Doc. LVII, n. 1-A-bis

RELAZIONE DELLA COMMISSIONE SPECIALE
istituita con deliberazione dell'Assemblea del 10 aprile 2018, ai sensi dell'articolo 22, comma 2, del regolamento

Presentata alla Presidenza il 16 maggio 2018

(Relatore di minoranza: MANDELLI)

sul

DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2018

(Articoli 7, comma 2, lettera a), e 10 della legge 31 dicembre 2009, n. 196)

presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(GENTILONI SILVERI)

Trasmesso alla Presidenza il 26 aprile 2018  

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I N D I C E

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  Onorevoli Colleghi ! – Come è noto, la legge n. 196 del 2009, in materia di contabilità e finanza pubblica, dispone che il Governo sia tenuto a presentare, con cadenza annuale, il Documento di economia e finanza (DEF) alle Camere per la sua approvazione entro il 10 aprile di ogni anno.
  Inoltre, il Programma di stabilità, corrispondente alla prima sezione del DEF, e il Programma nazionale di riforma, corrispondente alla terza sezione del DEF, devono essere presentati al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea entro la data del 30 aprile.
  In questo particolare momento storico, di avvio della XVIII legislatura, in attesa che si formi un nuovo Governo, il Ministro dell'economia e delle finanze ha predisposto un Documento di economia e finanza per il 2018 limitato alla sola descrizione dell'evoluzione economico-finanziaria internazionale, all'aggiornamento delle previsioni macroeconomiche per l'Italia e al quadro di finanza pubblica tendenziale, senza formulare alcun nuovo obiettivo di politica economica e senza ipotizzare alcun nuovo impegno, lasciando così la ripresa del ciclo della programmazione delle finanze pubbliche al prossimo Esecutivo.
  Come è già accaduto in simili circostanze di attesa per la formazione di un Governo in seguito ad elezioni in uno Stato membro, la Commissione europea ha già comunicato che attenderà l'insediamento del nuovo Esecutivo per conoscerne gli intendimenti programmatici.
  Il Documento che ci apprestiamo a discutere in questo momento, dunque, altro non è che una fotografia senza impegni, senza un ragionamento di struttura che delinei gli obiettivi programmatici di un Governo.
  Un Documento asettico, dunque, nel quale risultano assenti sia la presa di coscienza dell'inadeguatezza di molte delle politiche pubbliche sino ad oggi perseguite – politiche che non hanno promosso la crescita economica, non hanno creato lavoro stabile e duraturo, non hanno ridotto il debito pubblico, non hanno arginato la diffusione della povertà e del disagio sociale – sia la rifocalizzazione di quelle politiche economiche che puntano realmente alla capacità di finalizzare le risorse nella direzione di uno sviluppo economico che offra benessere e rinascita sociale, ponendo al centro della propria prospettiva innanzitutto «la persona».
  Veniamo al DEF. Questo DEF 2018, limitato, come si è detto al solo quadro tendenziale, fissa un aumento del PIL dell'1,5 per cento per il 2018, invariato rispetto ai valori indicati nella Nota di aggiornamento del DEF del 2017, seguito da una discesa di un decimale all'anno nel 2019 ( 1,4 per cento) e nel 2020 ( 1,3 per cento). L'indebitamento netto a legislazione vigente si attesta all'1,6 per cento del PIL nel 2018 e allo 0,8 per cento nel 2019, con il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2020. Il rapporto deficit/PIL, stimato al 2,3 per cento per il 2017, risulta più alto rispetto alla previsione dell'1,9 per cento iniziale, giacché esso incorpora le risorse per gli interventi salva-banche. Quanto al rapporto debito/PIL, questo è previsto al 130,8 per cento nel 2018, dal 131,8 per cento del 2017, mentre si ipotizza una flessione ottimistica al 128 per cento nel 2019 e al 124,7 per cento nel 2020, incorporando una forte riduzione Pag. 6del fabbisogno ed introiti derivanti dalle privatizzazioni nell'ordine dello 0,3 per cento annuo in rapporto al PIL.
  Sull'incertezza delle previsioni, oltre all'attuale scenario di politica interna, gravano i rischi geopolitici internazionali e le incognite relative ai venti di guerra commerciale che potrebbero rallentare la crescita italiana, alla luce dei rilievi formulati dall'Ufficio parlamentare del bilancio, dello 0,5 per cento nel 2018 e dello 0,7 per cento nel 2019 e 2020.
  Le previsioni contenute nel quadro macroeconomico sembrano essere ancora una volta eccessivamente positive: tanto le stime di crescita su PIL, inflazione e tasso di disoccupazione quanto quelle sui saldi di finanza pubblica e sulla componente interessi sembrano, infatti, troppo ottimistiche rispetto allo stato attuale dell'economia italiana.
  Il Fondo monetario internazionale ha stimato che il nostro Paese crescerà soltanto dell'1,1 per cento nel 2019 a fronte di una stima ottimistica dell'1,4 per cento formulata dal Ministero dell'economia e delle finanze, con una differenza quindi di 0,3 punti percentuali, equivalenti a circa 5 miliardi di euro.
  A fine aprile 2018 l'agenzia di rating Standard & Poor's ha confermato il rating dell'Italia a BBB con un outlook stabile. La crescita dell'Italia sarà dell'1,5 per cento per il 2018, in linea con la stima del DEF, e, in media, dell'1,2 per cento nel periodo 2019-2021. Secondo l'agenzia di rating restano le incognite legate, oltre ai rischi connessi all'elevato debito pubblico, alle incertezze politiche e alle possibili politiche economiche del nuovo Esecutivo. Si tratta, indubbiamente, di fattori che potrebbero avere implicazioni potenzialmente negative.
  Dopo i dati sulla produzione industriale relativi al mese di gennaio (-1,5 per cento) e febbraio (-0,8 per cento), l'ISTAT ha diffuso una stima preliminare del PIL relativa al primo trimestre dell'anno che risulta cresciuto dello 0,3 per cento nel primo trimestre, rispetto ai tre mesi precedenti, e dell'1,4 per cento in termini tendenziali, in rallentamento rispetto all'1,6 per cento registrato nell'ultimo trimestre del 2017, con una variazione acquisita per il 2018 pari allo 0,8 per cento. Qualora tale rallentamento dovesse perdurare nei prossimi trimestri, l'obiettivo di una crescita dell'1,5 per cento contenuto nel DEF non sarebbe raggiungibile.
  Secondo le previsioni economiche di primavera (Spring Forecast) della Commissione europea, pubblicate lo scorso 3 maggio, dopo il picco record del 2,4 per cento di PIL nel 2017, la crescita nell'area euro resterà forte, «sullo sfondo di consumi sostenuti e forti esportazioni e investimenti», nel 2018, con un leggero rallentamento previsto nel 2019, a causa della congiuntura internazionale, con una crescita stimata rispettivamente del 2,3 per cento e del 2 per cento. La Commissione europea prevede che il 2018 sarà il primo anno dall'istituzione dell'Unione economica e monetaria in cui tutti i Governi gestiranno deficit di bilancio inferiori al 3 per cento del PIL, come indicato dai Trattati.
  Per quanto attiene all'Italia, la Commissione europea ritiene che «l'incertezza sulle politiche è diventata più pronunciata e, se prolungata, potrebbe rendere i mercati più volatili e intaccare il sentimento economico e i premi di rischio», sottolineando, contestualmente, che «i rischi per le prospettive di crescita sono diventati più inclinati verso il basso». Le stime relative all'Italia prevedono una crescita economica dell'1,5 per cento per quest'anno e dell'1,2 per cento per l'anno prossimo; il tasso di disoccupazione sarà invece il terzo più elevato dell'intera zona euro, al 10,8 per cento, dietro alla Grecia e alla Spagna.
  Il Commissario europeo per gli affari economici e finanziari Pierre Moscovici, intervenendo alla conferenza stampa di presentazione delle Spring Forecast 2018, ha affermato quanto segue: «non valuto il rischio politico in riferimento all'Italia, dico solo che è in corso un processo di formazione del Governo e di qui una certa prudenza e la speranza che ho sempre che l'Italia resti al cuore della zona euro, Pag. 7l'Italia ha un ruolo essenziale rispettando le regole che sono state elaborate insieme».
  La Commissione europea ha già considerato la legge di bilancio per il 2018 presentata dal Governo italiano non sufficientemente ambiziosa; tale giudizio è confermato nelle citate previsioni economiche di primavera 2018, laddove viene affermato che lo sforzo strutturale per il deficit è zero e che le implicazioni che ciò comporta «faranno parte del pacchetto di primavera del 23 maggio», quando Bruxelles pubblicherà nuove raccomandazioni per Paese, così come il rapporto sul debito 2016-2017.
  Inoltre, dalla pubblicazione del verbale della riunione tenutasi tra i Commissari europei lo scorso 22 novembre 2017, sembrava emergere la volontà da parte della Commissione europea di aprire una procedura d'infrazione contro l'Italia per deficit eccessivo, ex articolo 126, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, qualora il nuovo Governo non adotterà le misure necessarie a fare in modo che il bilancio 2018 rispetti i parametri di finanza pubblica contenuti nel Patto di stabilità e crescita.
  Tuttavia, in questi giorni è arrivata la conferma da parte di Bruxelles dell'intenzione di non aprire nei confronti dell'Italia alcuna procedura di infrazione, bensì di richiedere una correzione dei conti di circa lo 0,3 per cento di PIL, che corrisponde, di fatto, a una «manovrina» da 5 miliardi di euro.
  Quanto precede dovrebbe suscitare una certa preoccupazione a chi si accinge a guidare il prossimo Esecutivo.
  Il Documento di economia e finanza 2018, infatti, contempla l'attivazione della cosiddetta clausola di salvaguardia che comporterebbe nel 2019 l'aumento dell'aliquota IVA ordinaria, dal 22 per cento al 24 per cento, al 24,9 per cento dal 1o gennaio 2020 e al 25 per cento dal 2021, nonché di quella ridotta, dal 10 per cento all'11,5 per cento nel 2019 e al 13 per cento a partire dal 1o gennaio 2020, con un costo a carico dello Stato di oltre 12 miliardi di euro nel 2019 e più di 20 miliardi di euro nel 2020, riducendo drammaticamente la capacità di spesa delle famiglie con un impatto negativo sulla crescita dovuta al calo di consumi.
  Infatti, secondo il Centro Studi Confindustria gli effetti cumulati nel triennio 2019-2021 dell'applicazione di tali clausole comporterebbero quasi il 3 per cento in meno di crescita dei consumi delle famiglie, con un impatto non trascurabile sul PIL reale.
  A tale eredità lasciata dal precedente Governo si devono aggiungere le ulteriori inevitabili spese che nell'anno corrente dovranno essere affrontate per il rinnovo dei contratti pubblici, l'autorizzazione di missioni internazionali ed altre eventuali esigenze indifferibili che impongono una piena assunzione di responsabilità da parte dell'Esecutivo in relazione alle coperture finanziarie da adottare, anche in considerazione della citata «manovrina» da 5 miliardi di euro.
  Sotto tale profilo si segnala la necessità di adottare opportuni provvedimenti di riduzione selettiva della spesa pubblica, che non pregiudichino la corretta erogazione di servizi essenziali per i cittadini – in primo luogo, trasporti locali e servizi alla persona –, come la razionalizzazione delle centrali di acquisto della pubblica amministrazione che, secondo un recente documento di Carlo Cottarelli, ex Commissario alla spending review, non avrebbero operato in modo efficiente, nonostante le recenti riforme, tanto che ancora oggi risultano pochi i beni e i servizi acquistati attraverso le stazioni centralizzate e almeno 40 miliardi di euro di spesa risultano acquistati arbitrariamente dai responsabili della spesa di enti locali e amministrazioni centrali senza passare da Consip, provocando mancati risparmi per diversi miliardi di euro.
  È necessario, inoltre, ridurre gli sprechi negli appalti pubblici, specie nel settore dell'acquisto di software e servizi digitali, nel quale il nostro Paese perde svariati milioni di euro ogni anno. La relazione finale della Commissione parlamentare di Pag. 8inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni ha infatti messo in evidenza, incrociando i data base dell'Autorità nazionale anticorruzione e di Consip, che dal 2011 ad oggi le amministrazioni pubbliche hanno bandito 34.183 gare nel settore digitale, aggiudicando appalti per 20,4 miliardi di euro: software, servizi telefonici, piattaforme di trasmissione dati e manutenzione, ma nell'85 per cento dei casi si è presentato alla gara un solo partecipante, ovviamente vincitore, e la metà delle volte l'offerta non ha proposto alcun ribasso rispetto alla base d'asta. Si utilizzano per lo più metodi di aggiudicazione che non prevedono concorrenza, come la procedura negoziata senza pubblicazione del bando (29 per cento), l'affidamento diretto (20 per cento), la procedura negoziata senza gara (13 per cento).
  Infine, si evidenzia che nell'immobilismo che caratterizza questa fase di passaggio tra la XVII e la XVIII legislatura, su un totale di 1.046 decreti attuativi da emanare per rendere pienamente operative le leggi, ne sono stati adottati 707 (il 67,6 per cento). Ne mancano quindi all'appello 339 circa, di cui quasi la metà (140) hanno passato la scadenza fissata. A tal proposito potrebbe risultare opportuna una ricognizione dei fondi residui rinvenienti dalle coperture finanziarie dei citati provvedimenti scaduti, al fine di valutarne un possibile ri-orientamento per il perseguimento di altre finalità.
  Sempre sul fronte delle risorse occorre evidenziare che il nostro Paese è tra gli ultimi, fra gli Stati membri della Unione europea, nell'utilizzo dei 75 miliardi di fondi strutturali che gli spettano. In Italia manca ancora un documento ufficiale che certifichi il livello di spesa per il periodo 2014-2020, ma dai dati pubblicati dalla Commissione europea emerge con tutta evidenza che l'Italia a marzo 2018 ha speso solo l'8 per cento delle risorse disponibili, collocandosi in valore assoluto fra gli ultimi Paesi europei. Ciò impone un ripensamento della politica di coesione anche in funzione dell'imminente negoziato sul bilancio dell'Unione europea.
  Occorre quindi un'inversione di rotta ed una profonda revisione delle politiche sino ad oggi perseguite, affinché sia innanzitutto scongiurata l'attivazione delle clausole di salvaguardia relative all'aumento dell'IVA e delle accise sulla benzina e sui tabacchi, prevista a legislazione vigente a decorrere dal prossimo 1o gennaio 2019, senza fare ricorso a fonti di finanziamento fantasiose, quali per esempio una imposta patrimoniale che andrebbe a incidere negativamente sul valore dei beni mobili e immobili degli italiani e, quindi, adottando un criterio di riduzione della spesa pubblica di tipo selettivo nei termini esposti in premessa e che non incida sulla corretta erogazione dei servizi essenziali alla persona e risulti orientata invece verso una maggiore efficienza nella gestione delle risorse pubbliche, anche attraverso un attento screening della qualità dei servizi resi e una più penetrante misurazione dei risultati raggiunti dai diversi programmi.
  Occorre, inoltre, tutelare realmente il risparmio degli italiani, costantemente richiamato per il suo significativo ammontare (secondo i dati Consob al 30 giugno 2017 gli investimenti degli italiani in fondi comuni, derivati, azioni, obbligazioni e altri strumenti finanziari ammontano complessivamente a 2.777 miliardi di euro) come fonte di eventuale finanziamento di manovre economiche in caso di pretesa «emergenza nazionale», anche implementando la detassazione degli strumenti di risparmio da cui le imprese italiane hanno tratto maggior beneficio nel corso del 2017, come ad esempio, fra gli altri, i piani individuali di risparmio (PIR), che nel primo anno di attivazione hanno registrato la raccolta di circa 11 miliardi di euro.
  E ancora, il futuro Esecutivo, per segnare un fronte di discontinuità rispetto al passato, dovrebbe riformare sensibilmente il sistema tributario con la riduzione della pressione fiscale a carico delle imprese e delle famiglie, semplificare le norme per Pag. 9rendere più competitivo il Paese, re-impostare in senso meno inquisitorio il rapporto fra fisco e contribuente, definire tutto il contenzioso e le pendenze tributarie tra contribuenti e amministrazione nel segno di una «pace fiscale», nel senso di una politica di accompagnamento delle persone e delle imprese maggiormente in difficoltà non lesiva del principio della fedeltà fiscale, che coniughi nella migliore formula possibile le esigenze di riscossione e la doverosità dell'obbligo tributario, da un lato, con le concrete esigenze e vicende dei contribuenti in difficoltà, dall'altro.
  Inoltre, il futuro Governo, con riferimento alle politiche per il lavoro, lo sviluppo industriale e il rilancio del Mezzogiorno del Paese, dovrebbe introdurre una vera detassazione e decontribuzione per sei anni delle nuove assunzioni di giovani; rivedere il Codice degli appalti per rilanciare gli investimenti e l'occupazione, prevedendo, fra l'altro, sia una corsia preferenziale per le micro e piccole imprese (con meno di 50 dipendenti), che costituiscono il 99,4 per cento del tessuto produttivo italiano, sia la semplificazione degli adempimenti a carico degli amministratori, al contempo prevedendo un'adeguata formazione degli stessi, funzionale a dotarli delle competenze necessarie a «maneggiare» la complessa normativa di settore; procedere all'effettivo pagamento dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti di cittadini e imprese, con l'obiettivo di convergere verso la media europea, nel rispetto della direttiva comunitaria «late payments».
  E, soprattutto, occorre attuare un grande Piano strategico per il Sud, che abbandoni le vecchie e fallimentari logiche assistenzialiste e guidi il Meridione nel processo di riallineamento ai migliori standard nazionali ed europei, fondati sull'iniziativa e sul merito.
  Questo Piano deve realizzarsi attraverso misure che rilancino incisivamente lo sviluppo infrastrutturale e industriale del territorio, catalizzino gli investimenti pubblici e privati nel Meridione, risolvano le non più tollerabili criticità connesse alla disoccupazione dei giovani e delle donne e rendano finalmente effettivo il circuito scuola-formazione-lavoro. Nella prospettiva di rivitalizzare il tessuto sociale ed economico del Sud, fra l'altro, si ritiene necessario estendere l'obbligo di destinare una quota di stanziamenti ordinari in conto capitale, proporzionata alla popolazione di riferimento, attualmente previsto solo per le amministrazioni centrali, anche alle società e imprese a partecipazione pubblica, anche adottando ogni iniziativa di competenza al fine di elevare tale quota, cosiddetta «del 34 per cento», sino al 45 per cento, in analogia alla cosiddetta «clausola Ciampi». Questa misura fungerebbe, infatti, da fondamentale volano degli investimenti pubblici e dello sviluppo infrastrutturale sul territorio da parte dei principali operatori economici della realtà italiana.
  Per il raggiungimento di queste finalità è fondamentale un uso più efficiente dei fondi europei e un approccio più concreto alle politiche di coesione. In questa direzione, l'obiettivo, assolutamente alla portata, è quello di ottenere dalle competenti istituzioni sovranazionali gli indispensabili margini di flessibilità, essenzialmente in ambito tributario, da utilizzare per accompagnare e sostenere le misure del Piano strategico per il Sud.
  Infine, chiediamo con forza che il futuro Governo riduca il deficit strutturale e nominale al fine di azzerarli entro l'anno 2020, nel rispetto degli impegni presi con l'Unione europea, così come si impegni a ridurre strutturalmente il debito pubblico attraverso una strategia di politica economica che consenta di attivare un circolo virtuoso rappresentato da minori tasse, più investimenti e consumi, più crescita e minore deficit, accompagnando e rafforzando tale processo grazie agli introiti derivanti dai piani di valorizzazione e di dismissione del patrimonio pubblico, ferma restando una valutazione di convenienza nel medio periodo. Le soluzioni basate sull'utilizzo di imposte patrimoniali sono, al contrario, illusorie e pericolose, perché impoveriscono Pag. 10il Paese, rendendolo facile preda dei fondi «avvoltoio».
  Cari colleghi, potrei continuare l'elenco delle altre, serie iniziative concernenti tutti i settori di intervento – quali giustizia, difesa, esteri, lavoro, pensioni, scuola, sviluppo, trasporti, ambiente, infrastrutture, agricoltura, sanità, cultura, settore finanziario – che vorremmo far entrare con forza nell'agenda del futuro Governo, nel pieno spirito costruttivo di una politica volta a servire al meglio il Paese, ma quello che votiamo oggi è, purtroppo, un Documento che nel suo insieme non può considerarsi utile al nostro Paese, perché frutto di politiche bocciate dalle ultime elezioni politiche generali e in linea di perfetta continuità con il Governo della XVII legislatura.

Andrea MANDELLI,
Relatore di minoranza.