:
adottare politiche di bilancio che, in termini quantitativi si pongano i seguenti obiettivi: il mantenimento dell'impegno ad una riduzione della pressione fiscale, compatibile con un sentiero di riduzione del deficit concordato in sede dell'Unione europea: è necessario dunque, oltre all'adozione di una seria politica di recupero dell'evasione fiscale e di allargamento della base imponibile, una riduzione strutturale della spesa corrente che consenta almeno di mantenere, se non addirittura di aumentare marginalmente la quota di spesa destinata agli investimenti e al riequilibrio infrastrutturale del Paese e ad un adeguato sistema di Welfare;
delineare fin dal prossimo mese di settembre i termini ed i provvedimenti dell'insieme della manovra correttiva necessaria per conseguire entro l'anno 2014 un sostanziale pareggio di bilancio,
a tal fine sarà necessario:
a) per ridare stimolo all'economia e sollievo alle famiglie, ridurre la pressione fiscale sulla base di reali risorse compensative della conseguente riduzione del gettito, adottando di conseguenza una severa e rigorosa politica di lotta all'evasione fiscale e contributiva e recuperando risorse in seguito alla riduzione della spesa corrente, il che significa, volendo mantenere almeno gli stessi livelli di spesa sociale e di spesa in conto capitale rispetto al PIL, attuare un taglio drastico (3-5 punti di PIL) della spesa più improduttiva ma anche riduzioni di programmi non prioritari. Ciò dovrà avvenire anche attraverso una revisione generalizzata della spesa pubblica centrale e decentrata (spending review) volto a valutare l'efficacia e l'efficienza dei singoli programmi di spesa per il raggiungimento degli obiettivi e mediante una riallocazione delle risorse in base al livello dei risultati e alle priorità delineate; il confronto con le migliori pratiche interne e internazionali, il monitoraggio degli indicatori, il controllo dei risultati e la valutazione dei processi amministrativi, al fine di garantire un migliore utilizzo delle risorse pubbliche;
b) cedere per una somma concordata ad un pool di banche i 300 miliardi di cartelle esattoriali non pagate e prevedere la responsabilità degli amministratori di società fallite sui debiti fiscali e contributivi di tali società;
c) adottare una efficace riduzione dei costi della politica, riducendo i livelli di governo (province e comunità montane) e il numero dei componenti delle assemblee elettive e del costo delle giunte amministrative, riducendo le società partecipate dallo Stato e dagli enti decentrati e contenendo la proliferazione dei servizi «esternalizzati», riducendo le cariche di governo e le istituzioni pubbliche, provvedendo altresì alla contrazione e alla revisione dei compensi per i rappresentanti politici, nonché una contrazione del finanziamento pubblico ai partiti; ridurre le spese inutili e gli sprechi (con l'abolizione delle province, il blocco delle auto blu, l'obbligo dei piccoli comuni di consorziarsi per la gestione di tutti i servizi, il dimezzamento dei parlamentari e dei consiglieri regionali e l'abolizione del loro vitalizio, lo scioglimento dei consigli di amministrazione delle oltre sei mila società pubbliche degli enti locali, la vendita dei beni dello Stato e delle società dello Stato); unificando gli enti previdenziali al fine di realizzare risparmi gestionali; eliminare il ricorso agli arbitrati per quanto concerne le pubbliche amministrazioni;
d) al fine di ridurre lo stock del debito pubblico, vendere anche solo una parte del patrimonio pubblico commercializzabile pari a 700 miliardi, di cui circa la metà è di proprietà degli enti territoriali, con l'obbligo per quest'ultimi di procedere alla cessione se il debito supera una determinata quota del bilancio annuale;
e) provvedere al finanziamento e al mantenimento di una quota costante in rapporto al PIL della spesa in conto capitale: devono ripartire sia le grandi opere pubbliche che le opere di riqualificazione del tessuto infrastrutturale del Paese (la messa in sicurezza di scuole, carceri ed altri edifici pubblici, la ristrutturazione degli immobili pubblici nelle zone sismiche, la manutenzione delle infrastrutture e delle strade) con un grande piano di manutenzione e ristrutturazione del territorio con criteri di sostenibilità ambientale, con particolare riferimento alla messa in sicurezza dal rischio idrogeologico, sviluppando altresì un piano di incentivi per le aziende che investono in ricerca e nuove tecnologie sul risparmio energetico;
f) intervenire sul sistema sociale italiano al fine di ridurre le disuguaglianze e le disparità di trattamento. L'Italia è un Paese a bassa crescita economica, nel quale permane un grave problema di povertà, soprattutto nelle regioni meridionali. La nostra scarsa crescita si è tradotta in un aggravamento delle condizioni sociali delle famiglie italiane occorre intervenire sul sistema sociale italiano al fine di ridurre le disuguaglianze e le disparità di trattamento. Una già grave rottura generazionale, prodotta da quindici anni di precarizzazione selvaggia, è stata appesantita da un lato dalla mancanza di strumenti di sostegno al reddito per i periodi di non lavoro, dall'altro dal sistema pensionistico italiano (peggiorato dall'ultima Finanziaria) che farà percepire ad un giovane neoassunto, dopo 40 anni di lavoro, il 40 per cento dell'ultimo stipendio. Appare dunque necessario per il rilancio dell'efficienza del sistema produttivo italiano e della crescita della produttività favorire una rinnovata coesione sociale ed una maggiore responsabilizzazione di tutti gli attori sociali,
a tal proposito è necessario:
1. attuare una profonda riforma del sistema delle relazioni industriali anzitutto attraverso una legislazione che regoli in maniera democratica la rappresentatività sindacale, imponga la misura della reale rappresentanza su base proporzionale e la legittimità degli accordi subordinandola al voto libero e democratico dei lavoratori;
2. ridefinire un nuovo sistema contrattuale attraverso una drastica semplificazione a livello nazionale in quattro grandi aree contrattuali di validità triennale (industria, pubblico impiego, artigianato, servizi) che definiscano il salario minimo, l'orario massimo, i diritti non negoziabili, la previsione obbligatoria della formazione permanente e le norme di sicurezza sul lavoro mantenendo altresì la contrattazione di secondo livello, aziendale territoriale o di comparto, per affrontare le problematiche specifiche;
3. rendere il contratto di lavoro a tempo indeterminato il rapporto di lavoro ordinario, in linea con quanto avviene nella maggior parte d'Europa, a tal fine procedendo al superamento definitivo delle 42 fattispecie contrattuali attualmente previste dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;
4. operare per una seria riforma degli ammortizzatori sociali che preveda un investimento significativo sulla formazione, accompagnata (come avviene in molti paesi europei) da un'indennità di sostegno a favore di tutti coloro che ne sono privi a partire dai precari;
5. abbattere il costo del lavoro per favorire le assunzioni a tempo indeterminato;
6. rivalutare al 100 per cento rispetto al costo della vita le pensioni di importo fino a 5 volte il trattamento previdenziale minimo;
7. stabilire un salario minimo d'ingresso per i giovani, pari ad almeno 1.000 euro al mese;
8. mettere in bilancio il finanziamento ordinario delle strutture istituzionalmente preposte alle politiche pubbliche per la formazione e l'occupazione, a partire dai centri per l'impiego, anche in vista della riduzione di fondi comunitari a partire dal 2013;
9. favorire l'integrazione orizzontale delle politiche sociali, formative e del lavoro, nel rispetto delle diverse competenze assegnate ai vari livelli istituzionali, dallo Stato, regioni ed enti locali attraverso l'integrazione della formazione pagata dall'azienda ai lavoratori con quote di formazione aggiuntiva (a carico del FSE) destinata a quelle imprese che ricorrono ai contratti di solidarietà pur di non licenziare;
10. riconoscere remunerazione e contributi a forme surrettizie di lavoro dipendente come gli stage non finalizzati all'assunzione e le partite IVA non rispondenti ai requisiti di libertà ed autonomia professionale, ma imposte per non pagare gli oneri sociali;
11. assicurare per l'anno in corso e per tutto il 2011 il pagamento dell'IVA per le piccole e medie imprese all'atto effettivo dell'incasso;
12. intervenire finalmente sul Patto di stabilità che spesso impedisce agli enti locali di saldare i prestatori di opere pubbliche pur avendo a disposizione i fondi e dunque di pagare gli stipendi alle maestranze;
13. rimuovere i fattori degenerativi della concorrenza come il dumping sociale giocato sullo sfruttamento del lavoro al fine di favorire le imprese rispettose delle leggi e dei contratti;
14. investire sulle macropolitiche individuate in sede comunitaria come il sostegno alla filiera agro-alimentare, al turismo legato alla cultura dell'accoglienza con la valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale e, alla green economy, la diffusione della banda larga su tutto il territorio nazionale, con l'accesso ad internet gratuito per le nuove generazioni, la manifattura di qualità, i settori innovativi ad alto contenuto tecnologico, i grandi progetti di riconversione industriale, la ricerca l'innovazione;
g) intervenire con urgenza per assicurare a ciascun individuo e nell'interesse della collettività, secondo quanto prescritto dall'articolo 32 della Costituzione, parità di trattamento da parte del servizio sanitario in ogni parte d'Italia affrontando l'evidente problema della qualità e della disomogeneità sul territorio dei servizi sanitari. In particolare, è necessario operare una razionalizzazione della spesa sanitaria attraverso l'eliminazione di sprechi ed inefficienze delle strutture, anzitutto intervenendo sul diffuso malcostume della elargizione di posti di lavoro e concessioni in maniera clientelare. A tal proposito si deve rilevare come nel cosiddetto processo di aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale, che avrebbe dovuto indirizzare la organizzazione sanitaria pubblica verso una maggiore autonomia ed efficienza, applicando logiche e strumenti manageriali, l'elemento fondamentale sia certamente costituito dalla figura del direttore generale di cui l'attuale legislazione lascia ampi margini di autonomia nella definizione sia dei requisiti professionali necessari per la nomina, sia degli indicatori di performance per la valutazione successiva. L'esigenza, in passato considerata legittima, di un rapporto fiduciario tra dirigenza politica e gestionale, ossia tra assessori e direttori generali delle ASL, ha consentito, nei fatti, ai primi di scegliere spesso persone del tutto inadeguate al ruolo e perciò stesso inclini a stabilire un rapporto di sudditanza o connivenza. Per far saltare questa ferrea connessione è necessario, circa il potere di nomina o di scelta del direttore generale, operare alla revisione dell'attuale legislazione ed alla definizione di nuove rigorose norme che scoraggino in partenza le possibili intrusioni e invadenze della discrezionalità politica, facendo sì che, in particolare: siano più stringenti i requisiti necessari per accedere alla carica di direttore generale, tra i quali in particolar modo la comprovata competenza ed esperienza nella responsabilità gestionale diretta pregressa delle risorse finanziarie, requisito considerato prioritario e non più aggiuntivo, come invece previsto dalla legislazione vigente; sia obbligatoria la frequenza di un corso accreditato di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria, antecedente alla eventuale nomina e quindi con valenza di prerequisito; sia necessaria l'iscrizione ad un elenco-graduatoria nazionale, aggiornato con periodicità biennale dal Ministero della salute, dei titolari dei requisiti per l'accesso alla direzione generale; tali requisiti siano valutati da una commissione nazionale di esperti nominata dal Ministero della salute, che approvi una graduatoria dei candidati, dopo aver compiuto un esame approfondito dei candidati medesimi attraverso un'analisi oggettiva preliminare dei loro curriculum ed una successiva valutazione; il provvedimento di nomina, di conferma o revoca del direttore generale sia adeguatamente motivato e reso pubblico;
h) assicurare a tutti gli studenti ed alle loro famiglie un diritto allo studio che si concretizzi in docenti preparati a svolgere il proprio lavoro senza l'assillo della precarietà assoluta, in classi in cui svolgere le lezioni con non più di trenta alunni, nel cosiddetto tempo pieno che garantisca alle famiglie di poter svolgere tranquillamente il proprio lavoro, in quella qualità dei programmi e della didattica di cui molto poco il Governo si è interessato in questi anni. A tal fine, a modificare i provvedimenti recentemente approvati volti a diminuire ulteriormente gli organici e le dotazioni da assegnare alla scuola pubblica, nonché ad adottare tutte le iniziative necessarie per garantire a tutti i precari del settore, rimasti già dall'anno scolastico in corso senza un posto di lavoro, di poter usufruire degli ammortizzatori sociali che permettano il sostentamento economico; a garantire il rispetto del diritto allo studio per gli alunni in situazione di handicap assicurando loro la possibilità di usufruire del sostegno di insegnanti specializzati per il maggior numero di ore possibile a settimana, al fine di garantire loro una reale ed efficace azione di integrazione,
ed ancora ad adottare le seguenti iniziative:
1) assegnare risorse adeguate alle scuole pubbliche al fine di realizzare un piano nazionale per la messa a norma degli edifici scolastici, per la realizzazione di impianti energetici che nel tempo possano produrre grandi risparmi e rispettare l'ambiente, per la realizzazione di strutture utili al raggiungimento di una formazione completa degli alunni, quali palestre e laboratori tecnici, aule magne; a ripristinare la legalità con riferimento al rapporto del numero di alunni per classe e alla dimensione dell'aula, nel rispetto delle norme igieniche e di sicurezza secondo quanto disposto dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;
2) prevedere un significativo aumento delle risorse economiche da destinare alle università pubbliche al fine di migliorare l'offerta formativa oggi presente;
i) adottare una strategia complessiva, dinamica e flessibile, di rilancio del Mezzogiorno, attraverso la costruzione di una solida filiera università-ricerca-credito-imprese; l'avvio di progetti di life long learning per tutto l'arco della vita lavorativa; la definizione di una seria politica industriale, anche mediante l'attrazione di capitali esteri; la realizzazione di un programma di internazionalizzazione delle aziende presenti sul territorio. Riteniamo inoltre necessario abbandonare la politica sinora seguita relativamente all'uso illegittimo delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) - in procinto di trasformarsi in »Fondo per lo sviluppo e la coesione« - procedendo al reintegro delle risorse sottratte alla loro originale destinazione - la questione riguarda anche i fondi della legge n. 488 del 1992, gran parte dei quali risulta dirottata nel 2010 verso le aree del Centro-Nord - al fine di avviare un programma di rilancio del tessuto produttivo meridionale e, conseguentemente, dei livelli occupazionali del Mezzogiorno;
j) definire un piano di azioni di aiuto rivolte alle singole imprese e destinate sia al trasferimento di innovazione dal mondo della ricerca a quello della «produzione», sia a favorire la ricerca e l'innovazione all'interno delle imprese stesse, intervenendo sul Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR) e sul Fondo per l'innovazione tecnologica (FIT), ai quali si potranno poi aggiungere le misure di competenza regionale;
k) prevedere misure concrete volte a garantire il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese nei tempi previsti, e recepire nel nostro ordinamento, senza ritardi rispetto ai 24 mesi previsti dalla sua adozione (20 ottobre 2010), la direttiva comunitaria finalizzata a lottare contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali rendendo più stringenti gli impegni delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici verso i privati;
l) supportare le piccole e medie imprese sul fronte del credito, con la creazione di un più stretto rapporto tra banche, imprese e Confidi, in grado di garantire maggiore liquidità e capitalizzazione alle piccole imprese;
m) ridurre il costo del lavoro nell'imponibile IRAP per le piccole e medie imprese;
n) restituire all'attuazione delle finalità previste dalla normativa vigente le risorse derivanti dalle revoche dei vecchi incentivi già accordati, per rinuncia o decadenza dal diritto dei destinatari, ai sensi della legge n. 488 del 1992 relativa agli strumenti di incentivo alle imprese;
o) intervenire con misure a medio-lungo termine mirate a prevedere il riavvio degli interventi di liberalizzazione dei mercati, favorire la libera concorrenza fra imprese e garantire la tutela del cittadino-consumatore, la parte più debole del sistema economico. La concorrenza è il motore della crescita e, anche in un periodo di crisi, non si possono calpestare le regole che vi presiedono, in quanto ciò favorirebbe solo un ritardo nella ripresa. Liberalizzare significa aprire i mercati a nuovi concorrenti, contrastare il potere dei monopoli ed assicurare prezzi più bassi agli utenti. Al riguardo va sottolineato che nel nostro Paese spesso si è provveduto a privatizzare alcuni settori senza aver allo stesso tempo aperto (liberalizzato) il mercato nel quale l'ex impresa pubblica si trova ad operare. In situazioni del genere si finisce per trasferire rendite di monopolio dal bilancio pubblico a quello dei nuovi azionisti privati. A monopoli pubblici si sostituiscono monopoli privati, con scarsi benefici per i consumatori e gli utenti e con posizioni di rendita ingiustificate a favore di lobby finanziarie. È questo un grave errore al quale si deve porre rimedio rafforzando i poteri di regolamentazione delle Authority e spingendo verso una maggiore apertura dei mercati nei quali operano i nuovi semi-monopoli privati;
p) sottrarre alle regole della concorrenza e del profitto la gestione del servizio idrico che deve rimanere pubblico come richiesto dai quesiti referendari. Le diverse esperienze privatistiche di gestione dell'acqua degli ultimi anni hanno dimostrato come esse siano incompatibili con la gestione dell'acqua intesa come bene comune, in quanto la finalità delle imprese commerciali, che deve essere ovviamente il profitto, tende necessariamente alla contrazione dei costi e all'aumento dei ricavi. Questo comporta da un lato l'aumento delle tariffe, dall'altro tagli ai costi del lavoro e della gestione, con conseguente peggioramento della qualità dei servizi. Negli ultimi anni si è assistito ad una riduzione drastica degli investimenti per la modernizzazione degli acquedotti, della rete fognaria, degli impianti di depurazione;
q) presentare al più presto in Parlamento il disegno di legge sulla concorrenza, anche al fine di affrontare una questione fondamentale quale quella del livello di concorrenza nel settore dei trasporti (a partire da quello ferroviario) e in quello postale; porre fine al regime che regola e limita l'apertura di nuove farmacie sconfiggendo le spinte corporative per ripristinare il vecchio monopolio assoluto della vendita dei medicinali;
r) trasformazione degli ordini in associazioni iniziando dai notai e dai giornalisti;
s) assumere come politica prioritaria nazionale l'attuazione di un programma per la sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico, superando l'attuale frammentazione di competenze, fonti normative, fonti di finanziamento e di livelli di responsabilità, mediante l'individuazione di risorse pluriennali certe e costanti e l'effettuazione di puntuali verifiche sulla realizzazione di tale programma, alla luce degli indubbi risparmi che la prevenzione consentirebbe di conseguire rispetto alle politiche emergenziali post-evento sino ad ora seguite;
t) archiviare definitivamente il programma nucleare come richiesto dal quesito referendario e non solo per una cosiddetta «pausa di riflessione», in quanto tale programma è privo di qualsiasi garanzia sia in termini di sicurezza per i cittadini che di riduzione dei costi dell'energia, frutto più di un'idea propagandistica che di politica industriale;
u) porre in essere una revisione complessiva degli strumenti di incentivazione delle fonti rinnovabili in occasione del recepimento della direttiva 2009/28/CE, attraverso una puntuale razionalizzazione e armonizzazione degli attuali meccanismi. Detta revisione deve prioritariamente consentire al nostro Paese di raggiungere gli obiettivi fissati dalla predetta direttiva, realizzando nel contempo lo sviluppo industriale e l'accettabilità sociale delle azioni che saranno intraprese. Per lo sviluppo industriale è peraltro fondamentale la stabilità e prevedibilità del quadro normativo che disciplina il sostegno alla produzione di energia da fonte rinnovabile, nonché un maggior livello di chiarezza e accessibilità delle procedure. Finora infatti, le frequenti modifiche ai sistemi vigenti hanno creato evidenti difficoltà alla programmazione degli operatori, che hanno bisogno di maggiori certezze e garanzie.
Le incentivazioni dovranno consentire lo sviluppo nel nostro Paese di comparti i cui prodotti e servizi consentano eccellenti margini di competitività sul mercato globale, seppure in un'ottica di graduale riduzione nel tempo dell'impatto dei meccanismi di promozione delle rinnovabili sui consumatori finali.
A tal fine è necessario spostare una parte significativa degli oneri legati ai meccanismi di incentivazione delle fonti rinnovabili dalla bolletta energetica - come attualmente avviene - alla fiscalità generale, così come segnalato dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas con riguardo alla delineazione di una strategia energetica nazionale, in modo da garantire reali criteri di progressività e proporzionalità nel finanziamento delle spese pubbliche. Attualmente, infatti, le incentivazioni non ricadono sulla generalità dei contribuenti, attraverso imposte dedicate, ma sullo specifico settore dei consumatori elettrici.
È altresì indispensabile accelerare la risoluzione anticipata delle convenzioni CIP6 per le energie assimilate, ossia quelle energie non rinnovabili e che sono invece prodotte da impianti che utilizzano calore di risulta o fumi di scarico, da impianti che usano gli scarti di lavorazione o di processi, termovalorizzatori, impianti di cogenerazione, scarti di raffineria e rifiuti anche non biodegradabili, ecc.. L'obiettivo a breve termine dovrà quindi essere quello dell'uscita definitiva dai meccanismi di incentivazione per le suddette fonti assimilate - che «pesano» sulla bolletta elettrica - prevedendo una loro riduzione annuale per quei produttori che attualmente ne beneficiano, con contestuale riduzione del prezzo dell'energia elettrica per i consumatori finali mediante riduzione della componente tariffaria A3;
v) aggiornare lo strumento operativo del Piano nazionale di efficienza energetica del 2007, riferendolo alla scadenza del 2020, nonché elaborare un piano di ricerca e sviluppo in materia, con il coinvolgimento di tutti i settori interessati, al fine di assumere iniziative mirate a stanziare adeguate risorse per la sua implementazione, così da supportare la nascita e lo sviluppo di imprese nazionali che offrono tecnologie, prodotti e sistemi ad elevata efficienza energetica;
w) prorogare la detrazione del 55 per cento prevista per le spese di riqualificazione energetica degli edifici, in scadenza il prossimo 31 dicembre 2011, prevedendone una sua definitiva stabilizzazione. Lo stesso Governo sottolinea nel PNR come i vantaggi di questo intervento si valutano non solo in termini di risparmio energetico, ma anche in termini di emersione del lavoro e di maggiori entrate tributarie, con conseguenti benefici per le casse dello Stato e per la collettività;
x) intervenire tempestivamente sullo stato del sistema infrastrutturale del nostro Paese, al fine di invertire un'inerzia che ci ha portato sull'orlo del baratro sia dal punto di vista della competitività economica, ma soprattutto da quello della sostenibilità ambientale. In queste condizioni non è possibile competere su scala internazionale. Rivedere le modalità delle gare d'appalto escludendo le gare al massimo ribasso e prevedendo anche un tetto massimo per le riserve in corso d'opera;
y) privilegiare per quanto concerne l'edilizia privata, anche mediante incentivi ed agevolazioni, il recupero e le ristrutturazioni, ponendosi come obiettivo, sia pure graduale, quello di «zero cubature» stante l'esiguità del territorio nazionale e la sua intensa cementificazione;
z) individuare chiaramente gli interventi necessari a risolvere nel più breve tempo possibile le gravi difficoltà del nostro sistema di trasporto, sia con riguardo alla mobilità delle persone che delle merci, e procedere ad investire in modo efficace le scarse risorse disponibili. In una situazione economica come quella attuale, occorre tenere presente che il traffico è prevalentemente di breve distanza e, riguarda in gran parte l'accessibilità ai grandi centri urbani. Si può affermare che si serve meglio quindi con le «piccole opere» e con la manutenzione, in grado di generare, tra l'altro, più occupazione in tempi più brevi, a parità di spesa;
aa) porre fine alla politica dello «stop and go» nel campo della realizzazione delle opere, strumento dannosissimo sia sul piano dei costi che della funzionalità delle opere stesse - come troppe esperienze hanno ormai mostrato - procedendo, invece, all'avvio dei cantieri solo quando le risorse necessarie al completamento dell'opera siano effettivamente allocate o quantomeno già stanziate;
bb) ridurre il divario tecnologico e culturale esistente nel nostro Paese rispetto non solo agli Stati più avanzati, ma anche a quelli storicamente meno competitivi, che però hanno sfruttato l'occasione della crisi economica per puntare sugli investimenti nelle nuove tecnologie mirati a guidare la ripresa, definendo nel più breve tempo possibile un'agenda italiana per lo sviluppo della banda larga e dei servizi digitali contenente gli obiettivi fondamentali per un'azione rivolta a guidare la transizione verso uno Stato e un'economia digitale;
cc) è improcrastinabile pensare ad una riforma organica del processo civile che tenga conto delle diverse realtà e finalità di un ricorso alla giustizia: è evidente ormai come un'unica regola processuale non possa più valere contemporaneamente a disciplinare tutte le istanze di giustizia che vanno certamente soddisfatte, ma ciascuna in ragione della propria peculiarità e con regole processuali differenti. Tali regole devono basarsi sul principio pacificamente riconosciuto come diritto dei cittadini, che il processo civile deve concludersi in tempi brevissimi; la semplificazione dei riti è anche essa ormai indifferibile; l'organizzazione degli uffici è un profilo essenziale e prioritario per la giustizia civile e penale e in questo quadro è necessario utilizzare in modo appropriato la magistratura onoraria. Inoltre alla riorganizzazione degli uffici si deve giungere attraverso: la rideterminazione delle piante organiche (attualmente vedono una sovrabbondanza di figure di livello basso); la individuazione di mansioni nuove necessariamente figlie del nuovo modello e conseguentemente provvedere alla necessaria formazione; l'obbligatorietà del processo telematico; l'assunzione di personale qualificato.
(6-00078) «Donadi, Borghesi, Cambursano, Di Pietro, Evangelisti, Leoluca Orlando, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».