ATTO CAMERA

ODG IN ASSEMBLEA SU P.D.L. 9/04307/182

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 477 del 24/05/2011
Firmatari
Primo firmatario: PIFFARI SERGIO MICHELE
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 25/05/2011
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
CIMADORO GABRIELE ITALIA DEI VALORI 25/05/2011
CAMBURSANO RENATO ITALIA DEI VALORI 25/05/2011


Stato iter:
25/05/2011
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 25/05/2011
Resoconto PIFFARI SERGIO MICHELE ITALIA DEI VALORI
 
DICHIARAZIONE GOVERNO 25/05/2011
Resoconto GIORGETTI ALBERTO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 25/05/2011
Resoconto GIACHETTI ROBERTO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto COMPAGNON ANGELO UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO
 
PARERE GOVERNO 25/05/2011
Resoconto GIORGETTI ALBERTO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE IL 25/05/2011

NON ACCOLTO IL 25/05/2011

PARERE GOVERNO IL 25/05/2011

RESPINTO IL 25/05/2011

CONCLUSO IL 25/05/2011

Atto Camera

Ordine del Giorno 9/4307/182
presentato da
SERGIO MICHELE PIFFARI
testo di
mercoledì 25 maggio 2011, seduta n.478

La Camera,
premesso che:
i cittadini italiani sono contrari alla produzione di energia elettrica da fonte nucleare in Italia, mediante la costruzione di nuove centrali;
la catastrofe che di recente ha colpito il Giappone, dove alcune centrali nucleari sono state gravemente danneggiate a causa di eventi naturali, ha messo in luce - a venticinque anni dal disastro di Chernobyl - che la produzione di energia da fonte elettrica non è mai davvero sicura per la salute dei cittadini e la tutela dell'ambiente;
il rispetto del principio di prevenzione deve guidare tutti i governanti a non esporre i cittadini e l'ambiente a rischi potenzialmente non controllabili capaci di provocare danni irreparabili;
il Governo ha presentato un emendamento al decreto-legge in esame con l'intento di bloccare il referendum contro il nucleare, per il quale il voto è fissato il 12 e 13 giugno 2011;
l'intenzione del Governo, tuttavia, è solo quella di boicottare il referendum riproponendo iniziative legislative in materia di costruzione di centrali nucleari in Italia appena se ne ripresenterà l'occasione;
lo stesso Presidente del Consiglio, infatti, ha affermato l'intento sostanziale del Governo di far approvare una moratoria, facendola passare per una formale abrogazione. In una intervista del 20 aprile, il Ministro dello sviluppo economico ha risposto: «Quanto alla valenza reale dello stop al nucleare parliamoci chiaro: Fukushima ci ha mostrato che incidenti rilevanti sono possibili. Lo dico mal volentieri, visto che ero e rimango nuclearista convinto. Un nuclearista che sa benissimo che il nucleare, ora, non è culturalmente tollerato. [...] Quando lo scenario dell'incidente di Fukushima sarà definitivamente chiarito, nella sua portata, nelle sue conseguenze, nelle indicazioni da trarne [il nucleare potrà tornare all'ordine del giorno]». Anche secondo il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti si tratta solo di una sospensione;
diversa sembra essere l'opinione del Ministro dell'economia e delle finanze, il quale il 19 aprile, a Bruxelles in audizione al Parlamento europeo, ha dichiarato che l'incidente di Fukushima non è «riducibile alla banalità di un incidente tecnico», ma assume una dimensione «molto rilevante in cifra storica». Il Ministro ha richiesto di fare un calcolo vero dei costi del nucleare, perché ritiene che non sia mai stato fatto prima. «Sappiamo» ha detto «che i benefici [del nucleare] ci sono e sono locali, ma i malefici sono generali»;
spesso quando si parla di centrali che producono energia elettrica da fonte nucleare si fa passare il messaggio che si tratti di impianti quasi magici, che creano energia dal nulla, senza emettere gas serra e senza produrre alcun tipo di inquinamento, ma ciò è falso perché il nucleare non è pulito, non è risolutivo, non è economico ed è pericoloso;
per capire e provare a conoscere i costi visibili ed occulti del nucleare si riportano - solo a titolo d'esempio - alcuni dati tratti dal volume «Energia per l'astronave terra» edito da Zanichelli, scritto dai professori Armaroli e Balzani;
la centrale nucleare di Chernobyl andò fuori controllo ed esplose il 26 aprile 1986. In una decina di giorni vennero liberate nell'atmosfera 6,7 tonnellate di materiale radioattivo. Si stima che l'incidente abbia riguardato più o meno direttamente 8,4 milioni di persone e che abbia messo fuori produzione 784 mila ettari di terreno agricolo e 694 mila ettari di foreste. Un'area di 30 km quadrati intorno all'impianto è ancora altamente contaminata e mancano piani per collocare in luogo sicuro le numerose tonnellate di materiale radioattivo della centrale distrutta. C'è anche il pericolo di collasso del sarcofago provvisorio di cemento con cui è stato ricoperto il reattore. Per mettere in condizioni di maggiore sicurezza il relitto del reattore, almeno per i prossimi cento anni, si sta costruendo una gigantesca struttura ad arco (NSF new safe confinement) alta 110 metri e larga 270, il cui costo stimato è di 800 milioni di dollari, stanziati principalmente dall'Unione europea. A distanza di 25 anni, nonostante vari rapporti internazionali, è difficile fare un bilancio del disastro poiché l'effetto delle radiazioni si protrae nel tempo. I costi economici complessivi del disastro vengono attualmente stimati attorno ai 6,7 miliardi di dollari, ma probabilmente un calcolo preciso non potrà mai essere fatto. Circa 600 mila persone fra addetti alla centrale, residenti, squadre di emergenza e soccorritori sono state colpite da radiazioni. Le vittime immediate sono state 56, anche se altre fonti parlano di 200. A queste vanno aggiunte altre 9 mila persone, un numero inferiore a quello inizialmente stimato, che sono morti prematuramente a causa dell'esposizione più o meno massiccia alle radiazioni. Di circa 4.000 mila bambini ucraini colpiti da cancro alla tiroide causato dallo iodio radioattivo, per fortuna soltanto una ventina sono morti; gli altri sono guariti, ma grazie a costose cure. Gravissimi sono stati i danni psicologici, 350 mila persone sono state evacuate, 116 mila subito dopo l'incidente. Solo una parte di loro ha potuto far ritorno nella propria casa. L'economia dell'Ucraina è stata devastata, i giovani vanno via (problema demografico), ciò che arriva dall'area di Chernobyl è visto con sospetto;
i rifiuti o scorie radioattive sono rappresentate al 94 per cento da uranio (isotopo 238) e dall'1 per cento da plutonio e si dividono in due categorie:
a bassa e media radioattività, comprendendo le attrezzature impiegate per la lavorazione del combustibile, i terreni contaminati, i pezzi di impianti smantellati e i dispositivi di protezione del personale addetto agli impianti;
ad alta radioattività, che comprende il combustibile esausto o riprocessato che deve essere conservato per almeno dieci anni in apposti impianti di raffreddamento, prima di essere messo in un deposito permanente. Durante queste fasi sono stati documentati decine di casi di perdite di materiale radioattivo nell'ambiente;
il plutonio, assente in natura, si produce solo attraverso reazioni nucleari. È talmente tossico e radioattivo che basta inalarne meno di un milionesimo di grammo per sviluppare un cancro al polmone. Dall'inizio dell'era atomica le centrali elettronucleari ne hanno prodotto circa 1.500 tonnellate, cioè 15 milioni di miliardi di dosi carcinogeniche, più di due milioni di dosi a testa per ciascun abitante del pianeta. Nonostante siano state impiegate quantità enormi di denaro per mettere in sicurezza questa velenosa eredità, non si è ancora trovata una vera soluzione e probabilmente non la si troverà mai. La sua radioattività impiega 24 mila anni per dimezzarsi. Il 9 settembre 1945 una bomba contenente 6 kilogramrni di plutonio rase al suolo la città giapponese di Nagasaki causando in un istante 80 mila morti. Molte altre migliaia morirono o si ammalarono nei decenni seguenti a causa degli effetti devastanti delle radiazioni;
ogni volta che si produce elettricità con il nucleare, quindi, si produce plutonio, che è un eccellente materiale per costruire bombe atomiche, estratto dal combustibile esausto con la tecnica chiamata del riprocessamento, che richiede tecnologie avanzate. Nel 1977 Jimmy Carter, volendo dare il buon esempio, vietò il riprocessamento negli USA, ma non trovò imitatori all'estero. Questa tecnologia la detengono almeno altre 6 nazioni: Regno Unito, Francia, Giappone, Russia e India. Chiaramente la scelta di Carter non ha impedito agli USA di produrre testate atomiche utilizzando altre vie. Il plutonio è la sostanza più pericolosa che l'uomo abbia mai creato;
l'esperienza statunitense in materia di scorie dovrebbe fornire un grande insegnamento, anche per la valutazione dei costi. Gli Usa fin dagli anni 70 si sono posti il problema di trovare un deposito definitivo delle scorie delle centrali e delle testate nucleari. All'inizio sembrava non impossibile trovare un sito, trattandosi anche del Paese tecnologicamente più avanzato del mondo, ricco e potente, con vaste zone di territorio remote, disabitate e geologicamente sicure. All'inizio si era individuato un sito in Kansas, ma poi ci si accorse che lì si era trivellato troppe volte il terreno alla ricerca di giacimenti di gas, quindi il tappo era bucato. Nel 1978 cominciarono gli studi su un altro sito: Yucca Mountain, una sorta di bunker naturale del deserto del Nevada a circa 150 km da Las Vegas. Sulla storia di questo sito sono state scritte milioni di pagine di rapporti e intere collane di libri. Inizialmente il sito doveva offrire sicurezza per centomila anni, poi ridotti a «soli» diecimila anni. Ci si chiede che senso abbia certificare qualcosa per un periodo di tempo pari al doppio della storia della civiltà umana. Resta anche da stabilire come trasportare le scorie fino al sito, attraversando l'intera nazione: autostrade o ferrovie? Anche su questo non si è ancora giunti ad una decisione definitiva. Ad oggi i costi per la costruzione del sito di Yucca ammontano a oltre 60 miliardi di dollari e non contiene ancora neppure un grammo di rifiuti depositati: la data di inizio dello stoccaggio è già stata rinviata molte volte ed è attualmente fissata per il 2017. Fino ad allora serviranno almeno altri 15 miliardi di dollari per finire i lavori. Intanto nei pressi delle 104 centrali nucleari americane si trovano oltre 45 mila tonnellate di combustibile esausto che attende di essere messo in sicurezza. Il deposito di Yucca Mountain potrà contenere 70 mila tonnellate di rifiuti e dovrà essere riempito gradualmente nell'arco di 30 anni, ma nel 2017 gli USA avranno già accumulato 85 mila tonnellate di combustibile esausto delle loro centrali nucleari: dunque il sito sarebbe già virtualmente pieno, molti anni prima che apra, ma fra decine di battaglie legali, anche intentate presso la Corte suprema, non vi è certezza che il sito di Yucca entrerà mai in funzione;
al ritmo mondiale odierno di produzione di energia elettrica e armamenti nucleari, il mondo avrebbe bisogno di un deposito come quello di Yucca Mountain ogni due anni. Gli Usa in 40 anni non sono stati capaci di aprirne neppure uno, e in questo periodo ci sono state varie indagini giudiziarie a carico di funzionari pubblici e aziende private accusati di falsificazione di documenti e corruzione. Come ha spesso rimarcato l'agenzia ambientale delle Nazioni unite, la messa in sicurezza dei rifiuti della complessa filiera nucleare civile e la gestione degli immensi siti contaminati dalle centinaia di test atomici effettuati durante la guerra fredda (New Mexico, steppe asiatiche e atolli del pacifico) rappresentano pagine oscure ed inquietanti della storia degli ultimi 50 anni il cui costo è inquantificabile. Inoltre per decenni è andato avanti l'utilizzo dei mari, come discarica di scorie nucleari e si teme che sia ancora praticato, sebbene ufficialmente bandito a livello internazionale. Il traffico di materiale nucleare, favorito dal vuoto di potere che per anni ha caratterizzato le repubbliche ex-sovietiche, è oggi un affare molto attraente per le organizzazioni criminali internazionali, comprese quelle italiane;
per produrre energia elettrica da fonte nucleare serve uranio che pur essendo un metallo non abbondante è meno raro di altri, per esempio l'argento. Si stima che la sua disponibilità è limitata a non più di 50 anni con le attuali tecnologie e livelli di consumo. Sulla crosta terrestre è presente con una concentrazione media di 3 parti per milione (ppm): cioè ogni tonnellata di roccia ne contiene in media 3 grammi. Tuttavia per rendere economicamente conveniente la sua estrazione bisogna trovare minerali in cui la concentrazione è molto più elevata, nell'ordine di
mezzo kilo per tonnellata. Oggi la produzione di uranio è molto al di sotto della domanda, a causa della crisi del nucleare degli ultimi 30 anni. Come conseguenza dal 2002 al 2007 il prezzo dell'uranio è cresciuto di sette volte, molto più del petrolio. Tra i primi 15 Pesi detentori di riserve non vi è un solo paese dell'Unione europea e ciò rende peregrine le affermazioni di chi indica il nucleare come una strada verso l'autosufficienza energetica elettrica europea o addirittura italiana;
ma il vero dramma sono l'inquinamento e i costi energetici che il ciclo industriale dell'energia nucleare richiede, oltre all'enorme investimento economico iniziale;
la produzione del combustibile nucleare è un processo lungo, complesso, inquinante ed energeticamente dispendioso e anch'esso basato principalmente sui combustibili fossili:
le miniere di uranio si trovano in zone remote della terra (Australia, Kazakhstan, Canada, Usa, Mongolia, Namibia, Sud Africa);
l'estrazione richiede molto lavoro, incluso l'impiego di enormi escavatori. Per produrre 160 tonnellate di uranio, che è la quantità necessaria per far funzionare una centrale standard per un anno, serve lavorare oltre 160 mila tonnellate di rocce, ma la quantità di rocce estratta dalle miniere è ancora maggiore. Tutte queste rocce devono essere smaltite, perché a loro volta contengono materiali radioattivi;
il materiale grezzo estratto dalle miniere va raffinato (trasformato in yellowcake) attraverso un processo chimico molto inquinante. Il materiale raffinato va poi ancora trattato - «arricchito» - per trasformare l'uranio nell'isotopo necessario (il 235);
infine il materiale ottenuto va ancora ritrasformato attraverso un complesso processo chimico per trasformarlo in barrette delle dimensioni del filtro di una sigaretta. Una centrale nucleare da mille megawatt contiene 50 mila barre di questo tipo, che vanno sostituite ogni tre anni;
a valle della filiera vi sono costi energetici elevati per lo smantellamento delle centrali a fine vita. Si calcola che per smantellare una centrale nucleare serve un'energia dieci volte più grande di quella che serve per demolire una centrale a gas di uguale potenza;
il tempo necessario affinché un impianto produca l'energia utilizzata per costruirlo (payback time) in genere non viene preso in considerazione per le centrale nucleari. Ricercatori australiani hanno calcolato che, con le tecnologie attuali, un impianto nucleare deve lavorare 7 anni a pieno regime prima che restituisca l'energia utilizzata per costruirla;
la stragrande maggioranza delle circa 440 centrali oggi in funzione appartengono alla cosiddetta seconda generazione, con vari tipi di progetto (ad acqua leggera - soggette a forte usura e corrosione, oltre che a manutenzione costosa e delicata - o ad acqua pesante). Le centrali di terza generazione attive sono solo 3 nel mondo. Si tratta sostanzialmente di centrali ad acqua leggera (LWR) basate su un progetto più evoluto e, soprattutto, più competitive dal punto di vista economico, ma che presentano ancora tutti i costi e gli inconvenienti descritti in precedenza;
le centrali nucleari del futuro dovrebbero appartenere alla cosiddetta quarta generazione o G4. Attualmente il loro sviluppo è oggetto di un protocollo di collaborazione internazionale fra tredici Stati. Questo tipo di impianti, eventualmente, non potrà essere costruito prima di 20/25 anni. Si lavora almeno su 6 progetti diversi con 3 obiettivi comuni:
1) aumentare la resa di conversione elettrica degli impianti, che attualmente è attorno al 30 per cento;
2) offrire impianti più sicuri e meno esposti a possibili impieghi militari indiretti;

3) rendere il ciclo nucleare competitivo in termini economici con le fonti tradizionali e rinnovabili;
non è detto che si riesca nell'impresa di arrivare alla quarta generazione. Per esempio i progetti di G4 autofertilizzanti, cioè che producono da soli il proprio combustibile, vanno avanti da decenni, ma sono sempre falliti, a partire dal famoso Superphenix francese. Questo impianto, compartecipato dallo stato italiano attraverso ENEL, fu chiuso definitivamente nel 1997 dopo 12 anni di travagliato funzionamento nella cornice di un colossale fiasco economico, che è stato pagato anche con i soldi dei cittadini italiani;
l'energia nucleare esercita indubbiamente fascino per la sua potenza ed eleganza tecnologica, ma restano tutti i problemi, limiti e incognite che genera sul tappeto:
economicità del ciclo industriale;
sicurezza degli impianti in condizioni ordinarie e in presenza di scenari catastrofici (terremoti, attacchi terroristici);
smaltimento delle scorie;
legame indissolubile e ambiguo con l'industria militare;
a queste condizioni a nessun'altra attività industriale sarebbe permesso di continuare a svilupparsi e le ragioni della crisi del settore nucleare sono principalmente ragioni economiche. Infatti la liberalizzazione dei mercati elettrici è stata un deterrente formidabile per gli investimenti, dimostrando che il nucleare non sopravvive in regime di libero mercato. Se le generose casse statali non garantiscono la copertura di enormi investimenti per la copertura degli enormi costi dell'intero ciclo industriale, in particolare quelli per la costruzione e la dismissione delle centrali, nessuna impresa privata è disposta ad investire un euro in progetti che possono andare incontro a rischi di varia natura, a cominciare da lunghe ed onerose battaglie legali con le comunità locali nei siti prescelti;
tutte le analisi più autorevoli riservano al nucleare un ruolo limitato sullo scenario energetico futuro: l'Agenzia internazionale per l'energia IEA prevede che nel 2030 esso fornirà il 7 per cento del fabbisogno primario mondiale, una percentuale quasi identica all'attuale. Questi dati rappresentano una sconfitta per una tecnologia che negli ultimi decenni ha bruciato oltre il 60 per cento dei fondi per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie nei Paesi avanzati;
quanto precede dovrebbe essere sufficiente a comprendere perché la scelta nucleare rappresenti una sciagura e non conviene economicamente, come anche il Ministro dell'economia e delle finanze ha riconosciuto,

impegna il Governo

a finanziare una o più ricerche per la valutazione dei costi diretti e indiretti, noti ed occulti della produzione di energia elettrica da fonte nucleare, tenendo conto dell'intera filiera industriale del nucleare e delle conseguenza in caso di scenari catastrofici.
9/4307/182. Piffari, Cimadoro, Cambursano.