ATTO CAMERA

ODG IN ASSEMBLEA SU P.D.L. 9/03638/112

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 360 del 28/07/2010
Firmatari
Primo firmatario: GNECCHI MARIALUISA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 28/07/2010
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
MADIA MARIA ANNA PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010
DAMIANO CESARE PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010
BERRETTA GIUSEPPE PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010
BELLANOVA TERESA PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010
BOBBA LUIGI PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010
BOCCUZZI ANTONIO PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010
CODURELLI LUCIA PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010
GATTI MARIA GRAZIA PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010
MATTESINI DONELLA PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010
MIGLIOLI IVANO PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010
MOSCA ALESSIA MARIA PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010
RAMPI ELISABETTA PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010
SANTAGATA GIULIO PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010
SCHIRRU AMALIA PARTITO DEMOCRATICO 28/07/2010


Stato iter:
29/07/2010
Partecipanti allo svolgimento/discussione
DICHIARAZIONE GOVERNO 28/07/2010
CASERO LUIGI SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
PARERE GOVERNO 29/07/2010
Resoconto CASERO LUIGI SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE IL 28/07/2010

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 28/07/2010

ATTO MODIFICATO IN CORSO DI SEDUTA IL 29/07/2010

ACCOLTO IL 29/07/2010

PARERE GOVERNO IL 29/07/2010

RINUNCIA ALLA VOTAZIONE IL 29/07/2010

CONCLUSO IL 29/07/2010

Atto Camera

Ordine del Giorno 9/3638/112
presentato da
MARIALUISA GNECCHI
testo di
giovedì 29 luglio 2010, seduta n.361

La Camera,
premesso che:
l'articolo 4 della Costituzione, riconosce i seguenti princìpi fondamentali: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».
l'Italia ha un buon livello di legislazione a favore della parità e contro le discriminazione fra i sessi, ma nonostante i buoni principi giuridici, sia nell'accesso al lavoro, sia in termini di occupazione in generale, ma soprattutto di progressione di carriera e di retribuzioni, le disuguaglianze fra uomini e donne sono ancora notevoli. La pensione è la sintesi del percorso lavorativo, dimostra in modo evidente la durata e la consistenza della contribuzione versata durante tutta la propria attività produttiva. È risaputo che l'integrazione al trattamento minimo sia un fenomeno tipicamente femminile come altrettanto le pensioni di anzianità siano tipicamente maschili. Purtroppo anche verificando gli importi delle pensioni di nuova liquidazione, si confermano i dati storici: mediamente le donne hanno pensioni che corrispondono alla metà dell'importo medio degli uomini. I motivi sono storicamente purtroppo sempre gli stessi, il percorso lavorativo delle donne registra molte interruzioni, lavoro a tempo parziale, poca carriera, retribuzioni più basse. In compenso però la società gode di tanto lavoro gratuito delle donne. Le baby pensionate del pubblico per anni hanno garantito un'economia di servizi parallela a quella istituzionale. I mille lavori invisibili delle donne hanno sostenuto di fatto il sistema di welfare. Purtroppo il lavoro in famiglia non viene rilevato dalle statistiche ufficiali e se non fossero le donne ad occuparsi della pulizia della casa, della cura dei bambini e degli anziani e di tutte quelle mansioni invisibili, ma indispensabili all'interno della famiglia, questi servizi dovrebbero essere acquistati sul mercato e quindi assumerebbero un preciso valore economico quantificabile (dal libro di Alberto Alesina e Andrea Ichino: «L'Italia fatta in casa»);
l'attuale sistema di servizi alla famiglia lascia vuoti che le donne in modo particolare si vedono costrette a colmare, sostituendosi all'offerta dei servizi per la cura dei figli, degli anziani e dei disabili. Si pensi, infatti, che solo per quanto riguarda i servizi di supporto alla prima infanzia (0-3 anni), l'Italia offre una copertura in media del 10 per cento contro il 33 per cento richiesto dall'Unione Europea. In tal senso, «la scelta» delle donne di star fuori dal mondo del lavoro o di ripiegare forzatamente sul part time o altre forme di lavori atipici, che consentano loro di conciliare al meglio l'impegno del lavoro di cura, risulta quindi quasi una decisione obbligata, che però non corrisponde sicuramente al progetto di ideale lavorativo cui le donne avrebbero aspirato;
se prendiamo a riferimento gli altri paesi europei, prescindendo dalla tutela della gravidanza/maternità (cioè il periodo a ridosso della nascita) che esiste in tutti i paesi europei, è presente una generosa forma di contribuzione figurativa per la crescita dei figli. In Francia, alle lavoratrici madri sono riconosciuti 2 anni di contribuzione figurativa a figlio e fino a tre anni (a scelta tra madre e padre), oltre ad un eventuale supplemento di pensione (pari al 10 per cento in più) per chi abbia avuto almeno tre figli. La Francia è uno dei paesi con tasso di fecondità più elevato in Europa. In Grecia, sono riconosciuti da uno ad un massimo di quattro anni di contribuzione figurativa, in relazione al numero di figli avuti;
la scelta quasi obbligata delle donne di assenza dal mercato del lavoro, più o meno per brevi o lunghi periodi comporta una ulteriore penalizzazione sulle donne, soprattutto per quanto attiene l'aspetto previdenziale. A differenza degli uomini, sono molte di più le donne che arrivano alla pensione di vecchiaia perché per la scarsità di contributi accumulati nel corso degli anni, sono poche le donne che maturano i requisiti per l'accesso al pensionamento per anzianità contributiva;
va considerato inoltre che sono ben 4,5 milioni le pensioni integrate al trattamento minimo, con un importo medio di integrazione di circa 3100 euro annui per pensione. Su 4,5 milioni di pensioni integrate, di ben 3,5 milioni sono titolari le donne (dati del Ministero dell'economia e finanze - Ragioneria dello Stato anno 2005). Si consideri, come detto sopra, che per le pensioni liquidate con il sistema contributivo, non esisterà più l'integrazione al trattamento minimo e ciò comporterà un ulteriore reale peggioramento, per le donne in particolare;
la distribuzione per classi di anzianità contributiva nel territorio nazionale delle pensioni dirette INPS di vecchiaia e invalidità (circa 8.439.000 pensioni - Isfol 2003 su dati INPS), evidenzia che il 52 per cento delle pensioni erogate a donne è liquidato con una contribuzione fino a 20 anni ( in particolare fino a 15 anni il 25 per cento delle pensioni e da 15 a 20 anni il 27 per cento delle pensioni «femminili») e solo il 9,9 per cento delle titolari donne raggiungono la fascia di contributi fra 35 e 40 anni;
fino al 1992 si poteva realmente pensare che esistesse una condizione di favore per la pensione delle donne: nel pubblico impiego potevano cessare il lavoro dopo 14 anni 6 mesi e un giorno e percepire una pensione, anche se bassa, dai 19 anni 6 mesi e un giorno, nel privato 15 anni di contribuzione e 55 anni di età per la pensione di vecchiaia, e come detto sopra, la stragrande maggioranza delle pensioni delle donne veniva integrata al trattamento minimo;
l'integrazione al trattamento minimo esiste dal 1952 (articolo 10 della legge n. 218 del 1952) e ne ha diritto solo chi non possiede redditi assoggettabili all'Irpef per un importo lordo annuo superiore a 2 volte l'ammontare della pensione minima, però dal 1994 ha rilievo anche il reddito del coniuge. I redditi cumulati non devono superare il quadruplo della pensione minima Inps, nel 2010 pari a 23.970,44 euro;
tutte le riforme e le modifiche che si sono attuate negli ultimi 18 anni hanno pesantemente modificato i requisiti e le condizioni in particolare per le donne, tutti i risparmi fatti avrebbero dovuto essere investiti per aumentare l'occupazione femminile e restituire, quindi, alle donne ciò che veniva loro tolto in modo da favorire la loro autonomia e la realizzazione di un progetto di vita anche nel lavoro;
le proposte che il Partito Democratico ha portato avanti in questo periodo sono molte, ma riteniamo che come minimo si debbano garantire interventi migliorativi che offrano contribuzione figurativa alle donne: per i trattamenti pensionistici delle lavoratrici vanno riconosciuti periodi di accredito figurativo:
a) per assenza dal lavoro per periodi di educazione e assistenza dei figli fino all'ottavo anno di età in ragione di ventiquattro mesi per ciascun figlio;
b) per assenza dal lavoro per assistenza a figli dal sesto anno di età, al coniuge e al genitore purché conviventi, nel caso ricorrano le condizioni previste dall'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per la durata di venticinque giorni complessivi l'anno, nel limite massimo complessivo di ventiquattro mesi;
c) a prescindere dall'assenza o meno dal lavoro al momento del verificarsi dell'evento maternità, è riconosciuto alla lavoratrice un anticipo di età rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia di cui al comma 19 pari a ventiquattro mesi per ogni figlio e nel limite massimo di sessanta mesi. In alternativa al detto anticipo la lavoratrice può optare per la determinazione del trattamento pensionistico con applicazione del moltiplicatore di cui all'allegata tabella A, relativo all'età di accesso al trattamento pensionistico, maggiorato di due anni in caso di un figlio, e maggiorato di quattro anni in caso di due o più figli;
si ritiene che sia giusto prevedere che a decorrere dal 1o gennaio 2011, per i trattamenti pensionistici determinati secondo il sistema esclusivamente retributivo o secondo il sistema pro quota di cui al comma 12, sia riconosciuto alla lavoratrice un anticipo di età rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia pari a ventiquattro mesi per ogni figlio e nel limite massimo di sessanta mesi;
le economie derivanti dall'attuale manovra finanziaria possono confluire nel Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera b-bis), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e successive modificazioni, per interventi dedicati a politiche sociali e familiari con particolare attenzione alla non autosufficienza e all'esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici,

impegna il Governo:

a monitorare in maniera costante la situazione pensionistica delle donne, con la valutazione annuale delle nuove liquidazioni;
a valutare il risparmio che tutte le riforme dal 1992 ad oggi hanno comportato, e se le condizioni di finanza pubblica lo consentono a restituire alle donne il risparmio ottenuto.
9/3638/112. (Testo modificato nel corso della seduta) Gnecchi, Madia, Damiano, Berretta, Bellanova, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, De Pasquale.

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC :

accesso alla professione

assicurazione per la vecchiaia

condizione della donna

condizione di pensionamento

diritto al lavoro

diritto del lavoro

discriminazione sessuale

fecondita'

lavoro a tempo parziale

lavoro femminile

pensionato