ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00930

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 606 del 19/03/2012
Abbinamenti
Atto 1/00880 abbinato in data 19/03/2012
Atto 1/00887 abbinato in data 19/03/2012
Atto 1/00928 abbinato in data 19/03/2012
Atto 1/00932 abbinato in data 19/03/2012
Atto 1/00933 abbinato in data 19/03/2012
Atto 1/00934 abbinato in data 19/03/2012
Atto 1/00935 abbinato in data 19/03/2012
Atto 1/00940 abbinato in data 19/03/2012
Atto 1/00941 abbinato in data 19/03/2012
Atto 1/00972 abbinato in data 28/03/2012
Atto 1/00976 abbinato in data 28/03/2012
Firmatari
Primo firmatario: OSSORIO GIUSEPPE
Gruppo: MISTO-REPUBBLICANI-AZIONISTI
Data firma: 16/03/2012
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
NUCARA FRANCESCO MISTO-REPUBBLICANI-AZIONISTI 16/03/2012
BRUGGER SIEGFRIED MISTO-MINORANZE LINGUISTICHE 16/03/2012


Stato iter:
28/03/2012
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO GOVERNO 19/03/2012
Resoconto BARCA FABRIZIO MINISTRO SENZA PORTAFOGLIO - (COESIONE TERRITORIALE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 19/03/2012

DISCUSSIONE IL 19/03/2012

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 19/03/2012

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 28/03/2012

RITIRATO IL 28/03/2012

CONCLUSO IL 28/03/2012

Atto Camera

Mozione 1-00930
presentata da
GIUSEPPE OSSORIO
testo di
lunedì 19 marzo 2012, seduta n.606

La Camera,

premesso che:

secondo l'ultimo rapporto Svimez il prodotto interno lordo nel Mezzogiorno, dal 2001 al 2010, ha segnato una media annua negativa, -0,3 per cento. Decisamente lontano dal + 3,5 per cento del Centro-Nord, a testimonianza del perdurante divario di sviluppo tra le due aree. In valori assoluti, a livello nazionale, il prodotto interno lordo è stato di 25.583 euro medio pro capite. Ai 29.869 euro del Centro-Nord si contrappongono i 17.466 euro del Mezzogiorno. Fra le regioni del Sud, l'Abruzzo è quella con il prodotto interno lordo pro capite più elevato con 21.574 euro; circa 2.200 euro al di sotto dell'Umbria, la regione più debole del Centro-Nord. Seguono il Molise con 19.804 euro, la con Sardegna con 19.552 euro, la Basilicata con 18.021 euro, la Sicilia con 17.488 euro, la Calabria con 16.657 euro e la Puglia con 16.932 euro. La regione più povera è la Campania, con 16.372 euro;

i dati e le previsioni per il futuro sembrano confermare che nord e sud del Paese viaggiano su strade opposte: il prodotto interno lordo del Centro-Nord è previsto a +0,8 per cento, quello del Mezzogiorno a +0,1 per cento. Per il Sud, il 2011 è stato il secondo anno consecutivo di stagnazione, dopo il forte calo del prodotto interno lordo nel biennio di crisi 2008-2009. Tutte le regioni meridionali presentano valori inferiori al dato medio nazionale e oscillano tra un valore minimo pari a -0,1 per cento della Calabria e un valore massimo pari a +0,5 per cento della Basilicata e l'Abruzzo. In mezzo, il Molise e la Campania segnano +0,1 per cento, la Puglia +0,3 per cento, la Sicilia e la Sardegna ferme allo zero per cento. La forbice del divario, dunque, si restringe e pare destinata ad aumentare;

quanto all'occupazione, nel 2010 i posti di lavoro sono calati al Sud del 5,6 per cento (-5,8 per cento nel manifatturiero) contro il -3,1 per cento del Centro-Nord. Il ricorso alla cassa integrazione, soprattutto straordinaria, è proseguito come già nel 2009: al Sud, nel 2010, le ore erogate nel settore manifatturiero in presenza di crisi strutturali sono state +146 per cento (113 milioni di ore); nel resto del Paese +163 per cento (544 milioni di ore). Da segnalare che tra il 2008 e il 2010 il manifatturiero meridionale ha perso quasi 130 mila posti di lavoro, il 15 per cento del totale, che si aggiungono ai 490 mila del Centro-Nord;

si è, dunque, di fronte al rischio concreto di una profonda de-industrializzazione di tutta l'area del meridione d'Italia. Un'eventualità questa che avrebbe effetti catastrofici sull'economia di tutto il Paese;

altro dato su cui riflettere è quello relativo al credito: il tasso di interesse, al Sud nel 2010, si è attestato al 6,2 per cento, contro il 4,8 per cento del Centro-Nord. Resta, quindi, invariato il divario di 1,4 punti percentuali, quale riflesso dell'elevata rischiosità delle imprese meridionali;

di fronte a tale scenario, è necessario focalizzare quei processi di riforma che sarebbero necessari per adeguare il sistema produttivo del Paese, e in particolare del Meridione, alle nuove condizioni competitive determinate dalla globalizzazione e dall'adesione all'euro. Appare plausibile ritenere che il processo di declino del meridione d'Italia potrà essere interrotto solo in presenza dello sviluppo di un'adeguata domanda privata e pubblica, capace nel breve periodo di attenuare gli effetti della crisi attuale e, nel medio periodo, di favorire una ripresa duratura della produzione che avrebbe come conseguenza la creazione di posizioni lavorative stabili e efficienti. Il pericolo è che, mancando tale stimolo, la perdita di tessuto produttivo diventi permanente, aggravando i divari territoriali già marcati nel Paese;

in questo contesto, è necessario e non più differibile mettere in campo una politica industriale finalizzata a sviluppare e ramificare sul territorio una matrice tecnologica e produttiva, in particolare in settori strategici, capace di dimostrarsi autonoma e di rigenerarsi sul territorio, al fine di creare e sostenere nuova occupazione. Bisogna in questo senso far superare la congenita tendenza al «nanismo» delle piccole imprese del Mezzogiorno, irrobustire la piattaforma logistica che vede il Sud naturalmente punto d'approdo nel Mediterraneo delle correnti mercantili da e verso Oriente ed intervenire con decisione per la riqualificazione ambientale di vaste aree geografiche del Sud, a ridosso, soprattutto, di quegli agglomerati urbani densamente popolati;

quanto all'occupazione, se si analizzano gli andamenti trimestrali (con riferimento agli ultimi dieci anni) emerge che la crisi è iniziata prima al Sud e lì sembra durare più a lungo. Gli occupati al Sud sono, quindi, tornati ai livelli di dieci anni fa. In Campania lavora meno del 40 per cento della popolazione in età da lavoro, in Calabria è il 42,4 per cento, in Sicilia il 42,6 per cento;

caso unico in Europa, l'Italia sul fronte migratorio continua a presentarsi come un Paese spaccato in due: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla;

dal 2000 al 2009 ben 583 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Nel solo 2009 sono partiti dal Mezzogiorno in direzione del Centro-Nord circa 109 mila abitanti. Riguardo alla provenienza, in testa risulta la Campania, con una partenza di 33.800 abitanti, circa il 30 per cento dell'emigrazione interna; segue la Sicilia con 23.700 partenze; la Puglia con 19.600; la Calabria con 14.200. In direzione opposta, dal Nord al Sud, si sono mosse, invece, solo 67 mila persone. In Italia lavora meno di una donna su due, ma al Sud la percentuale crolla al 30 per cento. Nel 2010 il tasso di occupazione del Nord è risultato (dati Istat) più elevato di oltre venti punti rispetto a quello dell'area meridionale (43,9 per cento). Nel caso delle donne si passa dal 56,1 per cento del Nord, al 30,5 per cento del Mezzogiorno;

a rendere più evidente il divario tra il nord e il sud del Paese, interviene un altro fattore: la forte sperequazione territoriale nell'offerta dei servizi sociali (in particolare da parte dei comuni) che costituisce un elemento di particolare criticità. Nelle regioni del Sud e delle isole si riscontrano, infatti, livelli di spesa sociale sensibilmente più bassi rispetto al Centro-Nord, con un welfare locale che nel Mezzogiorno è fortemente connotato da quote rilevanti di finanziamento proveniente da Stato e regioni;

si è, dunque, di fronte ad un quadro preoccupante: a) per il forte restringimento della base occupazionale; b) per la crescita del tasso di disoccupazione più che doppia in confronto al Nord; c) per l'allargamento dei fenomeni di scoraggiamento ed esasperate difficoltà di inclusione dei giovani nel mercato del lavoro; d) per la bassa partecipazione delle donne alla vita lavorativa, dovuta anche ai più forti ostacoli alla conciliazione tra l'impegno lavorativo e quello da dedicare alla famiglia e alla quotidianità. Queste condizioni impongono una politica economica e sociale a favore del Mezzogiorno, ma non solo nell'interesse del Meridione;

in uno scenario così critico emergono, comunque, parziali elementi positivi, come, ad esempio, quello rappresentato dal ruolo della cooperazione, peraltro riconosciuto dalla Costituzione. Si tratta di una realtà associativa solida, di un modello organizzativo di coesione e di espressione genuina del territorio, con forti elementi di dinamicità economica e occupazionale, che può rappresentare una grande opportunità di crescita per l'intera area meridionale;

non si tratta di reclamare un nuovo intervento speciale bensì di ripensare l'intera politica economica nazionale in funzione dello sviluppo del Sud: unica condizione per avviare una crescita dell'intero Paese. Solo così può di nuovo aumentare il prodotto interno lordo e, di conseguenza, riequilibrare il debito pubblico;

è interesse dell'Italia il decollo duraturo dell'economia delle regioni meridionali. È interesse, soprattutto, delle aree più sviluppate del sistema Italia, ormai, fin troppo costipate. Esse sarebbero le prime a giovarsi della ripresa e del rilancio dell'area mediterranea d'Italia, sia in termini di nuovi investimenti possibili, sia in termini di minori costi di produzione;

il sud d'Italia sconta l'impossibilità di competere sul piano della «fiscalità generale» con le altre aree depresse dell'Unione europea, soprattutto dell'Est, che offrono alle imprese condizioni fiscali durature e decisamente più favorevoli. L'opposizione dell'Unione europea all'adozione di una fiscalità differenziata all'interno di uno stesso Paese, in un regime di moneta unica nel quale Stati e regioni sono posti sullo stesso piano, oggi non ha più motivo d'essere. Appare opportuno, dunque, riflettere sulla possibilità di insistere in questa direzione pensando a interventi che della fiscalità di vantaggio ripetano i pregi (la semplicità e l'immediatezza del beneficio, la differenziazione rispetto alle aree sviluppate, la vigenza pluriennale anche se limitata nel tempo), ma che abbiano caratteristiche tecniche nuove e diverse per vecchie e nuove imprese;

il Governo e il Parlamento in queste settimane sono impegnati ad approvare provvedimenti di liberalizzazione e semplificazione. Ebbene, il ruolo della pubblica amministrazione a tutti i suoi livelli (lo Stato, le regioni, gli enti locali) può rappresentare un'opzione in più, uno strumento importante per veicolare, attraverso investimenti, soprattutto infrastrutturali, lo sviluppo delle aree meridionali, nell'interesse - è bene ripeterlo - non solo delle aree direttamente interessate, ma dell'intero sistema Paese e di quelle aziende non certo e non solo localizzate nel sud d'Italia. Esse, infatti, potrebbero essere coinvolte in un piano di investimenti sul territorio;

in questo senso appare ineludibile la necessità che le amministrazioni pubbliche, nel loro complesso, rappresentino un punto di riferimento certo ed affidabile, che siano, cioè, capaci di far fronte ai propri impegni finanziari. Purtroppo, allo stato, così non è perché versano in uno stato di profonda illiquidità e di forte indebitamento. Bisogna intervenire sull'oggettiva impossibilità delle regioni e degli enti locali del Sud ad onorare le erogazioni derivanti da impegni assunti per forniture di beni e servizi. Se in Lombardia, in Veneto o in Emilia Romagna le aziende che hanno un rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione riescono a dare continuità alle proprie attività, in Campania, in Calabria o in Sicilia le aziende che hanno un rapporto con la pubblica amministrazione sono costrette a chiudere le proprie attività per mancanza di liquidità o addirittura per l'insolvenza degli enti locali. In Lombardia, infatti, gli enti locali erogano i loro impegni derivanti da forniture di beni e servizi mediamente con 120 giorni di ritardo; in Campania pagano i loro fornitori con 365 giorni di ritardo; in Calabria si raggiungono addirittura i 600 giorni di ritardo. Ottenere una commessa per un'impresa privata in queste condizioni può rappresentare una vera e propria iattura;

fino a poco tempo fa le regioni potevano utilizzare i fondi di riequilibrio, o comunque potevano ricorrere all'indebitamento. Oggi, nessuna delle due ipotesi è più percorribile. Inoltre, è necessario tenere conto del patto di stabilità, in virtù del quale alcune regioni italiane, pur avendo risorse disponibili, non possono utilizzarle, mentre altre non hanno praticamente denaro in cassa;

recentemente è stata avanzata l'ipotesi che le risorse finanziarie inutilizzate da alcune regioni possano essere rimesse in circolo con l'istituzione di un fondo di garanzia di cui il Governo sia garante per i pagamenti delle autonomie locali. Non si tratta di utilizzare le risorse di determinate regioni per sostenerne altre. La gran parte, infatti, delle risorse accantonate e inutilizzate è rappresentata da trasferimenti dello Stato, mentre solo una piccola parte di queste provengono dalla finanza locale. Anche alla luce di questa osservazione, l'opportunità avanzata merita di essere vagliata con la giusta attenzione, in quanto potrebbe rivelarsi una risorsa aggiuntiva per risolvere il problema cronico dei ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, incoraggiando, così, in una certa misura gli investimenti privati nelle aree depresse del nostro Paese, ovviamente, non solo in quelle meridionali;

in questo scenario si tenga presente che proprio un ritrovato slancio della pubblica amministrazione, a tutti i suoi livelli, può rappresentare lo strumento, probabilmente l'unico, attraverso il quale mettere in campo interventi concreti per i necessari interventi infrastrutturali di cui il Meridione ha assolutamente bisogno. Si pensi, ad esempio, alla necessità impellente di portare a termine i lavori sul tratto autostradale della Salerno-Reggio Calabria;

infine, un aspetto su cui è necessario porre l'attenzione è quello dell'urbanizzazione del Meridione. Dal confronto con la realtà settentrionale emerge che mentre il sistema urbano del Nord è evoluto, nelle sue componenti principali e nelle grandi aree del Nord-est, la realtà urbana meridionale è rimasta invece nello stadio di «sub urbanizzazione». Secondo un noto economista americano, «per essere vincenti nella competitività urbana, le città devono essere in grado d attrarre quei lavoratori creativi che portano con sé investimenti e crescita economica. Devono essere quindi capaci di offrire loro dei luoghi piacevoli ed amichevoli, dotati di quartieri nei quali l'interazione quotidiana avvenga in modo fluido, facile ed immediato grazie ad un'offerta completa d'infrastrutture per lo svago ed il relax». Evidentemente si è molto lontani da questo obiettivo;

la città, in una società contemporanea, competitiva ed inclusiva, non può che essere il centro nevralgico della spinta produttiva. È intorno alla città che si deve creare quel tessuto articolato di insediamenti che rappresenta la piattaforma necessaria per lo sviluppo e la produzione di una determinata area. Ebbene, è necessario investire sullo sviluppo della rete urbana del Mezzogiorno, una direzione questa indicata più volte dall'illustre meridionalista Francesco Compagna. Una necessità che si sarebbe dovuta affrontare e superare da decenni e che, invece, continua ad essere ancora una questione irrisolta, un'incredibile emergenza. In particolare, appare necessario intervenire per sostenere le aree metropolitane densamente popolate come quella di Napoli, facendone il centro nevralgico per lo sviluppo e promozione di una concreta politica economica del meridione;

questa necessità si inquadra nell'ottica degli obiettivi della Commissione europea che già nel 1999, in merito al processo di integrazione del continente, specificava che uno degli obiettivi principali era la «creazione di zone dinamiche di integrazione distribuite equamente sul territorio europeo e costituite da reti di regioni metropolitane di facile accesso internazionale e da città e zone rurali ad esse collegate»;

recentemente la Commissione europea ha deciso di modificare alcune delle regole dei fondi strutturali destinati agli investimenti nelle aree depresse. L'Italia potrà abbassare la quota di cofinanziamento nazionale dal 50 al 25 per cento: si rendono, così, disponibili ben otto miliardi di risorse europee, un'opportunità importante che non si può sprecare,
impegna il Governo:
a delineare, attraverso il confronto con le diverse realtà produttive economiche, sociali ed istituzionali che possono essere coinvolte, un piano organico di interventi che abbia come obiettivo strategico, in chiave nazionale, lo sviluppo del Sud, unica condizione questa per avviare una crescita dell'intero Paese, poiché solo così può di nuovo aumentare il prodotto interno lordo e di conseguenza può essere riequilibrato il debito pubblico;

ad investire una quota rilevante delle risorse rese disponibili dalla Commissione europea attraverso l'abbassamento della quota di cofinanziamento, specificatamente per il rafforzamento delle reti urbane con particolare interesse al potenziamento delle aree metropolitane del Mezzogiorno;

a sviluppare interventi organici, anche tramite una sostenibile fiscalità di vantaggio, finalizzati al potenziamento, in particolare dell'iniziativa privata, affinché si ramifichi nel territorio, superando la congenita tendenza al nanismo del sistema imprenditoriale del Meridione;

ad irrobustire la piattaforma logistica che vede il sud d'Italia quale naturale punto d'approdo nel Mediterraneo delle correnti mercantili da e verso Oriente;

ad intervenire con decisione per la riqualificazione ambientale di vaste aree geografiche del Sud, a ridosso, soprattutto, degli agglomerati urbani densamente popolati;

a sviluppare un piano di interventi infrastrutturali, affinché il sud d'Italia non resti di fatto separato dal resto del Paese e dall'Europa, non essendo possibili turismo, commercio, sviluppo, occupazione senza l'esistenza di trasporti e vie di comunicazioni efficienti;

a sviluppare interventi organici finalizzati a valorizzare il ruolo e l'incidenza del modello cooperativo, facendone uno dei possibili pilastri su cui costruire una strategia politico-economica complessiva per il rilancio del Meridione.

(1-00930)
«Ossorio, Nucara, Brugger».