ATTO CAMERA

INTERPELLANZA 2/01117

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 483 del 08/06/2011
Firmatari
Primo firmatario: CODURELLI LUCIA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 08/06/2011
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
DAMIANO CESARE PARTITO DEMOCRATICO 08/06/2011
CENNI SUSANNA PARTITO DEMOCRATICO 08/06/2011
FERRANTI DONATELLA PARTITO DEMOCRATICO 08/06/2011
RIGONI ANDREA PARTITO DEMOCRATICO 08/06/2011
BOBBA LUIGI PARTITO DEMOCRATICO 08/06/2011
SCHIRRU AMALIA PARTITO DEMOCRATICO 08/06/2011
MOGHERINI REBESANI FEDERICA PARTITO DEMOCRATICO 08/06/2011
VILLECCO CALIPARI ROSA MARIA PARTITO DEMOCRATICO 08/06/2011


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
  • PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E INNOVAZIONE
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI delegato in data 08/06/2011
Stato iter:
27/09/2011
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 27/09/2011
Resoconto CODURELLI LUCIA PARTITO DEMOCRATICO
 
RISPOSTA GOVERNO 27/09/2011
Resoconto GIACHINO BARTOLOMEO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (INFRASTRUTTURE E TRASPORTI)
 
REPLICA 27/09/2011
Resoconto SCHIRRU AMALIA PARTITO DEMOCRATICO
Fasi iter:

DISCUSSIONE IL 27/09/2011

SVOLTO IL 27/09/2011

CONCLUSO IL 27/09/2011

Atto Camera

Interpellanza 2-01117
presentata da
LUCIA CODURELLI
mercoledì 8 giugno 2011, seduta n.483

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per sapere - premesso che:

la conciliazione tra tempi di vita e lavoro è una delle questioni più rilevanti per la vita sociale del nostro Paese, visto il carico familiare che ancora grava in modo pesante sulle donne, ma essa continua ad essere affrontata, ad avviso degli interroganti, in modo contraddittorio da questo Governo;

la legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica» ai seguenti commi dell'articolo 1 stabiliva che: «57. Il rapporto di lavoro a tempo parziale può essere costituito relativamente a tutti i profili professionali appartenenti alle varie qualifiche o livelli dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ad esclusione del personale militare, di quello delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. 58. La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale avviene automaticamente entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale è indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, grave pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione stessa, può con provvedimento motivato differire la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale per un periodo non superiore a sei mesi. La trasformazione non può essere comunque concessa qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica. Il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all'amministrazione nella quale presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attività lavorativa. Fatte salve le esclusioni di cui al comma 57, per il restante personale che esercita competenze istituzionali in materia di giustizia, di difesa e di sicurezza dello Stato, di ordine e di sicurezza pubblica, con esclusione del personale di polizia municipale e provinciale, le modalità di costituzione dei rapporti di lavoro a tempo parziale ed i contingenti massimi del personale che può accedervi sono stabiliti con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica e con il Ministro del tesoro»;

negli ultimi due anni il Governo Berlusconi con le sue politiche è andato secondo gli interroganti in senso contrario; infatti è intervenuto con due provvedimenti che hanno modificato questo istituto:

a) la cosiddetta legge Brunetta (decreto-legge n. 112 del 2008) ha stabilito non solo l'abolizione delle percentuali di dipendenti part-time ma anche che le amministrazioni pubbliche valutino senza alcun obbligo di concessione le richieste di nuovi part-time;

b) il cosiddetto «collegato lavoro» legge n. 183 del 2010, in vigore dal 24 novembre 2010, ha stabilito che in sede di prima applicazione delle predetta novella «le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei princìpi di correttezza e buona fede, possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008»;
di fatto i due provvedimenti hanno significato un blocco alla concessione di nuovi part-time. Inoltre i citati provvedimenti risultano essere in totale contraddizione con l'articolo 9 della legge n. 153 del 2000;

la legge n. 183 del 2010 in particolare, poiché si presta a diverse interpretazioni, ha generato la protesta di moltissimi lavoratori e di rappresentanti sindacali, nonché il pronunciamento della magistratura del lavoro (ordinanza 31 gennaio 2011 del tribunale di Firenze, sentenza del 4 maggio 2011 del giudice del lavoro di Trento);

in base alla sentenza del giudice del lavoro di Trento, infatti, l'articolo 16 della legge n. 183 del 2010, nel consentire al datore di lavoro pubblico di trasformare unilateralmente il rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, anche contro la volontà del lavoratore, si pone in insanabile contrasto con la direttiva n. 97/81/CE attuata dall'Italia con decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, che sottolinea l'esigenza di adottare misure volte ad incrementare l'intensità occupazionale della crescita, in particolare mediante un'organizzazione più flessibile del lavoro, che risponda sia ai desideri dei lavoratori che alle esigenze della competitività;

infatti tale norma discrimina il lavoratore part-time, il quale, a differenza del lavoratore a tempo pieno rimane soggetto al potere del datore di lavoro pubblico di modificare unilateralmente la durata della prestazione di lavoro e non contribuisce certo allo sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale su basi accettabili sia ai datori di lavoro che ai lavoratori, atteso che il lavoratore part-time sarebbe soggetto al rischio di vedersi trasformare il rapporto in lavoro a tempo pieno, anche contro la propria volontà, con evidente grave pregiudizio alle proprie esigenze personali e familiari. La norma nazionale, infine, contrasta con quella parte della direttiva che impone la presenza del senso del lavoratore in caso di trasformazione del rapporto di lavoro;

l'articolo 6 della legge n. 183 del 2010 inoltre sembra confliggere anche con l'articolo 15 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che sancisce la volontarietà di ogni prestazione lavorativa;

è risaputo che i lavoratori, in stragrande maggioranza donne, del pubblico impiego titolari di un rapporto di lavoro part-time, scelgano questo istituto perché impegnati nella cura dei figli minori, di anziani o di persone con gravi disabilità non ricevendo il dovuto supporto o sostegno dallo Stato. Per ottemperare ai loro doveri familiari queste lavoratrici non hanno esitato a vedere ridotto il loro già esiguo stipendio in cambio di un orario di lavoro più flessibile e confacente alla cosiddetta «conciliazione dei tempi di vita e di lavoro»;

con questo ultimo provvedimento in particolare, si stanno avendo grandi ripercussioni, anche di tipo sociale, sugli oltre 170mila dipendenti pubblici (cioè circa il 4,7 per cento contro il 24,1 dei dipendenti a tempo pieno, secondo i dati riferibili al quarto trimestre 2010 pubblicato dall'Istat), che hanno ottenuto il part-time;

il part-time è riconosciuto in tutta Europa come lo strumento più efficace e straordinario per incentivare l'occupazione, particolarmente quella femminile, e per consentire quella conciliazione lavoro-famiglia che nel nostro Paese è difficile da attuare;

il part-time è la soluzione più efficace per permettere a chi lavora di prendersi cura di familiari non autosufficienti, disabili e figli minori ed inoltre è ancora più importante adesso, dopo i tagli apportati ai servizi alla persona in grado di aiutare le famiglie nell'assistenza ai loro familiari non autosufficienti;

in un Paese come il nostro, con un bassissimo tasso di natalità, la revoca del part-time non incentiva la formazione di nuovi nuclei familiari, con la logica conseguenza, a causa dell'invecchiamento della popolazione, della crescita della spesa previdenziale e assistenziale;

una «stretta» del part-time nel settore pubblico comporterebbe una contrazione della partecipazione femminile al mercato del lavoro e una ulteriore riduzione del suo impiego nel settore privato che oggi copre soltanto il 10 per cento dell'occupazione totale, a fronte di quote europee decisamente più elevate;

le circolari ministeriali del 10 febbraio 2010, n. 20389, e quella di chiarimenti n. 1196 del 24 novembre 2010 non pare abbiano risolto i denunciati problemi applicativi della norma. A fronte della scadenza del termine (22 maggio 2011) per il riesame unilaterale del part-time da parte della pubblica amministrazione, sono pervenute a lavoratrici impiegate a tempo indeterminato con orario di lavoro ridotto delle richieste di modifica dei contratti di lavoro (ad esempio, a tempo determinato), e in alcuni casi si sta addirittura giungendo a provvedimenti unilaterali di revoca. Fatti del genere sono avvenuti presso enti pubblici a Lecco, in Toscana e nella città di Udine;

l'Istat, nel rapporto annuale sulla situazione del Paese 2010 conferma che:

sono le donne il pilastro del welfare, coloro che reggono il carico maggiore nella rete d'aiuto familiare fondamentale per l'economia e la società. Le donne, secondo l'Istat, svolgono in un anno 2,1 miliardi di ore d'aiuto a componenti di altre famiglie, pari ai due terzi del totale erogato. Ma questo sistema è in crisi strutturale, a causa anche ai provvedimenti citati in premessa, e rischia di sgretolarsi;

quasi un milione di donne ha subito il licenziamento o è stato costretto a dimettersi per aver deciso di avere un figlio. Oltre la metà delle interruzioni del lavoro per la nascita di un figlio non è il risultato di una libera scelta. Sono infatti circa 800mila (pari all'8,7 per cento delle donne che lavorano o hanno lavorato) le madri che hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere, nel corso della loro vita lavorativa, a causa di una gravidanza;

solo quattro madri su dieci tra quelle costrette a lasciare il lavoro, ha poi ripreso l'attività, ma con valori diversi nel Paese: una su due al Nord e soltanto poco più di una su cinque nel Mezzogiorno;

le interruzioni imposte dal datore di lavoro, in particolare, riguardano più spesso le donne più giovani: si passa infatti dal 6,8 per cento delle donne nate tra il 1944 e il 1953 al 13,1 per cento di quelle nate dopo il 1973. Per queste ultime generazioni, le dimissioni in bianco quasi si sovrappongono al totale delle interruzioni a seguito della nascita di un figlio;

nel 2010, a fronte della grave crisi, la famiglia, per l'ennesima volta, ha svolto il ruolo di ammortizzatore sociale nei confronti dei giovani. Ancora una volta le donne;
tutto questo appare agli interroganti assolutamente in contrasto con le direttive europee, con tutti i pronunciamenti fatti a più riprese da questo Governo, che in nome della parità ha penalizzato pesantemente le donne con l'allungamento, attraverso un voto di fiducia dell'età pensionabile (da 65 a 66 per effetto del decreto-legge n. 78 del 2010) -:

cosa si intenda fare per garantire alle lavoratrici del pubblico impiego il diritto a conciliare le proprie esigenze lavorative con quelle affettivo-familiari, la libera facoltà di scelta del lavoro part-time e la tutela dei diritti acquisiti, alla luce:

del piano strategico di azioni per la conciliazione e le pari opportunità che prevede anche una maggiore inclusione delle donne nel mercato del lavoro contenute nel programma Italia 2020;

della risoluzione (8-00070) approvata in commissione all'unanimità l'8 giugno 2010; del protocollo d'intesa con le parti sociali siglato il 7 marzo 2011 proprio sul tema della conciliazione.

(2-01117)
«Codurelli, Damiano, Cenni, Ferranti, Rigoni, Bobba, Schirru, Mogherini Rebesani, Villecco Calipari».