ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00532

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 421 del 20/01/2011
Abbinamenti
Atto 1/00512 abbinato in data 24/01/2011
Atto 1/00534 abbinato in data 24/01/2011
Atto 1/00538 abbinato in data 24/01/2011
Atto 1/00539 abbinato in data 25/01/2011
Firmatari
Primo firmatario: MURA SILVANA
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 20/01/2011
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
DI GIUSEPPE ANITA ITALIA DEI VALORI 20/01/2011
DONADI MASSIMO ITALIA DEI VALORI 20/01/2011
EVANGELISTI FABIO ITALIA DEI VALORI 20/01/2011
BORGHESI ANTONIO ITALIA DEI VALORI 20/01/2011


Stato iter:
25/01/2011
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 24/01/2011
Resoconto MURA SILVANA ITALIA DEI VALORI
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 24/01/2011
Resoconto DE TORRE MARIA LETIZIA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto GOISIS PAOLA LEGA NORD PADANIA
Resoconto FARINA RENATO POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto POLIDORI CATIA INIZIATIVA RESPONSABILE (NOI SUD-LIBERTA' ED AUTONOMIA, POPOLARI D'ITALIA DOMANI-PID, MOVIMENTO DI RESPONSABILITA' NAZIONALE-MRN, AZIONE POPOLARE, ALLEANZA DI CENTRO-ADC, LA DISCUSSIONE)
 
PARERE GOVERNO 25/01/2011
Resoconto CARFAGNA MARIA ROSARIA MINISTRO SENZA PORTAFOGLIO - (PARI OPPORTUNITA')
 
DICHIARAZIONE VOTO 25/01/2011
Resoconto CALGARO MARCO MISTO-ALLEANZA PER L'ITALIA
Resoconto POLIDORI CATIA INIZIATIVA RESPONSABILE (NOI SUD-LIBERTA' ED AUTONOMIA, POPOLARI D'ITALIA DOMANI-PID, MOVIMENTO DI RESPONSABILITA' NAZIONALE-MRN, AZIONE POPOLARE, ALLEANZA DI CENTRO-ADC, LA DISCUSSIONE)
Resoconto MURA SILVANA ITALIA DEI VALORI
Resoconto NAPOLI ANGELA FUTURO E LIBERTA' PER L'ITALIA
Resoconto BINETTI PAOLA UNIONE DI CENTRO
Resoconto RIVOLTA ERICA LEGA NORD PADANIA
Resoconto AMICI SESA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto LORENZIN BEATRICE POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto DI GIUSEPPE ANITA ITALIA DEI VALORI
Resoconto MUSSOLINI ALESSANDRA POPOLO DELLA LIBERTA'
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 24/01/2011

DISCUSSIONE IL 24/01/2011

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 24/01/2011

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 25/01/2011

NON ACCOLTO IL 25/01/2011

PARERE GOVERNO IL 25/01/2011

DISCUSSIONE IL 25/01/2011

RESPINTO IL 25/01/2011

CONCLUSO IL 25/01/2011

Atto Camera

Mozione 1-00532
presentata da
SILVANA MURA
testo di
giovedì 20 gennaio 2011, seduta n.421

La Camera,

premesso che:

l'articolo 2, comma 463, della legge finanziaria per il 2008, l'ultima del Governo Prodi, finanziava con 20 milioni di euro un piano contro la violenza sulle donne, piano che si sarebbe concretizzato, oltre che nell'erogazione di risorse al fondo contro la violenza sulle donne e di genere ed ai centri e alle associazioni specializzate, in una campagna di rieducazione al rispetto e alla dignità verso le donne, che avrebbe raggiunto le istituzioni locali, gli organi mediatici, le scuole, la pubblicità ed i programmi televisivi;

il piano ricalcava la legge organica contro la violenza sulle donne, varata con serietà ed efficacia dalla Spagna nel 2004, che riconosce la violenza - anche quando abbia luogo fra le mura domestiche - come problema sociale di cui i poteri pubblici devono farsi carico per prevenire e porre rimedio attraverso sistemi adeguati, non limitandosi ad inasprire le pene: in quest'ottica è stato predisposto un intervento integrato e multidisciplinare che deriva dal fatto di considerare, quale origine delle violenza sessista, la discriminazione della donna nella società, al fine di consentire l'adozione di trattamenti differenziati per sesso, al contempo organizzando una vera e propria campagna educativa capillare;

uno dei primi atti del Governo insediatosi con l'avvio della nuova legislatura, quella attualmente in corso, è stato quello di tagliare i fondi stanziati per il sostegno alle donne vittime di violenza e per la prevenzione;

nel nostro Paese, nell'anno appena trascorso, oltre 120 donne hanno perso la vita per mano, nella maggioranza dei casi, di mariti, fidanzati o ex partner: spesso la morte o altri atti di violenza gravi sono giunti in seguito alla decisione delle vittime di interrompere una relazione;

guardare alle statistiche può essere d'aiuto a capire la situazione: i numeri dicono che in Italia ci sono 14 milioni di donne vittime di violenza di cui ben tre milioni tra le mura domestiche, drammi vissuti nel silenzio e nell'indifferenza: in Italia una donna su tre subisce violenza fisica e sessuale, soprattutto tra le mura di casa, e si stima possano essere circa il 65 per cento della popolazione femminile; un milione e 400 mila donne hanno patito uno stupro prima dei 16 anni, ma il 96 per cento delle violenze non viene denunciato, il 14,3 per cento delle donne ha subito almeno una volta violenza fisica o sessuale dal partner, attuale o ex, mentre il 24,7 per cento le ha ricevute da un altro uomo;

secondo dati Istat, solo il 18,2 per cento delle donne considera la violenza patita in famiglia un «reato», mentre il 44 per cento la giudica semplicemente «qualcosa di sbagliato» e ben il 36 per cento solo «qualcosa che è accaduto»;

nel lontano 2002, il Consiglio d'Europa ha varato una raccomandazione (n. 5/02) in cui sottolineava che la violenza maschile contro le donne è il maggior problema strutturale della società che si basa sulla ineguale distribuzione di potere nelle relazioni tra uomo e donna;

più di recente, la Commissione europea, nella conferenza del 31 gennaio 2009, ha ribadito la necessità di individuare percorsi utili «per eliminare tempestivamente ruoli tradizionali e stereotipi legati al genere, in particolare nei settori della educazione, formazione, cultura», anche sostenendo «la partecipazione delle donne all'economia e ai processi decisionali in materia politica»;

l'Unione europea mostra un orientamento ed una volontà tesi ad affrontare il cuore del problema: la violenza sessista quale manifestazione di abuso derivante da situazioni di svantaggio sociale e politico a sfavore delle donne, definendo anche un percorso promozionale di opportunità e diritti, quale risposta complessa e coinvolgente i pubblici poteri per l'avvio alla soluzione di un problema complesso, soprattutto a causa del suo persistente radicamento nel tessuto sociale;

la Dichiarazione dell'Onu sull'eliminazione della violenza contro le donne definisce quest'ultima come ogni atto di violenza basata sul genere che risulti, o possa risultare, in un danno fisico, psicologico o sessuale sofferto dalle donne: gli atti in questione includono la violenza fisica, l'abuso o la coercizione sessuale, o la molestia sessuale;

l'aggressività maschile, sottolinea l'Onu, è la prima causa di morte e di invalidità per le donne tra i 16 ed i 44 anni di tutto il mondo;

eppure, nonostante gli appelli, i proclami, i buoni intendimenti, il mondo non si è spinto molto avanti nel mettere fine alla violenza ed all'abuso sessuale contro donne e bimbe, che comportano lesioni non solo sotto il profilo psico-fisico ma anche sul piano dei diritti umani;

ugualmente può dirsi per i luoghi politico-istituzionali, pervasi da un antico disinteresse unito a coriacea noncuranza nei confronti della questione femminile, a volte con un messaggio esplicito, altre volte con venature ammiccanti o paternalistiche;

peggio, attualmente la sessualità sta entrando prepotentemente nella sfera pubblica, politico-istituzionale, portando allo scoperto i legami tra una sessualità «di servizio», come quella femminile, e il potere che ne gode i benefici, compensandoli con protezione, denaro, doni, onorificenze;

il rapporto tra i sessi riscontrabile nello scambio di sesso con cariche di rappresentanza o benefici di varia natura non solo investe le persone, ma la democrazia stessa e la credibilità delle istituzioni che rappresentano: ciò non può che riversarsi in modo infausto nella quotidianità del comune cittadino, acuendone il maschilismo e l'aggressività;

benché l'Italia detenga la non invidiabile definizione di «fanalino di coda» quanto a condizione femminile, pochi si indignano, la gran parte dell'opinione pubblica risulta indifferente, inerte nonostante al tema della dignità e del corpo offesi delle donne reagiscano associazioni femministe, libri e campagne, una delle quali, in particolare, ha assunto la forma di un documentario, della durata di 25 minuti, sull'uso del corpo della donna in tv, curato da Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi, visionato in tutto il mondo grazie alla tecnologia internet: gli autori hanno dichiarato di essere partiti da un'urgenza, dalla constatazione che le donne, le donne vere, stiano scomparendo dalla tv e che siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante, che cancella l'identità delle donne, che sta avvenendo sotto lo sguardo di tutti ma senza che vi sia un'adeguata reazione, nemmeno da parte delle donne medesime;

il documentario mostra esclusivamente immagini televisive che hanno in comune l'utilizzo manipolatorio del corpo delle donne, per raccontare quanto sta avvenendo non solo a chi non guarda mai la tv, ma specialmente a chi la guarda ma «non vede», al fine di interrogarsi sulle ragioni di questo «pogrom, di cui siamo tutti spettatori silenziosi»: ciò che emerge è un'anomalia tutta italiana, la banalizzazione della rappresentazione della donna, raccontata come se non avesse rispetto di sé e gli altri non la rispettassero;

il documentario ha poi dato particolare risalto alla cancellazione dei volti adulti in tv, al ricorso alla chirurgia estetica per cancellare qualsiasi segno del passaggio del tempo e alle conseguenze sociali di questa rimozione: l'apparenza fisica rischia di tradursi in ulteriore fattore di discriminazione, una selezione «estetica» che ha conseguenze drammatiche anche nell'ambito lavorativo e professionale e che recentemente ha lambito, in forma di sospetto, finanche le istituzioni e la selezione delle rappresentanti politiche;

resta, comunque, il fatto che di donne ce ne sono ben poche nei consigli di amministrazione, nel business dell'impresa, nelle funzioni di responsabilità ed i recentissimi dati Istat mostrano un panorama ancora peggiore;

dal rapporto Istat «Noi Italia», appena pubblicato, emerge che nel nostro Paese quasi una donna su due non ha un'occupazione né la cerca più, in particolare, il tasso di inattività femminile italiano è il secondo in Europa, inferiore solamente a quello di Malta; se in tutti i Paesi dell'Unione i tassi di inattività degli uomini (22,2 per cento nella media comunitaria) risultano inferiori a quelli delle donne (35,7 per cento), è anomalo e preoccupante il dato del nostro Paese circa l'accentuato differenziale di genere, pari ad oltre 22 punti percentuali: il livello di inattività maschile è pari al 26,3 per cento, più o meno in linea con la media europea, mentre quello femminile è straordinariamente elevato, essendo pari al 48,9 per cento;

la questione è all'ordine del giorno, indagata da organi d'informazione e specialisti di ricerche sociologiche: ad esempio, un articolo del New York Times dell'11 ottobre 2010 attribuisce al «machismo» dei Paesi del Sud Europa lo scarso sviluppo e la fragilità delle loro basi economiche, esaminando accuratamente la qualità e la misura dell'esclusione femminile;

è perfino superfluo affermare che l'espulsione delle donne dal mercato del lavoro e il loro confinamento nel precariato toglie loro indipendenza economica e autonomia, cosa che crea un circolo vizioso;

ci si chiede quanto debba ancora incrementarsi per diventare «significativa» la violenza maschile contro le donne e se non bastino i rapporti allarmanti di tutte le organizzazioni nazionali ed internazionali, insieme alla catena di omicidi, stupri e violenze quasi quotidiani, perché le istituzioni pubbliche arrivino a riconoscerne la gravità e la portata politica eccezionale;

la nostra società fatica ancora a riconoscere pienamente il profondo disvalore della condotta maschile violenta - sessuale, fisica, psicologica - realizzata contro le donne, anche a causa della confusione creata da alcuni modelli che vengono sistematicamente proposti: «si tratta di una forma di violenza sottile nuova per i parametri di riferimento estetici e di presunta affermazione sociale, ma vecchia per il modo di considerare la donna» (Fabio Roia, ex componente del Consiglio superiore della magistratura, 2009);

due anni or sono, la recrudescenza degli stupri e delle violenze ha comportato, quale riflesso condizionato da parte del Governo, la messa in campo di misure emergenziali attraverso la militarizzazione del territorio anche finalizzata al respingimento dei migranti: con ciò si è nascosta una verità assodata, che il luogo privilegiato delle violenze sono le mura domestiche, contesto in cui prevalentemente si origina e si coltiva la violenza sessista contro le donne;

rispetto alla violenza contro le donne l'approccio è rimasto nell'ambito del diritto criminale - comportamenti previsti e puniti, una volta messi in atto, a posteriori, secondo le tipologie di reato, atti di violenza sessuale, percosse, lesioni personali, violenza privata, minacce, maltrattamenti, violazione degli obblighi di assistenza famigliare e così via - compresa, in parte, anche la recente normativa che ha introdotto, pur lodevolmente, il reato di stalking, nata come decreto-legge dal titolo-simbolo «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori»;

nulla è pensato in ordine alle cause e alla situazione predisponente, in quanto gli interventi istituzionali sono rigidamente costretti nel quadro della sicurezza pubblica e del contrasto a comportamenti delittuosi;

l'uguaglianza fra i sessi incontra un ostacolo insormontabile nella violenza quotidianamente perpetrata contro molte donne da parte di molti uomini; non può esistere pari opportunità per una democrazia paritaria se il fenomeno non viene considerato dalle istituzioni quale problema sociale grave, assumendosene la responsabilità attraverso un messaggio culturale e politico di contrasto e facendosi carico di azioni mirate in particolare alla prevenzione, oltre che alla doverosa repressione;

nel documento «Sessismo: la violenza che tutti evitano di nominare» (gennaio 2009), elaborato da alcune associazioni di donne, si legge che «la violenza contro le donne, anche domestica, non può mai essere un fatto privato, ma è un'indecenza pubblica che le istituzioni non possono ignorare o mistificare attraverso la scorciatoia dell'utilizzo del diritto criminale come risposta esclusiva o preponderante. Ben altri livelli occorre agire per contrastare questo grumo di violenza ancestrale, sedimentato nell'immaginario maschile, che va contrastato a partire dai primissimi messaggi che i bambini ricevono dalla famiglia, dalla scuola e dalla società»;

nel nostro Paese, ove più marcata risulta la disuguaglianza fra i sessi, ove anche i media indulgono in un'immagine poco dignitosa se non degradata della donna, non è più il tempo di escogitare tecnologie di protezione per le donne, di gridare a pene severe e punizioni esemplari: ciò è stato fatto, ma non è bastato e non può bastare;

i pregiudizi e gli stereotipi dei quali sono vittime le donne non possono essere regolati solo sulla base del diritto criminale e delle norme giuridiche;

impressionante è l'attuale regressione quasi collettiva rispetto al riconoscimento della dignità delle donne, che colpisce anche inconsapevoli, al momento, bambini e ragazzi maschi; il modello «velina» e tutte le immagini pubblicitarie che rappresentano la donna solo come corpo erotico, hanno sicuramente contribuito a incrementare quella «violenza sottile» che reca discredito preconcetto verso le donne: chi lavora nella scuola e nei servizi sociali denuncia una situazione spesso molto critica nei comportamenti degli adolescenti maschi, inclini verso le loro coetanee e non solo, a comportamenti violenti, individuali e di gruppo;

non è ancora chiaro se si è di fronte ad una recrudescenza quantitativa delle violenze contro le donne o ad un aumento delle denunce da parte delle donne, resta il fatto che non possono essere tollerabili le manifestazioni estreme del «machismo» e della prevaricazione maschile e, banalmente, resta il fatto che violenze, abusi e stupri finiranno quando gli uomini smetteranno di perpetrarli;

è giunto il momento, per le istituzioni pubbliche, di una chiara presa di posizione e di un'assunzione di responsabilità che, in parte, può essere soddisfatta da un piano organico e multidisciplinare di intervento, destinato a conoscere e ad affrontare la complessa problematica nei suoi vari aspetti, una sorta di piano nazionale onnicomprensivo che mira ad un cambiamento della cultura e delle relazioni reciproche fra i generi in vari campi sociali;

doveroso risulta, in particolare, l'impegno da parte di tutte le donne che ricoprono ruoli istituzionali a proporre, seguire e curare ad ogni livello le misure necessarie ad una svolta di civiltà e di pensiero e ad una nuova pedagogia del rispetto e della dignità delle donne;

va ricordato che contro il fumo è stata scatenata una campagna di sensibilizzazione imponente, che ha coinvolto anche le istituzioni europee, che è giunta ad impostare una nuova cultura e che ha condotto all'abolizione delle sigarette dai film e dalle pubblicità al fine di non istigare a comportamenti nocivi per la salute, segno ed esempio evidente che pensiero e cultura possono essere modificati, anche radicalmente,
impegna il Governo:
a promuovere, al fine di spezzare la catena della continuità generazionale, una riflessione pubblica sulla questione eminentemente sociale e culturale della violenza contro le donne, che coinvolga uomini e donne, famiglie, scuole ed università, luoghi della politica e dell'informazione, mondo del lavoro;

ad assumere iniziative per dotare il fondo contro la violenza sessuale e di genere di risorse adeguate agli obiettivi di competenza e per reintegrare le risorse sottratte ai centri antiviolenza e alle case delle donne maltrattate, al fine di cancellare la sensazione di indifferenza istituzionale;

a promuovere e curare - attraverso il coinvolgimento di tutti i poteri pubblici competenti, centrali e territoriali - campagne di informazione, formazione e sensibilizzazione finalizzate alla prevenzione della violenza di genere, utilizzando l'esperienza e la competenza delle organizzazioni di settore;

ad adottare, a fronte del ruolo fondamentale nella crescita delle nuove e dei nuovi cittadini ricoperto dalle istituzioni scolastiche, iniziative ordinamentali - quali settimane dedicate, dalla scuola materna all'università - al fine di dare fondamento ai principi costituzionali che dichiarano l'uguaglianza e la pari dignità tra i sessi e di combattere gli stereotipi di genere, che si formano sin dai primi anni di età, in particolare prevedendo un programma di rieducazione e formazione sull'esercizio di diritti e obblighi uguali fra maschi e femmine nell'ambito sia privato che pubblico;

a valutare le opportune ed appropriate modalità per adottare iniziative contro l'uso del corpo delle donne nella pubblicità, nella televisione e sui media, a causa del quale anche indagini internazionali segnalano lo scadimento della rappresentazione delle donne in Italia;

a farsi promotore e portatore nelle competenti sedi istituzionali europee della necessità di un programma incisivo e comune, rivolto in particolare ai giovani per mettere fine alle discriminazioni e alle violenze intrecciate al genere.

(1-00532)
«Mura, Di Giuseppe, Donadi, Evangelisti, Borghesi».