ATTO CAMERA

MOZIONE 1/01030

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 629 del 09/05/2012
Abbinamenti
Atto 1/01203 abbinato in data 03/12/2012
Atto 1/01204 abbinato in data 03/12/2012
Atto 1/01205 abbinato in data 03/12/2012
Firmatari
Primo firmatario: DI STANISLAO AUGUSTO
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 09/05/2012
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
DONADI MASSIMO ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
DI PIETRO ANTONIO ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
BORGHESI ANTONIO ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
EVANGELISTI FABIO ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
ORLANDO LEOLUCA ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
BARBATO FRANCESCO ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
CIMADORO GABRIELE ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
DI GIUSEPPE ANITA ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
FAVIA DAVID ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
FORMISANO ANIELLO ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
MESSINA IGNAZIO ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
MONAI CARLO ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
MURA SILVANA ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
PALADINI GIOVANNI ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
PALAGIANO ANTONIO ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
PALOMBA FEDERICO ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
PIFFARI SERGIO MICHELE ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
PORCINO GAETANO ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
ROTA IVAN ITALIA DEI VALORI 09/05/2012
ZAZZERA PIERFELICE ITALIA DEI VALORI 09/05/2012


Stato iter:
IN CORSO
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 03/12/2012
Resoconto DI STANISLAO AUGUSTO ITALIA DEI VALORI
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 03/12/2012
Resoconto DE ANGELIS MARCELLO POPOLO DELLA LIBERTA'
 
INTERVENTO GOVERNO 03/12/2012
Resoconto MILONE FILIPPO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (DIFESA)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 03/12/2012

DISCUSSIONE IL 03/12/2012

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 03/12/2012

Atto Camera

Mozione 1-01030
presentata da
AUGUSTO DI STANISLAO
testo di
mercoledì 9 maggio 2012, seduta n.629

La Camera,


premesso che:


la Commissione difesa della Camera dei deputati, nel corso della seduta dell'11 aprile 2012, ha unanimemente approvato la risoluzione 8-00171 a prima firma Di Stanislao, sulle problematiche connesse ai gravi danni alla salute subiti dal personale militare in Italia e all'estero conseguenti all'esposizione all'uranio impoverito, dimostrando estremo interesse e, al contempo, preoccupazione, per le numerose problematiche connesse alla tematica in questione;


l'approvazione del richiamato atto di indirizzo e le conseguenti iniziative che il Governo dovrà intraprendere in virtù degli impegni assunti, rappresentano un risultato politico importante, affinché, al più presto e senza riserve, vengano chiariti i dubbi che ancora oggi esistono su questa materia, accertate le responsabilità ed individuate le procedure e gli strumenti più efficaci per una futura prevenzione. È importante, quindi, che prosegua a livello parlamentare, con serietà ed urgenza, il dibattito su tale materia e siano fomiti ulteriori indirizzi al Governo su questa materia;


le questioni aperte sono complesse ed attengono a profili diversi, dalla sicurezza e protezione del personale esposto all'uranio impoverito, al tema dei risarcimenti, troppo spesso negati ai militari che hanno contratto gravi patologie in conseguenza dell'esposizione all'uranio impoverito, ai profili scientifici e normativi della questione;


secondo quanto riferito dall'Anavafaf, l'Associazione nazionale italiana assistenza vittime arruolate nelle forze armate, i casi accertati di militari contaminati da uranio impoverito e altri agenti patogeni sono 3.761 di cui 698 riguardanti personale militare che ha preso parte alle missioni militari all'estero e 3.063 riguardanti personale militare che non ha mai effettuato attività fuori area. Si tratta di dati drammatici anche in considerazione del fatto che si tratta di dati parziali perché riferiti ad un periodo di tempo limitato, dal 1991 al 2012, e riguardanti solamente il personale militare in servizio, mentre è escluso tutto il personale militare in congedo che ha lasciato il servizio ed il personale civile;


il fenomeno dell'uranio impoverito non è limitato all'Italia che si è occupata del fenomeno solo dopo il primo caso verificatosi in Bosnia (il caso del militare Salvatore Vacca, nel 1999), più di mezzo secolo dopo che della problematica si sono occupati ampiamente gli Stati Uniti e altri Paesi, soprattutto anglosassoni;


alcuni militari italiani impegnati nella missione Ibis in Somalia hanno fatto presente di aver visto militari Usa che adottavano tute e maschere ed altri ancora hanno riferito in merito alla presenza di carri armati Abrams dotati di armamento e armature all'uranio impoverito. Tale circostanza è riscontrabile anche nella sentenza del tribunale civile di Firenze del 17 del gennaio 2009 dove si legge che «al di là delle raccomandazioni che erano e dovevano essere note al Ministero della difesa, il fatto che ai militari americani fosse imposta l'adozione di particolari protezioni, anche in mancanza di ulteriori conoscenze, doveva allertare le autorità italiane. Deve concludersi che, nel caso in discorso, vi sia stato un atteggiamento non commendevole e non ispirato ai princìpi di cautela e di responsabilità da parte del Ministero della difesa, consistito nell'aver ignorato le informazioni in suo possesso, già da lungo tempo, circa la presenza di uranio impoverito nelle aree interessate dalla missione e i pericoli per la salute dei soldati collegati all'utilizzo di tale metallo, nel non aver impiegato tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei propri militari e nell'aver ignorato le cautele adottate da altri paesi impegnati nella stessa missione, nonostante l'adozione di tali misure di prevenzione fosse stata più volte segnalata dai militari italiani»;


su tali fatti sarebbe utile conoscere, nei limiti stabiliti dalla natura di tali atti, le informazioni in possesso dei servizi segreti e dei comandanti delle diverse missioni, con particolare riferimento alla missione Ibis in Somalia, anche perché tali informazioni non risultano acquisite neppure dalle Commissioni d'inchiesta che nel corso degli anni sono state costituite su questo tema, sebbene tali organismi, possono procedere alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e gli stessi limiti dell'autorità giudiziaria ed acquisire copia di atti e documenti relativi a procedimenti o inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organismi inquirenti (articolo 4 della delibera istitutiva della Commissione monocamerale d'inchiesta sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni internazionali di pace, sulle condizioni della conservazione e sull'eventuale utilizzo dell'uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale, sui fatti e su chi può testimoniare in merito);


da un punto di vista normativo l'Italia è intervenuta tardi ed in maniera poco efficace ed efficiente. Le prime norme di protezione giunte ai nostre reparti furono quelle emanate dalla Kfor (la Forza multilaterale nei Balcani) il 22 novembre 1999 in Bosnia. Queste norme precisavano chiaramente i pericoli dell'uranio impoverito che così vennero riassunti nelle cosiddette «regole d'oro» che recitavano: «rimani lontano da carri/mezzi bruciati e da edifici colpiti da missili da crociera. Se lavori entro 500 metri di raggio da un veicolo o costruzione distrutti indossa protezioni per le vie respiratorie»;



per quanto riguarda, poi, il tema dei risarcimenti da riconoscere al personale militare colpito da gravi patologie conseguenti all'esposizione ad uranio impoverito, l'Anavafaf, che da molto tempo si occupa del tema in questione, ha posto in evidenza come in molti casi gli organi della Difesa hanno negato qualsiasi forma di risarcimento in quanto le patologie non sono risultate dipendenti da causa di servizio, sebbene commissioni di verifica abbiano espresso valutazioni contrastanti;


suscita, poi, perplessità il fatto che in sede di travaso delle disposizioni della legge n. 308 del 1981 nel codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010 non si sia provveduto ad includere il personale militare in servizio permanente tra i beneficiari della speciale indennità di cui all'articolo 6 della richiamata legge n. 308 del 1981;


a livello scientifico, nel 2000, è stata istituita la commissione «Mandelli» con il compito di condurre un'analisi osservazionale retrospettiva di tipo caso-controllo sui reduci del teatro operativo balcanico. Lo stesso professor Mandelli, in un articolo pubblicato a firma congiunta con il professor Mele sulla rivista «Epidemiologia» dell'ottobre 2001, ha scritto che non si può escludere che l'uranio impoverito sia stato la causa dei linfomi di Hodgkin e il professor Grandolfo della Commissione stessa in un'intervista resa ad un quotidiano ha affermato che non si può escludere che l'uranio sia letale;


sempre a livello scientifico è stato, inoltre, evidenziato come i vaccini somministrati ai soldati italiani non possono essere considerati l'unica causa delle malattie e che le nanoparticelle di metalli pesanti, sebbene nocive per la salute, non sarebbero letali. Ulteriori informazioni sui possibili danni provocati dall'uranio impoverito sono contenuti in uno studio di due scienziati americani, di fama internazionale, Marion Fulk e Leuren Moret, i quali precisano che il rischio dell'uranio impoverito riguarda tre diverse componenti così tipizzate: a) agente chimico; b) agente radiologico; c) agente di particolato (cioè di particelle);


la problematica non riguarda solamente il personale impegnato nelle missioni militari, ma anche il personale in destinazione fissa ed il personale che presta servizio nei poligoni militari o risiede nelle vicinanze di quei siti;


nei poligoni si svolgono, infatti, diverse attività, legate all'addestramento delle truppe, alle esercitazioni, alla sperimentazione degli armamenti e alla ricerca. In particolare, il poligono del Salto di Quirra ospita regolarmente sia la sperimentazione di armamenti, sia le attività dimostrative da parte delle aziende produttrici;


è ormai noto, ad esempio, il problema dell'inquinamento legato alle attività militari svolte nel poligono di Quirra dove sembra che i contaminanti potrebbe/o essersi annidati nel vasto sistema di grotte sottostanti l'area militare. Sebbene tale problematica sia stata sollevata da diverso tempo, non risulta approntato alcun piano investigativo per vagliare l'ipotesi. Il semplice prelevamento di campioni di acque dalle sorgenti potrebbe fornire valori falsamente confortanti se non si procederà all'analisi dei sedimenti depositatisi all'interno delle grotte. Il sistema di cavità di Is Angurtidorgius consta di oltre 11 chilometri di gallerie solcate da un fiume e con numerosi laghi che costituiscono una riserva idrica di notevole valore;


i calcari si comportano come una sorta di gigantesca spugna che assorbe, senza filtrarla, qualunque sostanza rilasciata in superficie e se non si procederà alla ricerca degli inquinanti nei depositi sedimentari delle grotte si corre il rischio che le persone continuino ad ammalarsi per cause «misteriose». Peraltro, i tempi di transito degli inquinanti all'interno del sistema di cavità non possono essere determinati con certezza in virtù delle numerose variabili che ne governano il passaggio;


anche nella frazione di Quirra esiste un sistema di cavità, indipendente da quello dell'altopiano, in cui potrebbe essersi riversata una frazione delle sostanze dannose provenienti dal poligono. Se ciò risultasse vero i tempi di permanenza degli inquinanti nel sottosuolo potrebbero dilatarsi a dismisura;


come risulta dal «Rapporto sullo stato di salute delle popolazioni residenti in aree interessate da poli industriali, minerari o militari» nel Salto di Quirra è riscontrabile una percentuale di mielomi e leucemie superiore alle attese statistiche e, nell'insieme, un quadro di maggiore esposizione relativa ad alcune particolari patologie riconducibili a fattori ambientali. Il rapporto mettendo insieme competenze mediche e statistiche di diversi centri italiani, presenta una valutazione epidemiologica sullo stato di salute delle popolazioni residenti in aree interessate da attività industriali, minerarie o militari. I risultati mostrano una indubbia maggiore incidenza di certe patologie nelle aree interessate da attività militari;


recentemente c'è stata una svolta nell'inchiesta sul poligono di Quirra con il ritrovamento nei corpi dei pastori riesumati di torio radioattivo. Secondo la procura nel poligono vi sarebbe una compromissione ambientale a causa delle presenza, come indicato in uno dei provvedimenti di sequestro delle aree, di torio 232, elemento altamente radioattivo, che può provocare gravi danni alla salute degli uomini e degli animali anche dopo molti anni. L'area interessata è di circa 75 mila metri quadri. Gli esami fatti eseguire nel corso delle indagini dalla procura avrebbero evidenziato anche alte concentrazioni di antimonio, piombo e cadmio, metalli tossici molto pericolosi per la salute umana e animale;


anche il poligono di Teulada insiste in parte su una zona carsica e da più parti si osserva che le attività dei poligoni in zone carsiche possono produrre effetti deleteri per la salute a parecchi chilometri di distanza, in aree apparentemente protette;


sotto questa luce le vittime delle attività dei poligoni purtroppo potrebbero aumentare;


analoghe problematiche riguardano il poligono di Capo Frasca utilizzato per esercitazioni militari, sia italiane che straniere. Alcune ricerche dimostrerebbero che nelle comunità limitrofe all'area del poligono sarebbero in crescita i tumori e linfomi della tiroide; a Capo Frasca risulta esserci un pozzo artesiano e pare che anche i militari segnalino da anni tale problematica. Quest'ultima questione ha suscitato una polemica emersa anche nella stampa locale. Sul quotidiano l'Unione Sarda del 18 dicembre 2011 si legge che «il Comandante ha negato la presenza dei tre pozzi artesiani denunciati da anni dai militari in servizio a Capo Frasca...»;


sempre con riferimento a Capo Frasca la stampa locale ha dato risalto al caso di Giovanni Madeddu, maresciallo, che tra il 1968 al 1987 ha lavorato presso quel poligono con l'incarico di armiere nelle guerre simulate che in quegli anni venivano ospitate nel poligono. Madeddu ha un linfoma diffuso a grandi cellule;


altre persone che hanno operato nell'area di Quirra sono state colpite da un simile tumore;


il quotidiano Nuova Sardegna ha intervistato il maresciallo Madeddu il quale ha riferito che a Capo Frasca non è sia stata mai effettuata una vera bonifica del territorio sebbene in quel luogo sono stati lasciati per venti-trent'anni i residui delle esercitazioni delle Forze armate di tutto il mondo. Ricorda soprattutto una radura, dove si accumulavano i proiettili. Quando pioveva si creavano dei pantani e l'acqua poi filtrava nel terreno. La stessa acqua che poi - attraverso un sistema di pozzi artesiani - veniva utilizzata per ogni uso nel poligono o nei vicini poderi. E in diversi casi l'Asl ha rilevato anomalie e impedito che venisse utilizzata per scopi alimentari;


nel poligono di Capo Frasca, inoltre, capi di bestiame si sono venuti a trovare nella zona dei mitragliamenti e sono stati colpiti dai proiettili realizzati con metalli pesanti e quindi dalle nanoparticelle degli stessi. Il bestiame colpito è stato poi macellato e cucinato. Al riguardo, andrebbe verificato se l'attività di macelleria era stata autorizzata o meno e se le ASL abbiano effettuato i dovuti controlli;


di recente, anche il comune di Arbus ha chiesto all'assessorato regionale della sanità un nuovo impegno per accelerare al massimo l'avvio delle indagini epidemiologiche sui residenti in aree militari della Sardegna;


risulta, inoltre, che nei poligoni è stato impiegato personale non specializzato nei compiti di «sgombra-bossoli» che ha operato a mani nude e senza maschere,

impegna il Governo


ad assumere ogni iniziativa di propria competenza affinché venga colmato il vuoto normativo creatosi a seguito della mancata previsione nel codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010 della speciale elargizione già stabilita all'articolo 1 della legge n. 308 del 1981 in favore del personale militare che a causa di servizio o durante il periodo di servizio avesse subito un evento dannoso che ne avesse determinato una menomazione dell'integrità fisica;


a verificare il motivo per il quale, come accertato dal tribunale civile di Firenze nella sentenza del gennaio del 2009, non sono state adottate le necessarie misure per tutelare la salute dei militari italiani impegnati nella missione Ibis in Somalia e sono state ignorate le cautele adottate da altri Paesi impegnati nella stessa missione, nonostante l'adozione di tali misure di prevenzione fosse stata più volte segnalata dai militari italiani:


a chiarire perché non sono mai state adottate misure di protezione adeguate nei poligoni e a dichiarare quali siano state le precauzioni messe in atto per tutelare i militari ed i civili dai rischi per la salute e per l'ambiente;


a verificare e a chiarire se la resistenza dei carri armati prodotti in Italia sia stata mai testata contro i proiettili all'uranio impoverito;


a verificare quanti sono i casi di persone ammalatesi nelle missioni all'estero riguardanti non solo militari in servizio ma anche militari in congedo e persone civili facenti capo a varie istituzioni come la Presidenza del Consiglio, le organizzazioni di volontariato Onlus, i Ministeri degli affari esteri, dell'interno, della difesa, dell'economia e delle finanze, della giustizia, delle politiche agricole, alimentari e forestali ed anche quanti sono i casi di militari e civili impiegati in Italia, nei poligoni, depositi, officine, a partire dal 1970, tenendo conto che il primo caso sospetto nei poligoni, di cui si è avuta notizia, è del 1997 (il caso Lorenzo Michelini);


a verificare e chiarire in quali poligoni in Italia sono stati usati missili Milan e in che numero, tenuto conto dell'inchiesta recente del poligono di Quirra dalla quale è emersa la presenza di tracce di torio nei cadaveri dei pastori da attribuire probabilmente a questi missili il cui impiego è stato accertato nel poligono di Teulada;


ad adottare tutte le necessarie disposizioni in ambito militare per individuare la presenza di torio nei territori in cui sono stati impiegati i missili Milan e a disporre, di conseguenza, misure di bonifica e ad evitare ulteriori rischi da contaminazione;


a rendere noti i controlli a cui è sottoposto il personale di ditte civili eventualmente impiegato nei poligoni;


a rendere note le caratteristiche delle apparecchiature usate per il controllo della sicurezza dell'ambiente e, in particolare, le capacità di queste apparecchiature di rivelare l'esistenza di particelle (nano o micro particelle) di metalli pesanti (di cui sono fatti i proiettili impiegati nei test e nelle esercitazioni);


a valutare la possibilità di abolire le operazioni di brillamento periodicamente effettuate nei poligoni, perché la nube di polvere che si genera nel brillamento e che si rideposita sul terreno può avere effetti inquinanti (il materiale di scarto dei poligoni dovrebbe essere sistemato sotto terra, in appropriati depositi bunker);


a valutare la possibilità di assumere iniziative per vietare alle ditte straniere di operare nei poligoni italiani, salvo casi eccezionali in cui la sperimentazione possa essere di grande importanza per interessi nazionali e, in questi casi eccezionali, proibendo agli enti di avvalersi di autocertificazione (in quanto impediscono i controlli sul loro operato);


ad esaminare i documenti relativi ai test che sono stati eseguiti almeno negli ultimi venti anni previa desegretazione della documentazione stessa;


ad avviare ogni possibile verifica atta ad escludere categoricamente la possibilità che molti dei soldati italiani siano deceduti per mancanza di cure adatte alla loro contaminazione radioattiva interna non riconosciuta, così come accaduto per il soldato Acaries.

(1-01030)
«Di Stanislao, Donadi, Di Pietro, Borghesi, Evangelisti, Leoluca Orlando, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».