BARBARESCHI. -
Al Ministro per i beni e le attività culturali.
- Per sapere - premesso che:
è nostra responsabilità collettiva salvaguardare e promuovere il nostro patrimonio culturale con le sue espressioni artistiche, dal teatro all'archeologia, dall'arte figurativa alla lirica, passando per il paesaggio, bene immateriale e unico del nostro Paese;
tagli e risparmi si effettuano in tutta Europa, ma non così pesantemente in questi settori. Il nostro riferimento dovrebbe essere la Francia oppure la Spagna, Paesi dove la cultura ha un ruolo determinante nello sviluppo del turismo e per il rilancio economico;
il fondo unico per lo spettacolo, istituito 24 anni fa, ha nel frattempo perso, in termini reali, più del 50 per cento del suo valore;
negli ultimi anni appaiono sempre più chiari e netti i nessi che legano cultura ed economia nelle società industriali avanzate. Il patrimonio culturale è un volano per l'economia e una missione per il Paese, non un ostacolo per il profitto;
l'idea del coinvolgimento di nuovi «attori» nella gestione del patrimonio è senza dubbio interessante, ma di per sé non è sufficiente. Il 7 ottobre 2010 su Il Corriere della Sera Vincenzo Manes ha disegnato un interessante modello di governance per reperire nuove risorse economiche e definire un diverso rapporto tra pubblico e privato nella gestione dei beni culturali, ma senza un chiaro indirizzo e senza nomine ai posti di responsabilità - nei teatri, nelle soprintendenze, nei ruoli chiave del Ministero - di personalità di alto profilo e di competenze provate e certificate non è possibile conseguire alcun obiettivo di qualità;
la produzione culturale del Paese si articola in attività non industriali e attività industriali; fra le prime sono compresi i contributi artistici puri - pittura, scultura, musica, teatro, musei e patrimoni artistici, per citarne solo alcuni - e fra le seconde i prodotti culturali per la riproduzione di massa: film, produzioni televisive, libri e musica, webtv, prodotti multimediali. Non vanno, inoltre, dimenticate le forme di creatività che alimentano produzioni culturali in un senso meno tradizionale, quali la moda, il design, l'architettura. Per valorizzare il complesso delle produzioni in una prospettiva nazionale e internazionale l'Italia ha bisogno di veri e propri «stati generali della cultura»;
non sembra rispondere ad una difendibile logica di Governo la scelta di finanziare per milioni di euro misure che contrastano palesemente con la normativa europea - come nel caso del rinvio della scadenza del 30 giugno per il pagamento della prima rata delle multe per le quote latte, di cui all'articolo 40-bis della legge 30 luglio 2010, n. 122 - e non trovare le risorse necessarie per la salvezza del Teatro Carlo Felice di Genova e della Biblioteca nazionale di Firenze o per la riorganizzazione di Pompei -:
se non ritenga essenziale che, come suggeriscono molti esperti, l'investimento pubblico nel settore dei beni culturali passi dallo 0,3 allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo, a partire dai proventi di lotterie e giochi sottoposti all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e dai fondi dell'8 per mille e del 5 per mille, e se non ritenga opportuno convocare esperti e personalità rappresentative del settore dei beni culturali, per coinvolgere, con criteri di assoluta trasversalità politica, quanti lavorano ad una migliore tutela e valorizzazione del nostro patrimonio culturale e artistico, minacciato dall'insipienza e dall'incuria. (3-01341)