ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00060

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 442 del 01/03/2011
Abbinamenti
Atto 6/00061 abbinato in data 01/03/2011
Atto 6/00062 abbinato in data 01/03/2011
Atto 6/00063 abbinato in data 01/03/2011
Atto 6/00064 abbinato in data 01/03/2011
Atto 6/00065 abbinato in data 01/03/2011
Atto 6/00066 abbinato in data 01/03/2011
Atto 6/00067 abbinato in data 01/03/2011
Atto 6/00068 abbinato in data 01/03/2011
Firmatari
Primo firmatario: BORGHESI ANTONIO
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 01/03/2011
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
FAVIA DAVID ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
DONADI MASSIMO ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
DI PIETRO ANTONIO ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
EVANGELISTI FABIO ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
ORLANDO LEOLUCA ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
CAMBURSANO RENATO ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
MESSINA IGNAZIO ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
BARBATO FRANCESCO ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
PALOMBA FEDERICO ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
DI STANISLAO AUGUSTO ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
ZAZZERA PIERFELICE ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
PIFFARI SERGIO MICHELE ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
MONAI CARLO ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
CIMADORO GABRIELE ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
PALADINI GIOVANNI ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
FORMISANO ANIELLO ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
PALAGIANO ANTONIO ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
MURA SILVANA ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
DI GIUSEPPE ANITA ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
ROTA IVAN ITALIA DEI VALORI 01/03/2011
PORCINO GAETANO ITALIA DEI VALORI 01/03/2011


Stato iter:
02/03/2011
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 01/03/2011
Resoconto CALDEROLI ROBERTO MINISTRO SENZA PORTAFOGLIO - (SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 01/03/2011

NON ACCOLTO IL 01/03/2011

PARERE GOVERNO IL 01/03/2011

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 01/03/2011

DICHIARATO PRECLUSO IL 02/03/2011

CONCLUSO IL 02/03/2011

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00060
presentata da
ANTONIO BORGHESI
testo di
martedì 1 marzo 2011, seduta n.442

La Camera,
udite le comunicazioni del Governo;
preso atto che:
l'unità e l'indivisibilità della Repubblica costituiscono valori e principi fondamentali: tale idea di unità nazionale come «inseparabile» risulta peraltro connessa ad una articolazione statuale pluralistica e autonomistica, disegnata dal Costituente del 1948 e rafforzata, in tale aspetto, dal legislatore costituzionale del 2001 con la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione;
sin dall'approvazione della riforma costituzionale del 2001, non è mai mancata la consapevolezza della necessità di
accompagnare l'evoluzione della forma dello Stato (e dell'architettura del sistema amministrativo) con una parallela e coerente riforma della finanza regionale e locale, ispirata ai principi del cosiddetto federalismo fiscale: responsabilità finanziaria degli enti territoriali, autonomia nella provvista delle risorse, loro sufficienza rispetto al compiti attribuiti, autonomia e responsabilità di spesa, perequazione e solidarietà;
l'ineludibilità dell'attuazione del federalismo fiscale è diventata oggi evidente sia sotto il profilo giuridico che, soprattutto, sotto quello politico ed economico. Al centro di questo processo vi è, infatti, il rapporto fiscale tra i cittadini, lo Stato, le Regioni e il sistema delle autonomie, nell'ambito del complessivo processo di decentramento della sovranità: dal centro alla periferia. La devoluzione di poteri, infatti, o è anche fiscale o non la si può considerare foriera di alcuna reale portata innovativa;
i criteri di convergenza economico-finanziaria e di coesione sociale che l'Unione europea impone al nostro Paese disegnano la cornice dentro cui lo Stato democratico e repubblicano dovrebbe chiamare il sistema delle Regioni e delle autonomie locali a declinare responsabilità fiscale e autonomia di spesa. L'equilibrio complessivo della finanza pubblica e il suo controllo dinamico sono le condizioni entro cui le classi politiche, espressione del dinamismo dei territori, potranno far valere i propri talenti e le proprie vocazioni. Completare, dunque, il disegno di un sistema ordinato di rapporti finanziari tra i livelli di governo richiede che siano conciliati almeno tre principi garantiti dalla Costituzione repubblicana, come riformata nel 2001:
(1) l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali, con propria responsabilità contabile;
(2) la perequazione necessaria per l'uniformità nei livelli essenziali delle prestazioni, che richiede importanti trasferimenti perequativi;
(3) la sostenibilità della condizione complessiva dei conti pubblici;
anche per questo, parte essenziale del procedimento attuativo del cosiddetto «federalismo fiscale» non può che dipanarsi nella fase consultiva parlamentare. Non solo per rispondere ad una prescrizione di carattere normativo, ma piuttosto per legittimare costituzionalmente un mutamento dell'assetto statuale di carattere istituzionale, fiscale e tributario, messo in atto dalla legge n. 42 del 2009. In altri termini, attuare una riforma di così notevole rilievo al di fuori del Parlamento nazionale, avrebbe inficiato inevitabilmente il suo percorso e, segnatamente, la sua legittimità formale oltre che sostanziale;
il cosiddetto federalismo fiscale modella la forma e la struttura dello Stato. Incide, pertanto, sull'intimo equilibrio costituzionale, in riferimento alla distribuzione concreta dei poteri (legislativi ed amministrativi), ma soprattutto sul godimento dei diritti civili e sociali, proclamati solennemente dalla nostra Carta costituzionale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali e - per quanto in questa sede rileva - senza distinzione di luogo di residenza. L'esplicito legame tra i livelli prestazionali ed i diritti civili e sociali rappresenta un «ponte» di collegamento tra la prima e la seconda parte della Costituzione;
proprio per questo il Parlamento repubblicano non può, in alcun modo, essere estromesso dal processo decisionale, ovvero neutralizzato da tale processo;
sin dal percorso parlamentare che ha portato all'approvazione della legge n. 42 del 2009, il gruppo dell'Italia dei Valori ha mantenuto sempre una posizione costruttiva e di dialogo, apportando il suo contributo al miglioramento dei testi, senza per questo rinunciare a vigilare sulla garanzia dei valori costituzionali di autonomia, solidarietà, efficienza, responsabilità e trasparenza. Ci si è mossi, cioè, nella piena consapevolezza della necessità di dare attuazione alla riforma costituzionale del 2001 e della grande opportunità che tale attuazione costituisce, laddove determina il passaggio dalla spesa storica ai costi standard e dove valorizza il binomio autonomia-responsabilità, al fine di mettere in moto un processo virtuoso che porti ad una maggiore efficacia ed efficienza dell'amministrazione pubblica nel suo complesso;
contestualmente vi è stata la consapevolezza dei rischi che un'attuazione distorta e strumentale può provocare per l'unità del Paese e per i diritti sociali ed economici dei cittadini, in presenza di un quadro istituzionale ancora indefinito riguardo alla distribuzione delle funzioni tra i livelli di governo e, in conseguenza, di grandezze finanziarie non ancora quantificate né quantificabili;
in particolare, nell'ambito del procedimento attuativo della legge delega n. 42 del 2009, risultano sinora emanati tre decreti legislativi: in materia di federalismo demaniale, di Roma capitale e di determinazione dei fabbisogni standard. Una loro analisi - seppur scarna - dimostra come il percorso federalista risulti, sinora, assai deludente: volto, cioè, più che a esplicare normativamente le preziose indicazioni delle legge delega, a issare «bandiere» di carattere meramente propagandistico, senza portata realmente modificativa a vantaggio dei cittadini, degli elettori e dei contribuenti;
nell'ambito del primo decreto legislativo adottato (decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 - Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42), dopo una integrale riscrittura del provvedimento in seno alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, anche a seguito dell'accoglimento di rilevantissime proposte emendative presentate dal gruppo ed accolte, Italia dei Valori stessa ha espresso voto favorevole, nella ferma convinzione che la responsabilizzazione della gestione locale del Paese debba passare - inevitabilmente - anche per il trasferimento di una dotazione patrimoniale per le amministrazioni locali, peraltro già sancita all'articolo 119 della Costituzione;
sul secondo decreto legislativo adottato (decreto legislativo 17 settembre 2010, n. 156 - Disposizioni in materia di ordinamento transitorio di Roma Capitale) si è registrata, viceversa, la sostanziale abdicazione - da parte del Governo - nel voler rispettare la delega assegnatagli. È infatti emersa, nella stesura del provvedimento, l'esclusiva preoccupazione di regolamentare lo status giuridico ed economico dei membri elettivi e di governo dell'ente (compresa la disciplina dei compensi e quella dei permessi retribuiti), eludendo, e rinviandole ad una più puntuale regolamentazione, le funzioni di Roma Capitale, costituzionalmente necessarie. Soltanto queste ultime sono infatti volte a rispondere ai reali e concreti bisogni ed esigenze di efficienza amministrativa e gestionale dell'ente. Si è dimostrata, in tutta evidenza, la fissazione di una priorità «castale»: si è anteposta, cioè, la questione dello status degli amministratori alla possibilità di fornire reali strumenti di controllo e di gestione riferiti ad un territorio caratterizzato da peculiari problematiche di primario rilievo;
il medesimo atteggiamento è stato assunto dal Governo in occasione dell'emanazione del terzo decreto legislativo (decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216 - Disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di Comuni, Città Metropolitane e Province). La definizione dei fabbisogni standard costituisce, in vero, l'architrave su cui dovrebbe poggiare l'intero impianto del cosiddetto «federalismo fiscale». Dalla loro esatta determinazione deriverà e dipenderà - direttamente - la concreta salvaguardia dei diritti civili e sociali che danno corpo alla cittadinanza repubblicana, come sanciti nella parte prima della Costituzione. Tale provvedimento, viceversa, fortemente contrastato dal gruppo Italia dei Valori, contiene rilevantissimi vulnus di carattere costituzionale, normativo e finanziario. La marginalizzazione del ruolo del Parlamento nel procedimento di determinazione (e non meramente di controllo) dei fabbisogni standard, l'inidoneità formale e sostanziale della fonte «sub normativa» per la loro adozione (un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in luogo di un imprescindibile decreto legislativo), la parziale elusione della ratio delegationis rispetto alla legge n. 42 del 2009, oltreché la non quantificazione dei relativi oneri finanziari sono solo alcuni aspetti di criticità citati nelle proposte di parere alternativo presentate in data 25 gennaio 2011 e in data 1o febbraio 2011 in seno alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale;
a prescindere, tuttavia, da dette valutazioni di merito, su tali decreti legislativi la Commissione Parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ha opportunamente esercitato il suo potere consultivo, al quale il Governo si è sostanzialmente attenuto, in sede di emanazione di detti decreti legislativi;
in riferimento allo schema di decreto legislativo in materia di fisco municipale, in data 3 febbraio 2011, la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ha respinto la proposta di parere favorevole condizionato, formulata dal relatore e volta a recepire le ipotesi modificative formulate dal Governo;
sebbene tale parere consultivo, al di là delle opportune valutazioni di carattere procedurale, assuma - come detto - una rilevanza assolutamente primaria nell'ambito della fase attuativa della legge delega n. 42 del 2009, il Governo, convocando un Consiglio dei ministri in via straordinaria, ha approvato nella medesima data, in via definitiva, un decreto legislativo identico al testo respinto dalla Commissione parlamentare bicamerale;
in data 4 febbraio 2011, il Presidente della Repubblica, in relazione all'emanazione ai sensi dell'articolo 87 della Costituzione del testo del decreto legislativo, ha rilevato che «non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione, non essendosi con tutta evidenza perfezionato il procedimento per l'esercizio della delega previsto dall'articolo 2, commi 3 e 4, della legge n. 42 del 2009», che sanciscono l'obbligo di rendere comunicazioni alle Camere prima di una possibile approvazione definitiva del decreto in difformità dagli orientamenti parlamentari. Pertanto, il Capo dello Stato ha comunicato al Presidente del Consiglio di «non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal Governo». Il Presidente della Repubblica ha inoltre rilevato che «il testo è diverso da quello originariamente approvato dal Governo e trasmesso alla Conferenza unificata e alle Camere ai sensi e per gli effetti delle disposizioni richiamate ed è identico alla proposta di parere favorevole condizionato formulata dal Presidente della Commissione bicamerale: proposta che è stata respinta dalla stessa Commissione, ai sensi delle norme stabilite dai Regolamenti parlamentari allorché su di una proposta si registri parità di voti e dello stesso articolo 7, comma 1, del Regolamento interno della Commissione bicamerale. Né tale pronunciamento può evidentemente assimilarsi ad una mancanza di parere. Su quel testo la Commissione bilancio della Camera ha successivamente deliberato all'unanimità di non esprimersi proprio perché lo ha considerato »superato« per gli stessi motivi. Infine il Governo deve ottemperare all'obbligo previsto dall'ultimo periodo del comma 4 dell'articolo 2 della legge delega di esporre sia alle Camere sia alla Conferenza unificata le ragioni per le quali ha ritenuto di procedere in difformità dai suindicati orientamenti parlamentari e senza aver conseguito l'intesa nella stessa Conferenza, come risulta dal verbale in data 28 ottobre 2010»;
il Capo dello Stato ha inoltre rilevato che «non giova ad un corretto svolgimento dei rapporti istituzionali la convocazione straordinaria di una riunione del Governo senza la fissazione dell'ordine del giorno e senza averne preventivamente informato il Presidente della Repubblica; tanto meno consultandolo sull'intendimento di procedere all'approvazione definitiva del decreto legislativo»;
il Presidente della Repubblica ha infine richiamato «l'attenzione del Governo sulla necessità di un pieno coinvolgimento del Parlamento, delle Regioni e degli Enti locali nel complesso procedimento di attuazione del federalismo fiscale. La rilevanza e delicatezza delle conseguenze che ne deriveranno sull'impiego delle risorse pubbliche e in particolare sull'assetto definitivo del sistema delle autonomie delineato dal nuovo titolo V della Costituzione suggerisce infatti un clima di larga condivisione, così come si è del resto verificato in occasione della approvazione della legge n. 42 del 2009 e della emanazione dei tre precedenti decreti delegati. E di ciò ho avuto modo di dare più volte pubblicamente atto, ritenendolo il metodo più corretto ed utile per l'attuazione di una così importante riforma costituzionale. Se in questo caso non c'è stata condivisione sul piano sostanziale, più che opportuno resta evitare una rottura anche sul piano procedimentale, per violazione di puntuali disposizioni della legge»;
esaminato, quindi, il testo, con modificazioni, dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale e le relative osservazioni del Governo ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge n. 42 del 2009, trasmesso al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati in data 15 febbraio 2011;
trattandosi di fisco municipale va preliminarmente sottolineato che la situazione economico-finanziaria degli enti locali si attesta attualmente su un profilo di estrema criticità, derivante anche dai rigidi vincoli del patto di stabilità interno nonché, soprattutto, dalle ingentissime decurtazioni dei trasferimenti erariali messi recentemente in atto da numerosi provvedimenti di carattere normativo, tali da incidere pesantemente l'erogazione di servizi essenziali per i cittadini;
nel corso dell'esame del provvedimento in Commissione bicamerale, anche attraverso la presentazione di un articolato parere alternativo, il gruppo Italia dei Valori ha analiticamente evidenziato le criticità di ordine costituzionale e normativo, sia dello schema di decreto originario, che delle proposte modificative susseguitesi. Si sono dimostrate le criticità ed i vuoti del provvedimento, nonostante le diverse modificazioni intervenute. Si è dimostrato, in altri termini, come i principi condivisi dal gruppo Italia dei Valori, in occasione dell'approvazione della legge delega n. 42, si siano di fatto dissolti sotto il profilo formale e sostanziale;
segnatamente, la sconfessione della legge n. 42 - su cui il gruppo Italia dei Valori ha convintamente votato a favore - si attesta, principalmente e sinteticamente, su tre rilevantissimi profili:
(a) la negazione del principio della maggiore responsabilizzazione economico-gestionale degli amministratori locali: l'autonomia tributaria riservata ai comuni per tassare i non residenti, oltreché la tassa di soggiorno, contrastano il liberale principio del no taxation without representation; nuove imposte, cioè, su soggetti che non potranno valutare democraticamente i propri amministratori;
(b) lo schema del decreto del Governo è fortemente intrecciato alla definizione dei fabbisogni standard: questione tuttora segnata da incertezza totale. Il germe dell'indeterminatezza che già infettava il precedente decreto legislativo sui fabbisogni standard si traspone, inevitabilmente e in tutta evidenza anche nel presente provvedimento;
(c) la grande questione economico-tributaria. Dal punto di vista complessivo, il testo dello schema del decreto legislativo sul federalismo municipale potrebbe potenzialmente determinare un aumento assai significativo del prelievo fiscale a carico dei cittadini. Al di là delle valutazioni di ordine generale, tali nuove imposte non fanno che tradire sotto il profilo strettamente normativo la legge «madre» sul federalismo fiscale: non era, infatti, prevista l'introduzione di alcuna nuova imposta, tale da determinare un aggravamento fiscale. Anzi, l'articolo 28, comma 2, lettera b), della legge n. 42 del 2009 imponeva la garanzia della «determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo» oltreché, soprattutto, la salvaguardia dell'obiettivo «di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria». L'aumento potenziale della pressione fiscale complessiva del presente decreto è dimostrata, in modo chiaro ed inequivocabile, anche dal non accoglimento, da parte del Governo, né da parte della maggioranza, della proposta emendativa n. 21, presentata dal gruppo Italia dei Valori presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale in occasione della seduta del 1o febbraio, che mirava proprio alla sua invarianza;
paradossalmente, a questo schema di decreto va riconosciuto un merito. Il rischio di disgregazione Nord-Sud (ricchezza-povertà), che caratterizzava il decreto legislativo precedente concernente la determinazione dei fabbisogni standard, sembra aver lasciato il posto ad una logica tributaria unitaria. Maggior prelievo fiscale per tutto il Paese, indipendentemente dalla latitudine di residenza; unità del Paese in forza dell'aumento fiscale collettivo. Il minimo comune denominatore del provvedimento uniformerà il Paese, in quanto ne svuoterà unitariamente l'economia e la crescita;
lo schema di decreto legislativo in esame presentato dal Governo (Atto del Governo n. 292- bis) innova profondamente il testo a suo tempo presentato alla Commissione parlamentare (Atto del Governo n. 292): esso recepisce, infatti, diversi dei rilievi e delle osservazioni fatte su quel testo. Al punto da presentare significative differenze anche rispetto alla versione risultante dalla proposta di parere del relatore, onorevole La Loggia. Nonostante ciò residuano numerosi profili di criticità che si intende in questa sede evidenziare;
all'articolo 2, così come riformulato, le principali criticità attengono alla disciplina del Fondo sperimentale di riequilibrio (comma 3), di cui appare estremamente indeterminata la disciplina, concernente modalità di finanziamento e di riparto, nella sostanza totalmente demandata ad un decreto ministeriale, previo accordo sancito in Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Gli unici criteri in concreto individuati attengono, difatti, alla previsione (fino al 2013) di una quota del 30 per cento del Fondo da distribuire in base al numero dei residenti: criterio, questo, che tuttavia non si comprende a quale logica perequativa (per fabbisogno o per capacità fiscale) debba rispondere;
all'articolo 3 è introdotta la nuova forma di imposizione sui redditi da fabbricato, denominata cedolare secca sugli affitti. L'effetto di tale modifica determinerà la sottrazione, alla tassazione progressiva propria dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, di un'ulteriore tipologia di redditi, oltre a quelli di capitale. E ciò appare criticabile. Innanzitutto perché la progressività del sistema tributario è oggi affidata, esclusivamente, all'imposta sul reddito delle persone fisiche (non vi sono altre imposte progressive); sicché, sottraendo base imponibile a tale imposta, se ne riduce peso ed importanza all'interno del sistema tributario. La scelta di assoggettare a tassazione proporzionale i canoni di locazione arreca, così formulata, un grave vulnus al modello d'imposizione voluto dalla Carta costituzionale, in palese violazione anche dell'articolo 2, comma 2, lettera l), della legge n. 42 del 2009, ai sensi del quale costituisce principio e criterio direttivo generale, cui deve conformarsi il legislatore delegato, tra gli altri, la «salvaguardia dell'obiettivo di non alterare il criterio della progressività del sistema tributario e rispetto del principio della capacità contributiva ai fini del concorso alle spese pubbliche». Per effetto della nuova imposta, i redditi derivanti dal capitale saranno (eccezione fatta per le locazioni di fabbricati ad uso commerciale) soggetti ad una tassazione proporzionale, laddove i redditi da lavoro continueranno (soli) a restare soggetti ad una tassazione progressiva. La fissazione dell'aliquota nelle due soglie del 21 per cento e 19 per cento comporta, peraltro, che il vantaggio, in termini di minore tassazione, sarà consistente per i contribuenti con aliquota marginale alta (43 per cento) e praticamente nullo per quelli con aliquota bassa (23 per cento). Tutto questo, infine, anche perché si è dell'avviso che, se mai ci potrà essere un recupero di materia imponibile per effetto dell'emersione degli affitti in nero, ciò dipenderà dall'inasprimento delle sanzioni contemplato per il caso di omessa o infedele registrazione e/o dichiarazione (peraltro, le pesanti sanzioni previste - comma 8 - sono limitate ai contratti di locazione da registrare; restano quindi esclusi i contratti di durata inferiore ai trenta giorni, ordinariamente impiegati nelle località turistiche), nonché al potenziamento dell'azione di contrasto, da realizzare ampliando i sistemi di incrocio delle informazioni presenti nelle varie banche dati ed il coinvolgimento degli enti locali (comma 10, articolo 2). Ulteriore critica alla cedolare secca sugli affitti attiene alla circostanza che, del nuovo regime, beneficeranno, nei fatti, soltanto i proprietari in mancanza di interventi a favore degli inquilini. L'unica misura a favore di quest'ultimi, a parte l'eliminazione della metà dell'imposta di registro sui contratti di locazione (1 per cento), è infatti a carico dei proprietari, che ove decidessero di beneficiare dell'imposta sostitutiva devono rinunciare all'indicizzazione del canone. Ma si tratta di una misura non certo soddisfacente, dal momento che i vantaggi per proprietari ed inquilini risultano eccessivamente sperequati. Senza dimenticare che per i contratti in corso, laddove l'imposta di registro sia stata già corrisposta per l'intera durata del contratto (come consentito dalla Nota I) all'articolo 5 della Tariffa, parte I, del decreto del Presidente della Repubblica n. 131/86), all'inquilino non spetterà alcun vantaggio ulteriore, posto che, in caso di opzione per il regime sostitutivo, non è dato il rimborso dell'imposta di registro e bollo già pagate;
sarebbe pertanto opportuno ampliare le detrazioni a vantaggio degli inquilini, reperendo le necessarie risorse anche attraverso una rimodulazione delle aliquote previste;
l'articolo 4 riconosce ai comuni capoluogo di provincia, alle unioni di comuni nonché ai comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte la possibilità di istituire un'imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive, da applicare secondo criteri di gradualità, in proporzione al prezzo e sino a 5 euro per notte di soggiorno. Si tratta, a ben vedere, di una vera e propria imposta: sperequata sia sotto il profilo dei soggetti fiscali attivi (una particolare categoria di comuni: quelli, appunto, turistici), nonché su quello dei soggetti fiscali passivi (non si comprende con esattezza se, in concreto, sia il gestore con rivalsa sul cliente, ovvero direttamente il cliente-turista). Soltanto il gruppo parlamentare Italia dei Valori, in seno alla suddetta Commissione parlamentare, ha proposto formalmente la soppressione di tale misura tributaria. E lo ha fatto per una serie di ragioni, di ordine politico-economico, che si tenta di illustrare assai brevemente. In primo luogo, la norma, in considerazione della sua indeterminatezza soggettiva fissata con fonte sub-legislativa, è viziata da chiara incostituzionalità. L'articolo 23 della nostra Carta costituzionale, infatti, sancisce che «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». Una riserva di legge assoluta, dunque, che viene di fatto sostituita da regolamento governativo da adottare in concerto con la Conferenza Stato-Città autonomie locali. Inoltre, il chiaro effetto depressivo sul comparto turistico, già investito da una crisi significativa e sui cui già grava una pressione fiscale complessiva che lo rende debole sotto il profilo competitivo internazionale. Non è retorico sostenere che il settore turistico del nostro Paese, soprattutto quello che nasce e si sviluppa nei contesti «cittadini», rappresenta, o meglio dovrebbe rappresentare, il core business nazionale, la missione dell'«Azienda Italia». Il nostro Paese è composto diffusamente da città d'arte e il significativo afflusso turistico - che va a determinare il cosiddetto «turisdotto» - rappresenta una fonte rilevantissima di ricchezza nazionale. Inoltre tale ipotesi vessatoria colpisce chi viaggia e pernotta fuori casa non solo per vacanza, ma anche per lavoro o per motivi di salute. L'imposta di soggiorno rappresenta, inoltre, un tributo che colpisce i non residenti, coloro quindi che non votano, e che, come tale, non può certo essere ritenuto «responsabilizzante», se non in via solo mediata. Se la responsabilità per gli amministratori, collegata a tale tributo, è colta dalla prescrizione di un vincolo sul gettito, che deve essere destinato sostanzialmente a finanziare interventi in materia di turismo, rileva l'assoluta mancanza di strumenti di garanzia della puntuale e coerente osservanza di simile vincolo;
all'articolo 5 si prevede che, con regolamento, venga disciplinata la graduale cessazione, anche parziale, della sospensione del potere dei comuni di istituire l'addizionale comunale IRPEF ovvero di aumentarla. È primariamente criticabile l'eccessiva vaghezza di una previsione che, di contro, dovrebbe portare a riconoscere ai comuni un importante strumento di responsabilizzazione politica ed amministrativa, quale è appunto l'addizionate. Si critica inoltre, ed in ogni caso, la mancata previsione di una misura volta ad assicurare che, nel caso di esercizio del predetto potere da parte del comune, intervenga, quale bilanciamento della pressione fiscale complessiva, una riduzione dell'Irpef erariale: come invece prescritto dall'articolo 28 della legge n. 42 del 2009. A rigore, infatti, la prescrizione del successivo articolo 12, comma 2, per cui dall'attuazione dei decreti legislativi non può derivare «alcun aumento del prelievo fiscale complessivo a carico dei contribuenti» appare eccessivamente generica ed indeterminata, priva come è di adeguati strumenti idonei a prevenire una simile eventualità. D'altra parte, ove risultasse idonea al risultato cui è diretta, la previsione da ultimo richiamata, in difetto di meccanismi di bilanciamento della pressione fiscale tra i diversi livelli di governo, si traduce in una totale negazione di margini di autonomia fiscale per i comuni;
all'articolo 6 si prevede che, con regolamento governativo, venga potenziata ed integrata l'imposta di scopo di cui all'articolo 1, comma 145, legge n. 296 del 2006. Tale imposta, quindi, dovrebbe diventare (tornare ad essere) a pieno titolo uno degli strumenti tributari a disposizione dei comuni. Tuttavia - va evidenziato - l'imposta in oggetto, per come è stata congegnata, risulterebbe un'addizionale all'ICI. Ebbene, posto che l'ICI, così come anche la futura imposta municipale propria (IMU), non si applica alla prima casa, anche l'imposta di scopo si tradurrà inevitabilmente nell'ennesimo tributo pagato da chi non ha il potere di sanzionare la scelta degli amministratori. In spregio, ancora una volta, della filosofia del cosiddetto federalismo fiscale, secondo cui il potere di imporre tributi è, innanzitutto, responsabilità verso i propri residenti-elettori;
agli articoli 8 e 9 viene introdotta una nuova imposta, la citata IMU, che tuttavia replica in modo pressoché integrale, sul piano sostanziale nonché su quello procedimentale, l'ICI. Ragione per cui non se ne comprende la ratio istitutiva. Profili di particolare criticità si rilevano, ad ogni modo, con riguardo al parzialmente nuovo regime di esenzione dall'IMU principale. Da un lato, perché è prevista l'esenzione solo per gli immobili, oltre che dello Stato, di regioni, comuni, province ed altri enti territoriali solo se posseduti sul proprio territorio e se destinati in via esclusiva a finalità istituzionale. L'effetto che si determina è paradossale, giacché saranno soggetti ad imposta gli immobili del comune che, pur presenti sul proprio territorio, non sono destinati, in via esclusiva, a finalità istituzionale. Dall'altro, perché tra le esenzioni oggi previste per l'ICI dall'articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 504 del 1992, viene riconfermata per l'IMU quella di cui alla lettera i) (immobili utilizzati da enti non commerciali, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive) che - come noto - rappresenta un'ipotesi al momento sub iudice presso la Commissione europea, giacché sospettata di integrare un aiuto di Stato vietato. Inoltre, non è stata richiamata quella prevista alla lettera g) per i fabbricati che, dichiarati inagibili o inabitabili, sono stati recuperati al fine di essere destinati alle attività assistenziali di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (assistenza, integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate). È stata definita, questa, una nuova tassa patrimoniale che colpirà pesantemente artigiani e commercianti: coloro che, forse, stanno già pagando il prezzo più alto della perdurante crisi economica; all'articolo 10 viene modificata l'imposta di registro sui trasferimenti immobiliari. La misura appare, tuttavia, non prevista dalla legge delega. L'articolo 12 della legge n. 42 del 2009 prevede certamente anche la trasformazione di tributi statali, ma segnatamente nell'ottica di introdurre nuovi tributi propri dei comuni. Ebbene, non si può certo ritenere che l'imposta di registro sui trasferimenti immobiliari venga a costituire un simile tributo: tale imposta è, e rimarrà, un'imposta di carattere erariale, di cui viene solo prevista la devoluzione di una quota di gettito ai comuni. Non convince l'eliminazione generalizzata di tutte le agevolazioni e la previsione di una misura minima del tributo (mille euro): «pagare meno ma pagare tutti» può essere un valido motto per combattere l'evasione, ma non certo per decretare i criteri di riparto della spesa pubblica. Tra le agevolazioni che vengono soppresse, in particolare, sembrano rientrare quelle a favore delle ONLUS;
all'articolo 13, la principale criticità della previsione del Fondo perequativo per comuni attiene al fatto che la disciplina, ivi dettata, appare assolutamente generica e lacunosa. Praticamente per nessuno dei criteri direttivi enunciati dall'articolo 13 della legge n. 42 del 2009 sono individuate le modalità di attuazione, come invece richiesto dalla delega. La disciplina del Fondo, il suo funzionamento, il suo finanziamento ed il suo riparto sono interamente demandati ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri: ad una fonte di produzione del diritto, ben diversa da quella sancita dalla legge delega, sottratta peraltro alle procedure ed ai controlli parlamentari e costituzionali, ivi dettati per l'adozione dei decreti legislativi,
non approva le comunicazioni del Governo e impegna il Governo:
sotto il profilo generale:
a) a voler salvaguardare la correttezza formale e sostanziale dei rapporti istituzionali rispetto alla totalità degli organi costituzionali, preservandone la dignità oltreché l'indipendenza e l'autonomia: segnatamente nei confronti del Parlamento;
b) a voler riconoscere nella bandiera tricolore, nell'inno nazionale ed in Roma Capitale i simboli fondamentali dello Stato repubblicano e del patrimonio dei valori nazionali riconosciuti nel testo della Carta Costituzionale, ascrivibili tra i principi cardine dell'ordinamento, ovvero tra i fattori base di integrazione della comunità statuale nel suo complesso;
c) a voler sostenere - in sede di approvazione del disegno di legge cosiddetto «Carta delle Autonomie», già approvato dalla Camera dei deputati e giacente al Senato della Repubblica - modificazioni normative volte alla soppressione delle province, all'accorpamento obbligatorio delle amministrazioni comunali più piccole, alla razionalizzazione del personale politico degli enti locali e delle società da essi direttamente o indirettamente controllate;
d) a voler pedissequamente rispettare i principi ed i criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 42 del 2009 nell'ambito dell'emanazione dei decreti legislativi attuativi rimanenti;
con riguardo al testo dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, così come trasmesso alle Camere, ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge n. 42 del 2009:
a) a voler prevedere un vincolo per assicurare l'invarianza della pressione fiscale a carico dei contribuenti, segnatamente volto ad inibire il preventivabile aumento delle imposte, ad opera delle amministrazioni centrali e periferiche. Prevedere, quindi, forme di compensazione in base alle quali, all'innalzamento della pressione locale corrisponda una pari riduzione di quella erariale e regionale;
b) a voler introdurre misure idonee a recuperare la progressività dell'imposizione, gravemente pregiudicata dall'introduzione della cedolare secca sugli affitti, in conformità all'articolo 53 della Costituzione, nonché all'articolo 2, lettera l), della legge n. 42 del 2009;
c) a voler prevedere misure di sostegno per i locatori, quali, in primis, la deducibilità dei canoni ovvero l'innalzamento della detrazioni fiscali ex articolo 16 del testo unico delle imposte sui redditi;
d) a voler prevedere misure idonee a responsabilizzare gli amministratori locali verso i propri elettori, per rimediare ad un sistema di fiscalità locale che appare estremamente orientato ad esternalizzare, prevalentemente sui non residenti, il peso del prelievo fiscale;
e) a voler sopprimere l'imposta di soggiorno, affrontando la complessiva disciplina fiscale e tributaria per il settore turistico in apposita proposta normativa volta segnatamente alla:
(1) riduzione del carico fiscale, anche in forma incentivante, a fronte di investimenti settoriali;
(2) introduzione di un vincolo di esclusività - riferito alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di opere di rilevanza turistica - sul gettito derivante da eventuale imposta di scopo turistica;
(3) previsione di strumenti di garanzia della puntuale e coerente osservanza di tale vincolo impositivo, nei confronti delle amministrazioni che intendono eventualmente avvalersene.
(6-00060) «Borghesi, Favia, Donadi, Di Pietro, Evangelisti, Leoluca Orlando, Cambursano, Messina, Barbato, Palomba, Di Stanislao, Zazzera, Piffari, Monai, Cimadoro, Paladini, Aniello Formisano, Palagiano, Mura, Di Giuseppe, Rota, Porcino».