ATTO CAMERA

ODG IN ASSEMBLEA SU P.D.L. 9/03638/045

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 360 del 28/07/2010
Firmatari
Primo firmatario: DONADI MASSIMO
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 28/07/2010
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
EVANGELISTI FABIO ITALIA DEI VALORI 28/07/2010
BORGHESI ANTONIO ITALIA DEI VALORI 28/07/2010
CAMBURSANO RENATO ITALIA DEI VALORI 28/07/2010


Stato iter:
29/07/2010
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 28/07/2010
CASERO LUIGI SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
Fasi iter:

ACCOLTO IL 28/07/2010

PARERE GOVERNO IL 28/07/2010

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 28/07/2010

ATTO MODIFICATO IN CORSO DI SEDUTA IL 29/07/2010

RINUNCIA ALLA VOTAZIONE IL 29/07/2010

CONCLUSO IL 29/07/2010

Atto Camera

Ordine del Giorno 9/3638/45
presentato da
MASSIMO DONADI
testo di
giovedì 29 luglio 2010, seduta n.361

La Camera,
premesso che:
in seguito alle crisi finanziarie del 2007-2008, di quella attuale e delle crisi del Sud-est asiatico, dell'America latina e della Russia, è diventato sempre più necessario regolamentare i mercati finanziari controllando fenomeni negativi dovuti alla sempre maggiore internazionalizzazione dei mercati finanziari, come le transazioni finanziarie a breve o brevissimo termine, ma anche attuando modalità alternative per affrontare su scala globale problemi quali la povertà e il degrado ambientale;
nei tre decenni scorsi abbiamo assistito a un progressivo allontanamento dell'economia finanziaria da quella reale, un «divorzio» che ha trasformato profondamente la struttura dell'economia mondiale;
nella maggior parte dei Paesi occidentali, negli anni '80, ogni controllo sui capitali è stato progressivamente ridotto, come ogni controllo e limitazione alle attività delle banche commerciali e di investimento. Quest'ondata di liberalizzazione ha fatto sì che nel decennio successivo molti Paesi in via di sviluppo abbandonassero a loro volta i controlli sui movimenti di capitali;
nel corso degli ultimi anni, in molti Paesi, si sono moltiplicate le iniziative anche parlamentari tese a formulare proposte per porre un freno alla speculazione finanziaria internazionale e per prevenire i rischi di destabilizzazione delle valute e delle economie e società nazionali;
tra le proposte più note figura quella avanzata da James Tobin, Premio Nobel per l'economia nel 1981. La sua proposta è diventata un po' l'emblema della volontà di riconquistare alla democrazia gli spazi ad essa confiscati dall'espandersi del dominio della sfera finanziaria su scala planetaria, e della volontà di operare una ridistribuzione della ricchezza tra il Nord ed il Sud del Mondo, fornendo importanti risorse per finanziare la cooperazione allo sviluppo e la lotta alla povertà;
a partire da quel contributo si è sviluppato un ampio dibattito a livello scientifico internazionale che ha approfondito la concreta praticabilità della Tobin-tax;
certo la Tobin Tax non esaurisce di per sé il dibattito sulla regolazione dell'economia su scala globale, sulla mondializzazione e sulle relazioni Nord-Sud. Ma può costituire un passo in avanti verso la costruzione di un'economia mondiale nella quale la crescita sia messa al servizio di un sviluppo cooperativo e della riduzione delle ineguaglianze;
più in generale, essa solleva il tema di una nuova architettura finanziaria, economica e sociale internazionale;
oggi, con la mondializzazione, con la crisi dello Stato nazionale (terreno fondamentale e soggetto attivo del Welfare), con lo sviluppo impetuoso dei flussi finanziari, di beni, di servizi e di popolazione, esiste un serio rischio (peraltro già in atto) di ritorno ad un capitalismo senza regole. Dopo lo sganciamento, avvenuto nel 1971, del valore del dollaro USA da quello dell'oro e la liberalizzazione del mercato delle valute, il volume delle transazioni monetarie si è moltiplicato per 100. Il volume delle transazioni sul mercato delle valute è passato da una media di 200 miliardi di dollari al giorno ad una di circa 3.000 miliardi di dollari al giorno (il doppio del nostro Pil nazionale annuale, tanto per avere un'idea della dimensione in gioco);
attualmente, più del 95 per cento delle transazioni finanziarie non hanno nessun legame con lo scambio di merci, di servizi o con investimenti, e sono puramente speculative. Più del 40 per cento di queste transazioni corrispondono a delle operazioni di acquisto e di rivendita che si esauriscono in un periodo inferiore ai 3 giorni, e l'80 per cento del volume globale delle transazioni corrispondono a delle operazioni che si svolgono in meno di una settimana;
l'informatica e le telecomunicazioni hanno dato un impulso fortissimo ad una tendenza che solo 20 anni fa rappresentava un fenomeno marginale. Gli operatori speculano su delle variazioni anche minime dei tassi e dei corsi di cambio tra le valute, anticipandole o provocandole;
le risorse valutarie che le banche centrali possono movimentare equivalgono appena al volume delle transazioni quotidiane sul mercato mondiale. In virtù del loro carattere imprevedibile, questi movimenti di capitali possono in poche ore provocare il crollo di una moneta, la crisi dell'economia di un intero Paese e fare sprofondare tutta la sua popolazione nella recessione. Non si tratta di un pericolo astratto: basta avere a mente la crisi messicana del 1995, la crisi del Sud-est asiatico nel 1997, la crisi russa del 1998, la crisi brasiliana del 1999; e se non vogliamo andare a vedere solo in casa degli altri, basta ricordare il ruolo del Fondo Quorum di Georges Soros nella crisi del Sistema monetario europeo (SME) nel 1993;
dopo la crisi asiatica si era sviluppato un dibattito sulla necessità di una profonda riforma del sistema finanziario e sulla necessità di «una nuova architettura finanziaria internazionale». Sono passati 13 anni, ma niente è cambiato. Il sistema finanziario internazionale è sempre lo stesso, vulnerabile ed esposto oggi come allora agli effetti dei suoi propri eccessi;
la stragrande maggioranza delle transazioni sulle valute (l'82 per cento) viene effettuata su 8 piazze finanziarie, il 96 per cento delle transazioni su 16 piazze: in pratica l'Europa, gli Usa, il Giappone, Hong Kong, Singapore e poco più. Circa il 50 per cento degli scambi avviene all'interno dell'Unione europea e circa l'80 per cento su piazze situate nei Paesi del G7 o nell'Unione europea. Questi dati delimitano il terreno d'azione per fare adottare l'imposta Tobin su scala internazionale;
per formulare la sua proposta, James Tobin ha ripreso un'intuizione del 1936 di Keynes, il quale esaminando le cause della crisi del 1929 già all'epoca, proponeva di tassare sia pure in misura ridotta tutte le transazioni finanziarie;
la maggior parte delle speculazioni sul mercato delle valute consiste nel giocare d'anticipo su variazioni anche minime dei tassi e dei cambi delle monete; questa pratica può consentire grossi guadagni a causa delle somme rilevanti impiegate e si possono così determinare reazioni a catena di dimensioni gigantesche;
la proposta della tassa Tobin consiste in un'imposta con un'aliquota molto bassa che non coinvolge gli scambi di beni e servizi e gli investimenti, ma che colpisce le transazioni speculative che operano molteplici andirivieni, operando come un freno per tali pratiche. James Tobin paragonava questa imposta ad «granello di sabbia negli ingranaggi della finanza internazionale»;
se l'aliquota della Tobin tax fosse dello 0,1 per cento, valutando per un determinato giorno una variazione dello 0,2 per cento del cambio tra due monete, l'operazione di acquisto e di rivendita su 1 miliardo di dollari potrebbe fruttare 2 milioni di dollari: l'esatto ammontare dell'imposta. Per l'operatore l'operazione perde il suo interesse ed egli non interverrà sul mercato che per variazioni prevedibilmente superiori allo 0,2 per cento;
gli economisti sostengono che in realtà il potere di dissuasione sarebbe più significativo, perché il differenziale da prendere in considerazione deve fare riferimento al tasso di profitto di un investimento «senza rischio», ad esempio, in titoli del tesoro del Paese della moneta di partenza. Si calcola che il potere di dissuasione reale dell'imposta sarebbe superiore per una data operazione al doppio del valore dell'aliquota. L'operazione speculativa, infatti, è «interessante» per gli operatori se il guadagno atteso ha un tasso superiore alla somma della percentuale di profitto dovuto ad un investimento «sicuro» nel Paese della moneta di origine al quale va aggiunto il doppio dell'aliquota della Tobin tax;
per questo gli economisti che sostengono il valore dell'introduzione di questa imposta propongono un'aliquota molto bassa pari allo 0,05 per cento. Molti studi hanno confermato che una tassa dello 0,05 per cento su ogni transazione potrebbe generare un gettito pari a circa 655 miliardi di dollari l'anno;
gli effetti positivi della Tobin tax sarebbero tre: una certa stabilizzazione dei flussi finanziari; una maggiore autonomia degli Stati e delle Banche centrali nella gestione della propria politica monetaria; la creazione di un gettito importante;
l'obiezione più comune all'introduzione della Tobin tax è quella che paventa il dirottamento dei flussi finanziari verso i Paesi che non applicano tale tassa o verso centri off-shore, cioè verso Paesi a regimi fiscalmente privilegiati ossia verso i cosiddetti «paradisi fiscali»;
c'è da considerare che misure simili alla tassa Tobin sono state introdotte negli ultimi anni in Paesi quali il Cile e la Malesia, per scoraggiare i flussi di capitali a breve termine, ad esempio, imponendo una cauzione calcolata come quota percentuale del capitale investito in relazione alla durata dell'impiego, con ricaduta positive sulla stabilità monetaria e sugli investimenti;
occorre ricordare anche come diversi ed importanti mercati finanziari applicano già oggi delle imposte sulle transazioni del mercato azionario come a Singapore (0,2 per cento), a Hong Kong (0,4 per cento), negli USA (0,0034 per cento) ed in Francia (dallo 0,6 allo 0,3 per cento a seconda dell'ammontare e della tipologia della transazione);
inoltre, i motivi per cui si utilizzano le grandi piazze finanziarie sono molteplici ed importanti: quali la sicurezza e la struttura evoluta del mercato stesso; caratteristiche che fanno sì che i centri off-shore non possono facilmente sostituire Londra o Wall Street. Peraltro una misura dissuasiva può essere quella di tassare con un'aliquota alta tutte le uscite di capitali da un centro off-shore verso una grande piazza finanziaria;
queste misure aiuterebbero anche l'azione dei governi nel quadro della lotta internazionale al riciclaggio del denaro sporco;
un movimento a favore della Tobin-tax si è sviluppato da diversi anni in diversi Paesi. Fuori dall'Unione europea l'iniziativa più importante è rappresentata dall'approvazione da parte del Parlamento canadese, nel marzo 1999, con una maggioranza dei due terzi, di una mozione a favore dell'introduzione di questa imposta. Altre iniziative hanno interessato i parlamenti del Brasile e perfino il Congresso degli Stati uniti;
il governo finlandese si è pronunciato a favore dell'imposta. Dibattiti importanti si sono svolti nella Camera dei Comuni; esistono intergruppi parlamentari e sono state presentate mozioni in tal senso in vari parlamenti europei (Francia, Belgio, Italia, ecc...);
una nuova opinione pubblica mondiale chiede una gestione diversa della mondializzazione dell'economia, che costruisca una nuova solidarietà internazionale sui terreni della lotta alla povertà e per lo sviluppo umanamente sostenibile;
ultimamente si sono pronunciati a favore di un'imposta sulle transazioni finanziarie sia l'ex premier britannico Brown che l'attuale primo ministro tedesco Merkel;

in un suo recente intervento, l'ex Ministro dell'economia e delle finanze, Vincenzo Visco, ha auspicato la costituzione di un fondo internazionale al quale conferire quote di debito sovrano dei diversi Paesi variabili in relazione all'impatto della crisi su ciascun Paese, scorporandole dai bilanci nazionali. L'attivo del fondo dovrebbe essere assicurato - sempre secondo la proposta di Visco - dall'introduzione, decisa collettivamente dagli Stati, di un'imposta dedicata sulle transazioni finanziarie il cui gettito - com'è noto - sarebbe ampiamente sufficiente. Se la proposta non fosse praticabile a livello globale, potrebbe funzionare anche se limitata a livello di Unione europea;
l'introduzione di una imposta sulle transazioni valutarie potrebbe, comunque, diminuire il carico fiscale sui fattori produttivi nazionali (ed europei) e fornire risorse per affrontare su scala internazionale problemi che diventano sempre più globali quali la difesa dell'ambiente, la povertà, la cooperazione allo sviluppo, la sicurezza,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prendere tutte le possibili iniziative in tutte le sedi internazionali opportune al fine di ottenere l'istituzione di un imposta sulle transazioni finanziarie ed in particolare su quelle a breve o brevissima scadenza, coinvolgendo la stessa Unione europea a partire del Consiglio europeo e dall'Ecofin.
9/3638/45. (Testo modificato nel corso della seduta) Donadi, Evangelisti, Borghesi, Cambursano.

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