Doc. XXIII, N. 18

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI E SU ILLECITI AMBIENTALI AD ESSE CORRELATI

(istituita con legge 7 agosto 2018, n. 100)

(composta dai deputati: Vignaroli (Presidente), Benedetti, Benvenuto, Braga, Del Monaco, Ferraioli, Licatini, Muroni, Nobili, Patassini, Polverini, Potenti (Segretario), Raciti, Vianello, Zolezzi; e dai senatori: Bernini, Berutti (Segretario), Briziarelli (Vicepresidente), D'Arienzo, Doria, Ferrazzi (Vicepresidente), Floridia, Gallone, Iannone, Laniece, Lomuti, Lorefice, Nugnes, Rufa, Trentacoste.

RELAZIONE SULLA DIFFUSIONE DELLE SOSTANZE PERFLUOROALCHILICHE

(Relatori: On. S. Vignaroli, On. C. Braga, On. A. Zolezzi)

Approvata dalla Commissione nella seduta del 19 gennaio 2022

Comunicata alle Presidenze il 19 gennaio 2022
ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 7 agosto 2018, n. 100

Pag. 3

INDICE

  1. Inquadramento generale delle sostanze perflorurate e loro caratteristiche ... Pag. 5

  2. Le attività produttive delle sostanze perfluorurate presso i siti di Miteni e di Solvay e i comparti industriali del loro utilizzo ... » 7

  3. Le numerose tipologie di PFAS ... » 10

  4. L'origine della contaminazione nella regione Veneto ... » 11

  5. La particolare complessità idrogeologica della falda su cui insiste l'area della ex Miteni e la barriera idraulica ... » 15

   5.1 La barriera metallica ... » 23

  6. Le verifiche nell'area ex RiMar ... » 23

  7. La consapevolezza dell'inquinamento di Mitsubishi Corporation Inc. e di International Chemical Investors Group (IGIG) ... » 25

  8. I nuovi PFAS e le indagini sull'inquinamento svolte da ISPRA su delega della procura di Vicenza ... » 27

   8.1 Sintesi della perizia tecnica ISPRA del 27 gennaio 2020 svolta per la procura di Vicenza sull'inquinamento da PFAS-Miteni (doc. 863/3) ... » 30

  9. Le indagini della procura di Vicenza ... » 31

  10. Il decreto che dispone il giudizio ... » 34

  11. Il fallimento della società Miteni ... » 37

  12. Stato di smontaggio degli impianti venduti alla società Viva Life Science Private Limited ... » 39

  13. Situazione dei terreni posti al di sotto degli impianti ... » 41

  14. La situazione attuale ... » 43

  15. Progetti di bonifica dei terreni (ossidazione chimica e desorbimento termico) ... » 44

  16. La problematica della contaminazione del percolato e delle falde sotto le discariche venete ... » 45

  17. L'origine e la contaminazione nella regione Piemonte ... » 46

  18. Il sito della Solvay di Spinetta Marengo, la produzione di PFAS e i sistemi di contenimento della contaminazione delle matrici ambientali ... » 46

  19. La situazione attuale e le contraddizioni dell'AIA rilasciata alla Solvay dalla provincia di Alessandria ... » 51

  20. La situazione nelle altre regioni e nel territorio italiano ... » 56

   20.1 Considerazioni sulla nota dell'ARPA Lazio, datata ottobre 2020, sul monitoraggio dei PAFS nella regione Lazio – Triennio 2018 – 2020 (doc. 703/2) ... » 57

   20.2 Considerazioni sulla nota dell'ARPA Emilia-Romagna, datata 05/10/2020, sul monitoraggio dei PAFS nella regione Emilia-Romagna – Anni 2018, 2019 e 2020 (doc. 441/2 e doc. 441/3) ... » 59

Pag. 4

   20.3. Considerazioni sulla nota dell'ARPA Lombardia, in data 29/07/2019, sul monitoraggio dei PAFS nella regione Lombardia – Anno 2018 e sulle slide con i monitoraggi 2019 e 2020 (doc. 260/3) ... Pag. 60

   20.4. Considerazioni sulla nota dell'ARPA Toscana, in data 27/01/2020, sul monitoraggio dei PAFS nella regione Toscana – Anni 2016, 2017, 2018 (doc. 487/2) ... » 62

  21. Ulteriori nuovi PFAS ... » 64

  22. Gli studi scientifici e il contributo dei consulenti della Commissione sul danno alla salute umana ... » 65

  23. Gli aspetti sanitari associati all'esposizione alle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) ... » 68

  24. Indagine epidemiologica sulla popolazione residente nella zona rossa del Veneto ... » 71

  25. La posizione dell'INAIL ... » 73

  26. La contaminazione degli alimenti da PFAS nel territorio Veneto ... » 74

  27. I limiti ai PFAS nelle matrici ambientali ... » 78

  28. Conclusioni ... » 83

  29. Allegati ... » 99

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1. Inquadramento generale delle sostanze perflorurate e loro caratteristiche.

  Il fluoro nella forma inorganica è l'alogeno più importante della crosta terrestre, tuttavia in natura esistono solo una dozzina di sostanze organiche contenenti fluoro, isolate da piante tropicali e subtropicali. Pertanto, i composti organici fluorurati in natura sono di origine antropogenica.
  I composti organici perfluorurati (PFAS o PFC) non sono presenti in natura, sono prodotti chimici organici di sintesi utilizzati da più di 60 anni per il trattamento superficiale, come coadiuvanti di polimerizzazione e tensioattivi. I composti perfluorurati formano un gruppo eterogeneo di sostanze molto versatili, con caratteristiche uniche, costituiti da una catena carboniosa fluorurata CnF2n-1 idrofobica ed un gruppo funzionale idrofilico.
  Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) costituiscono un'ampia famiglia di circa 4.700 composti chimici sintetici. Si tratta di sostanze contenenti legami carbonio-fluoro, tra i legami chimici più forti nella chimica organica. I PFAS sono costituiti da una catena di carbonio completamente (per) o parzialmente (poli) fluorurata collegata a diversi gruppi funzionali. In base alla lunghezza della catena di carbonio fluorurato, si possono distinguere PFAS a catena corta e lunga. Le loro proprietà le rendono particolarmente resistenti alle reazioni chimiche, al calore e all'abrasione o frizione, e servono per conferire ai materiali proprietà di antiaderenza e impermeabilità sia all'acqua che agli oli (doc. 952/2).
  I PFAS sono dei composti chimici detti di sintesi, perché è stato trovato il modo per collegare il carbonio al fluoro. Grazie a questo legame molto forte, che ha una miriade di possibilità di combinazione in forme lineari e in forme ramificate con altri composti, si ottengono delle sostanze con delle caratteristiche molto particolari, molto innovative, che soprattutto hanno una capacità di idrorepellenza e di oleorepellenza.
  Tra le sostanze di maggior rilievo, vi sono gli acidi carbossilici e gli acidi perfluorosolfonici dei composti perfluoroalchilici a catena lunga, cioè con un numero di atomi di carbonio n≥ 7, i loro sali e precursori.
  Il forte legame C-F attribuisce a questi composti le loro caratteristiche di resistenza alla degradazione ambientale e metabolica di piante e animali.
  La sostituzione nelle molecole alifatiche dell'atomo di idrogeno con quello del fluoro porta ad una varietà e complessità di sostanze analoga a quella della chimica degli idrocarburi, tuttavia il legame carbonio-fluoro è il legame chimico singolo più forte della chimica organica. Lunghe catene fluorurate si dispongono infatti ad elica e gli atomi di fluoro schermano completamente lo scheletro carbonioso determinandone la stabilità. Anche se queste sostanze hanno un peso molecolare molto più elevato rispetto ai corrispondenti composti idrocarburici, la loro volatilità è altrettanto elevata, considerato che la catena fluorurata Pag. 6ha una bassa energia superficiale che rafforza la repellenza all'acqua e ai grassi.
  Fino all'inizio degli anni 2000 sono stati due i gruppi di PFAS principalmente usati nell'industria: gli acidi perfluoroalchilosolfonici e quelli perfluorocarbossilici.
  La Commissione di inchiesta ha già approvato due relazioni tematiche sulle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), la prima in data 8 febbraio 2017 e la seconda in data 14 febbraio 2018.
  Come si è accennato, le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono composti organici formati da una catena alchilica di lunghezza variabile (in genere da 4 a 14 atomi di carbonio), totalmente fluorurata, e da un gruppo funzionale idrofilico, generalmente, un acido carbossilico o solfonico.
  Il legame tra carbonio e fluoro – com'è noto – è molto forte e rende tali sostanze estremamente stabili, con caratteristiche non solo idrofobiche, ma anche idrosolubili e oleo repellenti e ciò spiega la grande diffusione nell'ambiente. Fatto sta che, a motivo di tali specifiche caratteristiche, l'unica azione per rompere la molecola e, dunque, il legame carbonio – fluoro è quello dell'incenerimento a una temperatura superiore a 800 gradi.
  I composti perfluoroalchilici vengono usati nei rivestimenti dei contenitori per il cibo, come ad esempio quelli dei «fast food» o nei cartoni delle pizze d'asporto, nella produzione del Teflon (dalle note proprietà antiaderenti) e del Gore-Tex, materiale che ha trovato applicazione in numerosi campi.
  I PFAS sono stati utilizzati, a partire dagli anni Cinquanta, come emulsionanti e tensioattivi in prodotti per la pulizia, nella formulazione di insetticidi, rivestimenti protettivi, schiume antincendio e vernici. Sono impiegati anche nella produzione di capi d'abbigliamento impermeabili, in prodotti per stampanti, pellicole fotografiche e superfici murarie, in materiali per la microelettronica e nelle meccaniche di precisione, grazie alla loro capacità di ridurre l'attrito nelle parti rotanti.
  Infine, una determinata tipologia di PFAS, i fluoropolimeri trovano impiego in applicazioni ad alto contenuto tecnologico, come nei dispositivi medicali, nelle batterie agli ioni di litio, nell'isolamento di cavi per le nuove tecnologie, nella realizzazione di semiconduttori per l'elettronica, nelle installazioni per gli impianti di energia rinnovabile (come batterie e celle a combustibile) e molto altro (doc. 952/2).
  La caratteristica che li rende potenzialmente pericolosi per la salute umana è il fatto che si accumulano non nel grasso, ma nel sangue e nel fegato rendendosi così biologicamente più disponibili, con lunghi tempi di escrezione dall'organismo, che dipendono dalla clearance renale, posto che la loro eliminazione avviene a livello renale.
  Nell'uomo queste sostanze permangono per periodi estremamente lunghi, con un'emivita di quasi 5 anni per il PFOS e di quasi 4 anni per il PFOA.
  Per tutte le caratteristiche chimiche prima citate, le sostanze perfluoroalchiliche sono molto persistenti nell'ambiente, quindi contaminano il suolo, l'aria, l'acqua e si trovano anche accumulati nel biota, sicché arrivano all'uomo attraverso la catena alimentare. Come si è detto, sono idrosolubili, con la conseguenza che si diffondono molto Pag. 7facilmente in ambiente idrico. L'accumulo nella catena alimentare, sia acquatica che terrestre, è stato descritto recentemente in modo molto dettagliato in un'opinione scientifica dell'EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) del 2018, che indica la presenza delle più alte concentrazioni di PFOS e di PFOA nelle principali categorie alimentari: il pesce, la carne, le uova nel caso del PFOS, il latte, i prodotti derivati dal latte, l'acqua potabile e il pesce nel caso del PFOA (cfr. resoconto audizione del 17 luglio 2019 della dottoressa Eugenia Dogliotti, Direttore del Dipartimento ambiente dell'Istituto Superiore di Sanità).
  Già a partire dagli anni 2000, sotto la spinta della preoccupazione per gli impatti negativi sulla salute e sull'ambiente, la legislazione dei vari Stati e l'industria hanno intrapreso azioni per ridurre il rilascio di PFAS a lunga catena in ambiente.
  Ha preso così avvio una transizione industriale volta a sostituire i PFAS a catena lunga (PFOS e PFOA) con altre sostanze, le cosiddette «alternative», fluorurate e non fluorurate.
  Le restrizioni e i divieti nella produzione delle sostanze perfluorurate tradizionali, in particolare PFOA e PFOS, hanno portato all'introduzione sul mercato delle sostanze sostitutive perfluorurate:

   a catena corta (PFBA e PFBS, n=4 atomi di carbonio) ed i loro precursori, meno bioccumulabili dei corrispettivi a catena lunga, ma che possono però essere maggiormente assorbiti nei vegetali (foglie, frutti);

   i perfluoropolieteri (PFPE) come cC6O4, sostanze CL-PFPECA. I PFPE funzionalizzati, in particolare i perfluoroeteri carbossilici (PFECA) e acidi solfonici (PFESA), strutturalmente simili ai PFAS, cioè con gruppo funzionale acido ed una catena perfluoro o poli fluoro eteri, lineare (GenX, ADONA) o ciclica (cC6O4), che richiedono ulteriori studi, ma che presumibilmente possono manifestare persistenza in ambiente e bioaccumulo, anche se tuttora incerto. Queste sostanze hanno una similarità strutturale con i PFAS e la modifica della struttura dei perfluoropolieteri con inserimento di ossigeno tra le catene perfluorurate, potrebbe avere scarsa influenza sul modo di azione, ma potrebbe modificarne la tossicità e la capacità di bioaccumulo. Sulla base delle caratteristiche strutturali e alle caratteristiche chimico fisiche, i PFPE, potrebbero essere altrettanto persistenti e mobili in acqua e atmosfera rispetto ai PFAS tradizionali, tanto da essere trasportate a lunga distanza. Ad oggi non ci sono evidenze della presenza di questi prodotti alternativi in regioni remote, ma non è chiaro se ciò sia dovuto al fatto che sono state introdotte solo recentemente oppure se sono utilizzate in minore quantità. Recenti pubblicazioni scientifiche riportano di una possibile dispersione atmosferica di questi composti anche a lunga distanza dal sito di produzione sulla base di dati raccolti in USA (cfr. relazione ARPA Veneto in doc. 732/2).

2. Le attività produttive delle sostanze perfluorurate presso i siti di Miteni e di Solvay e i comparti industriali del loro utilizzo.

  I siti di produzione delle sostanze perfluorurate in Italia sono due: il primo, si trova a Trissino in Veneto, dove fino al 2018 operava la società Miteni, poi fallita, e il secondo si trova in Piemonte a Spinetta Pag. 8Marengo nel comune di Alessandria e viene tuttora gestito dalla Solvay Specialty Polymers Italy Spa.
  Dei due siti di produzione ne è rimasto uno solo, quello di Spinetta Marengo, ma le conseguenze ambientali soprattutto nella falda sono molto pesanti per entrambi i siti.
  Questo spiega le ragioni del maggiore inquinamento dei due siti di produzione rispetto agli altri siti, dove le sostanze perfluoroalchiliche o PFAS vengono solo utilizzate, come ad esempio il territorio intorno ai fiumi Arno o Tevere dove peraltro operano molte concerie, ma anche in altre zone del territorio nazionale, se si considera che i PFAS hanno un'ampia diffusione del loro utilizzo in pressoché tutti i principali comparti industriali, come da tabella, riportata nella relazione tecnica in data 30 giugno 2021 del consulente della Commissione di inchiesta, dott. Andrea Di Nisio, del Dipartimento dell'Università di Padova sugli «Aspetti sanitari associati all'esposizione alle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS)», di cui si riferirà nel capitolo 23, che concerne il danno alla salute umana (Allegato, doc. 911/2).

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  Sarà trattata, dapprima, la Miteni perché è un'azienda fallita che deve essere bonificata e poi la Solvay che è un'azienda ancora in bonis, anch'essa oggetto di interventi di bonifica.
  Nel corso degli anni la società Miteni ha continuato a produrre sostanze perfuoralchiliche o ha dato avvio alla produzione di nuove sostanze perfluorurate. Si tratta di sostanze che produceva già la società RiMar (Ricerche industriali Marzotto) nelle vecchie scuderie di villa Marzotto di Trissino, allo scopo di rendere i tessuti impermeabili all'acqua. Successivamente, già nel 1967, l'attività venne trasferita a pochi chilometri da villa Marzotto, in località Colombara, di proprietà degli stessi Marzotto, dove sono insediati gli attuali impianti della Miteni, per una estensione degli stessi impianti, che è pari a ben due ettari e che quindi si è sviluppata in modo considerevole, sì da divenire un'azienda di risonanza internazionale.
  Di seguito, si espongono i cicli di produzione delle varie sostanze perfluoroalchiliche:

   PFOS: produzione avviata a fine anni Sessanta fino al 2011;

   PFOA: produzione avviata dalla fine degli anni Sessanta fino al 2013;

   PFBS: produzione avviata a fine anni Sessanta cessata con il fallimento della Miteni, dichiarato dal tribunale di Vicenza in data 9 novembre 2018;

   FRD 902 da tecnologia GenX (CAS 62037-80-3, sale ammonico dell'acido 2,3,3,3- tetrafluoro-2-(eptafluoropropoxy) propanoato). Il GenX, nome commerciale di un tensioattivo industriale riferito al sale di ammonio del HFPO-DA [FRD-902 o HFPO- DA o acido dimerico esafluoropopilene ossido], utilizzato nell'industria in sostituzione del PFOA e prodotto nello stabilimento olandese fin dal 2012. Il processo prevedeva il recupero, presso lo stabilimento MITENI della sostanza FRD 902 da rifiuto pericoloso (CER 070201*) proveniente dagli stabilimenti Chemours in Olanda. Tale attività di recupero da rifiuti era cessata, prima della dichiarazione di fallimento della società Miteni, a seguito di diffida della provincia di Vicenza, avvenuta già nel mese di luglio 2018;

   cC6O4 (CAS 1190931-41-9, acido difluoro{[2,2,4,5-tetrafluoro-5-(trifluorometossi)-1,3-diossolan-4-ile] ossiacetico (produzione cessata nel mese di luglio 2018, a seguito di diffida della provincia di Vicenza del 2018). La sostanza veniva utilizzata come intermedio. La produzione Miteni del cC6O4 avveniva a partire dalle resine che riceveva da Solvay Italia contenenti il sale potassico. Miteni, quindi, recuperava il cC6O4 dalle resine e successivamente esterificato per ottenere l'estere metilico del cC6O4, che poi trasformava in sale potassico. Infine, Miteni trasformava il sale potassico dell'estere metilico in sale ammonico che veniva consegnato, almeno in parte, a Solvay Italia (cfr. relazione ARPA Veneto del 7 dicembre 2020, concernente la Miteni Spa, nell'ambito dell'inquinamento da PFAS in doc. 737/2).

  In conclusione, la collaborazione tra Solvay e Miteni riguardava solo la sostanza cC6O4. In particolare, la Miteni riceveva da Solvay delle resine, le rigenerava e restituiva la sostanza rigenerata e sanificata. Pag. 10Riceveva il sale di potassio e restituiva un sale di ammonio (cfr. resoconto dell'audizione in data 20 maggio 2021 di Francesca Daprà, dirigente chimico di Arpa Veneto).
  Dalla nota del Ministero dello Sviluppo economico, in data 16 settembre 2021 (doc. 952/2) si conferma che l'unico produttore italiano di sostanze appartenenti alla famiglia dei PFAS rimane la Solvay nello stabilimento di Spinetta Marengo (AL). I volumi di PFAS prodotti/impiegati nel sito produttivo citato ammontano ad un volume complessivo di 12.000 tonnellate (anno di riferimento 2019). Le sostanze prodotte/impiegate si suddividono come segue:

   A. Sostanze PFAS Polimeriche:

    1. Fluoroplastomeri e Fluoroelastomeri: circa 9.000 tonnellate;

    2. Perfluoropolieteri: circa 2.000 tonnellate.

   B. Sostanze PFAS non Polimeriche:

    1. Tensioattivi/coadiuvanti fluorurati (ingredienti chimici ausiliari delle polimerizzazionidei polimeri fluorurati ovvero delle sostanze PFAS polimeriche di cui al punto A): circa 60 tonnellate (produzione, uso interno Solvay);

    2. Alcheni perfluorurati e loro derivati (produzione destinata a vendita, non sono inclusigli alcheni perfluorurati trasformati internamente nelle sostanze PFAS polimeriche di cui al punto A): circa 1.100 tonnellate;

    3. F-Gas (solo impiego, non produzione): oltre 1.000 tonnellate.

  La quasi totalità dei volumi prodotti e non destinati ad uso interno è dedicata all'esportazione. Una parte moderata è destinata al mercato interno (una percentuale che varia a seconda del settore, in genere, nell'ordine del 25 per cento). Ciononostante, sono molteplici i settori che utilizzano PFAS o sostanze derivate, importandole dall'estero.

3. Le numerose tipologie di PFAS.

  La suddetta relazione dell'ARPA (doc. 732/2) stima che le sostanze perfluorurate siano in numero maggiore di 4.700, in base alla lunghezza della catena carboniosa e dei gruppi funzionali.
  Quelle monitorate mediamente a livello mondiale sono 28 per disponibilità di standard, ARPA Veneto ne ha determinato n. 26. Ma solo per qualche decina (circa 35) esistono gli standard commerciali per poter eseguire le analisi di laboratorio.
  Premesso, infine, che i laboratori di ARPA Veneto risultano accreditati con numero 0838L da ACCREDIA in multisito, anche per l'analisi di diverse sostanze perfluorurate – da 4 a 12 atomi di carbonio – nelle diverse matrici ambientali, la relazione dell'ARPA Veneto afferma che a partire dalla metà del 2013 i propri laboratori hanno iniziato a monitorare un numero pari a 12 sostanze perfluorurate.
  Dalla metà del 2018 ARPAV determina le cosiddette «sostanze alternative», tra cui HFPO-DA (da tecnologia GenX) e cC6O4.
  A metà del 2020 ARPA Veneto ha iniziato a determinare anche le sostanze Cl-PFPECA, cioè acidi carbossilici dei cloroperfluoroeteri (CL-Pag. 11PFPECA (n, m), la cui presenza era stata segnalata da EPA nel New Jersey nelle acque a valle di impianto della Solvay negli USA. Questi composti sono infatti usati negli USA per la produzione del PVDF (polivinilidenfluoruro).

4. L'origine della contaminazione nella regione Veneto.

  Come si è sopra accennato, nella regione Veneto l'origine della contaminazione è stata individuata, nel mese di marzo 2013, da CNR – IRSA e, successivamente, anche dall'ARPA Veneto, negli scarichi dell'azienda chimica Miteni Spa di Trissino (VI), la quale insediata in area di ricarica di falda, aveva determinato l'inquinamento delle acque sotterranee, proprio a causa della produzione di composti PFAS e, in precedenza, di benzotrifluoruri (BTF) a partire dagli anni 1966- 1967, anni in cui è partito l'inquinamento, per una estensione di 180 chilometri, con l'avvelenamento anche dei pozzi di alimentazione delle reti acquedottistiche comprese nelle province di Vicenza, Verona e Padova.
  La società era l'unico produttore nella regione di sostanze perfluoroalchiche.
  In tale contesto regionale, l'inquinamento da PFAS ha riguardato un comprensorio che fa riferimento a circa 250.000 abitanti nella provincia di Vicenza, in quella di Verona e nel basso padovano. Nella sostanza si tratta di un inquinamento che interessa un grande numero di persone, poiché investe le acque di tutta l'area dell'argine del Chiampo, l'area a Nord dell'autostrada nella zona Valdagno-Trissino, l'alta valle del Chiampo, l'area della Valdastico, Vicenza, Schio, l'area a Sud dell'autostrada tra l'Adige, i colli Berici ed Euganei dove poi infine avviene lo scarico nel collettore consortile Arica. Sull'autostrada Agno-Fratta Gorzone vi sono i punti nei quali sono state trovate le concentrazioni più alte di PFOA nelle indagini che ha fatto l'ARPA Veneto.
  Comunque, il dato di rilievo è che c'è questa «area rossa» che comprende ventuno comuni, come da cartina illustrativa che segue.

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  Vi è una concentrazione di sostanze perfluoroalchiliche che sta diminuendo, ma lo sta facendo lentamente e ciò accade poiché vi è una deplezione che avviene tramite il deflusso dei contaminanti, ma anche perché l'implementazione e il potenziamento della barriera idraulica, di cui si dirà di seguito, ragionevolmente, starebbe dando qualche effetto (cfr. resoconto audizione del 22 luglio 2020 della dott.ssa Orietta Canova, procuratore della Repubblica f.f. presso il tribunale di Vicenza).
  In realtà, non è proprio così, poiché, come è emerso da recenti analisi della stessa ARPA Veneto vi sono picchi di risalita, verificatisi soprattutto nell'ultimo biennio (2020/2021), picchi che tuttavia sembrano evidenziare una contaminazione costante, e non certamente in discesa.
  La Miteni, nella vecchia composizione sociale, faceva capo alla Mitsubishi Corporation Inc., che aveva acquisito la maggioranza del capitale sociale della Miteni, a partire dal 29 aprile 1997, mentre, prima di tale data, la Mitsubishi Corporation Inc. era socio di minoranza al 49 per cento con Enichem Syntesis Spa che possedeva il 51 per cento del capitale (joint-venture).
  Successivamente, a partire dal 28 marzo 2001, la Mitsubishi Corporation Inc., diveniva socio di maggioranza della società, mentre Enichem Syntesis usciva dalla compagine sociale.
  Tale situazione rimaneva invariata fino al 12 febbraio 2009, quando l'intero capitale sociale della Miteni passava di mano alla International Chemical Investors Group (ICIG), società lussemburghese, e per essa, attraverso vari passaggi giungeva alla sua controllata International Chemical Investors Italia 3 Holding srl, con sede in Milano, via Carducci 15 (P.IVA 09469680962), che deteneva l'intero capitale sociale alla data del fallimento (9 novembre 2018).
  Si tratta di un gruppo industriale privato con più di 6.000 dipendenti in tutto il mondo.
  ICIG ha concentrato il proprio business su tre piattaforme principali: prodotti farmaceutici (Pharmaceuticals), con il marchio CORDEN PHARMA; chimica fine (Fine Chemicals), con il marchio WEYLCHEM e chimica organica (Chlorovinyls), con il marchio VYNOVA.
  Fin dall'inizio, nel 2004, ICIG ha acquisito 25 imprese chimiche in Europa e negli Stati Uniti.
  La Miteni rientra nel gruppo WEYLCHEM, fondato nel 2005 come piattaforma dei prodotti farmaceutici (Fine Chemicals) di International Chemical Investors Group (ICIG).
  Il Gruppo WeylChem è costituito da nove società operative in quattro diversi Paesi in Europa e negli Stati Uniti.
  L'amministrazione della Miteni, a far data dal 15 giugno 2017, veniva affidata ad un consiglio di amministrazione composto da:

   Leitgeb Martin, presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante della società;

   Nardone Antonio Altiero, consigliere, procuratore speciale;

   Peloso Riccardo, consigliere, procuratore speciale.

  In conclusione, la proprietà della Miteni è al 100 per cento della holding italiana ICI 3 Holding, la quale fa parte del Gruppo ICIG, cioè International Chemical Investors Group SE, con sede in Lussemburgo. Pag. 13Quindi, la holding italiana riferisce alla casa madre in Lussemburgo, che ne possiede il pacchetto azionario.
  La relazione del NOE di Treviso del 13 dicembre 2018 (doc. 129/3) conclude che la Mitsubishi Corporation Inc., già prima della vendita dell'intero pacchetto azionario al Gruppo ICIG, avvenuta nel mese di febbraio del 2009, al significativo prezzo di 1 (un) euro, aveva consapevolezza dell'inquinamento del terreno e della falda del sito. Tale consapevolezza era stata raggiunta dalla Mitsubishi Corporation Inc. a seguito delle indagini ambientali, dalla stessa società commissionate, dapprima nel 1990 alla società Ecodeco di Giussago (poi, acquisita dalla A2A Spa di Brescia) e, successivamente, a partire dal 1996 fino al 2009, alla ERM Italia Spa, società di consulenza leader, a livello internazionale, nel settore ambientale (e' presente in 40 Paesi e si avvale di 4.500 dipendenti).
  Tuttavia, è accaduto che, nonostante i monitoraggi ambientali eseguiti dalla ERM Italia sin dagli anni Novanta avessero posto in evidenza il grave inquinamento del sito e della falda sotterranea, le relative risultanze non sono state mai comunicate dalla Miteni agli enti competenti.
  In realtà, i vertici della Miteni, qualcosa avevano fatto, posto che, consapevoli della situazione di inquinamento della falda, già nell'anno 2005, avevano provveduto a realizzare nell'area dello stabilimento industriale un principio di barriera idraulica, con tre pozzi, ubicati nel lato sud dello stabilimento, destinati a emungere l'acqua di falda per il successivo trattamento.
  Invero, le acque emunte, dopo essere state trattate con carboni attivi, venivano inviate in parte ai processi produttivi, in parte al circuito di raffreddamento.
  La Miteni, al fine di realizzare in modo surrettizio la barriera idraulica, aveva depositato presso il Genio civile una mera comunicazione di «variante non sostanziale di derivazione d'acqua da falde sotterranee per uso industriale», con previsione di contestuale chiusura di altri due pozzi, come poi era avvenuto con l'intervento di ARPA Veneto.
  A tale proposito, nel corso dell'audizione dell'11 luglio 2019, Alessandro Bizzotto, dirigente del servizio controlli di ARPA Veneto, ha riferito che in effetti, nell'anno 2005, i tecnici dell'ARPA si erano recati presso la Miteni per sigillare il contatore di uno o più pozzi di attingimento dell'acqua di falda per uso industriale e che in tale contesto non avevano rilevato l'esistenza di una barriera idraulica, posto che il sistema di depurazione delle acque con i filtri a carbone, con tutta probabilità, era stato dalla società allocato in un sito distante dai pozzi di attingimento, che non erano distinguibili da quelli usati per l'emungimento delle acque destinate ad uso industriale.
  La procura della Repubblica presso il tribunale di Vicenza, a seguito di annotazione di P.G. promuoveva azione penale (proc. pen. n. 1707/19 R.G. modello 21) nei confronti di Bizzotto Alessandro, dirigente del servizio controlli di ARPA Veneto, per i reati previsti dagli articoli 326 c.p. (rivelazione e utilizzazione dei segreti di ufficio, per aver avvisato la Miteni dei controlli che ARPA avrebbe svolto), 323 c.p. (abuso d'ufficio) e 378 c.p. (favoreggiamento personale), nonché nei confronti dello stesso Bizzotto Alessandro, di Restaino Vincenzo (direttorePag. 14 dell'ARPA di Vicenza) e di persone rimaste ignote per i reati previsti dagli articoli 328 c.p. (rifiuto di atti d'ufficio), 479 c.p. (falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici) e 326 c.p.. Infine, veniva promossa l'azione penale nei confronti di Cappellin Roberta (tecnico dell'ARPA di Vicenza) per il reato previsto dall'articolo 479 c.p. (falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici).
  All'esito delle indagini di polizia giudiziaria, tuttavia, il P.M. ne chiedeva l'archiviazione, in data 17 febbraio 2020 (doc. 778/8), ritenendo che i reati contestati agli indagati non sussistessero, difettando l'elemento psicologico del reato, pur essendo emerse (soprattutto, con riferimento alle vicende della relazione dell'ARPA Veneto del 30 settembre 2013) condotte negligenti o comunque superficiali attribuibili agli indagati nello svolgimento dell'attività istituzionale di «controllo ambientale» in relazione allo stabilimento della «Miteni Spa» (condotte peraltro contestate dall'Arpav stessa).
  In particolare, la richiesta di archiviazione fa riferimento a una «Memoria», in data 30 agosto 2019, deposita dall'ARPA Veneto, in cui tra l'altro si pone in evidenza – sulla base delle dichiarazioni del progettista – la circostanza di come non sia possibile «distinguere tra un sistema di pompaggio funzionale ad operazioni di sbarramento per scopi ambientali ed un sistema di pompaggio per scopi produttivi» (doc. n.ro 778/5, pag. 11), nonostante che in una delle fotografie dell'epoca, scattata dalla ERM Italia, in data 18 luglio 2005, si potesse leggere distintamente su un cartello di metallo apposto sulla struttura la sigla «Blocco di emergenza barriera idraulica», come risulta dall'allegato 5.19.3 dell'annotazione del NOE di Treviso del 10 luglio 2018 (doc. 120/2).
  Il pubblico ministero di Vicenza riteneva, comunque, che non fosse stato acquisito alcun elemento concreto di carattere doloso per ipotizzare che eventuali carenze nell'azione di controllo erano riconducibili a condotte volontarie di «copertura» degli illeciti commessi (evidentemente allo scopo di favorirne gli autori) e che l'assoluta mancanza di prova in ordine all'elemento soggettivo del reato – o anche solo di spunti investigativi che potevano orientare nuove indagini – portava a concludere che anche eventuali fatti, astrattamente riconducibili agli illeciti contestati agli indagati, non costituivano reato, per mancanza di dolo.
  Sulla base di queste considerazioni la procura di Vicenza ha chiesto quindi al giudice per le indagini preliminari (gip) di disporsi l'archiviazione del procedimento e il gip vicentino, con decreto del 27 febbraio 2020, dopo aver «ritenuto che la richiesta del pubblico ministero appare fondata, dovendosi condividere le ragioni dallo stesso riportate», ha disposto, l'archiviazione del procedimento contro Bizzotto Alessandro, Restaino Vincenzo, Cappellin Roberta e le altre persone non identificate (doc. 778/8).
  Comunque, la barriera idraulica costituita dai suddetti tre pozzi di emungimento è rimasta tale fino al 2013, quando la Miteni – dopo la Pag. 15pubblicazione dello studio IRSA-CNR, che aveva rilevato la contaminazione – aveva posto in essere tre distinte operazioni:

   1) ha inviato, in data 23 luglio 2013, agli enti competenti la notifica di superamento delle CSC, ai sensi dell'articolo 245 del decreto legislativo n. 152 del 2006;

   2) ha cessato, contestualmente, la produzione dei PFAS a catena lunga, in particolare del PFOA (acido perfluoroottanico), quello più pericoloso, rinvenuto nelle acque di falda;

   3) ha provveduto a implementare il numero dei pozzi di emungimento, rispettivamente nel 2013 e nel 2016.

5. La particolare complessità idrogeologica della falda su cui insiste l'area della ex Miteni e la barriera idraulica.

  La implementazione dei pozzi nel periodo 2013-2019 si è resa necessaria in relazione agli esiti delle campagne di monitoraggio delle acque sotterranee ai punti di conformità e nei pozzi interni della ditta Miteni, eseguiti anche dall'ARPA Veneto. A cagione dell'andamento della falda, sono state realizzate più linee di barriera, una posizionata nel lato nord, una a sud e una nella parte centrale dello stabilimento ovvero nell'area a contaminazione maggiore.
  A questi due sistemi è stata aggiunta, nel periodo maggio/luglio 2019, un'ulteriore barriera, costituita da dieci pozzi nei pressi degli impianti, cosiddetta «barriera di alleggerimento», destinata ad alleggerire il carico di sostanze disciolte nella storica produzione di perfluorurati e posta nel settore nord-est del sito.
  Si tratta di un intervento chiamato di «source control», realizzato non dalla Miteni, ma da un soggetto formalmente terzo e, cioè, dalla ICI Italia 3, subentrato al curatore nella gestione complessiva della barriera idraulica, poiché invece di agire a valle della piuma delle sostanze disciolte agisce su quella che può essere considerata come sorgente: cioè, l'area degli impianti storici.
  Inoltre, sono stati realizzati, già nel 2019, per il monitoraggio delle acque sotterranee, anche dieci nuovi piezometri – che com'è noto servono a misurare il livello della falda e del suo inquinamento, senza alcun prelievo di acqua, a differenza dei pozzi – con prove idrauliche per una migliore conoscenza delle caratteristiche idrogeologiche della falda, così proseguendo l'intervento operativo del MISO (Messa in sicurezza operativa), portando il loro numero complessivo dei piezometri a 90, come nel corso della sua audizione del 16 giugno 2021, ha dichiarato Giovanni Amenduni, rappresentante della Aecom Urs Italia Spa, la società di consulenza ambientale, incaricata dalla Ici Italia 3 Holding srl della bonifica del sito.
  Occorre, a questo punto, precisare che la società Miteni è stata dichiarata fallita in data 9 novembre 2018, ma la barriera idraulica, dopo l'iniziale gestione del curatore del fallimento, viene attualmente gestita dalla ICI Italia 3 Holding srl, quale socio unico della Miteni, sebbene soggetto non responsabile dell'inquinamento, alla quale il curatore del fallimento della Miteni, sin dal 10 giugno 2019, ne ha ceduto la gestione – con contratto preliminare di vendita del 4 giugno 2019 (doc. 374/2) – venendo altresì autorizzato dal tribunale fallimentare di Vicenza a rinunciarePag. 16 ad apprendere all'attivo fallimentare l'area, i fabbricati e gli impianti funzionali ai presidi ambientali, sul presupposto che i costi per la loro gestione (inclusi quelli previsti per l'attività di bonifica) erano superiori al valore di presunto realizzo degli stessi e a trasferirli alla stessa ICI Italia 3 Holding srl, già proprietaria di tutte le quote della società Miteni (doc. 234/1).
  Tutte le acque emunte vengono trattate con il sistema dei carboni attivi, che assorbono i contaminanti e che vengono di conseguenza cambiati di continuo.
  Com'è noto, invero, la barriera idraulica è un sistema di sbarramento idraulico, con emungimento e trattamento («pump & treat») delle acque di falda, che costituisce una diffusa e collaudata tecnica di intervento relativa alle acque sotterranee ed è espressamente prevista dall'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (TUA).
  Ad oggi la barriera idraulica è costituita da 41 pozzi di emungimento, come risulta dal sopralluogo effettuato dal funzionario dell'ARPA Veneto, Roberta Cappellin, in data 27 settembre 2021 (doc. 964/3), mentre i punti di monitoraggio (piezometri) sono n. 90 (doc. 933/2).
  Invero, a partire dal 2013 sono stati progressivamente realizzati nuovi pozzi e piezometri finalizzati sia all'implementazione della barriera, sia al monitoraggio della contaminazione.
  Complessivamente, si può affermare che in questo momento e cioè al mese di settembre 2021, all'interno della Miteni vi sono dei sistemi di barriera di tre tipi e precisamente; 1) la barriera Sud che è fatta da tredici pozzi; 2) la barriera Nord che è fatta da otto pozzi al Centro-Nord e diciassette pozzi al Centro-Sud; 3) la barriera di alleggerimento – di cui si è detto – che avrebbe dovuto dare un importante contributo per alleggerire il carico dei composti che sono disciolti nella falda sull'area nordorientale del sito, dove vi sono le maggiori concentrazioni di PFAS.
  La barriera di alleggerimento è stata realizzata con lo scopo di emungere le acque più contaminate nella parte centrale dello stabilimento e ridurre quindi il carico inquinante prelevato dalle altre barriere. Infine, a novembre del 2020 sono stati posti in emungimento tre piezometri, che intercettano la porzione più profonda dell'acquifero.
  Dai dati forniti da Aecom Urs Italia Spa, l'attuale società di consulenza ambientale che, per conto della ICI, segue il procedimento, nella sua relazione di «Aggiornamento dei dati ambientali e monitoraggio dei sistemi di MISE», presentata ad agosto 2020, si evince che, complessivamente dal 2013 a giugno 2020, sono stati estratti circa 5.800.000 mc di acqua per un totale di 17,7 kg di solventi clorurati, 1.244 kg di derivati dei benzotrifluoruri e 183 kg di composti perfluoroalchilici, di questi ultimi 21 kg sono stati estratti dalla barriera di alleggerimento (cfr. relazione ARPAV del 7 dicembre 2020, pag. 1, contenuta nel doc. 737/2).
  Le portate dei pozzi di emungimento vanno dai 60 ai 250 metri cubi ora e dipendono anche dalla ricarica di falda, nel senso che, se la falda come accade scende di molto, anche di dieci – quindici metri, le portate emungibili diminuiscono di conseguenza.
  Invero, il sito di Miteni di Trissino è piuttosto complesso dal punto di vista delle problematiche ambientali, nel senso che ha una litologia e delle caratteristiche idrogeologiche decisamente eterogenee, che rendono lo studio e le attività di intervento molto problematiche.Pag. 17
  A tale proposito, va detto che sono presenti più sistemi idrogeologici e, cioè, un sistema idrogeologico di valle e un sistema idrogeologico di versante. Ciò spiega, insieme alla presenza di una litologia (roccia) molto variegata, la ragione delle componenti di flussi di falda differenziati.
  Fatto sta che il livello della falda cambia rapidamente nel tempo e con delle oscillazioni molto elevate durante l'anno, addirittura, anche di ben oltre dieci/quindici metri. Ciò comporta una altrettanto elevata variabilità della stessa falda e la conseguente difficoltà di emungimento da parte dei pozzi/barriera, sicché, quando si è in periodo di magra, il battente idrico è talmente basso per cui le pompe non sono in grado di tirare su acqua, come ha riferito Roberta Cappellin di ARPAV nel corso dell'audizione del 20 maggio 2021.
  Si tratta di un dato che è stato confermato dal sopralluogo del 27 settembre 2021, effettuato dall'ARPA e da un consulente della società AECOM, che ha messo in evidenza come «su 41 pozzi utilizzati per la messa in sicurezza, 12 risultavano essere fermi per battente idrico insufficiente in testa alla quota di pescaggio della pompa, 1 per avaria della pompa..... 13 pozzi erano in funzione ma, causa dell'esiguo battente idrico disponibile in testa alla quota di pescaggio della pompa, in modalità non continua ovvero con pompa funzionante in modalità intermittente. I restanti pozzi risultavano operativi» (doc. 964/3).
  In conclusione, su n. 41 pozzi (totale pozzi) n. 27 pozzi (pari al 60 per cento del numero totale) non funzionavano, anche se la situazione appare migliorata rispetto a quella verificata nel sopralluogo del mese di ottobre dello scorso anno, quando le pompe non funzionanti o in manutenzione erano addirittura sette e non solo una, come nell'ultima verifica del settembre 2021.

Planimetria dello stabilimento con l'indicazione dei tre sistemi di barriera idraulica

Pag. 18

  Per valutare nel tempo l'efficacia delle misure adottate dalla ditta, ARPAV esegue un monitoraggio mensile su alcuni pozzi/piezometri (attualmente 12) di cui 5 posizionati all'esterno come da figura sottostante.

  Il piezometro di controllo più importante, ai fini della verifica dell'efficacia della barriera idraulica, è quello denominato MW 18, a valle dello stabilimento, posizionato a circa un centinaio di metri fuori di esso.
  Se la barriera idraulica funzionasse, in questo piezometro non si dovrebbero riscontrare PFAS.
  Viceversa, non è così, come si vedrà di seguito.
  Nel corso del procedimento sono variati anche i limiti di riferimento: inizialmente, infatti, era stato richiesto alla ditta di rispettare la CSC per le acque sotterranee come prevista dal parere ISS n. 3994/2018, che indicava una concentrazione di 0,5 μg/l per il PFOA e 0,03 μg/l per il PFOS.
  Successivamente, nel 2020, è stato richiesto di rispettare i limiti, più stringenti, della DGRV n. 1590/2017, relativi alla qualità delle acque potabili, che prevedono un limite per la sommatoria di PFOA e PFOS inferiore a 0,09 μg/l (90 ng/l) di cui il PFOS non deve essere superiore a 0,03 μg/l (30 ng/l) e la somma di altri PFAS inferiore a 0,3 μg/l (300ng/l).Pag. 19
  La messa in sicurezza operativa (MISO) ha affrontato questo tema, ha fatto delle valutazioni precise. Ognuno dei 41 pozzi ha caratteristiche diverse e diverse modalità di funzionamento anche molto complesse. Sono state fatte prove di portata sulla barriera di alleggerimento e quello che è certo è che vi è una notevole variabilità del flusso idrico, che unita alla grande eterogeneità nel sottosuolo, rende molto problematica l'efficacia della barriera, nel suo complesso.
  Il sistema, che è in atto attualmente, viene gestito – come sopra rilevato – da Ici Italia 3 Holding srl, che possiede tutte le quote di Miteni. La società si avvale della consulenza della Aecom Urs Italia Spa.
  Tuttavia, ha riferito la dottoressa Eugenia Dogliotti, Direttore del dipartimento ambiente dell'Istituto Superiore di Sanità, già nel corso della sua audizione del 17 luglio 2019 che, nonostante gli sforzi sinora profusi, i PFAS non sono ancora sotto controllo nell'area della Miteni. Per fronteggiare tale situazione l'Istituto e la Regione Veneto stanno adottando «piani di sicurezza dell'acqua», volti a seguire il contaminante nel suo percorso.
  Tutto ciò accade – va detto chiaramente – per la particolare complessità idrogeologica della falda su cui insiste l'area della ex Miteni, «poiché si è in presenza di più regimi: un'acqua di fondovalle che scorre nel torrente di fianco allo stabilimento (Poscola); un'acqua di falda principale che scorre nella pianura al di sotto dello stabilimento, al di sotto di tutta quella pianura con delle fluttuazioni anche molto elevate (quattro, cinque, sei metri stagionalmente), e abbiamo un sub-alveo di questo torrente che raccoglie delle acque del versante della collina, nonché le acque del sub-alveo e quelle degli scarichi più a monte, che provoca delle fluttuazioni di metri all'interno di poche ore. Abbiamo messo dei “diver”, degli strumenti che misurano queste variazioni, e abbiamo visto che in poche ore le acque fluttuano di molti metri. Questo ovviamente rende più complessa sia la comprensione che l'indirizzamento della problematica» (cfr. resoconto dell'audizione in data 28 gennaio 2020 di Giacomo Donini, consulente ambientale della Aecom Urs Italia Spa, società di ingegneria multinazionale americana, con un fatturato di oltre 13 miliardi di dollari, incaricata dalla ICIG, – che in Italia svolge soprattutto nel settore ambientale, occupandosi dagli anni Novanta delle attività di bonifica dei siti di interesse nazionale, e non solo).
  La complessità della falda spiega la ragione delle oscillazioni osservate nel tempo, per cui nel mese di dicembre 2019, ARPA Veneto aveva rilevato la presenza di 20.000 nanogrammi/litro, soprattutto di PFOA, scesi dapprima a 10.000 poi a 3.000 e poi risalire nuovamente. Altro dato altalenante è il prelievo dell'acqua che viene emunta in misura molto maggiore nei pozzi della barriera Nord, che nei pozzi della cd. barriera di alleggerimento.
  Fatto sta che sinora il monitoraggio svolto da ARPAV, negli anni 2020-2021, nel piezometro MW18, evidenzia che il piezometro risulta notevolmente inquinato da tutti i PFAS, con una tendenza all'aumento (doc. 884/2 slide n. 5).
  Il piezometro MW18 è uno dei piezometri di controllo dell'efficacia della barriera idraulica. Se la barriera fosse efficace, in questo piezometro non si dovrebbero rilevare PFAS.Pag. 20
  Al contrario, si riscontrano in elevatissime concentrazioni, fino a 11.000 ng/l per il PFOA, 3.000 ng/l per il PFOS, 19.000 ng/l per la somma dei PFAS, 5.000 ng/l per il GenX e 5.000 ng/l per il C6O4, tra le date del 28 ottobre 2020 e il 3 marzo 2021, con picchi in data 12 gennaio 2021.
  È la prova evidente che la barriera non tiene ancora in modo efficace, posto che non sono state ancora superate le difficoltà della falda sottostante.
  Sul punto, Paolo Zilli, funzionario dell'Arpa Veneto, ha riferito nell'audizione del 20 maggio 2021, su tutta una serie di ottimizzazione di upgrade (aggiornamenti) del sistema di emungimento, con prove di pompaggio ad hoc e con il barrieramento idraulico, in quanto il sistema idrogeologico dell'area è molto complesso, come più volte posto in evidenza.
  In particolare, non sono chiare le interconnessioni esistenti tra il sistema idrogeologico di monte o di versante, posto ad Est dello stabilimento (che ha una componente di ricarica da parte anche dell'alveo del torrente Poscola, ed è costituito da un minore spessore di livelli alluvionali e da livelli di calcareniti più superficiali) – e il sistema idrogeologico di valle, che si colloca nella posizione più ad Ovest del sito ex Miteni e ha un acquifero alluvionale maggiore e livelli di calcareniti (rocciosi) più profondi.
  In virtù di questa situazione, piuttosto complessa da un punto di vista idrogeologico, all'interno e all'esterno del sito è stata realizzata una imponente rete di monitoraggio delle acque di falda che, a seconda del tratto di finestratura nel piezometro, va a pescare nell'acquifero alluvionale, piuttosto che nell'acquifero calcarenitico. In questo modo vi è la possibilità di verificare nelle acque di falda sia il grado di contaminazione nell'acquifero più superficiale, sia il grado di contaminazione nell'acquifero più profondo.
  Esaminando la posizione del piezometro MW18, ovvero del piezometro di controllo, assunto come POC (punto di conformità) per verificare quanta contaminazione fuoriesce dal sito Miteni, è possibile vedere nel tempo qual è l'andamento delle concentrazioni dei PFAS riscontrati da Arpa Veneto nel corso dei monitoraggi mensili eseguiti.
  Quello che si vede è una tendenza al decremento delle contaminazioni con un andamento ciclico in cui si hanno dei ritorni di contaminazione, che in qualche modo sono correlabili a variazioni di altezza della falda. Di norma, si riscontra un incremento nella contaminazione nei piezometri di valle subito dopo innalzamenti abbastanza importanti del livello di falda.
  Il fatto che nelle concentrazioni vi siano questi picchi di sostanze perfluoroalchiliche fanno supporre che vi sono escursioni di falda anche di 10-15 metri, che probabilmente vanno a lambire o permettono di dilavare i terreni e questo fa sì che vi sia un aumento di concentrazioni nei piezometri.
  Questo è un focus sull'ultimo periodo, che va letto all'interno della ciclicità. Se si fa solo a riferimento gli ultimi due anni, 2020 e 2021, è evidente la tendenza all'aumento dei PFAS riscontrati. In realtà, questa situazione di picchi altalenanti si è sempre ripetuta ed è un po' tipica di quella tipologia di acquifero.Pag. 21
  In generale, come dimostrato dalle varie slide, è stato rilevato dall'Arpa un andamento della contaminazione in profondità maggiore rispetto all'inquinamento presente nell'acquifero più superficiale.
  Infine – ha concluso Zilli nel corso della sua audizione – ad aggravare la situazione già di per sé molto complessa e difficile sono state rilevate anche delle differenti fonti di pressione a Nord del sito, prima degli impianti Miteni: una sorta di inquinamento di fondo, prima del sito Miteni, considerato che la falda scorre da Nord a Sud e che tale ulteriore inquinamento non proviene dal sito in cui operava la RiMar.
  Si tratta di un inquinamento di fondo, del quale l'Arpa sta cercando di approfondire sia la provenienza, sia l'entità, andando a posizionare una rete di monitoraggio, collocata a monte rispetto al sito ex Miteni.
  A sua volta, la società ICI Italia 3 contesta in una nota del 4 agosto 2021 (doc. 933/2) di essere responsabile del mancato funzionamento della barriera idraulica, dovute alla presenza rilevante di PFAS nel piezometro di controllo. Secondo ICI Italia 3, invece, risulta plausibile, sulla scorta delle conoscenze tecniche e scientifiche, la spiegazione secondo cui le concentrazioni di PFAS al piezometro MW18 sono dovute alla compartecipazione di più fattori e, in particolare, alla immissione «storica» (avvenuta in modo massivo negli anni Settanta e Ottanta) – nelle matrici ambientali – di dette sostanze, le quali hanno «impattato» le suddette matrici, in particolare, nella porzione del sottosuolo in corrispondenza della fascia di oscillazione del livello della falda. Che sia questa la spiegazione più attendibile del fenomeno, sul piano tecnico e scientifico, è confermato dall'acquisita conoscenza ambientale del sito: ci si riferisce, in particolare, alla circostanza che le più elevate concentrazioni di PFAS siano state riscontrate nel piezometro MW18 durante i temporanei innalzamenti del livello della falda acquifera verificatosi nei periodi di precipitazioni atmosferiche più intense. Il che confermerebbe l'esistenza di un'interrelazione tra il fenomeno periodico dell'innalzamento del livello della falda acquifera (cd. «alto piezometrico») e il rilevamento, seppur saltuario, dei «picchi» di concentrazioni al piezometro MW18: in particolare, per effetto dell'innalzamento del livello della falda, questa va a interessare la porzione di sottosuolo ancora potenzialmente impattante e a produrre una mobilizzazione e solubilizzazione nelle acque di falda delle sostanze.
  Su quanto affermato da ICI 3 nella relazione di agosto 2021, si possono fare le seguenti osservazioni:
  Non si concorda con le ipotesi di ICI 3 che vi sono tanti altri fattori che influenzano MW18, quali il pregresso inquinamento per le infiltrazioni avvenute negli anni precedenti, dovute ai percolamenti dai terreni non pavimentati dello stabilimento o dalle infiltrazioni del torrente Poscola, poiché se così fosse allora anche l'area esterna va considerata inquinata e quindi si deve estendere la barriera anche in questa zona.
  Non è vero che le concentrazioni in MW18 sono in calo, come, secondo ICI 3, direbbe l'ARPAV nell'audizione di maggio 2020, ma al contrario sono proprio le slide di Arpa che evidenziano l'aumento delle concentrazioni nel MW18 negli ultimi due anni.Pag. 22
  Il piezometro MW18 è il piezometro di controllo della barriera, così lo ha sempre considerato Arpa e così lo considera ancora e non ha mai cambiato idea. Se fosse vero quanto affermato da ICI 3, ARPAV avrebbe già individuato altri piezometri di controllo dell'efficacia della barriera, non considerando più come controllo il piezometro MW18, e avrebbe altresì richiesto ad ICI 3 di predisporre un ampliamento della barriera anche nella zona esterna allo stabilimento intorno al piezometro MW 18, ma questo non è mai stato fatto da ARPAV.
  ICI 3 nella sua nota del 4 agosto 2021 evidenzia, inoltre, il fatto che vi sono nella provincia di Vicenza anche altre zone lontano dallo stabilimento che sono contaminate da PFAS, e ciò per minimizzare la portata dell'inquinamento provocato dal sito Miteni. In particolare, tra gli altri, richiama anche l'inquinamento da PFAS nella falda della zona di monte dell'area ex RiMar.
  Si ritiene questo aspetto del tutto irrilevante ai fini del problema Miteni. Il fatto che anche altre zone della provincia di Vicenza possono essere contaminate da PFAS può essere preoccupante, riguardo ad un contesto generale sulla problematica PFAS, ma è del tutto secondario, poiché non fa certo diminuire la gravità dell'inquinamento che si origina dal sito Miteni, il cui focolaio è ben più ampio e più grave del resto dei territori esterni.
  Lo stesso ragionamento vale per l'inquinamento della zona di monte dell'area ex RiMar, dove del resto l'inquinamento è ben più lieve del focolaio Miteni.
  Del resto, che l'attuale barriera non sia efficace, emerge anche dal fatto che, nel corso della riunione del Comitato tecnico del protocollo d'intesa Regione-Provincia-Comune-ARPAV, svoltasi presso il municipio di Trissino in data 4 ottobre 2021 (doc. 964/3), su proposta della Provincia di Vicenza, si è deciso di richiedere alla società ICI Italia 3 di:

   1. fornire la garanzia del miglioramento dell'attuale sistema di barrieramento-falda, rendendolo affidabile e senza interruzioni del pump & treat;

   2. di intercettare tutto il plume inquinante, prima che esca dalla Miteni;

   3. garantire il rigido funzionamento del sistema sul breve-medio-lungo periodo con il controllo delle azioni di emergenza;

   4. fornire un progetto per bloccare/intercettare il plume dentro la proprietà, analizzando ipotesi integrative, quali ad esempio un microtunnel sub-orizzontale di completamento e/o similari intercettazioni lineari della falda inquinata.

  Queste richieste del Comitato tecnico rendono evidente che il funzionamento della barriera spetta alla ICI Italia 3, che non può limitarsi a porre in evidenza il problema dell'inquinamento diffuso dei terreni, quale causa dell'inquinamento della falda, senza offrire una soluzione del problema e che viceversa è tenuta, comunque, a intercettare tutto il plume inquinante all'interno della Miteni, in forza dell'AIA rilasciata dalla provincia di Vicenza n. 1883 del 16/12/2019 (doc. 973/2), nonché in forza degli impegni assunti con il contratto di Pag. 23compravendita con il curatore del fallimento Miteni del 4 giugno 2019 (doc. 374/2).

  5.1 La barriera metallica.

  Allo scopo di rafforzare il sistema delle barriere idrauliche e sul presupposto che queste non sono comunque sufficienti a reggere l'impatto dell'inquinamento è stata predisposto dal MISO (messa in sicurezza operativa) ed è stato già approvato dal Comune di Trissino nel mese di marzo 2020 il progetto di una palancolatura fisica che la ICI Italia 3 si è obbligata a effettuare, palancolatura che sarà inserita nel terreno, così separando l'area del torrente Poscola da quella dei fabbricati della Miteni, in modo da limitare il più possibile l'apporto di acque di ricarica da parte del torrente stesso e di conseguenza l'apporto di acqua «pulita», a monte rispetto al sito ex Miteni.
  Si tratta di lastre di acciaio che saranno infisse fino a venti metri di profondità, al fine di impedire, in primo luogo, all'acqua del fiume Poscola (il torrente che costeggia il sito) di entrare al di sotto del sito, evitando che acqua pulita entri sotto il sito, per poi ritrovarla inquinata nei pozzi e di doverla pompare, emungere e trattare (cfr. resoconto audizione dell'8 luglio 2021 della dott.ssa Orietta Canova procuratore aggiunto presso il tribunale di Vicenza).
  La barriera metallica, che sarà realizzata solo al termine dell'attività di decommissioning e alla piena disponibilità delle aree, oggi ancora occupate dagli impianti della Miteni, impedirà in casi di squilibrio di livelli, la fuoriuscita di contaminanti già dissolti al di sotto dello stabilimento e consentirà di ottimizzare le azioni di emungimento
  Il costo previsto di tale palancolatura è di circa due milioni di euro, a carico della ICI Italia 3.
  In questo modo, mediante la palancolatura fisica, si ritiene di rendere più efficace il sistema delle barriere idrauliche per fermare il plume delle sostanze disciolte.
  Per quanto riguarda, invece, il progetto di bonifica presentato da Ici Italia 3 Holding srl, per la bonifica dei terreni, va detto che, comunque, non è un progetto bonifica vera e propria, ma una messa in sicurezza. Sostanzialmente, il progetto sembra dare molto importanza all'analisi di rischio, che potrebbe portare ad una semplice messa in sicurezza dell'intera area, senza un'effettiva bonifica dei terreni inquinati attraverso la loro asportazione.
  Infine, è stato iniziato lo smontaggio degli impianti, che sono stati aggiudicati all'asta, in uno con i marchi e i brevetti della Miteni, alla società indiana Viva Life Sciences Private Limited, con sede legale per l'Italia in Bologna con il conseguente svuotamento dei fabbricati, che deve essere ancora ultimato. La società aggiudicataria ha richiesto una proroga del termine per l'asporto, già previsto per il mese di dicembre 2021.
  Su questo aspetto di decommissioning, essenziale per procedere alla bonifica dei terreni e alla riduzione progressiva dell'inquinamento della falda si riferirà in dettaglio nel capitolo 12.

6. Le verifiche nell'area ex RiMar.

  È emerso altresì solo per la prima volta, nel corso dell'audizione di Arpa Veneto del 20 maggio 2021 che risulta inquinata da PFAS anche Pag. 24l'area ex RiMar (Ricerche industriali Marzotto), ovvero la prima sede in cui insisteva lo stabilimento Miteni.
  Le due sedi sono localizzate in due ambiti diversi della medesima vallata e sono divise dal torrente Agno: l'ex RiMar è posizionata in collina verso Nord ed è di proprietà degli eredi Marzotto (società Koris Italia srl), inserita nella villa Trissino da Porto Marzotto, complesso monumentale dell'antica famiglia Trissino, feudatari della zona.
  Loris Tomiato, Direttore dell'area tecnica dell'Arpa Veneto, e Roberta Cappellin, funzionario, nel corso dell'audizione del 20 maggio 2021, hanno riferito che i due siti, dal punto di vista idrogeologico, non hanno connessioni, sono due siti che vanno trattati separatamente.
  Sono due siti e due fonti di pressione di contaminazione diversi, distanti tra di loro e separati dal fiume Agno dal punto di vista territoriale e vengono trattati come due siti diversi. È evidente che è stato affrontato il tema di maggior impatto da un punto di vista della fonte di pressione e nel momento in cui anche il tema della villa e di quello che ci stava dentro ha fatto emergere delle criticità, l'Arpa si è mossa prontamente, tanto che dal 2018 ad oggi Arpa sta curando anche la RiMar. Ma sono ideologicamente diversi. Dal punto di vista della fonte di pressione, dalla storia e dalla proprietà aziendale sono connessi, perché la vecchia proprietà della RiMar, ha trasferito in un altro ambito le produzioni, che si sono sviluppate con le vicende e con le proprietà che sono diventate poi di proprietà dell'ex sito Miteni.
  Dalle analisi effettuate risulta una potenziale contaminazione da solventi clorurati e da PFOA nei terreni, nonché da PFOA e PFOS nelle acque sotterranee (doc. 887/3).
  Rispetto al sito Miteni, si tratta di presenze di ordine inferiore, considerato che la somma dei PFOA nelle acque di falda oscilla tra i 3.360 ng/l e i 3.903 ng/l, rilevate tra il 23 marzo 2020 e il 10 giugno 2020, come accertato da Arpa Veneto (doc. 887/3, pag. 79 e segg.).
  Si tratta di valori che, benché superiori al limite di 500 ng/l ritenuto dall'Istituto Superiore di Sanità, non sono neanche lontanamente paragonabili a quelli rilevati nel sito dell'ex Miteni.
  Comunque, la proprietà sta procedendo alla caratterizzazione del sito e ha attivato una messa in sicurezza consistente nell'emungimento delle acque di falda da impianto costituito da tre piezometri di valle, entrati in funzione nel mese di gennaio 2021.
  Tuttavia, poiché la situazione va tenuta sotto controllo, nel corso della riunione del Comitato tecnico del protocollo d'intesa Regione-Provincia-Comune-ARPAV, svoltasi presso il municipio di Trissino in data 4 ottobre 2021 (doc. 964/3), su proposta della provincia di Vicenza, si è deciso di:

   1. predisporre una carta piezometrica stagionale di «area vasta», comprendente i due siti inquinati Miteni e RiMar;

   2. prevedere la cinturazione di controllo dei due siti con piezometri di monitoraggio esterni e vicini al confine delle due proprietà (Miteni, lato Ovest e Sud e Rimar, lato Sud), previo calcolo sito-specifico del raggio R, utilizzando il più possibile i piezometri già esistenti sui lati non presidiati, gestiti da ARPAV;

   3. richiedere l'integrazione del cronoprogramma ICI Italia 3, con impegno rigido nei modi e nei tempi.

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7. La consapevolezza dell'inquinamento di Mitsubishi Corporation Inc. e di International Chemical Investors Group (IGIG).

  Il comandante Soggiu del NOE di Treviso ha riferito che, a seguito della perquisizione effettuata negli uffici della ERM di Milano, in data 8 marzo 2017, su delega della procura della Repubblica presso il tribunale di Vicenza, erano state rivenute alcune email, risalenti al mese di novembre 2008, con cui i vertici di Mitsubishi chiedevano alla società di consulenza (la ERM) una stima per lo smantellamento e la bonifica del sito, proprio, in previsione della vendita, poi, effettivamente avvenuta in data 5 febbraio 2009.
  La stima della ERM era stata di una somma che oscillava tra i 5,5 e i 6,5 milioni di euro, per l'abbattimento dello stabilimento e dai 12 ai 18 milioni di euro, per la bonifica dell'area sulla quale insiste il sito industriale.
  Per la precisione, sono state acquisite agli atti della procura della Repubblica in Vicenza una serie di email intercorse nel 2008 tra la MITENI e la controllante MITSUBISHI CORP, inerenti ai costi della bonifica in questione, nell'ipotesi ivi considerata della demolizione e rimozione degli impianti soprastanti: in particolare, dalla email del 19.11.2008, risulta – per tabulas – che i costi stimati come necessari erano poco meno di 25 milioni di euro. In base ai contenuti della corrispondenza elettronica si ha quindi motivo di ritenere che la bonifica non potesse essere effettuata debitamente, se non demolendo gli edifici industriali sovrastanti.
  Si tratta di valutazioni che, per un verso, non sono state oggetto di comunicazioni effettuate agli Enti pubblici (doc. 90/1) e di un chiaro e inequivocabile indizio del fatto che i vertici giapponesi, ben consapevoli delle condizioni di Miteni, avevano voluto informarsi sui costi del risanamento del sito, che arrivava – molto ottimisticamente – alla somma di 25 milioni di euro per la bonifica.
  In tale contesto, Mitsubishi, all'evidenza, allo scopo di sottrarsi all'onere di tali costi, ha preferito vendere le azioni della Miteni alla International Chemical Investors Italia 3 Holding srl, con sede a Milano – ma le cui quote sono detenute dalla società International Investors S.A., con sede in Lussemburgo – la quale si e' presentata agli operatori istituzionali come nuovo soggetto, asseritamente, del tutto inconsapevole della situazione di grave inquinamento in cui versava il sito industriale.
  La vendita è avvenuta, con atto in data 5 febbraio 2009, al prezzo simbolico di 1 (uno) euro, a fronte di un valore di mercato dell'azienda – all'epoca – ritenuto di 15 milioni di euro – riconosciuto come effettivo dalla stessa società, che li ha così valutati nei propri bilanci – come dichiarato dal procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza. «Un accordo davvero singolare», secondo la Procura di Vicenza, spia di «una reciproca consapevolezza», che risulterebbe anche da documenti acquisiti nella perquisizione dello studio legale milanese che curò la compravendita (cfr. Il Corriere del Veneto del 15 gennaio 2019).
  Come si è detto, l'attività svolta dalla Miteni ha provocato l'inquinamento dei terreni e della falda sottostante lo stabilimento e ha contaminato le falde acquifere utilizzate sia per la distribuzione delle acque potabili, sia per l'irrigazione delle colture agricole di una Pag. 26vastissima area territoriale compresa tra le province di Vicenza, di Verona e di Padova.
  Inoltre, ha avuto gravi conseguenze sulla salute degli stessi lavoratori della Miteni e della popolazione residente in 21 Comuni della provincia di Vicenza più esposti agli effetti delle sostanze perfluoroalchiliche riversatesi sul territorio e inseriti, con deliberazione della giunta regionale del Veneto n. 2133 del 2016, in un'area del territorio cosiddetta zona rossa.
  I fatti successivi sono costituiti:

   1. dalla dichiarazione di fallimento della società Miteni di Trissino, pronunziata dal tribunale di Vicenza in data 9 novembre 2018;

   2. dall'avviso di chiusura delle indagini, in data 14 gennaio 2019, da parte della procura della Repubblica presso il tribunale di Vicenza, ai sensi dell'articolo 415-bis c.p.p., nei confronti di 13 indagati a vario titolo (e per tempi diversi) e dalla successiva richiesta di rinvio a giudizio del 5 luglio 2019. Quattro indagati sono giapponesi, ex manager di Mitsubishi Corporation, proprietaria di Miteni Spa fino al 5 febbraio 2009, altri quattro indagati sono manager di ICIG, International Chemical Investors Group, il gruppo tedesco-lussemburghese subentrato alla Mitsubishi Corporation Inc., mentre gli ultimi cinque indagati sono manager e dipendenti Miteni con delega in materia di ambiente e sicurezza.

  Dopo la richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura, all'udienza del 20.1.2020, davanti al gup (giudice per l'udienza preliminare) sono state ammesse 226 parti civili, tre cui il Ministero della Salute, il Ministero dell'Ambiente (ora Ministero della Transizione ecologica) la Regione Veneto, la Provincia di Vicenza, i Comuni interessati dall'inquinamento delle province di Vicenza, Verona e Padova, i Consigli di Bacino delle società affidatarie della gestione del servizio idrico integrato, l'ARPAV, le Organizzazioni sindacali CGIL e CISL, Medicina Democratica, Italia Nostra Onlus, ISDE Medici per l'ambiente e numerose parti private.
  Quindi, l'udienza è stata rinviata al 23 marzo 2020 per consentire la citazione dei seguenti responsabili civili: 1) MITSUBISHI CORPORATION Inc., con sede a Tokio, in quanto società controllante di MITENI Spa, relativamente alle condotte contestate a MAKI Hosoda, KENJI Ito, NAOYUKI Kimura, YUJI Suetsune s.e.; 2) INTERNATIONAL CHEMICAL INVESTORS S.E., con sede a Lussemburgo, in quanto società controllante MITENI Spa, relativamente alle condotte contestate a SCHNITZER P.F.H., RIEMANN A.G.H, SMIT A.N., MC GLYNN B.A., GUARRACINO L., FABBRIS M., DRUSIAN D., COGNOLATO M., MISTRORIGO M; 3) del Fallimento MITENI.
  Fin qui, si è parlato solo del procedimento penale n. 1943/2016 R.G., modello 21, nel quale agli imputati vengono contestati i reati i reati di avvelenamento delle acque di falda e superficiali (articolo 439 c.p.) e di disastro ambientale doloso (articolo 434 c.p.), fino all'anno 2013.
  I fatti successivi a tale anno, comprendenti tra l'altro i reati di inquinamento ambientale e di bancarotta fraudolenta saranno oggetto di distinte azioni penali, ma i relativi procedimenti – di cui si parlerà nei successivi capitoli di questa relazione – saranno riuniti in un unico Pag. 27processo penale, attualmente pendente davanti alla corte d'assise di Vicenza.
  Poco prima della dichiarazione di fallimento del 2018, la Miteni aveva presentato alle Autorità di controllo un progetto operativo, che ai fini della bonifica e messa in sicurezza dei terreni, conteneva la previsione di costi pari a circa euro 1.928.000 per la strutturazione iniziale dell'intervento, nonché la previsione di ulteriori costi di periodicità annuale per la gestione della barriera idraulica inclusa nel progetto, pari a circa euro 1.070.000 annue.
  L'onere della bonifica dei suoli – nonostante non contenga la previsione di demolizioni della struttura industriale – avrebbe dovuto essere accollato all'azienda. Ciò spiega – secondo la procura della Repubblica – la decisione di instare per l'autofallimento nella consapevolezza degli impegni realmente necessari per la bonifica dell'area (cfr. relazione della procura della Repubblica in Vicenza del 28.2.2019 in doc. 90/1).

8. I nuovi PFAS e le indagini sull'inquinamento svolte da ISPRA su delega della procura di Vicenza.

  Con il monitoraggio delle acque di falda sono stati identificati altri due composti perfluoroalchilici prodotti dall'azienda Miteni di Trissino a partire sicuramente dal 2013, a livello industriale, ma probabilmente anche qualche anno prima, a livello di impianto pilota. I due composti appartengono alla famiglia dei PFAS.
  I due nuovi composti sono rispettivamente:

   1. HFPO-DA o acido 2,3,3,3 – Tetrafluoro- 2-eptafluoropropossipropanoico o GenX;

   2. cC6O4 o sale d'ammonio del perfluoro{acetic acid, 2-[(5-methoxy-1,3-dioxolan-4-yl)oxy]}.

  Per quanto riguarda la prima sostanza citata, le ricerche sono iniziate nel mese di marzo 2018, su segnalazione del Ministero delle Infrastrutture olandese, in merito al flusso dei rifiuti e alla possibile diffusione di tale sostanza nell'ambiente. L'HFPO-DA infatti è un rifiuto pericoloso (CER 07 02 01*), prodotto da una ditta olandese (Chemours Company), che veniva recuperato dalla Miteni e poi ricommercializzato (Gen X).
  Per tali attività di recupero la Miteni era stata autorizzata con decreto AIA del Direttore del dipartimento ambiente della Regione Veneto n. 59 del 2014 (doc. 932/2).
  Per quanto riguarda la seconda sostanza (cC6O4), la sua presenza nella falda è stata confermata, a fine luglio 2018, da Arpa Veneto e dalla stessa Miteni. Tale sostanza veniva prodotta da Miteni in un impianto pilota all'interno dello stabilimento, a partire dal 2013 ed era ricompresa tra le attività previste dall'AIA.
  I due nuovi composti rilevati risultano avere all'incirca la stessa distribuzione all'interno dello stabilimento.
  In particolare, il composto ritrovato nelle falde e nei percolati delle discariche in concentrazioni notevoli è il cC6O4 censito con il numero CAS 1190931-27-1 nel database globale dei PFAS dell'Organizzazione Pag. 28per la cooperazione e lo sviluppo economico mondiale che attualmente annovera il numero rilevante di ben 4.730 di sostanze poli e perfluoroalchiliche.
  La produzione del cC6O4 era iniziata presso lo stabilimento Miteni nel 2013 ed è terminata nel 2016, due anni prima della dichiarazione del fallimento, mentre il GenX veniva solo commercializzato.
  La procura della Repubblica presso il tribunale di Vicenza ha conferito l'incarico di svolgere una consulenza sulle sostanze citate, il cC6O4 e GenX all'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA).
  In modo particolare, la procura ha interloquito con il Direttore generale dell'istituto, Alessandro Bratti, che ha costituito un gruppo di lavoro, al fine di verificare se le sostanze summenzionate avevano determinato «una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell'aria o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo, di un ecosistema...», ai sensi dell'articolo 452-bis c.p. (Inquinamento ambientale).
  Si trattava, quindi, di accertare la significatività e la misurabilità dell'impatto di queste sostanze sulla matrice ambientale.
  Riferisce la dott.ssa Orietta Canova, procuratore della Repubblica aggiunto presso il tribunale di Vicenza, che i consulenti si sono innanzitutto confrontati con la necessità di ritrovare un valore di riferimento per questi due composti in mancanza di specifici valori normativi di riferimento, in modo particolare nella mancanza di standard di qualità ambientali.
  Il riferimento è stato ancorato al parere che è stato rilasciato dall'Istituto Superiore di Sanità (ISS), per quanto riguarda il valore per la protezione della salute umana in acque sotterranee.
  Questo valore è stato ritenuto spendibile dai consulenti del pubblico ministero anche in ambito ambientale, riferendosi al fatto tradizionale per cui gli standard ambientali sono di regola inferiori rispetto agli standard sanitari, ragion per cui è stato ritenuto utile questo confronto e, di conseguenza, sono stati valutati tre aspetti della propagazione delle sostanze inquinanti e, cioè: 1) la distribuzione temporale della propagazione; 2) la distribuzione spaziale e il numero; 3) la significatività delle rilevazioni positive nelle acque sotterranee di queste sostanze.
  Per quanto riguarda la distribuzione temporale, i consulenti hanno ricostruito l'andamento della contaminazione.
  In modo particolare, la distribuzione temporale è stata calcolata tenendo conto dei punti in cui sono state ritrovate le due sostanze, quindi, la lontananza del ritrovamento di queste sostanze rispetto al sito Miteni.
  L'altro valore calcolato è stata la velocità di movimento della falda acquifera.
  Tenendo conto di questi due dati, per quanto riguarda il GenX, l'inizio della contaminazione è stato fatto risalire al 2015, mentre per quel che riguarda la diffusione del cC6O4 la diffusione è stata riportata agli anni 2012/2013, come inizio di attività. Chiaramente la produzione o il trattamento di queste sostanze sono completamente cessati nel mese di novembre 2018.
  È questo l'arco temporale di riferimento.Pag. 29
  Per quanto riguarda la distribuzione spaziale, la stessa è stata calcolata dai consulenti tenendo conto della distribuzione dei derivati nelle acque sotterranee e sorgenti, quindi, in acque destinate al consumo umano, l'ultimo dato ARPAV che è stato valutato è del 4 luglio 2019.
  In tale ultimo dato valutato dai consulenti la diffusione, per il GenX, era di 26 chilometri quadrati e per il cC6O4 di 65 chilometri quadrati, chiaramente con andamenti decrescenti di valore quantitativo man mano che ci si allontanava dal sito Miteni.
  Per quanto attiene la distribuzione quantitativa di questi composti, i consulenti del pubblico ministero hanno preso come riferimento l'arco temporale tra il 18 aprile 2018 e il 4 luglio 2019 e hanno valutato le positività riscontrate.
  In particolare, per il GenX, l'Arpa Veneto ha eseguito n. 3.828 analisi in campioni acquosi, tra il 18 aprile e il 4 luglio 2019, lì dove per campioni acquosi si intende acqua di superficie, acqua sotterranea, acqua per la distribuzione, cioè qualsiasi tipo di campione acquoso che sia stato calcolato.
  Di questi n. 1.729 sono i campioni prelevati in acque sotterranee che sono il target che interessa. Sono stati riscontrati 114 valori superiori al limite di quantificazione. Questo non è il superamento del limite di rilevanza per i consulenti del pubblico ministero, ma sono 114 campioni in cui il GenX è stato riscontrato.
  Di questi valori, n. 106 sono riferibili alle acque sotterranee (quindi, si tratta di 106 rilevazioni sopra soglia riferibili alle acque sotterranee) n. 76 sono rilevanti, cioè superiori al limite ritenuto come indicativo dai consulenti della procura e n. 30 sono sotto la soglia. Questi n. 76 significativi dell'inquinamento hanno lo stesso andamento sopradetto, cioè sono con valore decrescente, a partire dal sito Miteni, per poi diminuire di valore man mano che ci si allontana dal sito.
  Per quel che riguarda il cC6O4, il termine temporale di riferimento è da giugno 2018 al 4 luglio 2019. ARPAV ha eseguito n. 1.250 determinazioni di cC6O4 in campioni acquosi, riscontrando n. 200 valori superiori al limite di rilevabilità, cioè, in duecento campioni ne è stata riscontrata la presenza. Nelle acque sotterranee in particolare sono state effettuate n. 932 determinazioni di cui n. 132 positive, quindi, nel senso di accertata presenza del contaminante.
  In questi n. 132 campioni positivi, n. 115 campioni presentano concentrazioni di inquinante superiori a quelle di interesse per le indagini, mentre i restanti n. 17 hanno concentrazioni inferiori a quelle di interesse (cfr. resoconto dell'audizione in data 22 luglio 2020 della dott.ssa Barbara De Munari, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Vicenza).
  Le conclusioni del consulente tecnico sono state per la ritenuta significatività di questi valori, nel senso indicato dall'articolo 452-bis c.p.
  Pertanto, la risposta al quesito posto è stata in termini positivi, nel senso che sono stati riscontrati i due valori di «significatività» e «ampiezza», richiesti dalla norma, come specificati nel paragrafo successivo.
  Questo è per quel che riguarda la ricerca e la consulenza dell'ISPRA, di cui nel seguente capitolo 8.1 se ne riporta la sintesi.

Pag. 30

8.1 Sintesi della perizia tecnica ISPRA del 27 gennaio 2020 svolta per la procura di Vicenza sull'inquinamento da PFAS-Miteni (doc. 863/3).

  Il quesito posto dalla procura ad ISPRA riguarda l'impatto provocato dalle sostanze HFPO-DA (GenX) e cC6O4 nelle acque sotterranee e nell'ambiente e se le concentrazioni rilevate dai controlli e monitoraggi di ARPAV Vicenza siano tali da comportare una significativa compromissione o deterioramento delle acque ovvero dell'ambiente.
  Il quesito chiedeva di svolgere l'indagine anche valutando tutti i dati raccolti da ARPAV Vicenza nell'ambito dell'attività di controllo e monitoraggio del sito industriale Miteni Spa e dell'ambiente circostante.
  Per la valutazione, ISPRA ha preso come riferimento i limiti per le acque sotterranee destinate al consumo umano (limiti sulla salute), come individuati dall'Istituto Superiore di Sanità (ISS), con il parere del 02/05/2019, prot. 13637 (doc. 331/2), inviato al Ministero della Salute e poi anche alla Regione Veneto e al MATTM (ora Ministero della Transizione ecologica). Nel parere ISS, vengono indicati i limiti di 0,5 µg/l (500 ng/l), per la somma di tutti i PFAS, e di 0,1 µg/l (100 ng/l) come valore di ogni singolo PFAS, quindi il limite di 0,1 µg/l (100 ng/l) riguarda sia il cC6O4, sia il GenX.
  ISPRA osserva che il limite soglia fissato dall'ISS è un limite sanitario e non ambientale, ma correttamente ricorda che occorre considerare che uno standard ambientale è generalmente più basso di uno sanitario, per cui il superamento di quest'ultimo comporta certamente una compromissione dell'ambiente. Dunque, il criterio per accertare compromissione e deterioramento è il superamento nelle acque del valore soglia di 0,1 µg/l (100 ng/l) per entrambe le sostanze.
  Sulla base delle valutazioni svolte, ISPRA nella consulenza tecnica giunge alle seguenti conclusioni «GenX e, in misura ancora maggiore, C6O4 hanno contaminato le acque sotterranee in corrispondenza del sito produttivo Miteni, presentando concentrazioni di migliaia di ng/l e raggiungendo valori massimi, rispettivamente di 45.000 e 68.000 ng/l. Dal sito Miteni, attraverso la falda, si sono diffusi e sono attualmente rinvenibili nelle acque sotterranee a lunghissime distanze dal sito Miteni».
  Dunque, ISPRA ha acclarato l'esistenza di un deterioramento e di una compromissione delle acque sotterranee del sito della Miteni significativi e misurabili, per effetto dell'inquinamento prodotto dal GenX e dal cC6O4.
  ISPRA, infine, evidenzia che queste nuove sostanze a catena corta (GenX e cC6O4) presentano caratteristiche anche più preoccupanti degli PFAS «storici», come più spiccata mobilità attraverso i corpi idrici, analoga persistenza, addirittura superiore capacità di sfuggire ai trattamenti di depurazione.
  La consulenza svolta da ISPRA ci porta anche a fare un riferimento ai limiti da definire sulle matrici ambientali. Infatti, per le considerazioni sopra esposte, si ritiene che un buon punto di partenza per fissare i limiti nelle matrici ambientali sia il richiamato parere dell'Istituto Superiore di Sanità del 02/05/2019, prot. 13637, inviato al Ministero della Salute, alla Regione Veneto e al MATTM, con indicati i limiti per le acque sotterranee destinate al consumo umano (limiti sulla salute). Pag. 31Come sopra detto, nel parere ISS, vengono indicati i limiti di 0,5 µg/l (500 ng/l), per la somma di tutti i PFAS, e di 0,1 µg/l (100 ng/l) come valore di ogni singolo PFAS (doc. 331/2).
  In via generale, va detto che è attualmente in corso, nell'ambito del gruppo di lavoro istituito presso il Ministero della Transizione ecologica, la realizzazione di linee guida per la definizione di valori limite allo scarico per i PFAS e per altre sostanze chimiche. In questo contesto ISPRA ha espresso la propria posizione evidenziando che, per i PFAS non possa essere individuato un limite allo scarico, che sarebbe non scientificamente sostenibile, in quanto si è in presenza di sostanze che non possono avere una soglia, cosiddette «senza soglia». Non si ritiene, infatti, corretto stabilire per i PFAS un limite basato su standard ambientali e fattori di diluizione, in quanto rilasci anche minimi contribuiscono all'accumulo delle sostanze nell'ambiente. Di conseguenza, l'approccio suggerito da ISPRA è un limite basato esclusivamente sull'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, per i soli casi in cui il divieto assoluto non sia la soluzione praticabile, tenuto altresì conto che già dal 2020 molte di queste sostanze non dovrebbero essere più presenti nei processi e nei prodotti (anche di importazione), per effetto dei divieti messi in atto o previsti (doc. 152/3).
  L'argomento dei limiti, che si ritiene di cruciale importanza, sarà ripreso e approfondito più avanti in un capitolo specifico.

9. Le indagini della procura di Vicenza.

  La procura della Repubblica di Vicenza procede (proc. pen. n. 1943/2016 RG, modello 21) per i reati di avvelenamento delle acque di falda e superficiali (articolo 439 c.p.) e disastro ambientale doloso (art. 434 c.p.), fino all'anno 2013, dunque prima dell'entrata in vigore della legge sugli ecoreati n. 68/2015, sul presupposto dell'avvenuta cessazione a partire dal 24 luglio 2013 della produzione di PFAS a catena lunga, in particolare dei PFOA (acido perfluoroottanico), di cui è fatto divieto di produzione, uso e immissione sul mercato dal 4 luglio 2020, ai sensi del regolamento dell'Unione europea REACH, concernente – com'è noto – la registrazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche.
  In realtà, la tesi della procura della Repubblica non convince, dal momento che – com'è pacifico anche per la stessa procura della Repubblica – l'inquinamento non era solo determinato dall'attività produttiva, quanto soprattutto dal fatto che nel sito sottostante lo stabilimento e i relativi impianti erano stati interrati, in epoca imprecisata, una gran massa di contaminanti PFAS, che veniva e viene tuttora costantemente dilavata durante i ciclici rialzi della falda acquifera.
  Ciò precisato, è indubbio che di tale situazione era pienamente consapevole, non solo, la Mitsubishi Corporation Inc., che aveva fatto eseguire addirittura indagini specifiche sul sito, stimando anche i costi per la bonifica dello stesso, ma anche la International Chemical Investitors Group (ICG), che ha acquistato le quote della Miteni a un prezzo simbolico.
  Dunque, forse sarebbe stato più corretto prolungare il periodo di contestazione dei reati di avvelenamento delle acque (articolo 439 c.p.) e di disastro innominato in concorso (articolo 434 c.p.) e contestare, a Pag. 32partire dall'anno 2015, il reato di inquinamento ambientale di cui all'articolo 452-bis, introdotto dalla legge n. 68 del 2015, a motivo della consapevolezza del venditore, all'epoca in cui è avvenuta la vendita, e soprattutto della parte acquirente ICIG che, a seguito all'avvenuta acquisizione dell'azienda, non aveva effettuato alcuna opera di bonifica dei terreni, pur essendo consapevole dell'inquinamento, già al momento dell'acquisto.
  Invero, allo stato, come si è detto, è in corso una messa in sicurezza permanente, mediante una barriera idraulica, che si sta rivelando del tutto insufficiente a fermare l'inquinamento.
  Altri reati contestati, solo al nuovo menagement della Miteni (esclusi quelli della Mitsubishi, in quanto successivi al passaggio di proprietà della stessa Miteni) e oggetto di separato procedimento (proc. pen. n. 5019/2018 RG), sono quelli di cui agli articoli 452-bis e 452-quinquies (inquinamento ambientale colposo), nonché all'articolo 256, comma 2, decreto legislativo n. 156/2006, concernente l'attività di gestione dei rifiuti non autorizzata, di cui si è detto nel capitolo precedente, a proposito dei nuovi PFAS (cC6O4 e GenX) e della consulenza tecnica affidata dalla procura all'ISPRA, che ne ha determinato la significatività e l'ampiezza dell'inquinamento della falda, requisiti richiesti dall'articolo 452-bis c.p., per configurare il delitto di inquinamento ambientale.
  In precedenza, il procuratore della Repubblica in Vicenza, nella sua relazione del 28 febbraio 2019 (doc. 90/1), aveva riferito che si erano verificate differenti immissioni inquinanti localizzate a campione nella falda circostante per alcuni chilometri dalla sede della Miteni, in particolare, con il rilascio della sostanza HFPO-DA, cd. GEN-X), i cui effetti dannosi erano paragonabili a quelli dell'acido perfluorottanoico (PFOA), catalogato dal Ministero olandese della salute come «sostanza estremamente preoccupante» potenzialmente cancerogena.
  Le ulteriori indagini hanno fatto invero ritenere che questa diversa contaminazione ha avuto origine verosimilmente colposa, conseguendo a impreviste difettosità degli impianti, tuttora non bene localizzate. Più di recente, altri elementi suggeriscono che gli organi della Miteni abbiano proseguito gli sversamenti nonostante la consapevolezza delle immissioni indesiderate, acquisita e non comunicata alle autorità. Esso comunque ha costituito la conseguenza di una nuova lavorazione della Miteni, consistita nel trattamento di bonifica di residui industriali pericolosi acquisiti da consociate estere, lavorazione che era stata peraltro autorizzata dall'autorità amministrativa.
  Entrambe le produzioni anzidette sono cessate con il fallimento della società, pur se il tribunale civile di Vicenza, dichiarando il fallimento dell'azienda, ha autorizzato il curatore all'esercizio provvisorio dell'attività.
  Invero, tenuto conto che la produzione (che consisteva ormai solo nella lavorazione/bonifica degli scarti pericolosi provenienti da altre aziende) era già stata fermata dal provvedimento di sospensione emesso dalla Provincia di Vicenza, la continuazione dell'esercizio provvisorio è stata finalizzata a provvedere all'asportazione, verso destinazioni terze, del magazzino costituito dalle sostanze inquinanti trattate e a procedere nell'attuazione del piano complessivo di bonifica rivolto all'inertizzazione degli impianti, non esteso al deposito abusivo storico che si Pag. 33ritiene essere sottostante ad essi e dal quale si ritiene che l'inquinamento della falda prosegua, per dilavamento.
  L'anzidetto procedimento penale versa nella fase di chiusura delle indagini (proc. pen. n.ro 5019/2018 R.G.), come ha riferito il procuratore della Repubblica, nel corso della sua audizione del 20 luglio 2020 e ne è stata disposta la riunione al procedimento storico n. 1943/16 R.G., concernente – come si è già detto – i reati di avvelenamento delle acque di falda e superficiali (articolo 439 c.p.) e di disastro ambientale doloso (articolo 434 c.p.), fino all'anno 2013.
  In effetti, la procura della Repubblica in Vicenza ha chiesto nell'udienza preliminare del 30 novembre 2020 il rinvio a giudizio di otto imputati, tutti ex dirigenti della Miteni, accusati di aver immesso, tra il 2013 e il 2017, nelle acque sotterranee i rifiuti pericolosi contenenti GenX e cC6O4, posto che con tali condotte avevano provocato un deterioramento «significativo e misurabile» delle acque di falda, come accertato dalla consulenza eseguita.
  All'esito dell'udienza del 22 marzo 2021, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Vicenza ha disposto la riunione di questi due procedimenti penali e ha rinviato il procedimento all'udienza del 26 aprile 2021(doc. 820/1 e doc. 820/2).
  Nel procedimento penale n. 5019/2018 R.G. vengono contestati agli imputati anche i reati fallimentari, oltre al reato di inquinamento ambientale, di cui all'articolo 452-bis c.p., per l'uso del GenX e del cC6O4 e al reato di cui al reato contravvenzionale, di cui all'articolo 256, comma 2, del TUA.
  Invero, la procura della Repubblica, dopo la dichiarazione di fallimento della società, ha contestato il reato di bancarotta, ai sensi dell'articolo 223, comma 2, numero 1 e 2, legge fallimentare, per aver causato ovvero aggravato il dissesto per falso in bilancio ovvero con operazioni dolose, con riferimento alle condotte tenute dalla governance.
  Sul punto – come ha riferito il procuratore della Repubblica, facente funzione in Vicenza – è stata fatta una consulenza affidata all'ordinario di economia aziendale dell'Università de L'Aquila, prof. Michele Pisani, il quale ha provveduto a classificare i bilanci alla luce delle passività ambientali note e mai iscritte dalla governance dei bilanci Miteni.
  In particolare, le immobilizzazioni materiali iscritte nei bilanci dalla Miteni ovvero quelle degli immobili sono state sempre contabilizzate a valori molto elevati, che si sono rivelati inesistenti.
  Tale fatto è aggravato dalla circostanza che gli amministratori della società hanno valorizzato gli immobili industriali a garanzia dei finanziamenti bancari, quindi, hanno appesantito la posizione finanziaria della società, valorizzando in bilancio – anche con perizie depositate presso gli istituti di credito – questi immobili su valori totalmente lontani da quelli reali. Tanto più nella consapevolezza della sostanziale nullità dei valori degli immobili iscritti, a causa dell'inquinamento della falda e dei terreni sottostanti.
  Infine, altro procedimento penale, iscritto al n. 9628/2019 R.G., mod. 21 (registro persone note) è quello che ha fatto seguito a querele ed esposti pervenuti dalle maestranze Miteni e dal sindacato. È stata così impiantata un'indagine relativa a lesioni personali e ad eventuali Pag. 34decessi derivanti dall'inosservanza delle norme di prevenzione dell'infortunistica sul lavoro.
  Si tratta di un procedimento penale nei confronti di 19 persone – identificate quali responsabili di condotte commissive o omissive, a seconda dei casi – per delitti in materia di lesioni colpose conseguenti all'inosservanza e alla violazione di misure di prevenzione sugli infortuni di lavoro (articolo 590, comma 3, del Codice penale) e per delitti di omicidio colposo di tre lavoratori della Miteni deceduti, connessi anch'essi a violazioni in materia di prevenzione sugli infortuni di lavoro (articolo 589, comma 2, del Codice penale).
  Il procedimento è ancora in fase di indagini e sono state acquisite una serie di documentazioni e di studi che hanno riguardato l'area di interesse, ma ancora è in corso l'attività. Comunque, le persone che hanno effettivamente presentato un esposto o una querela «sono molto poche», come ha riferito testualmente la dott.ssa Canova, precisando sul punto che si tratta di una decina di persone che hanno lamentato genericamente il fatto di avere lavorato presso Miteni, senza indicare un'attuale patologia oppure hanno indicato di avere una ipercolesterolemia.
  L'attenzione degli inquirenti si sta dirigendo verso tutte le problematiche che derivano dagli studi epidemiologici che sono in corso da parte della Regione e che hanno anche riguardato specificamente il panorama dei lavoratori di Miteni, però qui ancora si è in una fase di studio delle risultanze scientifiche.
  In realtà, di fronte alle risultanze scientifiche, si tratta di comprendere se si possono o meno ipotizzare posizioni di garanzia specifiche rispetto a un evento dannoso, come la malattia che si è manifestata nel lavoratore (cfr. resoconto audizione del 22 luglio 2020 della dott.ssa Orietta Canova, procuratore della Repubblica f.f. presso il tribunale di Vicenza).
  Particolare attenzione è stata dedicata al monitoraggio dello stato di salute dei 128 lavoratori della Miteni, al momento della cessazione dell'attività lavorativa, quando è sopraggiunta la dichiarazione di fallimento della società.

10. Il decreto che dispone il giudizio.

  Infine, con decreto in data 26 aprile 2021, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Vicenza – all'esito dell'udienza preliminare nel procedimento penale n. 4230/2019 R.G. G.I.P. – ha disposto il rinvio a giudizio, davanti alla corte d'assise del tribunale di Vicenza, per l'udienza del 1° luglio 2021, di tutti gli imputati (HOSODA Maki 15) per il disastro ambientale della Miteni Spa di Trissino.
  La Corte, davanti alla quale il processo si è radicato, ha disposto da ultimo il rinvio all'udienza dell'11 novembre 2021, nella quale si è pronunziata sulle questioni preliminari sollevate dalle difese, rigettando le richieste di esclusione dal processo dei responsabili civili, Mitsubishi Corporation e International Chemical Investors ICIG e stabilendo il calendario delle prossime udienze (doc. 978/2).
  Le condotte contestate agli imputati con il suddetto decreto che dispone il giudizio (doc. 863/2) sono le seguenti:

   1. concorrevano a cagionare, mediante poste in essere in tempi diversi e anche indipendentemente l'una dall'altra, l'avvelenamento Pag. 35delle acque destinate all'alimentazione umana, in particolare, della falda acquifera insistente nel sottosuolo del sito industriale, nonché delle acque superficiali circostanti comunque destinate al consumo, dopo che erano stati dispersi nel suolo e sottosuolo del sito vari composti chimici tra cui anche e soprattutto composti caratteristici della produzione di RiMar-Miteni: tutto ciò a causa sia dell'interramento di rifiuti e di scarti di lavorazione, sia delle carenti modalità adottate per lo smaltimento dei residui di lavorazione, sia della carente tenuta degli impianti, nonostante tali situazioni fossero state ripetutamente rilevate negli studi ambientali commissionati da Miteni ai propri consulenti (Ecodeco, Ingeo e Erm Italia) i quali avevano posto in evidenza la significativa presenza nelle matrici suolo e acque dei composti BTF, alluminio, ferro, manganese, dicloropropano, cloroformio, tetracloroetilene, tricloroetilene e di PFAS. In Trissino nei periodi per ciascuno degli imputati indicati e, comunque, sino al 23/7/2013 (articoli 110, 112, 439 Codice penale);

   2. concorrevano a cagionare un disastro ambientale che coinvolgeva le acque superficiali poste in prossimità del sito Miteni e la falda acquifera sottostante con propagazione del plume contaminante su un'area che copre le province di Vicenza, Verona e Padova. Disastro dal quale derivava un pericolo per la pubblica incolumità consistito, in particolare, in un elevato bioaccumulo dei contaminanti PFAS-PFOA nella popolazione esposta (con valori sierici rilevati ampiamente superiori ai cd. valori obiettivo di esposizione interna), con conseguente aumentata incidenza di effetti sanitari indesiderati, quali l'aumento di livello del colesterolo nel siero umano. Si tratta di reati consumati in Trissino nei periodi per ciascuno degli imputati indicati e comunque sino al 23/7/2013 (articoli 110, 112, 434 codice penale);

   3. cagionavano una compromissione ovvero un deterioramento significativo e misurabile delle acque sotterranee insistenti sotto il sito industriale di Miteni Spa, immettendovi le sostanze Gen-X e cC6O4, che successivamente si propagavano nei territori circostanti diffondendosi in un'area non inferiore a 26 km quadrati per il composto Gen- X e non inferiore a 75 km quadrati per il composto cC604. Reati consumati in Trissino, dal 29 maggio 2015 sino al fallimento dichiarato in data 9 novembre 2018 (articoli 110, 552 bis codice penale);

   4. in concorso tra loro e nelle diverse qualifiche ricoperte, ponevano in essere in tempi diversi, anche indipendentemente l'uno dall'altro, commettendo fatti rilevanti ex articolo 2621 del Codice civile (false comunicazioni sociali) e con operazioni dolose, cagionavano e comunque aggravavano il dissesto della società Miteni Spa, dichiarata poi fallita dal tribunale di Vicenza in data 9 novembre 2018. In particolare, gli imputati proseguivano nella propria attività industriale, nonostante la consapevolezza, realizzata almeno dall'anno 2009, dello stato di compromissione del sito aziendale in Trissino e dell'inquinamento ambientale in essere (conseguente in via principale alle sostanze c.d. PFAS prodotte dall'azienda) e nonostante il fatto che Miteni Spa presentasse un patrimonio netto sostanzialmente negativo, almeno a partire dall'anno 2010, in ragione delle passività ambientali non iscritte – degli oneri di bonifica, di ripristino ambientale e di messa in sicurezza – collegate al riscontrato inquinamento del sito da valorizzarsiPag. 36 già al 2009, per un importo non inferiore ai 17,5 milioni di euro, omettendo di svalutare immobili e terreni, afferenti al sito che viceversa, avevano nella realtà un valore nullo. Con l'aggravamento del dissesto, consistito: A) nell'incremento (sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo, stante la degradazione a chirografo dei crediti ipotecari in essere) dell'esposizione debitoria verso gli istituti di credito; B) nell'incremento del quantum dell'obbligazione risarcitoria derivante dall'inquinamento ambientale perpetrato negli anni, nonostante la consapevolezza dell'aggravarsi della contaminazione del sito, delle acque di falda e di quelle superficiali, a seguito dello sversamento in ambiente di più sostanze chimiche nocive oggetto di produzione e delle condotte omissive sopra descritte; C) nell'incremento del passivo stante il risultato costantemente negativo registrato dalla società dal 2010 al 2017 – con perdite maturate nel periodo considerato per complessivi euro 14.923.807,00 – a seguito della prosecuzione dell'attività d'impresa nonostante un patrimonio netto di fatto negativo sin dal 2010. Con l'aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta (articoli 110 Codice penale, 219 comma 2 n.1 e 223, comma 2 n. 1 e 2 legge fallimentare).

  Reati consumati in Vicenza, alla data del fallimento Miteni Spa (9 novembre 2018).
  A titolo di responsabilità civile, sono stati citati i seguenti soggetti:

   1- Mitsubishi Corporation Inc., con sede legale in 3-1, Marunouchi 2-Chome, Chiyoda-ku, Tokyo 100-8086 (Giappone), nella persona di Yoshiaki Takahama, nato in Giappone il 23 luglio 1968 quale legale rappresentante pro tempore;

   2- International Chemical Invcstors S.E. (ICIG), con sede in 2°, Rue des Capucins, L-1313 Lussemburgo, nella persona del suo legale rappresentante pro tempore.

  Si sono costituiti parti civili n. 229 soggetti, tra i quali il Ministero della Transizione ecologica, il Ministero della Salute, la Regione Veneto e il Comune di Trissino e i Comuni compresi nella «zona rossa», la Provincia di Vicenza, l'Ulss di Vicenza, Padova e Verona, le associazioni ambientaliste, le associazioni sindacali.
  Alla prima udienza tenutasi il 1° luglio 2021 davanti alla corte d'assise di Vicenza si sono aggiunte altre 89 parti civili, che fanno salire il numero complessivo delle parti civili costituite a n. 318 e l'udienza di costituzione delle parti è destinata a concludersi all'udienza dell'11 novembre 2021.
  Infine, a proposito del danno ambientale causato dalla Miteni, va detto che il Direttore generale dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), Alessandro Bratti, ha riferito nel corso della sua audizione del 25 giugno 2019 che il proprio istituto aveva calcolato in circa 80 milioni di euro il danno ambientale cagionato dalla Miteni, oggetto solo di una prima stima relativa solo a questioni abbastanza specifiche, con riferimento a una progettualità che era stata posta e concordata tra la regione Veneto e l'ex Ministero dell'Ambiente.

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11. Il fallimento della società Miteni.

  Il curatore del fallimento Miteni – dichiarato dal tribunale di Vicenza con sentenza in data 9 novembre 2018 – dott. Domenico De Rosa, nella relazione pervenuta in data 1° luglio 2019 (doc. 234/1) e nella successiva audizione in data 11 luglio 2019, ha riferito:

   1) che il capitale della società Miteni, dichiarata fallita dal tribunale di Vicenza in data 9 novembre 2018, è interamente posseduto dalla ICI Italia 3 Holding srl, a sua volta posseduta dalla ICE SE, con sede in Lussemburgo, che controlla oltre 90 società nel settore della chimica;

   2) che, nonostante le attività anche finanziarie fossero adeguate per una liquidazione volontaria, la società Miteni aveva richiesto il proprio fallimento, rinunziando alla domanda di concordato preventivo che aveva già depositato, non essendo in grado di sopportare gli oneri derivanti dalla bonifica del sito, calcolati dalla stessa società molto prudenzialmente nella somma di euro 30 milioni – in un ipotetico fondo rischi da iscrivere nel proprio bilancio – oltre a quelli rinvenienti dalle richieste di risarcimento danni dei soggetti danneggiati;

   3) che, alla data del fallimento, all'interno del sito industriale allo stato erano presenti: n. 34 piezometri, che venivano utilizzati per il monitoraggio della falda acquifera, n. 33 pozzi/piezometri, che erano allestiti con pompa ad uso barrieramento idraulico, mentre n. 8 piezometri erano stati posizionati all'esterno dello stabilimento e venivano utilizzati per il monitoraggio della falda;

   4) che erano in corso di realizzazione altri piezometri e, infatti, ad oggi ne risultano realizzati 90;

   5) che, su autorizzazione del giudice delegato, la curatela non aveva acquisito all'attivo del fallimento l'area, i fabbricati e gli impianti funzionali ai presidi ambientali, sul presupposto che tali beni non avevano alcun valore di mercato, in quanto l'eventuale acquirente avrebbe dovuto farsi carico degli oneri di bonifica, una volta che questi fossero stati quantificati, sopportando nel frattempo i costi per l'implementazione, la gestione della barriera idraulica e il cambio dei filtri a carboni attivi necessari per la depurazione delle acque emunte, complessivamente, pari a circa euro 150.000,00 mensili (1.800.000,00 annuale);

   6) che, di conseguenza, i beni anzidetti erano rimasti nella disponibilità della stessa società fallita Miteni, il cui consiglio di amministrazione, in data 11 aprile 2019, li aveva promessi in vendita e quindi, effettivamente consegnati, con verbale in data 10 giugno 2019, alla «ICI Italia 3 Holding srl», nella sua qualità di socio unico della stessa Miteni;

   7) che la ICI Italia 3 Holding srl si era dichiarata disponibile a procedere a proprie spese, in qualità di soggetto non responsabile della contaminazione (dunque, senza assunzione di responsabilità del danno ambientale), alla gestione e al potenziamento della barriera idraulica;

   8) che la ICI Italia 3 Holding srl, nei mesi di maggio/giugno 2019, aveva appaltato i relativi a una società terza, la Aecom Urs Italia Spa, Pag. 38la società di ingegneria multinazionale, incaricata anche di eseguire una revisione dell'impiantistica;

   9) che, pertanto, a partire dal 10 giugno 2019, la prosecuzione dell'attività di depurazione delle acque non era più a carico della curatela, bensì a carico della ICI Italia 3 Holding srl;

   10) che tutti gli impianti e i macchinari non funzionali al presidio ambientale erano stati venduti, al prezzo di 4.6 milioni di euro, in favore dell'unica società che aveva partecipato alla relativa gara di vendita, la «Viva Life Sciences Private Limited», con sede in Mumbai (India), la quale si era impegnata allo smontaggio e all'asporto dei beni anzidetti e al pagamento dell'ultima rata del prezzo pattuito nel termine di 18 mesi dall'acquisto, cioè, entro il mese di dicembre 2020;

   11) che, allo stato, i crediti ammessi al passivo del fallimento ammontavano, complessivamente, ad euro 7.615.074,14, ma che l'importo anzidetto era destinato ad aumentare sensibilmente a seguito di altre domande di ammissione al passivo del fallimento, che stavano pervenendo;

   12) che non erano stati ammessi al passivo del fallimento i crediti più rilevanti vantati dal Ministero dell'Ambiente, dalla Regione Veneto e da altri Enti pubblici, del complessivo importo di euro 150 milioni;

   13) che la Regione Veneto si era opposta al provvedimento di esclusione dallo stato passivo del fallimento, mentre il Ministero dell'Ambiente aveva fatto acquiescenza al suddetto provvedimento di esclusione.

  Inoltre, dalla relazione del curatore Domenico De Rosa, ex articolo 33 legge fallimentare del 17 settembre 2019 (doc. 328/2), risulta che l'attivo realizzato a tale data era pari ad euro 12.280.737 ed era costituito: per l'importo di euro 2.639.640,00 da liquidità rinvenuta all'atto della dichiarazione di fallimento; per euro 3.823.983,00, per crediti incassati nel giro di qualche mese dopo la dichiarazione di fallimento, avvenuta come si è detto in data 9 novembre 2018; per euro 965.364,00 per merci vendute e per euro 4.600.000,00, dal prezzo della vendita di impianti e macchinari alla società indiana (per un totale complessivo di circa 12 milioni di euro).
  I crediti ammessi al passivo sono pari ad euro 10.853.714, a cui vano aggiunti i risarcimenti per danni ambientali, calcolati dall'ISPRA in almeno 80 milioni di euro, per Regione Veneto e Ministero dell'Ambiente (ora della Transizione ecologica), oltre a quelli delle costituite parti civili nel procedimento penale davanti alla corte d'assise di Vicenza.
  I consulenti della ICI 3 hanno dichiarato nel corso della loro audizione del 28 gennaio 2020 che i costi stimati per realizzare le opere, i presidi o rafforzare la barriera idraulica erano pari a 4,2 milioni di euro, a cui dovevano aggiungersi il costo della gestione della stessa barriera idraulica di euro 1,250 per anno, con durata quinquennale. In totale, si tratta di costi pari a 10 milioni di euro, totalmente a carico della stessa società ICI 3.

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12. Stato di smontaggio degli impianti venduti alla società Viva Life Science Private Limited.

  La descrizione e la relativa programmazione dell'attività di decommissioning degli impianti presenti nel sito ex Miteni di Trissino è stata formalizzata per la prima volta con nota della società Viva Science Life Private Limited (da qui in poi VIVA) in data 11 ottobre 2019. In tale nota si prevedeva la conclusione delle attività entro il 31 dicembre 2020 (cfr. relazione ARPAV del 7 dicembre 2020 in doc. 737/2).
  Il predetto termine è stato poi prorogato al 2021 e poi al 2022 per le note vicende legate alla pandemia.
  Lo stato delle autorizzazioni delle AIA (autorizzazione integrata ambientale) ha avuto un'evoluzione.
  Infatti, la determina dirigenziale della provincia di Vicenza n. 578 del 29 aprile 2021, dopo aver richiamato l'AIA rilasciata dalla Regione Veneto, in data 30 luglio 2014, con provvedimento n. 59/2014 (doc. 932/2 e doc. 893/2, pagina 82), ridefinisce il quadro dei provvedimenti autorizzativi e dà atto del fatto che due e non più tre sono i soggetti giuridici impegnati nelle operazioni legate al decommissioning: il primo, è la società ICI 3 Italia, alla quale è imputata la gestione della barriera idraulica, del depuratore aziendale e degli scarichi idrici; il secondo soggetto è la società VIVA, a cui l'AIA provinciale attribuisce la gestione degli impianti di processo e delle emissioni in atmosfera (doc. 937/2, ultimo documento).
  Invero, il curatore del fallimento Miteni, che era stato uno dei tre soggetti di riferimento (ICI 3 e VIVA) dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA), rilasciata dalla Provincia di Vicenza, non lo era più ed è stato estromesso dall'AIA, avendo concluso l'attività per cui era in precedenza compreso nell'AIA, ovvero la detenzione dei prodotti chimici e dei rifiuti presenti nel sito, all'atto in cui era subentrato il fallimento (AIA di cui alla determina della Provincia di Vicenza n. 1883 del 16 dicembre 2019 in doc. 937/2, secondo documento).
  Sul punto, va ricordato che con legge regionale n. 4 del 2016 è stata delegata alla Provincia la competenza nel rilascio delle Autorizzazioni Integrate Ambientali delle aziende chimiche, quale quella di specie, e quindi, nel caso di specie, la Provincia di Vicenza, nel cui territorio si trova il sito della Miteni, ha competenza nel rilascio dell'AIA.
  Questi prodotti chimici sono stati già smaltiti dal curatore del fallimento. Inizialmente, presso la Miteni vi erano circa mille tonnellate di prodotti chimici e di 300 tonnellate di rifiuti. Fatto sta che i prodotti chimici sono stati venduti e sono quasi tutti portati fuori dallo stabilimento e mentre i rifiuti sono stati smaltiti.
  La situazione sul sito ex Miteni di Trissino e i problemi d'inquinamento PFAS collegati sono da ricondurre a due diversi aspetti e filoni. Il primo riguarda il decommissioning degli impianti, quindi la rimozione degli impianti – che occupano complessivamente un'area di circa due ettari, all'interno dell'azienda – con il loro contenuto di sostanze inquinanti ed è una fase preliminare rispetto a quella della successiva bonifica vera e propria dell'area, in particolare della matrice suoli, che allo stato sono ampiamente coperti dagli impianti. Il secondo filone riguarda la messa in sicurezza operativa e la bonifica vera e Pag. 40propria dell'area (cfr. resoconto dell'audizione di Luca Marchesi, Commissario straordinario di Arpa Veneto del 20 maggio 2021).
  La programmazione delle attività prevedeva che avessero inizio a partire dal lato Nord del sito, procedendo verso il lato Sud dando priorità agli impianti produttivi siti sulla dorsale Est, al fine anche di garantire l'allineamento con il cronoprogramma delle attività correlate con il progetto di messa in sicurezza operativa, con particolare riferimento alla realizzazione dell'intervento di confinamento «palancolato».
  L'attività di decommissioning programmata consiste sostanzialmente in 6 attività consequenziali:

   1. Disconnessione delle apparecchiature elettriche;

   2. Svuotamento di eventuali liquidi presenti all'interno di serbatoi, apparecchiature di processo e tubazioni;

   3. Disconnessione della strumentazione a servizio delle apparecchiature di processo;

   4. Rimozione dei cavi elettrici;

   5. Rimozione dei serbatoi;

   6. Rimozione delle apparecchiature di processo e dei serbatoi.

  Tecnicamente lo smontaggio delle apparecchiature verrà preceduto dalla creazione di confinamenti fisici dei reparti produttivi, atti ad evitare qualsiasi forma di emissione diffusa durante la fase di allontanamento dei prodotti chimici dagli impianti. Le zone confinate saranno realizzate con teli plastici e al loro interno sarà destinata una zona per la vestizione e la decontaminazione del personale. Tutto il sistema verrà mantenuto in depressione da estrattori di aria che invieranno l'aria estratta ad un sistema di abbattimento appositamente progettato e da qui verso specifici camini. Verrà garantito anche un monitoraggio dell'aria ambiente lungo il perimetro dello stabilimento.
  VIVA ha commissionato tali attività a tre aziende, due con sede in Italia, una con sede in Polonia.
  Il prolungamento dell'attuale stato di emergenza epidemiologica ha comportato un generale rallentamento del decommissioning, correlato anche con la necessità della presenza di personale della società VIVA che ha sede in India e della società aggiudicatrice delle attività di rimozione delle apparecchiature che ha sede in Polonia, che avrebbero dovuto avere inizio nella settimana 39/2020 (21- 27/09/2020).
  Con un'ultima relazione del 21 ottobre 2021 (doc. 964/2), il Direttore generale dell'Arpa Veneto, Loris Tomiato, ha comunicato a questa Commissione di inchiesta che le attività di decommissioning hanno subito un considerevole ritardo a causa della pandemia da Covid l9, in quanto la ditta indiana VIVA, assegnataria degli impianti, non ha potuto far arrivare in Italia proprio personale proveniente dall'India, paese di destino finale degli impianti. La presenza del personale dall'India si rende necessaria per completare le attività di scanning degli impianti al fine di poterli rimontare nel luogo di destinazione.
  Solo a fine settembre 2021 sono stati assegnati i primi visti dall'ambasciata italiana al personale indiano di VIVA, che quindi – con Pag. 41il rispetto delle norme anti Covid imposte – a partire dal mese di ottobre 2021 sta giungendo in Italia.
  In data 20/10/2021 con nota prot. ARPAV 94551 la ditta VIVA ha ufficializzato un nuovo cronoprogramma delle attività di decommissioning.
  In sintesi, conclude la relazione dell'ARPA sopra richiamata – sempre che tutto il personale necessario dall'India riesca ad arrivare in Italia – il cronoprogramma della società VIVA prevede la conclusione delle attività di decommissioning entro il mese di dicembre 2022.
  Infine, con nota in data 19 ottobre 2021 (doc. 964/3), VIVA ha rappresentato una stima in percentuale dello stato di avanzamento dei lavori in corso:

   percentuale di scollegamento elettrico di tutte le attrezzature e apparecchiature: 75 per cento;

   percentuale di drenaggio di tutti gli impianti: 68 per cento;

   percentuale di smontaggio di tutti gli impianti: 30 per cento.

  Relativamente alla spedizione alla spedizione degli impianti e delle attrezzature già smantellate, la società VIVA, con la nota anzidetta, ha comunicato che sono state già effettuate due spedizioni presso il nuovo sito industriale indiano, per un totale di 18 containers e che è in corso una terza spedizione di 10 containers già pronti e in attesa del completamento dell'iter amministrativo per l'esportazione.

13. Situazione dei terreni posti al di sotto degli impianti.

  Il sito della Miteni è stato caratterizzato in più fasi, la prima nel 2014-2015, dopo la messa a punto delle metodiche per analizzare i composti perfluoroalchilici e gli altri composti previsti dal piano di caratterizzazione. I sondaggi eseguiti nelle aree interne non avevano posto in evidenza, per i terreni, superamenti delle CSC per le sostanze tabellate nel decreto legislativo n. 152 del 2006 e ricercate in sito, mentre avevano evidenziato una presenza di sostanze perfluoroalchiliche (non normate), sebbene in concentrazioni inferiori ai limiti del parere rilasciato dall'ISS nel 2015 e limitato al solo composto PFOA.
  Successivamente, a fine dicembre 2016, a seguito di ulteriori accertamenti documentali e verifiche di tipo geognostico, era stata richiesta, un'integrazione al piano di caratterizzazione che comprendeva alcune aree interne al sito e le aree sull'argine del torrente Poscola.
  Tali indagini hanno portato al ritrovamento di rifiuti sull'argine dello stesso. Sono state quindi richieste ulteriori indagini all'interno del sito e, rifacendosi ad una delibera della giunta regionale del 2017, si è richiesta una densità di campionamento, che prevedeva un sondaggio ogni 10 metri.
  Negli anni 2017-2018 è stato quindi richiesto alla ditta di realizzare ulteriori sondaggi/trincee. Dapprima, è stata indagata (luglio 2017), con la densità sopra indicata, una area posta a Sud dei reparti corrispondente alla zona dove in passato (anni Settanta) venivano presumibilmente interrati dei rifiuti. I sondaggi eseguiti non hanno posto in evidenza la presenza di rifiuti in quelle aree.Pag. 42
  Ai fini di procedere con la nuova caratterizzazione, considerando la presenza di infrastrutture e le attività industriali in essere nello stabilimento, il sedime della ditta è stato suddiviso in sub aree da indagare con un differente grado di priorità, iniziando dalle zone con la presenza di impianti e dove era maggiore la contaminazione nelle acque di falda. Come densità di campionamento si è richiesto un sondaggio con maglia 10 metri x 10 metri nelle zone con gli impianti (compatibilmente con la presenza delle infrastrutture e sottoservizi) e, inizialmente, un sondaggio ogni 35 metri nelle aree adibite a parcheggio e mai interessate delle attività produttive.
  Complessivamente sono stati realizzati circa 250 punti di indagine suddivisi tra sondaggi/piezometri e trincee comprensivi anche dei punti realizzati per la barriera idraulica. Da ogni punto di indagine sono stati prelevati dei campioni di cui ne sono stati analizzati circa 520. Attualmente, quindi il sito risulta essere stato indagato nelle aree non adibite agli impianti e, nell'area degli impianti, laddove non erano presenti infrastrutture e sottoservizi.
  Al termine della dismissione degli impianti potrà essere effettuata una caratterizzazione più fitta, in particolare nei terreni sottostanti gli impianti medesimi (cfr. relazione ARPAV del 7 dicembre 2020, pag.7, in doc. n.ro 737/2).
  Per riassumere i risultati analitici si è fatto riferimento a quanto trasmesso dalla società AECOM Urs Italia nel documento «Analisi di rischio sanitario ambientale» presentato a dicembre 2019.
  Complessivamente, nei terreni insaturi superficiali e profondi, sono stati rinvenuti dei superamenti per alcuni metalli, idrocarburi, alcuni composti della famiglia dei benzotrifluoruri, esaclorobenzene, un composto clorurato, PFOA e PFOS. Per i composti appartenenti alla famiglia dei benzotrifluoruri, il PFOA e il PFOS sono stati applicati i limiti come proposti dal parere ISS n. 3994/2018, per i restanti composti sono stati applicati i limiti previsti dal decreto legislativo n 152 del 2006.
  All'interno del procedimento amministrativo è stata presentata un'analisi di rischio che, attualmente, non è ancora stata approvata in quanto sono stati richiesti ulteriori approfondimenti legati soprattutto al calcolo di parametri sito specifici necessari per definire le CSR (concentrazioni soglia di rischio) applicabili nel sito.
  Dall'elaborazione del rischio sopra citata, allo stato attuale, la contaminazione riguarderebbe prevalentemente i suoli profondi (8 aree individuate tramite i poligoni di Thissen), interessando in alcuni punti anche i suoli superficiali (5 aree individuate tramite i poligoni di Thissen). Occorre precisare che la contaminazione riguarda zone di limitata estensione. I suoli superficiali risultano essere contaminati da mercurio, PFOA e PFOS; negli strati più profondi si aggiunge anche la contaminazione da BTF, esaclorobenzene e 1,1,2,2-Tetracloroetano (rilevato in una sola area). La concentrazione massima misurata in un punto di PFOA è di circa 450 mg/kg.
  Le evidenze analitiche nelle acque e le caratteristiche chimico-fisiche delle sostanze, cioè l'elevata solubilità e mobilità, hanno reso necessario calcolare dei parametri sito specifici di dettaglio. Le concentrazioni misurate nei terreni, infatti, ancorché inferiori alle CSC Pag. 43come proposte dal parere ISS, potrebbero determinare alte concentrazioni nelle acque.
  Le indagini finora condotte non hanno evidenziato l'ulteriore presenza di rifiuti e le aree più impattate risultano essere quelle poste sotto vecchi impianti o parti di impianto non più in utilizzo nonché alcune aree sull'argine del torrente Poscola.
  Infine, il procuratore della Repubblica in Vicenza, nel corso della sua audizione in data 8 luglio 2021, ha riferito di una segnalazione del NOE di Treviso, che il suo ufficio stava verificando, concernente l'interramento di una «cisterna», il cui contenuto era sconosciuto, «attraverso l'uso di apparecchiature idonee».

14. La situazione attuale.

  Riassuntivamente, all'esito di tutta l'attività che è stata svolta, soprattutto da ARPAV, di rilevazione del livello della contaminazione, si può affermare che è in corso una lenta attenuazione dell'inquinamento, tenuto conto del fatto che si tratta di un inquinamento, soprattutto in tema di PFAS, che si è protratto dal 1966 al 2013. Adesso è cessata ogni nuova immissione, ma rimane il problema, che era già stato posto in evidenza nelle precedenti relazioni, costituito da tutta quella massa di inquinanti che sono stati storicamente interrati nel sito ove insiste la Miteni.
  Questo deposito interrato viene continuamente dilavato dal movimento della falda che si alza e si abbassa sotto lo stabilimento industriale, che si trova sopra una falda molto importante.
  Di conseguenza, il ciclico movimento della falda, che in modo continuativo porta al lavaggio del deposito di rifiuti, è destinato ad alimentare ancora per molto tempo l'inquinamento dell'area.
  Tuttavia, il dato di rilievo è che vi è una progressiva attenuazione di questo storico inquinamento, che quindi avviene da moltissimi anni. Si sono ridotte le concentrazioni di PFOS (acido perfluorottansolfonico) e di PFOA (acido perfluorottanoico), a partire dal 2017 su tutti i territori che sono stati monitorati, ma nonostante questa riduzione viene mantenuta una criticità con alcuni valori di picco, pur se vi sono dei trend decrescenti un po' su tutta l'area.
  Vi è inoltre ancora una residua concentrazione di GenX e di cC6O4.
  Le sostanze che sono oggetto di inquinamento da PFAS si trovano praticamente ovunque nell'area di interesse, perché sono disciolte all'interno dell'acqua della falda sotto gli impianti. Quindi si trovano nelle aree a valle rispetto a quelle dalle quali è partita la contaminazione, nonché su tutti i terreni superficiali, sui terreni profondi e sotto le porzioni dell'argine del bosco, a fianco della Miteni.
  In sostanza, gli inquinanti si trovano assorbiti su tutti i terreni a causa dell'innalzamento e abbassamento del livello di falda e sono stati trovati anche in forma di vapore nei pori interstiziali del terreno.
  Le aree con le maggiori concentrazioni di inquinanti nella falda sono quelle che si trovano sotto al reparto dei perfluorati che adesso non è più in funzione, ma che è stato un reparto fondamentale all'interno della Miteni e poi nell'area a monte dell'impianto, che trattava i benzotrifluoruri.
  Questo inquinamento è grandemente esteso, a causa di questo assetto idrogeologico particolare che ha l'area e che è particolarmente Pag. 44vulnerabile. Vi sono tutta una serie di collegamenti tra i canali sotterranei e la falda, che ha consentito un'estensione dell'inquinamento. In più vi sono le caratteristiche di questi composti chimici che hanno un'elevatissima mobilità nell'acqua, non sono per niente biodegradabili, possono vivere fino a novanta anni e l'inquinamento è partito dal 1966. Quindi il disastro è stato decisamente molto importante.
  L'impianto industriale Miteni sorge su un punto specifico dove si ricarica la falda, quindi la situazione è effettivamente molto grave. Per quello che riferisce Arpa Veneto, le acque sotterranee sono quelle più inquinate e si arriva a circa un'area di 180 chilometri quadrati di plume inquinante.
  Si tratta di un fenomeno di rilevanza europea ha efficacemente rilevato la dott.ssa Orietta Canova, nel corso della sua audizione.

15. Progetti di bonifica dei terreni (ossidazione chimica e desorbimento termico).

  È stata progettata dalla ICI una palancolatura fisica sul lato orientale, che partirà da Nord e arriverà a Sud. Si tratta di lastre di acciaio che verranno infisse fino a sedici metri di profondità, ciò al fine di impedire, in primo luogo, all'acqua di versante, all'acqua del fiume Poscola (il torrente che costeggia il sito, lambisce il sito) di entrare al di sotto del sito, quindi, di evitare che acqua pulita entri sotto il sito per poi trovarla nei pozzi e doverla pompare, emungere e trattare.
  In secondo luogo, la barriera è destinata ad impedire, in casi di squilibrio di livelli, la fuoriuscita di contaminanti già dissolti al di sotto dello stabilimento e permetterà di ottimizzare quelle azioni di emungimento.
  Nel «Progetto di messa in sicurezza operativa delle acque sotterranee», presentato a dicembre 2019, la società Aecom Urs Italia Spa, ha altresì proposto la realizzazione di due progetti pilota finalizzati alla bonifica della matrice contaminata rappresentata dal terreno saturo.
  Per entrambe le tecnologie non sono ancora stati presentati i progetti di dettaglio relativi alle prove pilota, in quanto prima sono previste delle prove esterne in laboratorio.
  Per la bonifica dei terreni sono state proposte due prove pilota in zone specifiche sorgenti: la prima è l'ossidazione chimica, che opera mediante l'inserimento nel terreno dell'ossidante chimico, che andrà a distruggere direttamente il composto prima che si propaghi.
  La seconda è il desorbimento termico, quindi si andrà a scaldare una porzione di terreno, si aspireranno questi composti e si abbatteranno su un ossidatore catalitico, normalmente usato queste tecnologie di bonifica. Si tratta di tecnologie di bonifica diffuse e consolidate per altri contaminanti, di cui il consulente Aecom Urs Italia Spa, Giacomo Donini, ha riferito nel corso dell'audizione del 28 gennaio 2020.
  Dal MISO risulta in maniera chiara e certa che si tratta di due metodologie, attualmente solo allo stato strettamente sperimentale.
  Invero, ha riferito a sua volta il dott. Hans Roderich Blattner, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Vicenza (cfr. resoconto audizione 22 luglio 2020, pag. 16), che, per quanto riguarda l'ipotesi di deossidazione (che si sostanzia di fatto nella possibilità di immettere all'interno del terreno alcune sostanze finalizzatePag. 45 a rendere inerti i componenti inquinanti, tramite un procedimento di ossidazione in senso stretto), viene detto espressamente all'interno del MISO che verrà fatta un'attività di sperimentale, finalizzata a individuare a monte la sostanza corretta per poter deossidare.
  Invero, sui PFAS non vi è una letteratura talmente avanzata da poter dare degli strumenti certi e idonei per capire quale sostanza sia in grado di deossidare o meno. Quindi, verrà fatta una prima fase sperimentale sia in laboratorio, sia in loco ma – va ribadito – che si tratta di una fase totalmente sperimentale, perché quel sistema ha una serie di problematiche connesse ai luoghi in cui immettere le sostanze, le modalità, la quantità e così via, nonché alla gestione anche dei vapori, perché chiaramente questo tipo di attività chimica produce una serie di effetti tipici dell'evaporazione delle sostanze che devono essere poi convogliate e rese inerti.
  A questo si affiancherà un altro sistema – anche qui viene riportato come ipotesi sperimentale – che verrà messo in pratica sia in laboratorio, sia sul sito della Miteni del desorbimento termico, che potenzialmente potrebbe accompagnarsi a quella della deossidazione.
  In via esemplificativa, si tratta di scaldare sostanzialmente con un metodo conduttivo – quindi con un sistema che conduce calore all'interno del terreno – le zone inquinate di tale terreno per fare sublimare o evaporare le sostanze, le quali vengono a loro volta convogliate per essere liquefatte e poi smaltite in maniera ordinaria.
  Tuttavia – ha ribadito il dott. Blattner – lo stato attuale di queste prospettive per la bonifica rimane ancora sperimentale.
  In realtà, se si guarda bene il progetto di bonifica presentato da Ici Italia 3 Holding srl, per la bonifica dei terreni, va detto che, comunque, non è un progetto bonifica vera e propria, ma una messa in sicurezza; sostanzialmente, il progetto sembra dare molto importanza all'analisi di rischio, che potrebbe portare ad una semplice messa in sicurezza dell'intera area, senza un'effettiva bonifica dei terreni inquinati, mediante la loro asportazione.
  Si ritiene, quindi, il progetto di bonifica presentato non adeguato alla reale bonifica del sito.

16. La problematica della contaminazione del percolato e delle falde sotto le discariche venete.

  Da circa 2 anni, e precisamente dal 1° gennaio 2018, l'Arpa del Veneto, su richiesta della Regione Veneto, ha iniziato il monitoraggio dei PFAS su tutte le discariche del Veneto, prelevando campioni di percolato e campioni di acque sotterranee dai piezometri di controllo delle discariche, con frequenza circa trimestrale.
  I risultati del monitoraggio mettono in evidenza la forte presenza di PFAS nei percolati delle discariche e la contaminazione da PAFS nelle acque di falda ad opera del percolato che si infiltra nelle acque sotterranee sottostanti a causa della non completa tenuta dell'impermeabilizzazione del fondo della discarica.
  La presenza di PFAS nei percolati delle discariche è dovuta allo smaltimento in esse di rifiuti che contengono PFAS, in particolare i fanghi di depurazione residui dal trattamento delle acque reflue industriali trattate negli impianti di depurazione veneti. I PFAS contenutiPag. 46 nelle acque di scarico, acque derivanti dall'utilizzo delle falde venete già contaminate da PFAS, quando giungono agli impianti di depurazione non riescono ad essere eliminati per l'inefficacia degli impianti di depurazione, e così in parte vengono nuovamente scaricati nei corsi d'acqua dove recapitano gli scarichi degli impianti di depurazione e in parte si concentrano nei fanghi di depurazione, i quali poi vengono smaltiti nelle discariche. A loro volta, i PFAS contenuti nei fanghi depositati in discarica si trasferiscono nel percolato che si origina dal loro dilavamento con le acque meteoriche e quindi poi passano nelle sottostanti falde per la non tenuta del fondo delle discariche.
  Esiste in proposito un report predisposto dall'Arpa del Veneto che riporta i dati di contaminazione da PFAS sia nei percolati, sia nei piezometri delle discariche venete.

17. L'origine e la contaminazione nella regione Piemonte.

  La contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche nella regione Piemonte è originata ed è una diretta conseguenza della produzione di PFAS svolta dalla società Solvay nello stabilimento di Alessandria, sito nella frazione di Spinetta Marengo.
  La Solvay è produttrice ed utilizzatrice di PFAS nei suoi processi produttivi sin dagli anni Novanta.
  L'inquinamento da PFAS che si diparte dallo stabilimento Solvay di Spinetta Marengo si è propagato sia attraverso le acque sotterrane, sia attraverso le acque superficiali per centinaia di chilometri di distanza fuori del territorio di Alessandria.
  La barriera idraulica realizzata da Solvay per contenere l'inquinamento dei PFAS, che contaminano la falda sottostante lo stabilimento, non è efficace e non riesce a bloccare il flusso di acqua sotterranea contaminata da PFAS, che quindi fluiscono attraverso la barriera e si diffondono a chilometri di distanza nei territori a valle dello stabilimento.
  Gli scarichi delle acque reflue, notevolmente inquinate da PFAS, che dallo stabilimento vengono scaricati nel fiume Bormida, poi si riversano nel fiume Po, veicolando i PFAS a molti chilometri di distanza.
  Il cC6O4, che può provenire solo dallo stabilimento Solvay, è addirittura stato riscontrato in notevoli concentrazioni nel fiume Po a 230 chilometri di distanza da Spinetta Marengo.
  Nel capitolo seguente, si dettaglierà la situazione della contaminazione da PFAS prodotta dallo stabilimento Solvay.

18. Il sito della Solvay di Spinetta Marengo, la produzione di PFAS e i sistemi di contenimento della contaminazione delle matrici ambientali.

  Il gruppo Solvay è una multinazionale che opera nel settore della chimica, con sede a Bruxelles. Il gruppo è attivo in 55 Paesi con una forza lavoro di 29.000 unità.
  Nel 2002, Solvay ha acquisito dalla Montedison (Ausimont) gli stabilimenti industriali di Spinetta Marengo.Pag. 47
  Nel 2008, le indagini del NOE portano all'incriminazione dei vertici di Ausimont e di Solvay ‎Specialty Polymers per l'avvelenamento doloso delle acque, previsto dall'articolo 439 del Codice penale, che la corte di assise di Alessandria, con sentenza del 14 dicembre 2015, derubricava nel reato di disastro ambientale innominato colposo, con effetti permanenti, di cui all'articolo 449 del Codice penale.
  Punto di partenza, per comprendere lo stato si inquinamento del sito di Spinetta Marengo, è la sentenza della Corte di Cassazione n. 13843 del 2020, pubblicata il 7 maggio 2020 (doc. 882/2), che – nel confermare la sentenza della corte di assise di appello di Torino del 20 giugno 2018, a sua volta confermativa della sentenza della corte d'assise di Alessandria del 14 dicembre 2015 – ha ritenuto gli imputati responsabili del reato di disastro ambientale, nella loro qualità di dirigenti della Solvay Specialty Polymers Italy Spa, confermando la sentenza della corte torinese.
  In conclusione, i ricorsi degli imputati contro la sentenza della corte d'appello di Torino sono stati rigettati dalla Corte di Cassazione.
  Pertanto, è divenuta definitiva la condanna degli imputati, nella loro qualità di gestori dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo, a pene detentive, con il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena.
  È divenuta altresì definitiva la condanna degli stessi imputati, in solido con il responsabile civile Solvay Specialty Polymers Italy s.p.a., al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili: 1) Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, da attuarsi nelle forme previste dall'articolo 311 decreto legislativo n. 152 del 2006; 2) Comune di Alessandria; 3) Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta Onlus; 4) WWF Italia Onlus; 5) C.G.I.L. Camera del Lavoro Territoriale di Alessandria; 6) Medicina Democratica, Movimento di Lotta per la Salute, società cooperativa; 7) Associazione I due Fiumi Erica – Pro Natura – Alessandria 8) singoli privati, meglio specificati nella sentenza impugnata.
  Le condotte contestate sono le seguenti:

   1. omessa manutenzione della rete idrica dello stabilimento;

   2. omessa segnalazione alle autorità competenti della portata reale dell'inquinamento;

   3. omessa adozione di qualsiasi opera rivolta ad eliminare, ridurre, confinare e contenere l'inquinamento in atto;

   4. la perdurante somministrazione dell'acqua emunta dalla falda sottostante allo stabilimento alle abitazioni limitrofe e ai dipendenti.

  Le indagini traevano origine dalla relazione dell'Arpa Piemonte del 20 maggio 2008, che – con riferimento alla falda acquifera superficiale – conteneva le seguenti conclusioni, rilevando due criticità:

   lo stato qualitativo altamente compromesso delle parti centrale e settentrionale dello stabilimento per cromo esavalente, sommatoria di organoalogenati e solventi clorurarti, come desumibile dall'esito delle analisi chimiche;

   l'inquinamento da cromo e da solventi clorurati, localizzato nella zona esterna e a nord allo stabilimento, esteso fino alla cascina Pag. 48Pederbona, nonché modesti superamenti di CSC per cromo e solventi clorurati a sud dello stabilimento.

  Con riferimento alla falda profonda, l'Arpa rilevava:

   a) l'inquinamento da cromo e solventi clorurati nella zona Nord dello stabilimento;

   b) la falda profonda attinta all'esterno sia dai solventi clorurati (cloroformio, tricloroetilene, tetracloroetilene), in concentrazione ancora sotto la soglia rispetto al decreto legislativo n. 152 del 2006, sia dal cromo esavalente, in concentrazione di modestissimo superamento delle soglie di legge;

   c) la falda attinta nei pozzi privati della cascina Pederbona (profondi novanta metri) a Nord-Ovest del sito Solvay da cromo in concentrazioni lievissimamente superiori alla soglia di legge.

  Viceversa – a dimostrazione del fatto che le sostanze inquinanti si distribuiscono non in modo uniforme nella falda – l'Arpa considerava la falda sottostante allo stabilimento e quella fluente nella zona Nord-Ovest fino al fiume Bormida fortemente inquinata dalle sostanze più rilevanti sotto il profilo del potenziale tossico e/o cancerogeno (in particolare, cromo esavalente, cloroformio, tetracloruro di carbonio, tricloroetilene, tetra-cloro-etilene, 1.2. di- cloroetilene, fluoruri).
  La ragione di ciò stata probabilmente nel fatto che l'Arpa individuava una delle principali cause di inquinamento dell'acquifero nell'enorme massa di residui di lavorazione contenenti cloro e altri metalli pesanti ammonticchiati per lunghissimi anni nelle discariche, site all'interno dello stabilimento (autorizzate solo per rifiuti speciali e non per rifiuti tossico-nocivi) e in numerose altre aree del sito industriale, come da accertamenti della ENSR, società di consulenza ambientale.
  I contaminanti attaccavano per contatto il terreno e da questo passavano in falda attraverso la lisciviazione o la solubilizzazione dei rifiuti depositati, con picchi di sostanze inquinanti nei diversi punti della falda.
  Sin dal 2001 la ENSR aveva constatato la presenza di tali due fenomeni. Nel documento di analisi dei rischi del 2006, si evidenziava che il dilavamento era fortemente influenzato dall'alto piezometrico, a sua volta determinato dalle perdite delle reti idriche industriali.
  Dalle risultanze degli studi effettuati dalla Ausimont e dalla Solvay emergeva l'esistenza di collegamenti tra la falda freatica e l'acquifero profondo.
  Sotto il profilo giuridico, va detto che la corte di assise di Alessandria condivideva l'impostazione del pubblico ministero circa la natura permanente del reato, avendo rilevato, da un punto di vista naturalistico, una contaminazione della matrice d'acqua costante e in progressiva estensione di area e, pertanto, confutava la tesi difensiva dell'istantaneità e della mera permanenza degli effetti.
  L'organo giudicante sosteneva che, a fronte di conclamate esportazioni di inquinante in falda del sito, il mancato intervento e «il ritardo dell'opera di bonifica, mediante menzogne e silenzi, equivalevano a produrre contaminazione e ad aggravarla».Pag. 49
  Il giudice di primo grado, come si è detto, riteneva il reato di cui all'articolo 449 del Codice penale di pericolo presunto, posto a tutela dell'incolumità pubblica, e circoscriveva l'oggetto della tutela penale all'acqua destinata all'alimentazione.
  Del resto, la falda era sottostante all'abitato e all'area industriale di Spinetta e il terreno circostante era destinato in via attuale all'alimentazione umana.
  A sua volta, nel configurare un'ipotesi di disastro ambientale, solo colposo, la corte di assise di appello ha richiamato i dati e le cause dell'inquinamento, il livello di quest'ultimo e le modalità di diffusione dei contaminanti: dai rifiuti tossico-nocivi appoggiati senza protezione ovvero con insufficiente protezione al terreno e da questo per lisciviazione e solubilizzazione trasmesso alla sottostante falda superficiale, fino a raggiungere la falda profonda.
  I valori delle sostanze tossiche e/o cancerogene derivanti dal processo chimico-industriale risultavano più volte moltiplicati rispetto ai limiti normativi previsti per le singole sostanze.
  I superamenti, riscontrati nella falda sottostante lo stabilimento, non erano modesti, bensì spesso eccezionali, ben oltre l'ordine di grandezza tollerato, non solo del limite tabellare (oltrepassato centinaia o migliaia di volte), ma anche di quello calcolato come dose accettabile.
  Infine, sulla responsabilità della Solvay, la corte d'assise d'appello di Torino, nella sentenza impugnata, rilevava che la bonifica non era stata completata e che i seguenti interventi attuati dalla Solvay erano stati insufficienti: a) l'installazione di una barriera idraulica composta da 32 pozzi di emungimento in grado di prelevare oltre 350 mc/h di acqua da inviare e inviata all'impianto di trattamento; b) l'installazione di alcuni presidi di pompaggio; c) l'intervento di riduzione chimica dei solventi clorurati.
  L'evento naturalistico diacronico, tipico del disastro innominato, significa un lento processo di contaminazione della matrice ambientale, attraverso la lisciviazione e la solubilizzazione delle sostanze tossiche presenti negli enormi cumuli di scarti di lavorazione che penetrano nel terreno e, quindi, nell'acqua di falda, senza alcuna soluzione di continuità.
  Tale evento è inevitabilmente collegato alla condotta umana e, in quanto tale, «eventualmente permanente», in cui l'offesa si protrae nel tempo, in dipendenza della condotta dell'agente.
  Partendo da tale qualificazione del reato, e cioè di reato di condotta – e non già di evento – ma con effetti permanenti, il dies a quo della prescrizione del reato veniva individuato dai giudici del merito – e poi anche dal giudice di legittimità (la Corte di Cassazione) – nel momento in cui ciascun imputato cessava dalla funzione ricoperta nella Solvay, nella qualità di gestore pro tempore dello stabilimento.
  I dati della contaminazione non erano contestabili, perché riportati proprio dalle aziende e dai loro consulenti ambientali:

   a) la contaminazione della falda acquifera si era spinta fino a settanta metri di profondità, come risultava dalle analisi e dalle relazioni del geologo dr. Mauro Molinari, incaricato dalla Montefluos, società della Montedison;

Pag. 50

   b) il duomo piezometrico esisteva da decenni, si era incrementato e aveva contribuito al processo di contaminazione delle acque, non rilevando la sua origine artificiale e non naturale;

   c) i soli soggetti che dovevano indicare e attuare gli interventi erano i proprietari del sito industriale contaminato o i loro dirigenti, mentre gli enti, preso atto delle comunicazioni della proprietà, erano deputati al controllo della procedura.

  I quattro pozzi-barriera installati nel 2004 intercettavano il 3,75 per cento della portata. Solo in epoca più recente la barriera era composta da trentadue pozzi, con capacità di captazione dell'87,5 per cento della portata e, ciò nonostante, ne veniva prefigurato il completamento della bonifica nel 2029.
  Sin dagli anni Novanta si indicava la situazione dei terreni contaminati, al netto delle discariche, in duecentocinquantamila metri cubi di terreno, con concentrazioni superiori al limite di legge, per tossico-nocivo, centomila metri cubi per terreno oltre i limiti del decreto ministeriale n. 471 del 1999, centocinquantamila metri cubi di terreno contaminato.
  A fronte di una gravissima contaminazione del sito e della zona limitrofa, nessun intervento era stato attuato per contenerla, diminuirla o eliminarla, per cui il giudizio controfattuale si risolveva nella constatazione della totale mancata adozione di rimedi a fronte delle innumerevoli soluzioni adottabili.
  Stabilito tutto ciò sulla base di sentenze ormai definitive, aggiunge poco la trasmissione televisiva di Report del 2 dicembre 2019, se non che la Solvay e – dapprima – dal 1946 la Montecatini hanno fornito, quantomeno fino al 2008, acqua potabile ai residenti di Spinetta Marengo, all'insaputa di Amag, l'ente preposto alla distribuzione dell'acqua nel territorio alessandrino, oltre che di Arpa Piemonte e del Comune di Alessandria.
  Su tale fatto si era già pronunziata la corte d'assise di Alessandria con la sentenza del 14 dicembre 2015, acclarando la perdurante somministrazione dell'acqua emunta dalla falda sottostante allo stabilimento alle abitazioni limitrofe e ai dipendenti.
  Fin qui si parlato della contaminazione storica del sito, che – come si è visto – non comprende l'inquinamento derivante dalla produzione di PFAS, ma solo l'inquinamento da cromo esavalente, da cloruri e fluoruri.
  Sul punto, va ricordato che, oltre ai composti clorurati, lo stabilimento della Solvay di Spinetta Marengo, frazione di Alessandria, è l'unico in Italia a produrre PFAS, dopo che l'altro sito di produzione di PFAS, la Miteni di Trissino (VI), ha chiuso l'attività.
  Peraltro, la Solvay è produttrice e utilizzatrice di PFAS nei suoi processi produttivi sin dagli anni Novanta.
  Tra i PFAS prodotti nello stabilimento di Spinetta Marengo vi è anche il nuovo PFAS emergente cC6O4, un PFAS di nuova generazione, con brevetto Solvay Speciality Polimers Italy.
  Quest'ultima produzione, che finora aveva una potenzialità di 40 tonnellate/anno, è stata recentemente aumentata a 60 tonnellate/anno.
  Questo nuovo PFAS sostituisce il PFOA, utilizzato fino dagli anni Ottanta del Novecento, che è stato tolto dalla produzione a partire dal 2013.Pag. 51
  Permangono comunque ancora quantità residuali di PFOA nelle acque di falda utilizzate dallo stabilimento come raffreddamento e successivamente scaricate nel fiume Bormida.
  Così come è avvenuto per il sito della Miteni di Trissino, anche il sito della Solvay di Spinetta Marengo rappresenta una fonte notevole di contaminazione sia per le acque sotterranee, sia per le acque superficiali.
  La falda sotterranea sotto lo stabilimento è contaminata in particolare da PFOA e da cC6O4.
  La barriera idraulica predisposta da Solvay per bloccare la veicolazione dell'inquinamento nelle acque sotterranee non è efficace, talché la contaminazione si sta diffondendo nelle falde a valle dello stabilimento.
  Non meno preoccupante è l'inquinamento delle acque superficiali, a partire da quelle del fiume Bormida, dove la Solvay scarica le acque reflue contenenti i PFAS senza effettuare nessun trattamento per ridurne la quantità.
  La contaminazione delle acque del Bormida a valle dello stabilimento, riscontrata dai campionamenti effettuati da Arpa, è risultata notevolmente alta, in particolare per la presenza della nuova molecola cC6O4, che ha sostituito il PFOA, ma le acque risultano anche contaminate da forte presenza di PFOA. La contaminazione delle acque del Bormida a valle dello stabilimento proviene dallo scarico delle acque reflue, risultate anch'esse con alte concentrazioni di PFAS e scaricate senza previo trattamento.
  I dati sopra richiamati sono riportati nella relazione dell'Arpa Piemonte, datata 31/10/2019, inviata a questa Commissione di inchiesta, riguardante il monitoraggio sul polo chimico di Spinetta Marengo e il monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee (doc. n. 376/2).
  Non si hanno nuovi dati successivi a questa relazione. E' necessario, quindi, un aggiornamento sia sullo stato attuale della contaminazione, sia in particolare sugli eventuali presidi che la Solvay ha adottato o intende adottare per bloccare l'inquinamento della falda e per eliminare o ridurre i PFAS nelle acque di scarico, prima del loro recapito nel Bormida.

19. La situazione attuale e le contraddizioni dell'AIA rilasciata alla Solvay dalla Provincia di Alessandria.

  Da notizie di stampa in data 12/13 febbraio 2021 si apprendeva che dirigenti e direttori della Solvay risultavano indagati dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Alessandria per i reati di omessa bonifica e disastro ambientale (artt. 452-quater del Codice penale e 452-terdecies del Codice penale), circostanza che veniva confermata dallo stesso procuratore della Repubblica, dott. Enrico Cieri, con nota in data 9 marzo 2021 (doc. 806/2).
  Il procedimento penale contro dirigenti e direttori della Solvay era stato iscritto (n. 2955/2020 R.G.N.R. modello 21) all'esito della definitiva condanna di Solvay per il reato di disastro ambientale, come da sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 7 maggio 2020, sopra richiamata, e a seguito dei successivi accertamenti dell'Arpa di Alessandria, nonché di numerosi esposti di associazioni ambientaliste e comitati cittadini.Pag. 52
  Invero, gli accertamenti dell'Arpa e gli esposti delle associazioni ambientaliste avevano segnalato la presenza di cC604 (molecola appartenente alla categoria degli PFAS e brevettata dalla Solvay, dapprima, prodotta nello stabilimento Miteni di Trissino e dal 2013 nello stabilimento di Spinetta Marengo) nell'area esterna allo stabilimento e nella falda acquifera sottostante, pur nel contesto di un inquinamento storico del sito.
  Ad avviso della procura della Repubblica in Alessandria, la presenza di cC604 costituiva prova dello sversamento nel terreno di sostanze chimiche ed era indice della imperfetta tenuta sia delle tubature dello stabilimento, sia della barriera idraulica, in violazione delle prescrizioni di bonifica ambientale.
  Pertanto, oggetto del procedimento penale è la verifica della situazione attuale dell'inquinamento dell'area di Spinetta Marengo e delle zone attigue, derivante dalle produzioni chimiche dello stabilimento Solvay: in particolare, la verifica riguarda lo stato e la tenuta degli impianti dello stabilimento (circa 50 km di tubazioni delle acque di processo, di raffreddamento, fognarie e di depurazione), nonché la tenuta della barriera idraulica predisposta dalla Solvay per depurare le acque di falda.
  Le indagini erano state delegate al NOE dei Carabinieri di Alessandria e la procura ha nominato due consulenti tecnici.
  Il giorno 11 febbraio 2021 è stata disposta l'ispezione e la perquisizione dello stabilimento ed sono in corso gli accertamenti chimici sui reperti prelevati e gli ulteriori accertamenti sul materiale anche documentale, che è stato oggetto di sequestro.
  A sua volta, l'Arpa Piemonte, richiesta di fornire informazioni in ordine alla situazione che si era venuta a creare all'interno delle aree dello stabilimento Solvay, ha risposto con nota del 9 marzo 2021 che le attività condotte dal personale tecnico di Arpa Piemonte sono consistite nel prelievo di campioni di matrici ambientali, in particolare, acque reflue, acque sotterranee e rifiuti.
  Le attività analitiche sono state svolte presso i laboratori dall'Agenzia e risultavano ancora in corso. Gli esiti analitici, coperti dal segreto istruttorio, sarebbero stati comunicati alla procura della Repubblica, non appena disponibili (doc. 802/2).
  A sua volta, l'ingegner Andrea Diotto, Direttore dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo, convocato avanti a questa Commissione in audizione fissata per il 17 marzo 2021, nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione stava svolgendo sul fenomeno dell'inquinamento da «PFAS» e avente a oggetto le «attività svolte dallo stabilimento di Spinetta Marengo», non è comparso davanti a questa Commissione di inchiesta. Faceva scrivere ai propri avvocati difensori, i quali segnalavano: 1) che il proprio assistito risultava attualmente sottoposto a indagini preliminari nell'ambito del procedimento penale n. 2955/2020 R.G.N.R., incardinato presso la procura della Repubblica di Alessandria per i reati di disastro ambientale (art. 452-quater del Codice penale) e di omessa bonifica (art. 452-terdecies del Codice penale), in relazione a una ipotesi di inquinamento, anche da PFAS, che le autorità inquirenti riconducevano all'attività dello stabilimento di Spinetta Marengo; 2) che pertanto il loro assistito si avvaleva della facoltà di non rispondere alle domande di questa Commissione di Pag. 53inchiesta, ai sensi dell'articolo 64, comma 3 lett. b) del Codice di procedura penale (doc. 805/1).
  Allo stato attuale, dalle notizie che si hanno, in parte ricavabili da articoli di stampa agli atti della Commissione, risulta che è stato autorizzato l'aumento della produzione di cC6O4 da 40 a 60 tonnellate/anno, nonostante sia stata riscontrata la presenza di questo PFAS in un pozzo di acqua potabile del comune di Montecastello, distante circa 10 km dallo stabilimento, pozzo che è stato chiuso per precauzione dal gestore AMAG Reti Idriche.
  Sembrerebbe che il cC6O4 sia arrivato nella zona di Montecastello con l'alluvione dell'autunno del 2020.
  In ogni caso, la situazione della contaminazione ambientale è preoccupante, poiché allo stato attuale è stata accertata la contaminazione della falda e la contaminazione delle acque del fiume Bormida con i PFAS provenienti dallo stabilimento Solvay, ma non risulta ad oggi nessun progetto per realizzare efficaci impianti di trattamento per la riduzione dei PFAS presenti nelle acque reflue scaricate nel Bormida, né risultano progetti chiari di implementazione dell'efficacia della barriera idraulica, che serve a bloccare l'inquinamento da PFAS nelle acque sotterranee, che al momento si sta diffondendo proprio a causa dell'inefficienza della barriera.
  Anzi, la situazione sembra indirizzarsi verso il mantenimento dello stato di inquinamento, che sembra, altresì, «aiutato» dalla stessa recente autorizzazione AIA, rilasciata dalla Provincia di Alessandria alla Solvay per l'ampliamento della produzione di cC6O4, in data 26 febbraio 2021 Prot. Gen. N. 20210011988 (doc. 818/3).
  Sull'autorizzazione si riscontrano forti criticità in merito ai limiti imposti allo scarico, che non solo sono troppo alti per poter giungere a bloccare la contaminazione, ma sono stati fissati senza nessun fondamento e per di più in contrasto con la norma del principio di precauzione e in contrasto con i pareri di ISS, di cui al doc. 331/2, e di ISPRA, di cui al doc. 152/3, che suggerivano limiti notevolmente più bassi.
  Questa Commissione ha preso visione dell'anzidetta autorizzazione AIA del 26/02/2021 (Determina n. DDAP2-155-2021), rilasciata dalla Provincia di Alessandria alla Solvay di Spinetta Marengo per la produzione del PFAS denominato cC6O4, per una capacità produttiva di 60 tonnellate/anno.
  Sulla base di quanto visionato, questa Commissione di inchiesta evidenzia alcune criticità, che di seguito vengono esposte:

  A) Limiti sui PFAS agli scarichi delle acque di processo riversate dalla Solvay nel torrente Bormida.

  L'autorizzazione AIA, rilasciata dalla Provincia di Alessandria del 26/02/2021 definisce, per i PFAS prodotti nello stabilimento Solvay, i seguenti limiti allo scarico:

Pag. 54

Tabella limiti allo scarico di cC6O4

Anno

Valori limiti espressi in microgrammi/l (µg/l)

Valori limiti espressi in nanogrammi/l (ng/l)

  Fino al 31 gennaio 2022

  0,9 µg/l, come media annuale nel fiume Bormida a valle del punto di scarico

  900 ng/l come media annuale nel fiume Bormida a valle del punto di scarico

  Dal 1° febbraio 2022
  al 31 gennaio 2023

7

7.000

  Dal 1° febbraio 2023
  al 31 gennaio 2024

3,5

3.500

  Dal 1° febbraio 2024

0,5

500

Tabella limiti allo scarico di ADV 7800

Anno

Valori limiti espressi in microgrammi/l (µg/l)

Valori limiti espressi in nanogrammi/l (ng/l)

  Fino al 31 gennaio 2022

  0,3 µg/l, come media annuale nel fiume Bormida a valle del punto di scarico

  300 ng/l come media annuale nel fiume Bormida a valle del punto di scarico

  Dal 1° febbraio 2022 al 31 gennaio 2023

2

2.000

  Dal 1° febbraio 2023

0,5

500

  Nell'autorizzazione viene chiarito che tali limiti sono stati fissati prendendo a riferimento la bozza del collegato ambientale 2020 «Disegno di legge Green New Deal e Transizione ecologica del Paese» del 25/07/2020. La Provincia, inoltre, afferma che i limiti si basano su studi condotti da ISPRA.
  Su questi limiti, notevolmente alti, si possono fare le osservazioni seguenti:

   â— Non corrisponde al vero che i limiti si basano su studi di ISPRA, come si legge nel documento autorizzativo (AIA), anzi al contrario ISPRA – nell'ambito del gruppo di lavoro istituito presso il Ministero della Transizione ecologica per la definizione dei limiti allo scarico per i PFAS – ha suggerito per queste sostanze un limite tendente «a zero» o quantomeno un limite basato sulle migliori tecnologie di abbattimento, quindi un limite che tende a zero. ISPRA, invero, non ritiene corretto stabilire per i PFAS un limite basato su standard ambientali e fattori di diluizione, in quanto anche rilasci minimi contribuirebbero all'accumulo delle sostanze nell'ambiente. Queste proposte di ISPRA, per altro, sono state rese note alla Commissione di inchiesta nel corso dell'audizione di ISPRA e sono richiamate nel documento di ISPRA rilasciato alla Commissione (doc. 152/3).

   â— Il disegno di legge del collegato ambientale, cui si richiama la Provincia di Alessandria, non è mai stato tramutato in legge, costituiva solo una bozza interna all'ex Ministero dell'Ambiente, mai pubblicata.

   â— I limiti definiti dalla Provincia di Alessandria per gli scarichi della Solvay sono in netto contrasto con i limiti che la Regione Veneto ha imposto agli scarichi della Miteni di Trissino con l'autorizzazione Pag. 55AIA n. 59 rilasciata il 30/07/2014 (doc. 932/2 e doc. 893/2, pagina 82), limiti che la Regione Veneto ha definito sulla base del parere dell'Istituto Superiore di Sanità ISS del 16/01/2014, prot. n. 0001584 (doc. 932/3). Dal confronto tra le due autorizzazioni AIA, si può vedere come il limite sul cC6O4, che ha sostituito il PFOA, è 14 volte più alto rispetto al limite imposto al PFOA dalla Regione Veneto negli scarichi della Miteni (7.000 ng/l contro 500 ng/l). Ora è pur vero che la Regione Veneto non ha compreso, nell'autorizzazione del 2014 i nuovi PFAS, in particolare, il cC6O4 e il GenX, ma ciò è accaduto solo perché, a quella data, entrambe le suddette sostanze non erano ancora note. Comunque, la situazione nel frattempo non è cambiata, poiché il cC6O4 è equiparabile al PFOA, per le caratteristiche di pericolosità.Addirittura, il solo limite al cC6O4, prescritto dalla Provincia di Alessandria alla Solvay, è circa 7 volte più alto del limite complessivo della somma di tutti PFAS che la Regione Veneto ha prescritto alla Miteni (7.000 ng/l contro 1.030 ng/l)(1).

   â— Va posto inoltre in evidenza che fino al 31 gennaio 2022, addirittura, non vengono fissati limiti allo scarico della Solvay, ma solo controlli sulla qualità delle acque del fiume Bormida a valle del punto di scarico. Ciò significa che la Solvay può scaricare con qualsiasi concentrazione, senza rispettare nessun limite al suo punto di scarico, poiché le concentrazioni di PFAS scaricate si diluiranno con l'alta portata dell'acqua del fiume Bormida e quindi si rispetterà facilmente la concentrazione di 0,9 µg/l (900 ng/l) prevista per il fiume. Questo modo di fissare i limiti non è previsto da nessuna normativa e si ritiene un arbitrio da parte della Provincia.

  B) Impianti di trattamento della Solvay per le acque reflue di processo della produzione di cC6O4 e ADV 7800.

  Per il trattamento delle acque reflue di processo contenenti i PFAS, acque che poi vengono scaricate nel fiume Bormida attraverso l'impianto di depurazione consortile CTE, la Solvay ha realizzato tre fasi di trattamento, in serie tra loro:

   1. Chiariflocculazione;

   2. Adsorbimento su resine a scambio ionico;

   3. Finitura con adsorbimento a carboni attivi.

  Con questi tipi di trattamento (resine a scambio ionico e carboni attivi, in serie tra loro), si possono già raggiungere facilmente concentrazioni allo scarico prossime a zero.Pag. 56
  In aggiunta a queste fasi di trattamento, la Solvay prevede l'installazione di un ulteriore impianto di trattamento di «Nanofiltrazione e osmosi inversa vibrata», il cui progetto, con il cronoprogramma per la realizzazione, è stato presentato da Solvay agli enti entro i termini prescritti (31.05.2021), ma l'istruttoria per la sua approvazione è ancora in corso, quindi l'impianto non è stato ancora installato, come comunicato dall'Arpa Piemonte in data 8 ottobre 2021 (doc 960/2).
  Questo ulteriore trattamento garantirebbe ancora di più l'eliminazione completa dei PFAS dagli scarichi recapitanti nel fiume Bormida.
  Pertanto, non si comprende la ragione per cui la Provincia di Alessandria, ha comunque fissato limiti così alti agli scarichi per i due PFAS, nonostante gli attuali impianti di trattamento, siano in grado di garantire concentrazioni finali di cC6O4 e ADV 7800 allo scarico prossime allo zero.
  Sarebbe stato più corretto, come indicato da ISPRA, fissare limiti molto più bassi e prescrivere controlli stringenti sulla gestione degli impianti di trattamento, quali ad esempio la corretta frequenza di sostituzione delle resine e dei carboni attivi, per garantirne il corretto esercizio e mantenerne l'efficacia costante nel tempo.

  C) Validità dell'autorizzazione AIA alla produzione del cC6O4 nello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo.

  L'autorizzazione rilasciata con l'AIA del 26/02/2021 prevede, al punto 1, riportato a pagina 7 dell'allegato AIA, che la produzione di cC6O4 non potrà essere iniziata fino alla completa realizzazione degli interventi per l'eliminazione delle perdite di PFAS dalle tubazioni e per l'eliminazione delle perdite di PFAS dalle emissioni diffuse, oggetto dell'indagine penale da parte della procura di Alessandria. Ciò significa che ancora la produzione di cC6O4 non può essere effettuata.
  In realtà, la produzione di cC6O4 nello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo è in atto dal 2013.
  Non risulta che la Provincia di Alessandria abbia mai controllato, o demandato all'Arpa di controllare, se nello stabilimento la produzione di cC6O4 era in atto prima dell'autorizzazione e da quanto tempo era in atto.
  Su tutte le criticità sopra elencate la Commissione ha chiesto chiarimenti ai rappresentanti della Provincia di Alessandria, nel corso dell'audizione del 28 aprile 2021, ma non è stata fornita alcuna spiegazione plausibile. La Provincia di Alessandria, in sostanza, non ha saputo, né potuto, giustificare il proprio operato.
  Infine, va posto in evidenza che dapprima la Regione Veneto nel 2014 e poi la Provincia di Vicenza nel 2020, rilasciando l'AIA per lo stabilimento della Miteni di Trissino hanno fissato limiti allo scarico notevolmente più bassi, rispetto a quelli fissati dalla Provincia di Alessandria con l'ultima autorizzazione AIA del 2021 rilasciata alla Solvay.

20. La situazione nelle altre Regioni e nel territorio italiano.

  Anche se i casi più gravi di contaminazione da PFAS sono localizzati nella Regione Veneto e nella Regione Piemonte, proprio per la presenza dei due stabilimenti produttivi Miteni di Trissino e Solvay di Spinetta Marengo, la diffusione dei PFAS, comunque, si riscontra in tutto il territorio italiano e, in particolare, nelle Regioni del Nord e nel bacino del Po.Pag. 57
  Ciò è dovuto sia all'utilizzo massiccio di prodotti a base di PFAS e sia allo smaltimento dei rifiuti contaminati da PFAS, in particolare la contaminazione riguarda i fanghi di depurazione delle acque reflue, rifiuti che ormai risultano ampiamente contaminati da PFAS, il cui smaltimento nelle discariche ha prodotto anche la contaminazione delle acque sotterranee che scorrono sotto le discariche.
  Si tratta di un fenomeno preoccupante, che evidenzia come ormai i PFAS sono un problema generale di contaminazione di tutto il territorio italiano, e che, peraltro, non si può risolvere fino a quando lo Stato non fisserà i limiti sulle matrici ambientali (terreni, acque di falda e scarichi), senza i quali non è possibile procedere con le bonifiche delle stesse matrici ambientali ritrovate contaminate.
  Al di fuori delle Regioni Veneto e Piemonte, di cui si è ampiamente riferito, si è riscontrata una situazione di contaminazione principalmente nelle Regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio e Toscana. Ritiene, comunque, la Commissione di inchiesta che non si possa escludere che la contaminazione da PFAS interessi anche le altre Regioni italiane e che anzi sia quasi certo che la contaminazione sia ormai diffusa dappertutto, solo che nelle Regioni diverse da quelle sopra elencate non sono stati effettuati monitoraggi da parte delle Arpa regionali, per mancanza di strumenti di controllo. Infatti, solo poche Arpa dispongono di strumentazione, di metodi analitici e di tecnici esperti per svolgere le analisi di controllo sui PFAS.
  Tale situazione fa emergere ancora una volta la necessità di rafforzare gli strumenti a disposizione delle Arpa per il pieno espletamento delle funzioni di controllo ambientale a cui sono preposte, a partire dal superamento del ritardo nell'emanazione dalla parte del Ministero della Transizione ecologica dei decreti attuativi della legge n. 132 del 2016, istitutiva del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente.
  Sostanzialmente, oltre alla Regione Veneto, che è all'avanguardia per i controlli svolti per la ricerca dei PFAS su tutte le matrici ambientali, esperienza che, purtroppo, si è fatta perché ha dovuto affrontare, per prima in Italia e in Europa, il problema creato dalla Miteni e oltre all'Arpa del Piemonte, che ha dovuto successivamente affrontare il problema dello stabilimento Solvay, le altre Arpa regionali che si sono via via attrezzate per svolgere i monitoraggi sono, sostanzialmente, solo quelle della Lombardia, dell'Emilia e del Lazio, che hanno iniziato i controlli a partire dal 2018.
  La Commissione ha acquisito le relazioni dei monitoraggi svolti e ha anche sentito in merito in diverse audizioni i rappresentanti delle Arpa.
  Di seguito si riportano le valutazioni sui monitoraggi svolti:

20.1 Considerazioni sulla nota dell'Arpa Lazio, datata ottobre 2020, sul monitoraggio dei PAFS nella Regione Lazio – Triennio 2018-2020 (doc. 703/2).

  Il monitoraggio sui PFAS svolto da Arpa Lazio è molto carente e non è sufficiente per fotografare, nella sua realtà, la vera situazione della presenza di PFAS nel territorio laziale.
  L'Arpa con il suo monitoraggio non ha ricercato tutti i 12 PFAS principali che si riscontrano normalmente nelle matrici ambientali, ma ne ha ricercati solo 9. Inoltre, poi, nella relazione ha evidenziato solo i PFAS elencati nella tabella 1B degli standard di qualità ambientale per Pag. 58le acque superficiali, di cui al decreto legislativo n. 172 del 2015, e i PFAS elencati nella tabella 3 del decreto ministeriale 06/07/2016 per le acque sotterranee, che in totale sono solo 6 di numero.
  Non sono stati ricercati nemmeno i 2 nuovi PFAS emergenti, il cC6O4 (sale d'ammonio del perfluoro{acetic acid, 2-[(5-methoxy-1,3-dioxolan-4-yl)oxy]} ed il Gen-X (HFPO-DA o acido 2,3,3,3 – Tetrafluoro- 2-eptafluoropropossipropanoico)
  Inoltre, i limiti di quantificazione (LOQ) dei metodi di analisi utilizzati da Arpa Lazio sono troppo alti, tali che non riescono a rilevare la presenza dei PFAS quando essi sono in concentrazione inferiore a questi limiti di quantificazione.
  Tranne che per il PFOS ed il PFOA, i cui limiti di quantificazione sono adeguati, per tutti gli altri PFAS il limite di quantificazione è 20 ng/l, e addirittura per il PFBA è di 100 ng/l. Questi limiti sono troppo alti, se si confrontano con i limiti di quantificazione dell'Arpa del Veneto e dell'Arpa della Lombardia, che raggiungono i 5 ng/l.
  L'Arpa Lazio ha quindi usato limiti di quantificazione troppo alti, rispetto ai metodi di analisi dell'Arpa Veneto e dell'Arpa Lombardia, e in questo modo ha trascurato di rilevare la presenza di molti PFAS.
  In pratica, con i metodi di analisi usati dall'Arpa Lazio non si riescono a rilevare tutti i valori di presenza di PFAS con concentrazioni inferiori al 30 per cento degli standard di qualità, non dando, quindi, evidenza della loro presenza.
  Per fare un esempio, se si prende in considerazione il valore dello standard di qualità per le acque superficiali interne dell'acido perfluorobutanoico (PFBA), che è di 7 microgrammi/litro, cioè di 7.000 nanogrammi/litro, e si usa per evidenziarne la sua presenza un metodo analitico che riesce a rilevare una concentrazione solo se è superiore al 30 per cento di tale valore, allora significa che si evidenzierà la presenza del PFBA nelle acque, solo nel caso in cui la sua concentrazione supera i 2.100 nanogrammi/litro (0,3 x 7.000 = 2.100).
  Se confrontiamo questi limiti di concentrazione con i limiti di quantificazione dei metodi analitici impiegati dall'Arpa Veneto, che riescono a rilevare valori di PFAS fino a 5 nanogrammi/litro, è evidente che i metodi di analisi impiegati dall'Arpa Lazio non sono adeguati a fotografare la reale situazione della presenza di PFAS nel territorio della Regione.
  Se ne conclude che il monitoraggio svolto dalla Regione Lazio per il triennio 2018-2020, rendicontato nella relazione datata ottobre 2020, risulta insufficiente per i seguenti aspetti:

   â— Non sono stati ricercati tutti i PFAS principali e noti, ma solo 6 su 12;

   â— Inoltre, non sono stati ricercati i 2 nuovi PFAS emergenti, cioè il cC6O4 e il Gen-X;

   â— Sono stati impiegati metodi analitici non adeguati a rilevare la reale presenza dei PFAS.

  Per questi motivi, si ritiene che il monitoraggio svolto da Arpa Lazio sia insufficiente a rilevare la reale situazione da contaminazione da PFAS delle acque superficiali e sotterranee monitorate.
  In ogni caso, pur con questo monitoraggio carente, è stato comunque evidenziato, come risulta dalla relazione dell'Arpa Lazio, il superamentoPag. 59 degli standard di qualità (SQA-MA) per le acque superficiali per il PFOS in 5 campionamenti nel 2018 e in 4 campionamenti nel 2019 ed in particolare nelle stazioni «Sacco 5», «Canale Rio Martino 3», «Canale Moscarello 3» e «2Aturia 2».
  L'Arpa Lazio, sentita in audizione il 15 ottobre 2020, ha confermato che si sono occupati solo dei monitoraggi sulle matrici ambientali, ma non hanno finora eseguito nessun tipo di indagine per la ricerca delle fonti di pressione, da cui si originano i PFAS.
  Ciò desta qualche preoccupazione e sarebbe opportuno chiedere ad ARPA Lazio se abbia intrapreso o intenda intraprendere indagini per la ricerca delle fonti di pressione dalle quali si è originato il PFOS, che ha portato alla contaminazione delle acque superficiali campionate.

20.2 Considerazioni sulla nota dell'Arpa Emilia-Romagna, datata 05/10/2020, sul monitoraggio dei PFAS nella Regione Emilia-Romagna – Anni 2018, 2019 e 2020 (doc. 441/2 e doc. 441/3).

  Il monitoraggio sui PFAS svolto da Arpa Emilia-Romagna per gli anni 2018, 2019 e 2020 (fino a settembre 2020) sembra adeguato sia per numero di stazioni campionate, sia per i metodi analitici impiegati, i cui limiti di quantificazione (LOQ) sono molto bassi, raggiungendo i 5 nanogrammi/litro (ng/l), come quelli raggiunti dall'Arpa del Veneto, che è all'avanguardia nelle analisi sui PFAS.
  L'Arpa Emilia-Romagna ha ricercato tutti i 12 PFAS principali, che si riscontrano normalmente nelle matrici ambientali.
  Rispetto ad altre Arpa, che non lo hanno fatto, l'Emilia-Romagna ha mirato l'attenzione anche alle acque sotterranee ad uso acquedottistico, quindi ha focalizzato l'attenzione anche sulle acque potabili.
  Non sono stati ricercati, però, i due nuovi PFAS emergenti e cioè il cC6O4 (sale d'ammonio del perfluoro{acetic acid, 2-[(5-methoxy-1,3-dioxolan-4-yl)oxy]} e il Gen-X (HFPO-DA o acido 2,3,3,3-Tetrafluoro- 2-eptafluoropropossipropanoico).
  I risultati del monitoraggio non hanno posto in evidenza superamenti degli standard di qualità per le acque sotterranee, mentre hanno riscontrato superamenti degli standard di qualità delle acque superficiali (SQA-MA), in particolare per il PFOS, i cui superamenti sono andati via via aumentando dal 2018 al 2020.
  I superamenti degli standard di qualità del PFOS nelle acque superficiali sono aumentati come segue:

   anno 2018: 6

   anno 2019: 8

   anno 2020: 16 (fino a settembre).

  La situazione riscontrata desta quindi qualche preoccupazione, in particolare sia perché il più elevato numero di superamenti degli standard di qualità riguarda il PFOS, che è il più pericoloso tra i PFAS, sia perché i superamenti continuano ad aumentare nel corso degli anni, posto che da n. 6 che erano nel 2018 sono aumentati a n. 16 solo nei primi 9 mesi del 2020.
  Sarebbe opportuno, quindi, chiedere ad Arpa Emilia-Romagna se abbia intrapreso o intende intraprendere indagini per la ricerca delle Pag. 60fonti di pressione dalle quali si è originato il PFOS che ha portato alla contaminazione delle acque superficiali campionate. In particolare, se ha svolto indagini più approfondite sugli impianti di depurazione, considerato che essi sembrano rappresentare le fonti di pressione principali. Dalla relazione di Arpa Emilia-Romagna emerge che i valori più elevati di PFOS sono stati rilevati nella stazione di Ferrara, lungo il Po di Volano, a valle dello scarico dell'impianto di depurazione del capoluogo. Inoltre, valori alti, superiori al limite di soglia degli standard di qualità, sono stati rilevati anche a Colorno nel canale Naviglio, a valle dell'abitato di Parma, canale che è il recapito di uno dei due depuratori di Parma, quello denominato Parma Est.
  Anche l'Arpa Emilia-Romagna, sentita in audizione il giorno 8 ottobre 2020, ha confermato che si sono occupati solo dei monitoraggi sulle matrici ambientali, ma finora non hanno svolto alcuna indagine per la ricerca delle fonti di pressione da cui si originano i PFAS. Anzi, dall'audizione è emerso che non risultano segnali evidenti di criticità rispetto alle pressioni rappresentate da acque reflue urbane di depurazione, impianti di trattamento chimico-fisici per i percolati, utilizzo dei fanghi in agricoltura.
  Ciò desta qualche preoccupazione, e sarebbe opportuno che Arpa Emilia-Romagna intraprendesse delle indagini per la ricerca delle fonti di pressione, da cui si sono originati i PFAS che hanno portato alla contaminazione delle matrici ambientali campionate.

20.3. Considerazioni sulla nota dell'Arpa Lombardia, in data 29/07/2019, sul monitoraggio dei PFAS nella Regione Lombardia – Anno 2018 e sulle slide con i monitoraggi 2019 e 2020 (doc. 260/3).

  Agli atti della Commissione vi è solo la relazione della Regione Lombardia, datata 29/07/2019, che riguarda il monitoraggio dei PFAS per l'anno 2018. Per una completa analisi della situazione, sarebbe quindi necessario avere un aggiornamento anche per gli anni 2019 e 2020. In ogni caso, su questa relazione, anche se riguarda la situazione per l'anno 2018, si possono fare delle considerazioni.
  Il monitoraggio sui PFAS svolto da Arpa Lombardia per l'anno 2018 sembra adeguato sia per numero di stazioni campionate, sia per i metodi analitici impiegati, i cui limiti di quantificazione (LOQ) sono molto bassi, raggiungendo i 5 nanogrammi/litro (ng/l), come quelli raggiunti dall'Arpa del Veneto, che è all'avanguardia nelle analisi sui PFAS.
  L'Arpa Lombardia con il suo monitoraggio ha ricercato tutti i 12 PFAS principali che si riscontrano normalmente nelle matrici ambientali.
  Non sono stati ricercati i 2 nuovi PFAS emergenti, il cC6O4 (sale d'ammonio del perfluoro{acetic acid, 2-[(5-methoxy-1,3-dioxolan-4-yl)oxy]} ed il Gen-X (HFPO-DA o acido 2,3,3,3-Tetrafluoro- 2-eptafluoropropossipropanoico), ma questo può essere comprensibile, poiché nel 2018 ancora questi due PFAS non venivano ricercati. La prima Arpa che ne ha cominciato la ricerca è stata l'Arpa del Veneto, nel 2018, poiché li ha ricercati nelle falde della Miteni, essendo questi due nuovi PFAS prodotti nello stabilimento di Trissino. La ricerca di questi nuovi Pag. 61PFAS nelle acque superficiali e sotterranee dell'intero territorio del Veneto è iniziata dopo, all'inizio del 2019.
  Nella sua nota, in data 29/07/2019, comunque Arpa Lombardia informa che, a seguito di segnalazioni, nel mese di aprile 2019, relative a riscontri in territorio veneto ed in particolare alla situazione rilevata per il fiume Po al confine con Lombardia, i laboratori di Arpa Lombardia hanno esteso la metodica analitica già in essere anche alla sostanza cC604, che è stata quindi inserita nei piani di monitoraggi a partire dal secondo semestre 2019.
  La relazione di Arpa descrive, quindi, le attività svolte nel 2018 da Arpa Lombardia e rappresenta il primo quadro conoscitivo relativo alla presenza di PFAS nelle acque, punto di partenza per le attività di monitoraggio degli anni a seguire.
  Nel corso del 2018 i PFAS sono stati monitorati con frequenza bimestrale o trimestrale su 54 stazioni appartenenti alla rete di monitoraggio regionale dei corsi d'acqua.
  Per le acque sotterranee i PFAS sono stati monitorati da 1 a 3 volte/anno su 57 pozzi appartenenti alla rete di monitoraggio regionale.
  I risultati del monitoraggio per l'anno 2018 hanno evidenziato il superamento degli standard di qualità delle acque superficiali (SQA-MA) per ben 228 volte per il PFOS, per 3 volte per il PFBS e per 2 volte per il PFOA. La situazione riscontrata desta quindi qualche preoccupazione, in particolare perché il più elevato numero di superamenti degli standard di qualità riguarda il PFOS, che è il più pericoloso tra i PFAS. Sarebbe opportuno, quindi, chiedere ad Arpa Lombardia se abbia intrapreso o intende intraprendere indagini per la ricerca delle fonti di pressione dalle quali si è originato il PFOS che ha portato alla contaminazione delle acque superficiali campionate.
  Successivamente, in data 5 ottobre 2010, Arpa Lombardia ha inviato alla Commissione un gruppo di 26 slide che poi ha utilizzato per l'audizione del 6 ottobre 2020.
  Dalla lettura delle slide, si è appurato che Arpa ha svolto ulteriori monitoraggi sia per tutto l'anno 2019 e sia per il periodo dal 1° gennaio al 31 agosto 2020.
  A partire da luglio 2019, Arpa Lombardia ha ricercato anche il composto cC6O4.
  I risultati rappresentati nelle slide evidenziano per gli anni 2019 e 2020 un miglioramento rispetto ai risultati riscontrati nel 2018.
  Pur con un netto miglioramento, si riscontrano tuttavia nell'anno 2019 per il PFOS n. 55 superamenti degli standard di qualità delle acque superficiali (SQA-MA).
  Non sono riportati dati per il 2020, probabilmente perché non è stato completato il monitoraggio per l'intero anno.
  Per quanto riguarda la presenza del composto cC6O4, esso è stato riscontrato in 6 campionamenti nel 2019 e in 4 nel 2020, nei corsi d'acqua superficiali, ed in 1 campione nelle acque sotterranee. Per questo PFAS, comunque non possono essere fatti confronti, perché non esistono valori di standard di qualità.
  L'Arpa Lombardia è stata sentita in audizione il giorno 6 ottobre 2020. A specifica domanda, il direttore dell'Arpa Lombardia ha confermato che si sono occupati solo dei monitoraggi sulle matrici ambientali, ma non hanno finora eseguito nessuna indagine specifica per Pag. 62la ricerca delle fonti di pressione da cui si originano i PFAS, né sono state individuate specifiche attività produttive responsabili dell'inquinamento. In particolare, per quel che riguarda i rifiuti, non sono stati riscontrati particolari punti di produzione e criticità di questi composti.

20.4. Considerazioni sulla nota dell'Arpa Toscana, in data 27/01/2020, sul monitoraggio dei PFAS nella Regione Toscana – Anni 2016, 2017, 2018 (doc. 487/2).

  Il monitoraggio sui PFAS svolto da Arpa Toscana, nel triennio 2016-2018, ha riguardato la matrici acque superficiali, sia acque fluviali e acque di transizione e sia costiere marine, la matrice acque sotterrane, compreso anche il monitoraggio di acque destinate alla potabilizzazione; inoltre, ha riguardato anche il biota cioè il campionamento di pesci nelle acque marine costiere e nelle acque di transizione per la determinazione dei PFAS nei loro tessuti; quest'ultimo tipo di monitoraggio sul biota è stato fatto solo da Arpa Toscana e non da altre Arpa.
  I metodi analitici impiegati da Arpa Toscana sono adeguati, avendo dei limiti di quantificazione (LOQ) molto bassi, raggiungendo i 5 nanogrammi/litro (ng/l), come quelli raggiunti dall'Arpa del Veneto, che è all'avanguardia nelle analisi sui PFAS.
  L'Arpa Toscana, però, ha ricercato solo i 6 PFAS di cui le norme riportano gli standard di qualità ambientali (SQA), e cioè PFOS, PFOA, PFHXA, PFPEA, PFBS E PFBA, ma non ha ricercato il totale dei 12 principali PFAS che si riscontrano normalmente nelle matrici ambientali, né ha ricercato il composto cC6O4 e nemmeno il GenX.
  In realtà, anche se nella nota di ARPAT del 27/01/2020, inviata alla Commissione, si parla di attività del triennio 2016 –2018, l'ARPAT nel 2016 ha solo messo a punto i metodi di analisi per determinare i PFAS, senza svolgere monitoraggi, che sono stati sistematicamente iniziati nel 2017.
  Per il monitoraggio delle acque sono state utilizzate 42 stazioni di acque sotterranee e 15 stazioni di acque superficiali, effettuando centinaia di campionamenti in entrambi gli anni 2017 e 2018, mentre per quanto riguarda il biota sono stati prelevati solo 13 campioni nel 2017 e 19 campioni nel 2018.
  Come detto le analisi sulle acque hanno riguardato la ricerca dei sei PFAS sopra elencati, mentre l'analisi sui pesci ha riguardato la sola ricerca del PFOS, in quanto è l'unico composto normato dal decreto legislativo n. 172 del 2015, con un valore limite di SQA di 9,1 microgrammi/Kg di peso.
  In sintesi, i risultati del monitoraggio hanno evidenziato la presenza sistematica di PFAS, sopra i limiti di quantificazione, nel 100 per cento dei campioni di acque superficiali, nell'87 per cento dei campioni di acque sotterranee e nel 100 per cento dei campioni di biota. Per quanto riguarda il superamento dei valori degli standard di qualità ambientale (SQA), non si sono riscontrati superamenti né nelle acque sotterranee, né nel biota, ma solo nelle acque superficiali, nelle quali però si è riscontrato una situazione molto critica, con un ampio superamento che ha riguardato l'87 per cento dei campioni analizzati.
  In particolare, il monitoraggio del fiume Arno e dei suoi affluenti ha posto in evidenza il superamento degli standard di qualità ambientalePag. 63 per il PFOS in 18 punti, individuabili in diversi tratti del fiume Arno e degli affluenti Bisenzio, Ombrone pistoiese, Sieve, Elsa e Usciana.
  Pur avendo riscontrato, attraverso il monitoraggio delle acque superficiali fluviali, una situazione generale di contaminazione da PFAS, ARPAT non ha però approfondito con ricerche mirate quali possano essere le fonti di pressione o le attività antropiche da cui provengono i PFAS.
  La relazione di ARPAT fa solo un elenco generico delle attività antropiche come potenziali sorgenti di emissioni/rilasci dei PFAS, elenco, per altro, stilato da ARPAV Veneto, che Arpa Toscana ha solo richiamato, ma essa poi non ha svolto nessuna adeguata indagine per individuare nel territorio della Regione Toscana specifiche attività industriali o specifiche attività antropiche da cui si possono originare i PFAS ritrovati nelle matrici ambientali del territorio toscano.
  In ogni caso, pur non procedendo con indagini specifiche, ARPAT individua nel territorio toscano, quali fonti di origine dei PFAS, il comparto tessile della provincia di Prato e un distretto conciario di valenza internazionale a Santa Croce sull'Arno e San Miniato-Fucecchio, in provincia di Pisa. Inoltre, ARPAT ritiene come probabili fonti di pressioni anche gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane e industriali e le discariche di rifiuti.
  Il contributo della contaminazione di PFAS da parte degli impianti di trattamento delle acque trova riscontro nel monitoraggio dell'Arno, dove si vede che nel tratto iniziale dell'asta del fiume i livelli di PFAS sono bassi, ma con l'immissione degli scarichi della città di Firenze nell'Arno si evidenzia un incremento notevole delle concentrazioni di PFOA, PFHpA, PFNA, PFBA e PFBS. Così come risulta significativo l'apporto del comparto tessile di Prato, le cui industrie scaricano i reflui nel fiume Ombrone, il cui contributo di apporto di PFAS confluenti nell'Arno è risultato rilevante, in particolare nel fiume Ombrone si sono rilevate concentrazioni significative di PFPeA.
  L'Arpa Toscana, sentita in audizione da questa Commissione il 27 gennaio 2020, ha dichiarato che non sono ancora stati effettuati i controlli sugli scarichi di nessuna impresa, ma che riteneva importante effettuare questi controlli, e che stava preparando un programma di campionamenti sugli scarichi delle diverse attività produttive, ritenendo gli scarichi delle aziende tra le sorgenti principali di contaminazione da PFAS delle acque superficiali, ma ha anche aggiunto di avere difficoltà a svolgere queste verifiche, per la mancanza di limiti allo scarico nella legislazione italiana, che di fatto vanificherebbe i loro controlli.
  A commento di quanto esposto da Arpa Toscana, questa Commissione condivide completamente la necessità che vengano fissati i limiti sulle matrici ambientali, non solo sugli scarichi, ma anche nelle acque sotterranee e nei terreni. Questa Commissione di inchiesta ha sempre ritenuto prioritaria la fissazione di valori limiti per la tutela delle matrici ambientali e lo ha sempre fatto presente in ogni occasione, evidenziandolo ripetutamente anche nelle due precedenti relazioni sui PFAS approvate dalla Commissione a febbraio 2017 e a febbraio 2018. La situazione messa in luce da questa terza relazione evidenzia chiaramente che la presenza dei PFAS è ormai generalizzata in tutto il territorio statale e non solo nelle due zone dove sono ubicati gli Pag. 64impianti di produzione di PFAS, a Trissino (VI), nell'ex stabilimento della Miteni, dove anche se la produzione è cessata gli effetti di contaminazione proseguono, e ad Alessandria (Spinetta Marengo) nello stabilimento della Solvay, dove la produzione prosegue con effetti di contaminazione ambientale in atto di notevole rilevanza. Se si vuole, quindi, porre rimedio a questa grave situazione di generale contaminazione da PFAS nell'intero territorio italiano, è necessario porre limiti adeguati sulle matrici ambientali, che non possono più essere procrastinati.
  In conclusione, nonostante le limitazioni e le carenze metodologiche dei rilievi, la situazione di contaminazione riscontrata nelle quattro Regioni desta molta preoccupazione. Sarebbe, perciò, necessario intraprendere indagini mirate e specifiche per la ricerca delle fonti dalle quali si originano i PFAS, per poter poi procedere alle necessarie bonifiche.

21. Ulteriori nuovi PFAS.

  Il Commissario straordinario di Arpa Veneto, Luca Marchesi, nel corso dell'audizione del 20 maggio 2021, ha riferito alla Commissione di inchiesta che nel mese di agosto del 2020 è stata rilevata la presenza nel fiume Po di una serie di sostanze che si chiamano PFPECA, che potremmo definire dei PFAS di terza generazione. Dopo avere affrontato il problema dei PFAS di prima generazione, ovvero dei PFAS fosfori ben noti e conosciuti, dopo avere affrontato il tema dei cC604 del GenX, l'osservazione delle sostanze contenenti fluoro continua.
  Infatti, è di queste settimane un ulteriore avanzamento di nuovi composti fluorurati che riguarda le sostanze che si chiamano «acido trifluoroacetico» Si tratta di composti contenenti fluoro, a catena molto corta, che è stata osservata nell'ambito di un procedimento di controllo su un'azienda del territorio veneto, ma che sono sostanze di cui la letteratura evidenzia la possibilità di produzione come prodotto di degradazione di diverse altre sostanze, che vanno dai farmaci, ai pesticidi e a sostanze contenenti PFAS. Sono, quindi, sostanze per le quali è possibile immaginare una presenza ubiquitaria sul territorio non solo nel Veneto, ma nazionale e del mondo occidentale.
  Da un lato è un altro segnale del fatto che il problema dei microinquinanti nelle acque è un problema di grande portata che necessita di un affronto con strumenti complessi, sia a livello normativo europeo e italiano, sia a livello di tecnologie, di studi e di ricerche, dall'altro è un segnale del fatto che la Regione Veneto e l'Arpa Veneto, avendo sviluppato questo tipo di competenza e questo tipo di capacità analitica, sono sempre in prima linea nella ricerca di sostanze microinquinanti di questo genere.
  Il Commissario straordinario di Arpa Veneto, Luca Marchesi, nel corso dell'audizione del 20 maggio 2021, ha riferito alla Commissione di inchiesta che della presenza sul territorio veneto di queste sostanze è stato informato il Ministero della Transizione ecologica, l'Istituto Superiore di Sanità, l'autorità giudiziaria e le unità di polizia giudiziaria.
  Ha riferito, inoltre, che risulta che si siano utilizzati PFPECA nello stabilimento di Spinetta Marengo.

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22. Gli studi scientifici e il contributo dei consulenti nominati dalla Commissione di inchiesta sul danno alla salute umana.

  La procura della Repubblica dubita dell'esistenza del danno (elemento oggettivo del reato), sulla base di una consulenza svolta nel 2018 dal prof. Fletcher e da alcuni componenti dell'Istituto Superiore di Sanità (doc. 28/4), secondo cui la salute umana è compromessa in maniera certa in termini di rialzo del colesterolo nel siero, mentre si dubita (ritenendone la plausibilità in termini probabilistici) di altri e più gravi effetti, costituiti da un ridotto peso alla nascita, da un eccesso di tumori, da disturbi alla tiroide, da colite ulcerosa e da ipertensione in gravidanza.
  Diversa è stata la valutazione del prof. Gianluca Maria Farinola, consulente della Commissione ed esperto sugli effetti dei PFAS sulla salute – nella precedente legislatura – ha prodotto due relazioni che giungono a conclusioni più specifiche rispetto a quelle della magistratura di Vicenza. La prima relazione del prof. Farinola delinea una sintesi dello stato delle conoscenze tecnico- scientifiche sui composti perfluoroalchilici (PFAS) come inquinanti ambientali potenzialmente pericolosi per la salute umana, svolta sulla base dei dati della letteratura internazionale, mentre la seconda relazione si basa sull'analisi dei documenti acquisiti dalla Commissione di inchiesta – nel corso della XVII legislatura – sugli effetti dei PFAS sulla salute della popolazione nella Regione Veneto e, in particolare, sulla popolazione dell'area rossa, comprendente 21 Comuni della Provincia di Vicenza più esposta ai PFAS.
  I risultati di queste due relazioni e, in particolare, della seconda relazione, che riguarda i dati locali, pongono in evidenza la correlazione tra l'esposizione ai PFAS e l'aumento sulla popolazione esposta dell'incidenza dell'ipotiroidismo, dell'ipercolesterolemia, della mortalità per cardiopatie ischemiche, per malattie cerebrovascolari, nonché l'aumento dell'incidenza per ipertensione, per diabete mellito nelle donne e per Alzheimer/demenza nelle donne.
  Le conclusioni del consulente della Commissione di inchiesta trovano conferma sia nello studio della Dupont, eseguito su 70.000 persone, denominato C8 (in quanto C8 è il numero di atomi di carbonio del PFOS e del PFOA), sia nella rassegna di tutti gli studi effettuati sull'uomo dall'EFSA, l'Agenzia europea di sicurezza alimentare, di cui ha riferito la dottoressa Eugenia Dogliotti, nel corso dell'audizione del 17 luglio 2019.
  In particolare, l'EFSA ha posto in evidenza un'associazione causale con l'esposizione ai PFAS dell'aumento del colesterolo, pur se non associato a un maggior rischio di malattie cardiovascolari, e di una diminuita risposta anticorpale alle vaccinazioni dei bambini, significativa di una ridotta funzionalità del sistema immunitario in senso ampio.
  A sua volta, lo IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) ha classificato il PFOA come possibily carcinogenic categoria 2B, il che vuol dire che l'evidenza negli animali è limitata e l'evidenza nell'uomo viene considerata altrettanto non sufficientemente solida, mentre il C8 aveva parlato di una possibile associazione tra PFOA e cancro del testicolo e del rene, soprattutto nei lavoratori e negli abitanti delle aree limitrofe, che producono PFOA.Pag. 66
  È stata esclusa un'attività genotossica dei PFAS, pur se i cancerogeni non necessariamente hanno un meccanismo via attività genotossica. Possono essere cancerogeni attraverso altri meccanismi. Il fatto che non abbiano attività genotossica, non esclude un potenziale effetto cancerogeno. Per alcuni di questi effetti, si parla di possibile promozione del fenomeno della cancerogenesi. Sarebbero dei fattori che promuovono il cancro, attraverso altri meccanismi (cfr. resoconto pagine 9 e 24 dell'audizione della dottoressa Dogliotti del 17 luglio 2019)
  L'Agenzia internazionale di ricerca sul cancro, che ha sede a Lione e classifica le sostanze cancerogene, si è espressa sul PFOA e, nel caso della evidenza di cancerogenesi negli animali, l'ha considerata limitata; quindi, non esaustiva per poter dare una definizione di cancerogeno per l'uomo, tanto che il PFOA è stato classificato con la terminologia possibly carcinogenic, probabilmente cancerogeno, ma non con evidenza certa, quindi 2B.
  La presenza dei PFAS, rilevata in modo grave nella Regione Veneto, si sta diffondendo anche in altre aree del territorio italiano, come dimostrano gli ultimi rilevamenti nelle acque del Po in aree delle Regioni Lombardia ed Emilia Romagna, ma soprattutto nella Regione Piemonte, dove è ubicato lo stabilimento Solvay, a Spinetta Marengo, frazione di Alessandria, sito che è la fonte della forte contaminazione delle acque superficiali e di falda della zona.
  Molto interessanti sono gli studi e le indagini condotte dal professor Carlo Foresta, ordinario di endocrinologia all'Università di Padova, componente del Consiglio Superiore di Sanità e studioso di fama internazionale, delle conseguenze sulla salute umana delle sostanze perfluoroalchiliche.
  Il professor Foresta, nel corso dell'audizione del 26 maggio 2020, ha riferito che i PFAS sono sostanze chimiche distribuite ormai in modo pressoché ubiquitario nell'ambiente e che, accanto a un inquinamento generale, causato da un uso quotidiano di oggetti – si pensi solo che queste sostanze si possono trovare addirittura nelle creme, negli alimenti, nei vestiti, nelle schiume antincendio, nelle schiume da barba e che sono dappertutto, perché idrofobiche e lipofobiche, quindi rimangono stazionarie e non temono il caldo, né il freddo, né l'acido – le cui soglie sono abbastanza contenute e sono anche note, vi sono poi gli inquinamenti molto importanti determinati soprattutto nelle zone che li producono o li commercializzano (contaminazione industriale).
  Il problema ambientale è stato riconosciuto come importante e ci si è rivolti essenzialmente alla cura dell'ambiente, riducendo sostanzialmente il carico di queste sostanze chimiche, soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Italia.
  Tuttavia, nelle zone particolarmente inquinate sono state trovate delle patologie maggiormente espresse e cioè più frequenti. Queste patologie, riconosciute anche dall'Agenzia europea dell'ambiente, includono malattie epatiche, metaboliche, tiroidee, tumori del testicolo e infertilità.
  La Regione Veneto, che ha voluto creare un profilo sanitario della salute per le popolazioni esposte attraverso un servizio epidemiologico regionale, ha confermato la presenza di casi più frequenti: patologie cardiovascolari, Alzheimer, diabete mellito e così via.Pag. 67
  È stata, così, asseverata sotto il profilo scientifico una relazione tra inquinamento dovuto a queste sostanze e lo stato di salute.
  Dal punto di vista ambientale molto è stato fatto. E così nella Regione Veneto l'applicazione di particolari filtri alle acque potabili, da parte dell'Ente regionale, ha portato a una riduzione significativa fino quasi all'annullamento dei PFAS nell'acqua distribuita alla popolazione. Purtuttavia, sussiste un problema molto importante collegato all'eliminazione di queste sostanze dall'organismo e costituito dal fatto che la loro emivita può durare fino a dieci anni.
  Peraltro, la concentrazione molto elevata di PFAS nelle acque, potabili e non potabili, è stato l'elemento motore della ricerca effettuata nel plasma nel Veneto, a differenza di quanto accaduto nelle altre Regioni italiane, dove non è stata eseguita analoga ricerca nel sangue, dal momento che la concentrazione nelle acque non presentava valori importanti di PFAS.
  In particolare, il professor Foresta ha sottolineato la gravità della situazione, ponendo in evidenza che nella Regione Veneto il PFAS/PFOA è stato ritrovato nel sangue dei soggetti esaminati, cioè quelli residenti nella cosiddetta zona rossa, a un livello medio molto elevato, pari a 46,4 ng/ml, con punte addirittura fino a 700 – 800 ng/ml, quando nella popolazione generale il livello medio dei PFAS nel sangue di sostanze perfluoroalchiliche oscilla tra ng/ml 3,59 e ng/ml 4,5.
  Il primo dato fondamentale è costituito dal fatto che queste sostanze riescono a passare la barriera placentare e raggiungono il feto. Sono stati riportati studi su questo e si è voluto comprendere se l'influenza di queste sostanze può indurre delle alterazioni nel feto, sia riguardo alla gravidanza sia al feto. Sempre la Regione Veneto ha rivolto l'attenzione nei confronti del progetto materno e neonatale delle donne che vivono in queste zone. Gli studi svolti hanno riportato una maggiore presenza di preeclampsie, di diabete gravidico, di basso peso alla nascita, in accordo con quanto è emerso a livello internazionale, dove si parla anche di poliabortività e di basso peso alla nascita.
  È stato trovato uno dei meccanismi attraverso i quali i PFAS possono indurre queste alterazioni, poiché i PFAS si legano al progesterone, che è l'ormone che stimola l'endometrio all'attecchimento dell'embrione e allo sviluppo embrionale stesso. Inoltre, le giovani donne che abitano in queste zone hanno generalmente un'alterazione del ciclo mestruale, perché più frequente e hanno un menarca tardivo. Il «menarca» è la prima mestruazione che si determina in età più avanzata, rispetto a quella normale.
  Inoltre, per quanto riguarda la fertilità maschile, si è accertato che il PFOA, uno dei PFAS più pericolosi, è presente nel liquido seminale in percentuale elevata e, quando ciò si verifica, si lega agli spermatozoi, impedendone la motilità e quindi riducendo la fertilità, come dimostrato dall'esito dello studio presentato nel corso del 15° Meeting del Gruppo triveneto di Medicina della riproduzione svoltosi a Padova il 9 ottobre 2020, dall'equipe del professore Carlo Foresta dell'Università di Padova (doc. 730/2).
  In particolare, le sostanze perfluoroalchiliche, infatti, sono state trovate negli spermatozoi dei 200 giovani, posti in osservazione, che vivono nella zona rossa, il territorio posto a cavallo fra le province di Verona, Vicenza e Padova e che comprende tra gli altri i comuni di Pag. 68Albaredo, Arcole, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant'Anna, Cologna, Minerbe Legnago, Pressana, Roveredo, Terrazzo, Veronella e Zimella.
  Inoltre, i giovani esaminati, nati da madri che li hanno concepiti venti anni fa e che abitano ancora nei Comuni della zona rossa presentano una riduzione della produzione del testosterone nella misura del 40 per cento, poiché le sostanze chimiche interferiscono con il recettore del testosterone.
  In conseguenza di ciò, questi ragazzi hanno una distanza ano-genitale più corta rispetto al normale e tale dato rappresenta proprio l'impregnazione androgenica durante lo sviluppo embrionale, mentre le gambe e le braccia di questi giovani maschi sono più lunghe rispetto al tronco, a significare che l'ormone maschile ha lavorato meno.
  Infine, il 31 per cento di questi giovani presenta una riduzione della massa ossea, poiché queste sostanze interferiscono con la vitamina D, impedendo che questa vitamina attivi la costituzione dell'osso sulla cellula staminale, sull'osteoblasto, ma soprattutto impedendo l'assorbimento di calcio da parte dell'intestino.
  A livello generale le indagini mediche svolte hanno consentito di appurare che le piastrine legano in modo molto vistoso il PFOA, quando questo è presente nel sangue. Il legame comporta un'attivazione protrombotica delle piastrine, come messo in evidenza dai test di coagulazione, eseguiti in laboratorio.
  Anche questo – ha concluso il professor Foresta – è stato un lavoro pubblicato di recente e questi risultati così importanti sono stati confermati da due laboratori delle due università del Veneto, di Padova e Verona.
  In conclusione, come si vedrà di seguito, sia livello internazionale, che anche nella Regione Veneto, sono stati analizzati i profili di salute della popolazione che vive nei territori esposti e si è trovato un aumento – percentualmente significativo (mediamente di circa il 20 per cento) – rispetto ai residenti in altre zone nella stessa Regione Veneto, delle malattie circolatorie, di cardiopatie ischemiche e cardiopatie cerebrovascolari.

23. Gli aspetti sanitari associati all'esposizione alle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS).

  Il consulente nominato dall'attuale Commissione di inchiesta, il dott. Andrea Di Nisio, del Dipartimento dell'Università di Padova, ha redatto, a sua volta, una relazione tecnica, in data 30 giugno 2021, sugli «Aspetti sanitari associati all'esposizione alle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS)», che viene allegata alla presente relazione e alla quale si rimanda (doc. 911/2).
  La relazione conferma, riesaminando gli studi fatti a livello nazionale ed internazionale, i gravi effetti sanitari e le evidenze epidemiologiche di associazione tra esposizione a PFAS e manifestazioni cliniche nell'uomo.
  In particolare, le condizioni di salute e le patologie per le quali vi è ad oggi un'evidenza di una possibile associazione con l'esposizione a PFAS sono:

   â— immunotossicità;

Pag. 69

   â— ipercolesterolemia;

   â— aumento dei trigliceridi;

   â— aumento della pressione sanguigna e ipertensione (effetto maggiore nelle femmine);

   â— alterazione di livelli di glucosio;

   â— aumento della percentuale di grasso corporeo in ragazze con esposizione prenatale della madre;

   â— effetti epatici;

   â— patologie tiroidee;

   â— alterazione livelli urea ed effetti renali;

   â— diminuita risposta vaccinale;

   â— colite ulcerosa;

   â— alterazioni scheletriche;

   â— rischio cardiovascolare;

   â— alterazioni riproduttive maschili;

   â— tossicità materna e fetale: diminuito peso alla nascita, pre-eclampsia, alterazioni del sistema riproduttivo femminile, obesità e alterazioni metaboliche in età adulta.

  La relazione si sofferma più in modo specifico e dettagliato sulle seguenti manifestazioni cliniche:

  Alterazioni cardio-metaboliche

  I risultati degli studi epidemiologici condotti sulla popolazione residente in zone contaminate mostrano un aumento delle malattie cardiovascolari rispetto alla popolazione generale di controllo. In particolare, l'angina pectoris, l'infarto miocardico acuto, il rischio di aumentata pressione arteriosa diastolica, cardiopatia ischemica e l'ictus cerebrale rappresentano le malattie maggiormente riscontrate.
  Una ricognizione epidemiologica nella Regione Veneto, che ha analizzato la mortalità per alcune cause di decesso come possibilmente associate a PFAS nella popolazione residente nella zona contaminata, ha riportato, in entrambi i sessi, un rischio relativo più elevato per la mortalità generale e per le seguenti cause di decesso di ambito cardiovascolare: diabete, malattia cerebrovascolare, infarto del miocardio. Una valutazione retrospettiva degli effetti a lungo termine (mortalità e incidenza di patologie) sulla salute dei dipendenti dell'azienda chimica RiMar/Miteni, produttrice di PFAS, ha riportato un aumento della mortalità per tutte le cause, malattie cardio-vascolari, tumori maligni, diabete mellito.
  Tra i più importanti fattori di rischio cardiovascolari va sicuramente annoverata l'ipertensione: i dati appena pubblicati sulla popolazione veneta esposta a PFAS mostrano un aumento significativo sia della pressione sistolica che diastolica all'aumentare dei livelli di PFOA. L'aumento della incidenza di pazienti con ipercolesterolemia rappresenta di per sé un evento clinico chiaramente avverso e correlato al rischio cardiovascolare.

Pag. 70

  Alterazioni riproduttive

  Un elevato numero di studi epidemiologici ha valutato la tossicità riproduttiva dei PFAS, rilevando alterazioni dei livelli degli ormoni sessuali, effetti sui parametri seminali, effetti su menopausa, ciclo mestruale, endometriosi, allattamento e in conclusione sulla fertilità.
  Inoltre, PFOA e PFOS inducono una aumentata mortalità neonatale, neurotossicità e immunotossicità nel feto e nei neonati. Altri studi hanno riportato un'associazione significativa tra PFAS e ritardi della pubertà, irregolarità mestruali, fecondità e rischio di aborti.

  Alterazioni scheletriche

  Studi in modelli animali hanno dimostrato una ridotta ossificazione nei feti di topo esposti a PFAS. I PFAS sono stati, inoltre, rinvenuti nel midollo osseo e nel tessuto osseo in topi e nell'uomo.
  Le prime analisi epidemiologiche sono state effettuate da due studi sulla salute della popolazione americana, in cui viene messa in evidenza la correlazione tra gli elevati livelli sierici di PFAS nelle zone contaminate e la ridotta densità minerale ossea, che variava in accordo al tipo di sostanza perfluoroalchilica considerata. Considerando più nello specifico i singoli PFAS, si nota una prevalenza più elevata di osteoporosi e una più bassa densità ossea a livello della tibia e del femore e un'alta prevalenza di osteoporosi associata a PFOA, PFNA, e PFHxS. Uno studio su giovani ragazze già esposte a PFAS in fase fetale ha riportato una ridotta massa ossea e un ridotto accrescimento scheletrico. Più recentemente questi risultati sono stati confermati in altri studi su bambini, adolescenti o giovani adulti.

  Alterazioni a carico del sistema nervoso centrale

  L'esposizione ai PFAS induce alterazioni a carico del sistema nervoso centrale.
  Tra i tanti studi svolti sulle conseguenze neurocomportamentali dell'esposizione a PFAS, è importante richiamare che i dati presentati dal Servizio epidemiologico regionale della Regione Veneto sulla mortalità nell'area rossa PFAS, hanno evidenziato un aumento significativo di Alzheimer e demenza senile, mentre lo studio sugli esiti materni e neonatali ha riportato un aumento di anomalie congenite al sistema nervoso.

  Immunotossicità

  Un altro aspetto importante sottolineato nella relazione è l'immunotossicità rappresentata dai PFAS per l'uomo. Ad oggi l'effetto sulla salute che presenta la maggior concordanza sia in letteratura scientifica che nelle diverse agenzie sanitarie internazionali è certamente legato all'alterazione della risposta immunitaria.

  Associazione tra PFAS e severità da Covid 19

  Un altro aspetto, finora poco noto, riguarda l'associazione tra PFAS e severità dei sintomi da COVID-19. Diversi studi hanno messo in evidenza una correlazione tra elevati livelli di PFAS e maggior severità dei sintomi o mortalità da Covid-19. Inoltre, l'esposizione a PFAS potrebbe aumentarePag. 71 il rischio di eventi trombo-embolici nei soggetti esposti a queste sostanze.
  La correlazione tra PFAS e Covid-19 è stata confermata anche da una recente ricerca svolta dal prof. Annibale Biggeri, docente di epidemiologia all'università di Firenze, dalla quale emerge che i PFAS, soprattutto quelli a catena corta, si accumulano nei polmoni e hanno aumentato del 60 per cento la mortalità da Covid-19 nelle zone inquinate da PFAS.

  Cancerogenicità

  Oltre agli aspetti sopra elencati, la relazione, mette in evidenza la possibile associazione con aumentata incidenza di tumori osservata in alcuni studi epidemiologici.
  I principali studi epidemiologici sulla relazione tra PFAS e cancro provengono dalla popolazione generale e dalla popolazione dei lavoratori del comparto chimico-industriale, esposte alla contaminazione da PFAS prodotti dalla DuPont in un impianto del Mid-Ohio negli USA.
  Altre istituzioni internazionali (ATSDR, EPA) ritengono significativo l'incremento del rischio di cancro del rene e del testicolo associato a PFOA. Tutte le istituzioni sono, però, concordi nell'affermare che c'è necessità di più ricerche sull'argomento, e il Veneto rappresenterebbe proprio una popolazione ideale in cui queste ricerche potrebbero essere condotte (circa 150.000 maschi esposti in fase embrionale nell'utero materno ad alti livelli di PFOA per diversi decenni). Nel Veneto l'eventuale danno probabilmente si è già verificato o potrebbe essere ancora in corso, se si considera che il tumore del testicolo possa verificarsi nei giovani di 15-30 anni, a seguito di un'esposizione in utero.
  Sottolineando la necessità di ulteriori studi, va tenuta in considerazione la particolarità della situazione espositiva a queste sostanze nel territorio italiano. Se infatti a livello internazionale il peso relativo del PFOA è pari a solo il 20 per cento del rischio espositivo tra i quattro principali PFAS (PFOA, PFNA, PFHxS e PFOS), i dati nazionali precedentemente citati nella relazione identificano proprio il PFOA – e non il PFOS – come il principale PFAS presente nella rete idrica nazionale, nonché nel sangue delle popolazioni esposte.
  La conclusione del presente capitolo ci porta a considerare che la gravità degli effetti sulla salute umana, in conseguenza all'esposizione da PFAS, rende ancora più urgente e non più procrastinabile la fissazione di limiti sulle matrici ambientali. Questo importantissimo aspetto, si tratterà nel capitolo successivo.

24. Indagine epidemiologica sulla popolazione residente nella zona rossa del Veneto.

  Su richiesta della Commissione d'inchiesta alla Regione Veneto di una nota informativa sulla situazione epidemiologica della popolazione residente nella cd. «zona rossa» relativamente all'esposizione derivante dalla contaminazione da PFAS, la Regione Veneto ha trasmesso tre documenti, che delineano la situazione della popolazione residente nell'area menzionata.
  I documenti sono stati redatti, rispettivamente, dal Servizio epidemiologico regionale, dal registro tumori del Veneto e dal registro nascita – Coordinamento malattie rare della Regione del Veneto e inviati tutti in Pag. 72data 17 maggio 2021. Essi delineano la situazione epidemiologica della popolazione residente nel1'Area Rossa, relativamente alle patologie cronico-degenerative e ad esiti materno-neonatali, raffrontandola con quella della popolazione regionale nel suo complesso o di aree non interessate dalla contaminazione da PFAS (doc. 870/1 e 870/2).
  Il primo documento, avente ad oggetto «Profilo di salute della popolazione Veneta residente nell'area interessata dalla contaminazione idropotabile da PFAS» (Report 2018, contente dati fino al 2017), a cura del Servizio epidemiologico regionale, riporta il profilo di salute della popolazione residente ne1l'Area Rossa e Arancione con riferimento alla mortalità (per tutte le cause e per grandi gruppi di cause) e alla prevalenza di alcune patologie cronico-degenerative (Ipertensione, cardiopatie ischemiche acute e croniche, diabete mellito, malattie cerebrovascolari, ipotiroidismo, dislipidemia), fornendo una stima dell'eccesso di mortalità e di prevalenza, rispetto alla popolazione dell'intera Regione. Nel1'Area Rossa si rileva un eccesso statisticamente significativo di mortalità per cardiopatie ischemiche (uomini 17 per cento, donne 14 per cento) e, limitatamente al sesso femminile, per diabete ( 23 per cento) e per Alzheimer/demenza ( 16 per cento), un eccesso statisticamente significativo di prevalenza per ipertensione ( 22 per cento in entrambi i sessi), diabete mellito (uomini 14 per cento, donne 16 per cento), malattie cerebrovascolari (uomini 22 per cento, donne 18 per cento), ipotiroidismo (uomini 9 per cento, donne 10 per cento) e dislipidemia (uomini 15 per cento, donne 11 per cento).
  Il secondo documento, avente ad oggetto «Incidenza della patologia neoplastica nella popolazione residente nelle aree di esposizione idropotabile a PFAS», a cura del Registro tumori de1 Veneto, mette a confronto i tassi di incidenza di neoplasia maligna totale e per le principali sedi tumorali nella popolazione residente nell'Area Rossa con quelli della popolazione del Veneto. Non si osservano significativi eccessi di incidenza neoplastica, ad eccezione dei tumori del polmone, che nei maschi dell'Area Rossa presenta, invece, un eccesso significativo di tumori rispetto alla popolazione del resto del Veneto.
  Il terzo documento, avente ad oggetto «Studio sugli esiti materni e neonatali in relazione alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) – aggiornamento febbraio 2018», a cura del «Registro nascite – Coordinamento malattie rare Regione Veneto», riporta un confronto fra aree di esposizione a PFAS e un'area non interessata dal fenomeno di contaminazione, tenendo conto nelle analisi di vari possibili fattori di confondimento. Per quanto riguarda l'Area Rossa, si rileva rispetto all'area di confronto un eccesso di rischio statisticamente significativo per pre-eclampsia, diabete gravidico, neonati con peso basso per età gestazionale, difetti congeniti del cuore e anomalie congenite del sistema nervoso.
  In conclusione, l'esposizione ai PFAS comporta nella popolazione esposta conseguenze molto pesanti in termini di aumento di patologie molto gravi, come mettono in evidenza, in modo concorde sia le analisi sulla popolazione della cosiddetta Zona Rossa, effettuate dalla Regione Veneto, sia gli studi scientifici riportati nel precedente capitolo e le conclusioni del consulente della Commissione, dott. Andrea Di Nisio.
  Le conseguenze sulla salute della popolazione esposta ai PFAS rendono urgente il risanamento delle matrici ambientali contaminate dai Pag. 73PFAS, poiché solo risanando l'ambiente dal quale la popolazione attinge le risorse è possibile eliminare gli effetti nocivi sulla salute.
  Tuttavia, per poter risanare l'ambiente devono prima essere fissati i limiti sulle matrici ambientali, che al momento non ci sono. I limiti vanno fissati in base al principio di precauzione. Il principio di precauzione prevede limiti più restrittivi per la tutela ambientale, rispetto a quelli per la tutela della salute, e questo principio è alla base di tutta la legislazione ambientale, dall'acqua, all'aria, ai rifiuti, alle acque di falda, ecc..

25. La posizione dell'INAIL.

  Tuttavia, nonostante i dati sopra esposti indichino un rapporto di causa/effetto tra l'esposizione ai PFAS e le gravi patologie sopra indicate vi è stato per i lavoratori ex Miteni il riconoscimento solo parziale della malattia professionale.
  In particolare, l'INAIL ha ritenuto che, in mancanza di una precedente casistica, non sussistendo casi pregressi ai quali fare riferimento per valutare le domande degli ex dipendenti Miteni, ha utilizzato il criterio previsto dal decreto legislativo n. 38 del 2000, vale a dire il cosiddetto criterio del danno biologico, inteso come alterazione dell'integrità psicofisica del lavoratore.
  L'alterazione per l'INAIL sarebbe consistita nell'iper accumulo di PFOA nel sangue in quanto sostanza estranea all'organismo rinvenuto al suo interno. L'INAIL, pertanto, sempre ai sensi del decreto legislativo n. 38 del 2000, ha riconosciuto come malattia professionale il mero iperaccumulo di PFOA nel sangue.
  Quanto alla quantificazione del danno biologico, in assenza di casi pregressi, l'Istituto ha ritenuto di applicare la voce «306» della tabella allegata al decreto legislativo n. 38 del 2000, ossia la voce «mezzi di sintesi». In definitiva l'INAIL ha equiparato l'iperaccumulo di PFOA nel sangue alla ritenzione all'interno dell'organismo di un mezzo di sintesi, ossia di materiale inerte, tale evidentemente intendendosi per l'INAIL un materiale, come i PFAS, che non produrrebbe alcuna conseguenza di tipo fisiopatologica.
  Nel caso degli ex lavoratori Miteni, è stata riconosciuta una menomazione dell'integrità psicofisica pari al 2 per cento, che comunque non dà diritto a indennizzo poiché non raggiunge il grado minimo indennizzabile previsto dal decreto legislativo n. 38 del 2000. Il grado minimo – come è noto – è il 6 per cento.
  L'INAIL ha esaminato anche le domande pervenute in relazione ai tre dipendenti deceduti. Sono le persone per le quali la procura della Repubblica in Vicenza ha proceduto a iscrizione per il reato di omicidio colposo, di cui si è detto.
  In questi casi l'INAIL non ha riconosciuto alcun diritto alla rendita ai superstiti, in quanto il decesso non è stato ritenuto riconducibile all'evento. Al momento non si conosce se avverso i provvedimenti dell'INAIL sia stata proposta opposizione da parte degli interessati. Beninteso, la valutazione dell'INAIL è stata fatta in relazione ai compiti propri dell'Istituto, e quindi, esclusivamente, per le valutazioni concernenti il riconoscimento della malattia professionale e dunque dal punto di vista assicurativo e indennitario.
  Ad avviso dell'INAIL, i casi esaminati non presentavano manifestazioni cliniche né oggettive, né soggettive. Le manifestazioni indicate dai Pag. 74lavoratori nelle domande di malattia professionale, soprattutto, ipercolesterolemia e ipertensione, sono state ritenute, più che patologie in sé, fattori di rischio per altre patologie, peraltro diffuse nella popolazione generale. Quindi, andrebbero analizzati caso per caso per comprendere se vi è un'effettiva correlazione rispetto all'esposizione a PFAS. In mancanza di un riscontro anatomopatologico che potesse giustificare l'insorgenza di questi fattori di rischio, l'INAIL ha ritenuto opportuno non considerarli come conseguenza dell'accumulo di PFOA. Tali fattori sono stati esaminati dall'INAIL, ma non ritenuti in nesso di causalità con l'esposizione a PFAS nei provvedimenti emessi dall'Istituto, che sono stati acquisiti dalla procura delle Repubblica presso il tribunale di Vicenza. Vi è stato il riconoscimento, quindi, di una malattia professionale, sebbene il punteggio del 2 per cento, se sommato al punteggio derivante da altra malattia professionale, non ha consentito di raggiungere la soglia del 6 per cento (cfr. resoconto audizione del 8 luglio 2021 del dott. Lino Giorgio Bruno, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Vicenza).
  In conclusione, all'esito di questo lungo excursus la Commissione di inchiesta dà conto del contributo scientifico dei consulenti della Commissione (prof. Farinola e prof. Di Nisio) e del contributo del prof. Foresta, nonché di tutti gli studi degli effetti specifici dell'esposizione ai PFAS della popolazione, alcuni dei quali eseguiti dalla stessa Regione Veneto, che forniscono tutti elementi molto specifici e dettagliati, ma che tuttavia, ad oggi, non rappresentano una posizione prevalente riconosciuta dagli organismi nazionali e istituzionali, in materia di salute.
  Sul punto, è significativa la posizione dell'INAIL, che – come si è visto – riconosce agli ex lavoratori Miteni, una menomazione dell'integrità psicofisica pari al 2 per cento, che comunque non dà diritto a indennizzo, poiché non raggiunge il grado minimo indennizzabile previsto dal decreto legislativo n. 38/2000 nella misura del 6 per cento.
  Occorre uno sforzo delle istituzioni a riconoscere la piena validità dei dati offerti dalla comunità scientifica nazionale e internazionale sul danno alla salute, già accertato.

26. La contaminazione degli alimenti da PFAS nel territorio Veneto.

  La Regione Veneto nel 2016 ha commissionato all'ISS un'indagine sulla presenza dei PFAS negli alimenti di origine vegetale e di origine animale prodotti nelle aree delle Province di Vicenza, Verona e Padova contaminate da PFAS.
  Lo studio, denominato «Piano di campionamento degli alimenti per la ricerca di sostanze perfluoroalchiliche», è stato realizzato dall'Istituto Superiore di Sanità tra il 2016 e il 2017.
  I campionamenti degli alimenti sono stati effettuati dall'Arpa Veneto e dalle ULSS delle Province di Vicenza, Padova e Verona, mentre le analisi sui campioni prelevati sono state eseguite dall'ARPAV di Verona, dal Dipartimento di sicurezza alimentare, nutrizione e sanità pubblica e veterinaria dell'ISS, a Roma, e dall'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie di Legnaro (PD).
  Sono state effettuate analisi su 1.248 alimenti, di cui 614 di origine vegetale e 634 di origine animale, come indicati negli «Esiti del piano campionamento alimenti del Veneto per la ricerca di PFAS» inviato in data 24 giugno 2021 dall'Istituto zooprofilattico sperimentale delle VeneziePag. 75 (doc. 905/1/2), che tuttavia contiene una mera elencazione dei luoghi di provenienza dei prodotti alimentari, riferiti all'anno 2017, tutti della cosiddetta «zona rossa», con le concentrazioni di PFAS riscontrati, ma non un'analisi dei dati con riferimento complessivo a ciascun prodotto alimentare.
  I dati esplicitati per ogni alimento campionato sono stati invece pubblicati dagli organi di stampa, che li hanno ottenuti dalle associazioni Mamme No PFAS e da Greenpeace.
  Invero, l'acquisizione dei dati è avvenuta dopo un lungo braccio di ferro, che si è concluso con due sentenze del TAR del Veneto, in data 8 aprile 2021, in favore delle associazioni Mamme No PFAS e di Greenpeace (doc. 834/2 e doc. 834/3), che hanno obbligato la Regione Veneto a rendere disponibili i dati anzidetti.
  I risultati sono stati altresì resi analizzati da due quotidiani (doc. 953/1) che hanno messo in evidenza una grave contaminazione degli alimenti, causata dall'impiego dell'acqua di falda contaminata per l'irrigazione delle colture e per l'abbeveramento degli animali di allevamento.
  Gli alimenti contaminati con almeno una molecola di PFAS sono risultati 26, per un totale di 204 campioni su 792 analizzati.
  Nella tabella seguente pubblicata sono riportati gli alimenti contaminati e la concentrazione della somma dei PFAS per singoli alimenti negli stessi contenuti.

Pag. 76

  I risultati più allarmanti riguardano i seguenti alimenti, contaminati da livelli di PFAS molto elevati, le cui concentrazioni più alte si riportano di seguito:

   â— 37.100 ng/Kg nelle uova;

   â— da 400 a 36.800 ng/Kg nelle carni (dal muscolo bovino al fegato suino);

   â— 18.600 ng/Kg nel pesce (carpe);

   â— 3.500 ng/Kg nelle albicocche;

   â— 2.900 ng/Kg nell'uva da vino;

   â— 2.700 ng/Kg nelle ciliegie;

   â— 2.600 ng/Kg nelle pere;

   â— 2.600 ng/Kg nei fagiolini;

   â— 1.900 ng/Kg nel mais;

   â— 1.300 ng/Kg nella lattuga;

   â— 800 ng/Kg nei piselli e nei pomodori.

  I dati riscontrati sono preoccupanti, se si considera che il limite fissato dall'EFSA – Agenzia europea per la sicurezza ambientale – per l'assunzione settimanale tollerabile, attraverso la dieta, è pari a 4,4 ng/Kg di peso corporeo per le quattro molecole PFOA, PFOS, PFNA e PFHXS.
  Infine, va rilevato che i dati sopra riportati sembrano ancora più allarmanti, in quanto sono parziali, non contemplando analisi sugli alimenti di maggiore rilevanza produttiva. Le ULSS incaricate dei prelievi, infatti, non hanno raccolto campioni di kiwi, meloni, angurie, grano, soia, mele, spinaci, radicchio ed altri vegetali a foglia larga, tutti alimenti molto consumati e sui quali non si dispongono informazioni.
  Sui risultati del monitoraggio svolto sugli alimenti, l'Istituto Superiore di Sanità ha redatto una relazione «sulla valutazione dell'esposizione alimentare e sulla caratterizzazione del rischio in merito all'inquinamento da PFAS». La relazione è stata inviata anche a questa Commissione d'inchiesta ed è stata registrata, come doc. n. 959/3.
  La valutazione di ISS riguarda, però, solo due PFAS, il PFOA ed il PFOS, in quanto ISS ha ritenuto che, data la persistenza e l'assenza di metabolismo di queste molecole, la prolungata esposizione porta ad un loro accumulo nell'organismo che è – a sua volta – un fattore determinante per il potenziale rischio per la salute.
  L'ISS ha valutato soprattutto questi due PFAS, in quanto i loro valori guida, definiti come «Assunzione Tollerabile Settimanale» TWI (Tolerable Weekly Intake), identificati dall'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), sono stati nel 2018 aggiornati e ribassati rispetto alla precedente valutazione del 2008. I valori guida identificati dalll'EFAS nel 2008 sono stati, nel 2018, abbassati di 81 volte per il PFOS e di ben 1.750 volte per il PFOA.
  Ritiene l'ISS particolarmente significativi e rischiosi questi PFAS in quanto l'esposizione della popolazione generale alle sostanze perfluoroalchilichePag. 77 (PFAS) avviene in massima parte per via alimentare, attraverso il consumo di alimenti e acqua.
  In sintesi, si riportano di seguito le conclusioni della valutazione dell'ISS sull'esposizione della popolazione al PFOA ed al PFOS (doc. n. 959/3):

   â— Il PFOA è il composto più importante in termini di esposizione e di rischio, specialmente per la popolazione della zona A (Zona Rossa). L'acqua è il principale veicolo dell'esposizione, con un contributo inferiore, sebbene non trascurabile, degli alimenti prodotti localmente. I bambini presentano livelli espositivi circa doppi rispetto agli adulti.

   â— Gli interventi sulla rete acquedottistica operati dalla Regione Veneto hanno drasticamente ridotto l'esposizione al PFOA di gran parte della popolazione, e segnatamente delle famiglie allacciate alla rete, portandola a livelli analoghi ai valori del resto della popolazione veneta. Permangono, tuttavia, esposizioni elevate al PFOA in alcuni gruppi di popolazione. Specialmente nella zona A, le famiglie che fanno uso di pozzi privati per l'approvvigionamento di acqua potabile presentano livelli espositivi ancora eccedenti il TWI.

   â— Per il PFOS la situazione presenta minore criticità in termini di esposizione media in rapporto al TWI e per quanto attiene all'esposizione dei bambini, inferiore a quella degli adulti. Tuttavia, si osserva una maggiore dispersione dei livelli espositivi, con un significativo numero di soggetti con esposizioni molto superiori a quella media. Gli alimenti pesano di più (e l'acqua meno) in termini percentuali sull'esposizione alimentare complessiva rispetto al PFOA.

   â— Sia per il PFOA che per il PFOS, i risultati del presente studio evidenziano l'opportunità di una valutazione più dettagliata del contributo degli alimenti prodotti in loco all'esposizione complessiva della popolazione. Questo appare particolarmente importante per alimenti come le uova e i prodotti carnei. Questi studi ulteriori, alla luce della drastica riduzione dei TWI dei PFAS e della conseguente aumentata criticità dei dati left-censored, che impattano sulle stime di esposizione, aumentandone l'incertezza associata, richiedono lo sviluppo di metodi analitici ancora più sensibili per ridurre sostanzialmente il numero di dati di concentrazione, non quantificati, e consentire la produzione di stime di esposizione più accurate.

   â— Gli allevatori, in particolare, e con essi tutti i soggetti che presentano un significativo consumo di prodotti locali e/o autoprodotti (specialmente alimenti di origine animale), sono verosimilmente un sottogruppo di popolazione con esposizioni elevate. L'uso di acqua con significativi livelli di PFAS nelle attività agro-zootecniche può essere un fattore importante nel determinare un aumentato ingresso di PFAS nella filiera alimentare e, di conseguenza, un'aumentata esposizione per chi consuma prodotti che da essa originano. Il contemporaneo consumo di acqua potabile prodotta da impianti autonomi può determinare, specialmente per il PFOA nella zona A, il raggiungimento di livelli espositivi particolarmente elevati.

   â— In particolare, per gli allevatori e i consumatori abituali di alimenti di origine animale, una più accurata definizione dei livelli di Pag. 78esposizione alimentare potrebbe essere conseguita con disegni di studio ad hoc, come studi di dieta duplicata accompagnati dalla somministrazione di diari alimentari. Questi studi consentirebbero la produzione di evidenze, come la messa in relazione della dose esterna (dall'alimentazione) e della dose interna (da biomarcatori), che recherebbero utili indicazioni per tutelare specifici gruppi di popolazione potenzialmente a maggiore rischio. Inoltre, tale informazione sarebbe di importante valenza scientifica per ridurre le incertezze nella valutazione dell'esposizione a PFAS evidenziate nell'Opinione dell'EFSA.

27. I limiti ai PFAS nelle matrici ambientali.

  Infine, va posta l'attenzione sui limiti di legge dei PFAS per le matrici ambientali, in quanto attengono all'aspetto più importante di tutta la vicenda relativa ai PFAS.
  Il dato più rilevante emerso dall'indagine svolta della Commissione è che nella normativa italiana non sono ancora fissati i limiti sulle principali matrici ambientali. La mancanza dei limiti ambientali nelle acque di scarico, nelle acque di falda e nei terreni impedisce alle autorità competenti di intervenire per imporre i provvedimenti necessari di bonifica delle matrici ambientali contaminate.
  Peraltro, va posto in evidenza il fatto che i limiti sulle matrici ambientali, quali acque di scarico, suolo e falda, non sono ancora stati fissati neanche dall'Unione europea, che invece ha emesso direttive solo sull'acqua potabile.
  Allo stato attuale, si può affermare che solo la Regione Veneto, per altro in sostituzione dello Stato, ha fissato sui PFAS, su indicazione dell'ISS (Istituto Superiore di Sanità), solo i limiti sotto riportati:

   â— nelle acque potabili, per tutti i PFAS, come segue: 300 ng/l, per la sommatoria di tutti i PFAS; 90 ng/l per la somma di PFOA PFOS, di cui 30 ng/l per il PFOS, mentre per tutta la zona rossa, a partire dal 2017, con delibera della giunta regionale del Veneto n. 1591/17, la virtuale assenza di PFAS in base alle BAT e comunque con una somma di PFOS PFOA inferiore a 40 ng/1. Questo ha consentito di intervenire per la protezione della salute della popolazione più a rischio;

   â— nelle acque di falda, solo per il PFOA, 500 ng/l;

   â— nei terreni, con destinazione del suolo ad uso industriale, solo per il PFOA, 0,5 microgrammi/kg per terreni verdi-residenziali e 5 microgrammi/kg per terreni industriali-commerciali.

  È noto che il tema dei limiti allo scarico per le sostanze PFAS è un tema ancora bisognoso di definizione a livello normativo, poiché in Veneto sono stati introdotti limiti di scarico per queste sostanze nei provvedimenti amministrativi assunti dalla Regione, ma molti di questi provvedimenti – come ha riferito Luca Marchesi, Commissario straordinario di Arpa Veneto, nel corso dell'audizione del 20 maggio 2021 – sono stati oggetto di ricorso e da tempo vi è la necessità di un intervento normativo statale che introduca una disciplina unica su tutto il territorio nazionale di questi limiti, rispetto alla quale poi le Regioni possano eventualmente intervenire, posto che le Regioni non hanno la Pag. 79potestà normativa per intervenire in modo autonomo e inserire norme di questo tipo e di questa rilevanza.
  Per i PFAS, lo Stato, con il decreto legislativo n. 172 del 2015, che ha recepito la direttiva quadro acque 2000/60/CE, ha fissato solo gli «standard di qualità ambientale» (SQA) delle acque superficiali e delle acque di falda, ma essi non hanno nessuna utilità per prescrivere gli interventi di bonifica ai soggetti responsabili delle contaminazioni.
  Mancano, quindi, su tutto il territorio italiano limiti ambientali nelle acque di scarico, nelle acque di falda e nei terreni per tutti i PFAS, e ciò è rilevante per l'impatto negativo che tale mancanza ha sull'ambiente, perché, come detto, non consente alle autorità competenti di intervenire per imporre i provvedimenti necessari di bonifica delle matrici ambientali contaminate.
  Inoltre, la mancanza dei limiti non consente alla magistratura di contestare i reati connessi con la contaminazione delle matrici ambientali.
  Come sopra detto, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Vicenza, nel provvedimento di chiusura delle indagini sulla Miteni, non ha contestato agli indagati i reati contravvenzionali, sul presupposto che le sostanze perfluoroalchiliche non sono a tutt'oggi inserite nelle tabelle degli inquinanti per i quali la legge vieta lo sversamento.
  Il combinato disposto degli articoli 75 e 101 del decreto legislativo n. 152 del 2006 non lascia spazio a dubbi che la competenza a fissare limiti per le nuove sostanze non presenti nelle suddette tabelle sia di esclusiva competenza statale, mentre la competenza regionale si esaurisce nell'imposizione di limiti più restrittivi, rispetto a quelli stabiliti dallo Stato.
  La fissazione dei limiti deve, quindi, essere fatta dallo Stato: 1) mediante l'inserimento dei limiti agli scarichi dei PFAS nella tabella 3 e nella tabella 4 dell'allegato 5, della parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006 (tutela delle acque); 2) mediante l'inserimento delle CSC per i PFAS nelle tabella 1, colonna A e colonna B, dell'allegato 5, del Titolo V della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 (bonifica dei siti contaminati), al fine di fissare i limiti delle CSC nei terreni, e nella tabella 2, dell'allegato 5, del Titolo V della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 (bonifica dei siti contaminati), al fine di fissare i limiti delle CSC nelle acque di falda.
  Dunque, la fissazione dei limiti per le sostanze perfluoroalchiliche da parte del Ministero della Transizione ecologica, competente per materia, è urgente, per un duplice motivo, sia poiché costituisce il presupposto del reato di inquinamento, sia per poter imporre i provvedimenti di bonifica ai soggetti responsabili della contaminazione delle matrici ambientali.
  In merito alla fissazione dei limiti sui PFAS nelle matrici ambientali, appare interessante il documento di ISPRA sull'argomento (doc. 152/3).
  Dal documento di ISPRA (152/3) si evince che i limiti da fissare per i PFAS presenti negli scarichi delle acque reflue devono corrispondere a zero, cioè, le sostanze devono essere vietate, e solo per quelle sostanze dove non si può praticare la soluzione del limite zero, vanno fissati limiti molto restrittivi, corrispondenti a quelli che si possono raggiungerePag. 80 applicando le migliori tecnologie di abbattimento. ISPRA suggerisce questa soluzione con limiti così restrittivi, proprio perché i PFAS sono sostanze pericolosissime e anche piccole quantità scaricate si accumulano nell'ambiente.
  Si ritiene questo approccio condivisibile, perché è in linea con il principio di precauzione che è alla base delle norme ambientali, principio che stabilisce che la tutela dell'ambiente deve essere ad un livello superiore rispetto alla tutela della salute dell'uomo e, quindi, i limiti allo scarico devono essere inferiori ai limiti delle acque potabili. Per altro, questo approccio è già stato praticato nel decreto legislativo n. 152 del 2006 per gli scarichi di molte sostanze pericolose nel suolo, dove – per esempio – al punto 2.1 dell'allegato 5 della parte terza dello stesso decreto legislativo, vi è un elenco di sostanze pericolose per le quali sussiste il divieto di scarico nel suolo e nel sottosuolo, quando queste sostanze sono presenti negli scarichi idrici delle acque reflue. Il divieto di scarico consiste nel fatto che per poter scaricare queste acque non devono essere presenti queste sostanze pericolose e la loro non presenza è attestata dalle analisi, che non devono rilevare queste sostanze, sicché il limite di queste sostanze è zero.
  Tuttavia, la nota di ISPRA fa le valutazioni e le considerazioni sopra sintetizzate solo per i limiti dei PFAS negli scarichi, ma non fa valutazioni in relazione ai limiti per i PFAS anche nelle matrici acque di falda e terreni, che devono essere fissati affinché si possa intervenire per bonificare le falde acquifere, dove ormai sono presenti notevoli concentrazioni di PFAS.
  In particolare, le falde acquifere che scorrono sotto le discariche del Veneto vengono contaminate dal percolato prodotto dai rifiuti sopra depositati, che a loro volta contengono PFAS. Anche molti terreni sono ormai contaminati da PFAS, a causa dei fanghi e dei rifiuti contenenti PFAS che vengono interrati o depositati sopra terreni non impermeabilizzati.
  Il primo sito da bonificare è proprio quello dello stabilimento Miteni da cui ha avuto origine la contaminazione da PFAS.
  È necessario, quindi, fissare, oltre ai limiti per gli scarichi delle acque reflue, anche le CSC (concentrazione soglia di contaminazione) sia per i terreni, sia per le acque di falda, definendo i limiti dei PFAS, per quanto riguarda i suoli, da inserire nella tabella 1, colonna A e B e, per quanto riguarda le acque di falda, da inserire nella tabella 2 dell'allegato 5, del Titolo V della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Ai fini della definizione dei limiti, appare irrilevante l'elevato numero di sostanze perfluoroalchiliche che costituiscono il gruppo dei PFAS (oltre 4.700 sostanze), poiché i limiti non devono essere fissati singolarmente per ogni sostanza, ma può essere fissato un limite per la sommatoria di tutti i PFAS, aggiungendo un limite specifico solo per le poche sostanze più pericolose e più frequenti, quali il PFOS e il PFOA.
  Sul punto, come sopra accennato, va ricordato che la Regione Veneto, su parere dell'ISS, ha fissato i limiti per i PFAS nelle acque potabili, definendo limiti specifici per il PFOS e il PFOA e fissando per tutti gli altri PFAS un limite unico, quale sommatoria di tutte le sostanze.Pag. 81
  Questi limiti hanno permesso alla Regione Veneto di intervenire, installando i carboni attivi sui pozzi dai quali viene attinta l'acqua da distribuire per uso potabile, per depurarla.
  Naturalmente, i limiti per le CSC delle acque di falda dovranno essere molto più bassi di quelli fissati per le acque potabili, per il principio di precauzione, che tutela l'ambiente ad un livello superiore rispetto alla tutela della salute dell'uomo, principio che finora è stato sempre rispettato nella fissazione dei limiti nelle matrici ambientali, che sono sempre stati più bassi rispetto ai limiti che tutelano la salute della popolazione o dei lavoratori. Il principio è corretto, poiché le risorse che utilizza l'uomo vengono attinte dall'ambiente, il quale deve avere limiti di sicurezza più restrittivi per poter garantire il margine di sicurezza alla risorsa dell'uomo.
  Le stesse valutazioni andranno fatte per fissare le CSC nei suoli per la bonifica dei terreni contaminati da PFAS.
  Per la fissazione dei limiti nelle matrici ambientali è quindi fondamentale tenere conto del principio di precauzione.
  Infatti, il principio di precauzione, che per la tutela ambientale prevede limiti più restrittivi, rispetto a quelli per la tutela dell'uomo, è alla base di tutta la legislazione ambientale, dall'acqua all'aria, ai rifiuti, alle acque di falda, ecc.
  Il principio sopra citato è riportato nell'art. 174, n. 2, del Trattato 25 Marzo 1957 che istituisce la Comunità europea, ora trasfuso nell'art.191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in vigore dal 1° dicembre 2009. E questo principio è stato ribadito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 28 del 25 gennaio 2010, dove si dice che la normativa ambientale, che discende dalla politica comunitaria in materia ambientale «mira ad un elevato livello di tutela ed è fondata, in particolare, “sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio chi inquina paga”».
  Pertanto, premesso che la restrizione dei parametri ammessi per la tutela dell'ambiente obbedisce all'esigenza di salvaguardare in via preventiva l'ecosistema, in modo da garantire all'uomo la generale fruibilità di risorse meno inquinate, alcuni esempi, qui di seguito riportati, illustreranno tale principio nelle sue applicazioni:

   1. Il limite dello zinco nelle acque reflue è fissato a 1 mg/litro per gli scarichi in fognatura e a 0,5 mg/litro per gli scarichi in corpo d'acqua superficiale, mentre è a 3 mg/litro per l'acqua potabile. Dall'esempio si evince che si considera potabile un'acqua eccedente il limite di accettabilità per lo scarico in fognatura o in corpo d'acqua, e dunque necessitante di un pretrattamento di depurazione. Cioè l'uomo può bere un'acqua che non sarebbe ritenuta accettabile se dovesse essere scaricata come acqua reflua in fognatura comunale o in corso d'acqua superficiale.

   2. Il limite per il cromo esavalente, superato il quale la falda acquifera è da ritenersi inquinata, è di 5 microgrammi/litro; ma la stessa sarebbe classificata come potabile, perché il valore limite del cromo esavalente per il consumo umano è fissato a 50 microgrammi/litro, il che rappresenta un valore di concentrazione 10 volte superiore.

   3. I limiti di soglia che tutelano la salute dei lavoratori esposti alle emissioni di inquinanti nell'ambiente di lavoro sono di gran lunga Pag. 82superiori ai limiti previsti per l'emissione in atmosfera degli stessi inquinanti.

   4. I limiti dei composti organo-clorurati presenti nell'acqua potabile sono più alti dei valori degli stessi fissati a tutela della falda acquifera.

   5. Gli oli minerali, quando diventano rifiuti, sono classificati pericolosi tout-court e pertanto considerati aventi una frase di rischio R45 (può provocare il cancro), anche qualora la ricerca dei marker cancerogeni, condotta secondo le regole sull'etichettatura delle sostanze pericolose, potrebbe in teoria escluderli da tale classificazione. In relazione al suddetto principio, per quanto riguarda i limiti sui PFAS da fissare sulle matrici ambientali, è utile richiamare ancora, perché importante per chiarire il principio di precauzione, il documento di ISPRA (agli atti con il n. 152/3 di archivio della Commissione), sul quale era stato anche sentito il dott. Bratti, Direttore generale di ISPRA ed ex presidente della Commissione d'inchiesta nella passata legislatura.

  L'approccio di ISPRA, pertanto, è perfettamente in linea con la normativa ambientale, e sarebbe utile da tenere presente per la fissazione dei limiti ambientali.
  ISPRA, peraltro, ha già applicato il principio di precauzione svolgendo una consulenza tecnica, su incarico della procura di Vicenza nel p.p. n. 5019/18 RGNR, per l'inquinamento provocato dalle sostanze cC6O4 e Gen X (HFPO-DA) rilasciate dal sito Miteni di Trissino nelle acque sotterranee e nell'ambiente.
  Come già dettagliato al capitolo 8.1, ISPRA, per svolgere la sua consulenza, su incarico della procura della Repubblica di Vicenza, avendo necessità di fare un confronto con i limiti ambientali di cC6O4 e GenX, che non sono ancora definiti a livello nazionale, ha preso come riferimento i limiti per le acque sotterranee destinate al consumo umano (limiti sulla salute), individuati dall'ISS con il citato parere del 02/05/2019, prot. 13637, inviato al Ministero della Salute e poi anche alla Regione Veneto e al MATTM. Nel parere ISS, vengono indicati i limiti di 0,5 µg/l (500 ng/l), per la somma di tutti i PFAS, e di 0,1 µg/l (100 ng/l) come valore di ogni singolo PFAS, quindi il limite di 0,1 µg/l riguarda sia il C6O4 e sia il GenX (doc. 331/2).
  ISPRA si è correttamente riferita ai limiti sopra riportati, in quanto ha ritenuto che questi limiti sanitari sarebbero comunque più alti dei limiti ambientali, e quindi se vengono superati questi limiti sanitari, sicuramente saranno superati anche i limiti ambientali. Dunque, il criterio per accertare compromissione e deterioramento sarà l'aver accertato per le due sostanze il superamento nelle acque del valore limite di 0,1 µg/l (100 ng/l).
  In conclusione, per le considerazioni sopra esposte, si ritiene che un buon punto di partenza per fissare i limiti nelle matrici ambientali sia il parere dell'Istituto Superiore di Sanità del 02/05/2019, prot. 13637, inviato al Ministero della Salute e poi anche alla Regione Veneto e al MATTM (ora Ministero della Transizione ecologica), con indicati i limiti per le acque sotterranee destinate al consumo umano (limiti sulla salute). Come sopra detto, nel parere ISS, vengono indicati i limiti di Pag. 830,5 µg/l (500 ng/l), per la somma di tutti i PFAS, e di 0,1 µg/l (100 ng/l) come valore di ogni singolo PFAS.
  Sulla base di queste considerazioni, perciò, per fissare i limiti dei PFAS nelle matrici ambientali si dispone già di dati dai quali partire, che sono i limiti sanitari individuati dall'ISS con i propri pareri. I limiti ambientali dovranno essere proporzionalmente inferiori ad essi, secondo un rapporto che dovrebbe essere individuato dal Ministero della Transizione ecologica.

28. Conclusioni.

  Il curatore del fallimento Miteni riferisce, nella propria relazione ex articolo 33 della legge fallimentare (doc. 328/2), che lo stabilimento chimico di Trissino – in provincia di Vicenza – fu realizzato alla fine del 1966 dalla società RiMar (acronimo di «Ricerche Marzotto»), al fine di sviluppare le ricerche nel campo delle applicazioni tessili del gruppo Marzotto.
  La società, che negli anni successivi ha aumentato la propria specializzazione nell'utilizzo atomi di Fluoro (F), ha prodotto per decenni benzotrifluoruri (BTF), fluoroaromatici (FA) e perfluoroderivati con varie applicazioni nel mondo dell'agrochimica, della farmaceutica e dei prodotti di «performance», prodotti cioè che conferiscono caratteristiche particolari ai prodotti finali dei clienti, quali ad esempio lo scivolamento sulla neve (per la produzione di sciolina) o l'anti infiammabilità (policarbonato e schiumogeni).
  Nel 1988 le azioni di RiMar Chimica Spa furono acquistate da Mitsubishi Italia Spa che, immediatamente, diede vita a una joint venture con Enichem Syntesis Spa, mediante la costituzione della società Miteni srl, nella quale Enichem partecipava al 51 per cento e Mitsubishi al 49 per cento delle quote sociali.
  Il 3 maggio 1988 Miteni srl acquistò da Mitsubishi Italia il 100 per cento delle azioni di RiMar Chimica Spa e, il 1° gennaio1989, quest'ultima venne fusa per incorporazione in Miteni srl (che il 14.12.1992 si trasformò in Spa).
  Nel 1996 Enichem Syntesis cedette a Mitsubishi Corporation le quote azionarie di Miteni Spa di sua proprietà e, dunque, Mitsubishi Corporation subentrò nella titolarità esclusiva e nella gestione del sito di Trissino.
  Alla fine del 2008, si interessò all'acquisto delle azioni di Miteni Spa il gruppo facente capo alla International Chemical Investors S.E., holding lussemburghese di mera partecipazione, che controlla alcune sub holding, anch'esse di mera partecipazione, detenenti, a loro volta, partecipazioni in una serie di società attive nel settore farmacologico e nel settore chimico, a livello mondiale.
  La International Chemical Investors S.E., in particolare, deteneva l'intera partecipazione nella società International Chemical Investors IVS.A. (ICI IV), alla quale, in data 5 febbraio 2009, veniva trasferita la titolarità della totalità delle azioni di Miteni.
  Degna di nota è la circostanza che ICI IV ha instaurato, con atto del 12 aprile 2018, un procedimento arbitrale internazionale finalizzato all'annullamento, per dolo, dello Share Purchase Agreement, lamentando il fatto che, a suo dire, al momento della vendita delle azioni di Pag. 84Miteni, Mitsubishi avrebbe celato all'acquirente dati ed informazioni riguardanti le criticità ambientali, emerse successivamente. Il procedimento arbitrale è incardinato presso la Camera di Commercio Internazionale (ICC) ed è attualmente in corso.
  In data l° settembre 2009 ICI IV cedeva l'intera partecipazione azionaria di Miteni alla ICI Italia, sub holding di mera partecipazione in società attive nei settori della farmaceutica e della chimica fine.
  In data 16 marzo 2016 ICI Italia conferiva il ramo di azienda relativo al settore della chimica – ivi compresa la partecipazione in Miteni Spa – alla neo costituita International Chemical Investors Italia 3 Holding srl («ICI Italia 3» o «ICI 3»), che è oggi il socio unico della società fallita.
  Degno di nota è il fatto che, con provvedimento del 16 di novembre del 2020, la provincia di Vicenza ha ordinato alla società Mitsubishi Corporation e alla società ENI Rewind Spa di partecipare alle attività e agli interventi di bonifica del sito, in quanto società che hanno avuto un controllo azionario della società Miteni in un certo periodo di tempo.
  Con determina del 4 marzo 2020, il Comune di Trissino ha approvato il progetto di messa in sicurezza operativa delle acque sotterranee, ex Miteni, che ICI 3 aveva presentato, proposto in modo volontario, nella qualità di soggetto non responsabile dell'inquinamento, in data 31 dicembre del 2019.
  Ad oggi, i lavori di attuazione del progetto di MISO (messa in sicurezza operativa) delle acque sotterranee e di redazione dell'analisi di rischio procedono regolarmente e compatibilmente con le attività di smontaggio e asporto degli impianti industriali che insistono sul sito e che sono stati venduti dal curatore del fallimento Miteni alla società indiana Viva Science Life Private Limited.
  Tuttavia, le attività di smontaggio e asporto degli impianti hanno subìto ritardi, a causa della nota problematica legata alla pandemia.
  La bonifica del sito è decisamente molto, molto complessa. Come è noto, ci sono più barriere idrauliche che dovrebbero provvedere a ridurre l'inquinamento provocato da Miteni. Vi sono barriere a monte dello stabilimento, barriere a valle e barriere di alleggerimento, che aspirano l'acqua di falda e la trattano con i carboni attivi. Sono barriere che sono fatte da strumenti che vanno a incidere nel suolo a profondità diverse, ma quello che è apparso chiaro – nel tempo in cui si sta procedendo con questo grande lavoro – è che vi sono due acquiferi diversi. Vi è uno che va sullo strato roccioso e un altro che va sullo strato alluvionale. Quello alluvionale è superiore, mentre quello roccioso è inferiore.
  Il lavoro che ha portato la Miteni a realizzare le barriere idrauliche, al fine di ridurre l'inquinamento, ha consentito di individuare che le acque più profonde contengono maggiore inquinante, mentre le acque più superficiali, quelle della parte alluvionale, ne hanno di meno.
  Si è comunque compreso nel corso del tempo che l'inquinamento non è scomparso, ma sta diminuendo in maniera molto blanda e molto lentamente e questo dipende dal fatto – per quanto è stato spiegato da ARPAV – che le barriere da sole non sono sufficienti a fermare l'inquinamento, pur fornendo un importante contributo. Invero, le registrazioni relative alle analisi eseguite rappresentano un andamento Pag. 85altalenante dell'inquinamento: sembra che improvvisamente l'inquinamento stia diminuendo, viceversa, di nuovo vengono rinvenuti dei picchi di PFAS e così via, pur se nell'insieme, come si è detto, vi è una blanda diminuzione dell'inquinamento.
  In particolare, il monitoraggio svolto da ARPAV, negli anni 2020-2021, nel piezometro di controllo più importante, ai fini della verifica dell'efficacia della barriera idraulica, denominato MW 18, posto a valle dello stabilimento e posizionato a circa un centinaio di metri fuori di esso, rivela un notevole inquinamento da tutti i PFAS, ivi comprese le nuove sostanze come il Gen-X e il cC6O4, con una tendenza all'aumento.
  Questo spiega la preoccupazione degli enti di controllo che, nel corso della riunione del Comitato tecnico del protocollo d'intesa Regione-Provincia-Comune-ARPAV, svoltasi presso il municipio di Trissino in data 4 ottobre 2021, su proposta della Provincia di Vicenza, si è deciso di richiedere alla società ICI Italia 3 di fornire un progetto per bloccare/intercettare il plume dentro la proprietà, analizzando ipotesi integrative, quali ad esempio un microtunnel sub orizzontale di completamento e/o similari intercettazioni lineari della falda inquinata e ciò in forza degli impegni assunti.
  Anche da questa situazione di stallo nel fermare il plume inquinante nasce l'esigenza di procedere alla costruzione di una barriera metallica, volta a separare l'area del torrente Poscola – che corre lungo lo stabilimento industriale – da quella dei fabbricati della Miteni, in modo da limitare il più possibile l'apporto di acque di ricarica da parte del torrente stesso e di conseguenza l'apporto di acqua «pulita», a monte rispetto al sito ex Miteni, ma ciò potrà avvenire solo quando le aree occupate dagli impianti saranno completamente libere e dunque non prima del mese di dicembre 2022.
  Allo stato, il lavoro di decommissioning degli impianti, che occupano uno spazio di ben due ettari, all'interno dello stabilimento di Miteni, in questo momento è stato effettuato su due impianti su tre, nel senso che, su due impianti su tre, è stata effettuata una forma di impacchettamento: quindi, gli impianti sono stati lavati all'interno, svuotati di tutte le loro sostanze e preparati per essere poi spostati dalla Viva Life, che li porterà in India.
  Tale impacchettamento serve a proteggere gli impianti, che vengono lavati e ripuliti, mentre le acque di lavaggio vengono aspirate, per evitare che si disperdano e che le sostanze tossiche in esse contenute vengano in qualche modo respirate e aspirate: i lavoratori che stanno procedendo all'esecuzione delle relative opere, lavorano in sicurezza, con attrezzature speciali e con turni molto ristretti, adottando particolare sistemi di respirazione, poi si danno una turnazione, proprio per operare in assoluta sicurezza.
  Il lavoro è ancora lungo da eseguire, per completare il lavaggio di tutti gli impianti, poiché è in corso l'impacchettamento di due gruppi di strumenti, mentre un terzo gruppo di impianti ancora «non è stato toccato».
  Ad oggi la percentuale di smontaggio degli impianti è pari al 30 per cento e le opere di decommissioning non potranno essere completate prima della fine del 2022.Pag. 86
  Come si è detto, altra opera importante da eseguire è il lavoro di messa in opera del palancolato, perché – secondo tutte le valutazioni che sono state fatte dal MISE (Ministero dello sviluppo economico), condivise da tutte le autorità preposte – dovrebbe costituire una forma di barriera fisica molto importante, che sommata alle tre barriere idrauliche che sono attive, dovrebbe dare un deciso contributo alla diminuzione dell'inquinamento.
  Il palancolato avrebbe dovuto essere messo già da tempo, ma la pandemia da Covid-19, ha provocato un rallentamento dei tempi di progettazione dell'opera. Se la gara dovesse concludersi nei tempi indicati, l'opera, della lunghezza di metri 500 e della profondità di circa 20 metri, sarà realizzata quando le aree saranno liberate dagli impianti e cioè non prima del 2023.
  A questo punto rimane il problema del suolo, di tutto quello che vi è sotto gli impianti e di come saranno bonificati le aree al di sotto degli impianti e quelle circostanti.
  Sono in corso degli studi e delle prove, perché c'è il problema complesso di come procedere: se cioè andare avanti con il desorbimento termico, che sembra essere – per quanto è stato spiegato anche nel MISO – la modalità forse più adatta per fare fronte all'inquinamento sottostante gli edifici, quindi al di sotto delle parti che verranno poi asportate, ovvero procedere con il metodo dell'ossidazione chimica, che opera mediante l'inserimento nel terreno dell'ossidante chimico, che andrà a distruggere direttamente il composto prima che si propaghi.
  In conclusione, si tratta di procedure molto complesse e non è stata ancora presa una decisione ed è anche possibile che vengano utilizzati entrambi i sistemi anzidetti (cfr. resoconto audizione dell'8 luglio 2021 della dott.ssa Orietta Canova procuratore aggiunto presso il tribunale di Vicenza).
  Nel frattempo, è in corso avanti la corte d'assise del tribunale di Vicenza il procedimento penale i reati di avvelenamento delle acque di falda e superficiali, disastro ambientale e altri reati tra cui la bancarotta fraudolenta, in cui sono imputati i responsabili della Miteni e i vertici delle controllanti Mitsubishi Corporation Inc. e International Chemical Investors Group (ICIG).
  Le parti civili costituite sono ben 318, tra cui la Regione Veneto, la Provincia di Vicenza, i Comuni interessati dall'inquinamento delle Province di Vicenza, Verona e Padova, i consigli di bacino delle società affidatarie della gestione del servizio idrico integrato, l'ARPAV, le Organizzazioni sindacali CGIL e CISL, Medicina Democratica, Italia Nostra Onlus, ISDE Medici per l'ambiente.
  Peraltro, va anche ricordato che il procuratore della Repubblica in Vicenza, nel corso della sua audizione in data 8 luglio 2021, ha riferito che era pervenuta una segnalazione del NOE di Treviso, che il suo ufficio stava verificando, concernente l'interramento all'interno dello stabilimento di una «cisterna», il cui contenuto era sconosciuto, «attraverso apparecchiature idonee e altre attività e operazioni».
  L'altra società produttrice in Italia di sostanze perfluoralchiliche è la Solvay Specialty Polymers Italy Spa di Spinetta Marengo, il cui collegamento con la Miteni è rappresentato dal fatto che la loro collaborazione riguardava solo la produzione della sostanza cCSO4. In Pag. 87particolare, la Miteni riceveva da Solvay delle resine, le rigenerava e restituiva la sostanza rigenerata e sanificata. Riceveva il sale di potassio e restituiva un sale di ammonio.
  Punto di partenza, per comprendere lo stato di inquinamento del sito di Spinetta Marengo, è la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 13843 del 2020, pubblicata il 7 maggio 2020 (doc. 882/2) che – nel confermare la sentenza della corte di assise di appello di Torino del 20 giugno 2018, a sua volta confermativa della sentenza della corte d'assise di Alessandria del 14 dicembre 2015 – ha ritenuto gli imputati responsabili del reato di disastro ambientale, nella loro qualità di dirigenti della Solvay Specialty Polymers Italy Spa, confermando la sentenza della corte torinese.
  In conclusione, i ricorsi degli imputati contro la sentenza della corte d'appello di Torino sono stati rigettati dalla Corte di Cassazione.
  Pertanto, è divenuta definitiva sia la condanna penale degli stessi imputati, nella loro qualità di gestori dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo, a pene detentive, con il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, sia la loro condanna in sede civile – in solido con il responsabile civile Solvay Specialty Polymers Italy Spa – al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili: Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (ora Ministero della Transizione ecologica), da attuarsi nelle forme previste dall'articolo 311 del decreto legislativo n. 152 del 2006; Comune di Alessandria; Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta Onlus; WWF Italia Onlus; C.G.I.L. Camera del Lavoro Territoriale di Alessandria; Medicina Democratica, Movimento di Lotta per la Salute, società cooperativa; Associazione I due Fiumi Erica, Pro Natura, Alessandria; singoli privati meglio specificati nella sentenza impugnata.
  La pronunzia della Cassazione, come pure le sentenze di merito non hanno ad oggetto l'inquinamento della falda da PFAS e, in particolare, a quello da cC6O4, bensì riguardano il precedente inquinamento della falda da cromo esavalente, cloroformio, tetracloruro di carbonio, tricloroetilene, tetracloroetilene, 1.2. dicloroetilene, floruri.
  Allo stato è in corso un nuovo procedimento penale contro dirigenti e direttori della Solvay, iscritto al n. 2955/2020 R.G.N.R. modello 2, a seguito dei successivi accertamenti dell'Arpa di Alessandria, nonché di numerosi esposti di associazioni ambientaliste e comitati cittadini, aventi ad oggetto i PFAS e, in particolare, il cC6O4.
  Invero, gli accertamenti dell'Arpa e gli esposti delle associazioni ambientaliste avevano segnalato la presenza di cC604 (molecola appartenente alla categoria degli PFAS e brevettata dalla Solvay, dapprima, prodotta nello stabilimento Miteni di Trissino e dal 2013 nello stabilimento di Spinetta Marengo) nell'area esterna allo stabilimento e nella falda acquifera sottostante, pur nel contesto di un inquinamento storico del sito. Ad avviso della procura della Repubblica in Alessandria, la presenza di cC604 costituisce la prova dello sversamento nel terreno di sostanze chimiche ed è indice della imperfetta tenuta sia delle tubature dello stabilimento, sia della barriera idraulica, in violazione delle prescrizioni di bonifica ambientale, di cui alla sentenza di condanna della Suprema Corte.
  Pertanto, oggetto dell'attuale procedimento penale è la verifica della situazione attuale dell'inquinamento dell'area di Spinetta MarengoPag. 88 e delle zone attigue, derivante dalle produzioni chimiche dello stabilimento Solvay: in particolare, la verifica riguarda lo stato e la tenuta degli impianti dello stabilimento (circa 50 km di tubazioni delle acque di processo, di raffreddamento, fognarie e di depurazione), nonché la tenuta della barriera idraulica predisposta dalla Solvay per depurare le acque di falda.
  Allo stato, queste indagini sono coperte da segreto istruttorio.
  Nell'ambito dei poteri della Commissione di inchiesta veniva convocato l'ing. Andrea Diotto, Direttore dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo, per l'audizione fissata il 17 marzo 2021 e avente a oggetto le «attività svolte dallo stabilimento di Spinetta Marengo», ma l'ing. Diotto si è avvalso della facoltà di non rispondere, nella sua qualità di indagato nel suddetto procedimento penale.
  Allo stato attuale, dalle notizie che si hanno, in parte ricavabili da articoli di stampa agli atti della Commissione, risulta che è stato autorizzato l'aumento della produzione di cC6O4 da 40 a 60 tonnellate/anno, nonostante che sia stata riscontrata la presenza di questo PFAS in un pozzo di acqua potabile del comune di Montecastello, distante circa 10 km. dallo stabilimento, pozzo che è stato chiuso per precauzione dal gestore AMAG Reti Idriche.
  Sembrerebbe che il cC6O4 sia arrivato nella zona di Montecastello con l'alluvione dell'autunno del 2020.
  In ogni caso, la situazione della contaminazione ambientale è preoccupante, poiché allo stato attuale è accertata la contaminazione della falda e la contaminazione delle acque del fiume Bormida con i PFAS provenienti dallo stabilimento Solvay, ma non risulta ad oggi nessun progetto per realizzare efficaci impianti di trattamento per la riduzione dei PFAS presenti nelle acque reflue scaricate nel Bormida, né risultano progetti chiari di implementazione dell'efficacia della barriera idraulica, che serve a bloccare l'inquinamento da PFAS nelle acque sotterranee, che al momento si sta diffondendo proprio a causa dell'inefficienza della barriera.
  Anzi, la situazione sembra indirizzarsi verso il mantenimento dello stato di inquinamento, che sembra, altresì, «aiutato» dalla stessa recente autorizzazione AIA, rilasciata dalla Provincia di Alessandria alla Solvay per l'ampliamento della produzione di cC6O4, in data 26 febbraio 2021 Prot. Gen. N. 20210011988 (doc. 818/3).
  Sull'autorizzazione si riscontrano forti criticità in merito ai limiti imposti allo scarico, che non solo sono troppo alti per poter giungere a bloccare la contaminazione, ma sono stati fissati senza nessun fondamento e per di più in contrasto con la norma sul principio di precauzione e in contrasto con i pareri di ISS, di cui al doc. 331/2, e di ISPRA, di cui al doc. 152/3, che suggeriscono limiti notevolmente più bassi, come già illustrato nel capitolo 19.

  I casi più gravi di contaminazione da PFAS sono localizzati nella regione Veneto e nella regione Piemonte, per la presenza dei due stabilimenti produttivi Miteni di Trissino e Solvay di Spinetta Marengo, ma la Commissione di inchiesta ha accertato che la diffusione dei PFAS si riscontra in tutto il territorio nazionale e, in particolare, nelle Regioni del Nord e nel bacino del Po, tenuto conto della molteplicità delle attività produttive in cui vengono impiegate le sostanze perfluoroalchiliche, come risulta dalla tabella riportata nel precedente capitolo Pag. 892 e dalle informazioni acquisite dalle altre Arpa regionali, che si sono via via attrezzate per svolgere i monitoraggi e, cioè, quelle della Lombardia, dell'Emilia-Romagna, della Toscana e del Lazio, che tuttavia hanno iniziato i controlli solo a partire dal 2017. Peraltro, l'Arpa del Lazio e l'Arpa della Toscana hanno fatto la ricerca, rispettivamente, solo per nove e per sei PFAS, e non per i dodici PFAS (che non comprendono i cC6O4 e il Gen-X), che normalmente sono presenti nelle matrici ambientali.
  Va detto, infine, che nessuna della Arpa regionali ha ricercato nelle acque i cC6O4, ad eccezione di quelle del Veneto e del Piemonte
  Le sostanze perfluoroalchiliche – PFAS – ormai si ritrovano su tutto il territorio italiano. I quantitativi più alti, con le concentrazioni più alte, si riscontrano nei due siti produttivi della Miteni di Trissino (VI) e della Solvay di Alessandria, a Spinetta Marengo, e nei territori limitrofi a questi due siti, pur se ormai diffusi intorno ai due stabilimenti su aree, che si estendono per decine di chilometri.
  Si è visto che la loro diffusione è facilitata dalla loro forte idrosolubilità, con la conseguenza che si diffondono molto velocemente in ambiente idrico.
  Per le loro caratteristiche chimiche, in particolare per il legame tra carbonio e fluoro della loro struttura molecolare, i PFAS sono molto persistenti nell'ambiente e quindi contaminano con facilità il suolo, l'aria e soprattutto le acque, sia sotterranee che superficiali; inoltre, si accumulano nel biota, passando nell'uomo attraverso la catena alimentare, in particolare, attraverso l'uso dell'acqua potabile, ma anche attraverso gli alimenti, sui quali si accumulano, anche in concentrazioni notevoli.
  I PFAS hanno la caratteristica di accumularsi nell'uomo, in particolare nel sangue, dove possono rimanere per anni e, pertanto, sono suscettibili di portare allo sviluppo di numerose malattie.
  È stato accertato che l'esposizione della popolazione ai PFAS conduce a danni gravi alla salute.
  Tutti gli studi scientifici concordano che sul piano epidemiologico, le condizioni di salute e le patologie per le quali vi è ad oggi un'evidenza di una possibile associazione con l'esposizione a PFAS sono:

   â— immunotossicità, con ridotta risposta alle malattie infettive e ridotta risposta alle vaccinazioni;

   â— ipercolesterolemia;

   â— aumento dei trigliceridi;

   â— aumento della pressione sanguigna e ipertensione (effetto maggiore nelle femmine);

   â— alterazione di livelli di glucosio;

   â— aumento della percentuale di grasso corporeo in ragazze con esposizione prenatale della madre;

   â— effetti epatici;

   â— patologie tiroidee;

   â— alterazione livelli urea ed effetti renali;

Pag. 90

   â— diminuita risposta vaccinale;

   â— colite ulcerosa;

   â— alterazioni scheletriche;

   â— rischio cardiovascolare;

   â— alterazioni riproduttive maschili;

   â— tossicità materna e fetale: diminuito peso alla nascita, pre-eclampsia, alterazioni del sistema riproduttivo femminile, obesità e alterazioni metaboliche in età adulta.

  Oltre agli aspetti sopra elencati, gli studi scientifici mettono in evidenza la possibile associazione dell'esposizione ai PFAS con un'aumentata incidenza di tumori, osservata in alcuni studi epidemiologici.
  I principali studi epidemiologici sulla relazione tra PFAS e cancro provengono dalla popolazione generale e dalla popolazione dei lavoratori del comparto chimico-industriale, esposte alla contaminazione da PFAS prodotti dalla DuPont in un impianto del Mid-Ohio negli USA.
  Altre istituzioni internazionali (ATSDR, EPA) ritengono significativo l'incremento del rischio di cancro del rene e del testicolo associato a PFOA. Tutte le istituzioni sono, però, concordi nell'affermare che c'è necessità di più ricerche sull'argomento e che il Veneto rappresenterebbe proprio una popolazione ideale in cui queste ricerche potrebbero essere condotte (circa 150.000 maschi esposti in fase embrionale nell'utero materno ad alti livelli di PFOA per diversi decenni). Nella Regione Veneto l'eventuale danno probabilmente si è già verificato o potrebbe essere ancora in corso, se si considera che il tumore del testicolo possa verificarsi nei giovani di 15-30 anni, a seguito di un'esposizione in utero.
  Sottolineando la necessità di ulteriori studi, va tenuta in considerazione la particolarità della situazione espositiva a queste sostanze nel territorio italiano. Se infatti a livello internazionale il peso relativo del PFOA è pari a solo il 20 per cento del rischio espositivo, tra i quattro principali PFAS (PFOA, PFNA, PFHxS e PFOS), i dati nazionali identificano proprio il PFOA, e non il PFOS, come il principale PFAS presente nella rete idrica nazionale, nonché nel sangue delle popolazioni esposte.
  Molto interessante e allo stesso tempo molto preoccupante è l'indagine epidemiologica condotta dalla Regione Veneto sulla popolazione residente nella Zona Rossa del Veneto, cioè sulla popolazione residente nei Comuni più esposti all'inquinamento da PFAS provenienti dal sito della Miteni di Trissino, che ha messo in evidenza che nel1'Area Rossa si rileva un eccesso statisticamente significativo di mortalità per cardiopatie ischemiche (uomini 17 per cento, donne 14 per cento), per malattie cerebrovascolari (uomini 21 per cento, donne 11 per cento), e, limitatamente al sesso femminile, per diabete ( 23 per cento) e per Alzheimer/demenza ( 16 per cento), un eccesso statisticamente significativo di prevalenza per Ipertensione ( 22 per cento in entrambi i sessi), diabete mellito (uomini 14 per cento, donne 16 per cento), malattie cerebrovascolari (uomini 22 per cento, donne 18 per cento), ipotiroidismo (uomini 9 per cento, donne 10 per cento) e dislipidemia (uomini 15 per cento, donne 11 per cento).Pag. 91
  Inoltre, nell'Area Rossa rispetto al resto del Veneto si rileva un eccesso di rischio statisticamente significativo per pre-eclampsia, diabete gravidico, neonati con peso basso per età gestazionale, Difetti congeniti del cuore e anomalie congenite del sistema nervoso.
  Per quanto riguarda gli effetti dei PFAS sui tumori, non si osservano significativi eccessi di incidenza neoplastica, ad eccezione dei tumori del polmone, che nei maschi dell'Area Rossa presenta, invece, un eccesso significativo, rispetto alla popolazione del resto del Veneto.
  L'indagine epidemiologica svolta dalla Regione Veneto sulla popolazione conferma, pertanto, tutti i dati emersi dai numerosi studi scientifici, nazionali e internazionali, finora svolti sugli effetti dei PFAS sulla salute umana e conferma altresì le conclusioni del consulente della Commissione di inchiesta, prof. Andrea Di Nisio.
  Peraltro, si segnala che la dott.ssa Eugenia Dogliotti, già direttrice del Dipartimento ambiente e salute dell'Istituto Superiore di Sanità, ha riferito nell'audizione del 17 luglio 2019 che «non è mai partito lo studio di coorte residenziale», deliberato dalla Regione Veneto nel 2016 con D.G.R.
  Infine, un aspetto molto preoccupante riguarda la presenza dei PFAS riscontrati in alte concentrazioni negli alimenti di origine vegetale e animali che normalmente rappresentano la dieta della popolazione.
  La Regione Veneto nel 2016 ha commissionato all'ISS un'indagine sulla presenza dei PFAS negli alimenti di origine vegetale e di origine animale prodotti nelle aree delle province di Vicenza, Verona e Padova contaminate da PFAS.
  Lo studio, denominato «Piano di campionamento degli alimenti per la ricerca di sostanze perfluoroalchiliche», è stato realizzato dall'Istituto Superiore di Sanità tra il 2016 e il 2017.
  I campionamenti degli alimenti sono stati effettuati dall'ARPAV e dalle ULSS delle Province di Vicenza, Padova e Verona, mentre le analisi sui campioni prelevati sono state eseguite dall'ARPAV di Verona, dal Dipartimento di sicurezza alimentare, nutrizione e sanità pubblica e veterinaria dell'ISS, a Roma, e dall'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie di Legnaro (PD).
  Sono state effettuate analisi su 1.248 alimenti, di cui 614 di origine vegetale e 634 di origine animale.
  Gli alimenti contaminati con almeno una molecola di PFAS sono risultati 26, per un totale di 204 campioni su 792 analizzati.
  I risultati più allarmanti riguardano i seguenti alimenti, contaminati da livelli di PFAS molto elevati, le cui concentrazioni più alte si riportano di seguito:

   â— 37.100 ng/Kg nelle uova;

   â— da 400 a 36.800 ng/Kg nelle carni (dal muscolo bovino al fegato suino);

   â— 18.600 ng/Kg nel pesce (carpe);

   â— 3.500 ng/Kg nelle albicocche;

   â— 2.900 ng/Kg nell'uva da vino;

   â— 2.700 ng/Kg nelle ciliegie;

   â— 2.600 ng/Kg nelle pere;

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   â— 2.600 ng/Kg nei fagiolini;

   â— 1.900 ng/Kg nel mais;

   â— 1.300 ng/Kg nella lattuga;

   â— 800 ng/Kg nei piselli e nei pomodori.

  I dati riscontrati sono preoccupanti, se si considera che il limite fissato dall'EFSA – Agenzia europea per la sicurezza ambientale – per l'assunzione settimanale tollerabile, attraverso la dieta, è pari a 4,4 ng/Kg di peso corporeo per le quattro molecole PFOA, PFOS, PFNA e PFHXS.
  Infine, va rilevato che i dati sopra riportati sembrano ancora più allarmanti, in quanto sono parziali, non contemplando analisi sugli alimenti di maggiore rilevanza produttiva. Le ULSS incaricate dei prelievi, infatti, non hanno raccolto campioni di kiwi, meloni, angurie, grano, soia, mele, spinaci, radicchio ed altri vegetali a foglia larga, tutti alimenti molto consumati e sui quali non si dispongono informazioni.
  Sui risultati del monitoraggio svolto sugli alimenti, l'Istituto Superiore di Sanità ha redatto una relazione «sulla valutazione dell'esposizione alimentare e sulla caratterizzazione del rischio in merito all'inquinamento da PFAS».
  La valutazione di ISS riguarda, però, solo due PFAS, il PFOA ed il PFOS, in quanto ISS ha ritenuto che, data la persistenza e l'assenza di metabolismo di queste molecole, la prolungata esposizione porta ad un loro accumulo nell'organismo che – a sua volta – è un fattore determinante per il potenziale rischio per la salute.
  Nonostante la valutazione si sia limitata solo su due soli PFAS, l'ISS ha concluso che l'esposizione della popolazione agli alimenti contaminati desta preoccupazione, poiché la popolazione, soprattutto quella della zona A, presenta livelli espositivi ancora eccedenti i valori di TWI. I bambini, in particolare, presentano livelli espositivi circa doppi rispetto agli adulti.
  La gravità degli effetti sulla salute umana, in conseguenza all'esposizione da PFAS, rende ancora più urgente e non più procrastinabile la fissazione di limiti sulle matrici ambientali.
  Le conseguenze sulla salute della popolazione esposta ai PFAS rendono, infatti, urgente il risanamento delle matrici ambientali contaminate dai PFAS, poiché solo risanando l'ambiente dal quale la popolazione attinge le risorse è possibile eliminare gli effetti nocivi sulla salute.
  Tuttavia, per risanare l'ambiente devono però prima essere fissati i limiti sulle matrici ambientali, che al momento non ci sono. I limiti vanno fissati, con legge dello Stato, in base al principio di precauzione. Il principio di precauzione prevede limiti più restrittivi per la tutela ambientale, rispetto a quelli per la tutela della salute, e questo principio è alla base di tutta la legislazione ambientale, dall'acqua, all'aria, ai rifiuti, alle acque di falda, e così via.
  Il dato più rilevante emerso dall'indagine svolta della Commissione parlamentare di inchiesta è che nella normativa italiana non sono ancora fissati i limiti sulle principali matrici ambientali. La mancanza dei limiti ambientali nelle acque di scarico, nelle acque di falda e nei terreni impedisce alle autorità competenti di intervenire per imporre i Pag. 93provvedimenti necessari di bonifica delle matrici ambientali contaminate.
  Allo stato attuale, si può affermare che solo la Regione Veneto, ha fissato sui PFAS, su indicazione dell'ISS (Istituto Superiore di Sanità), solo i limiti sotto riportati:

   â— nelle acque potabili, per tutti i PFAS, come segue: 300 ng/l, per la sommatoria di tutti i PFAS; 90 ng/l per la somma di PFOA PFOS, di cui 30 ng/l per il PFOS. Questo ha consentito, almeno, di intervenire per la protezione della salute della popolazione più a rischio;

   â— nelle acque di falda, solo per il PFOA, 500 ng/l;

   â— nei terreni, con destinazione del suolo ad uso industriale, solo per il PFOA, 0,5 microgrammi/kg (500 ng/Kg) per terreni verdi-residenziali e 5 microgrammi/kg (5.000 ng/Kg) per terreni industriali-commerciali.

  Ma i limiti fissati dalla Regione Veneto, non solo sono incompleti, poiché non riguardano tutte le matrici ambientali e non contemplano tutti i PFAS, ma – per esempio – i limiti per la matrice terreno e per la matrice falda si riferiscono solo al PFOA, e non ad altri PFAS, come i più recenti Gen-X e il cC6O4.
  Più in generale, mancano su tutto il territorio italiano limiti ambientali nelle acque di scarico, nelle acque sotterranee e nei terreni per tutti i PFAS, e ciò è rilevante per l'impatto negativo che tale mancanza ha sull'ambiente, perché, come detto, non consente alle autorità competenti di intervenire per imporre i provvedimenti necessari di bonifica delle matrici ambientali contaminate.
  Inoltre, la mancanza dei limiti non consente alla magistratura di contestare i reati connessi con la contaminazione delle matrici ambientali.
  In conclusione, appare evidente che è necessario fissare limiti completi e nazionali, in quanto il problema dei PFAS riguarda l'intero territorio italiano.
  Il combinato disposto degli articoli 75 e 101 del decreto legislativo n. 152 del 2006 non lascia spazio a dubbi che la competenza a fissare limiti per le nuove sostanze non presenti nelle suddette tabelle sia di esclusiva competenza statale, mentre la competenza regionale si esaurisce nell'imposizione di limiti più restrittivi, rispetto a quelli stabiliti dallo Stato.
  La fissazione dei limiti deve, quindi, essere fatta dallo Stato, con apposita normativa e, cioè: 1) mediante l'inserimento dei limiti agli scarichi dei PFAS nella tabella 3 e nella tabella 4 dell'allegato 5, della parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006 (tutela delle acque); 2) mediante l'inserimento delle CSC per i PFAS nelle tabella 1, colonna A e colonna B, dell'allegato 5, del Titolo V della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 (bonifica dei siti contaminati), al fine di fissare i limiti delle CSC nei terreni, e nella tabella 2, dell'allegato 5, del Titolo V della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 (bonifica dei siti contaminati), al fine di fissare i limiti delle CSC nelle acque di falda.
  Dunque, la fissazione dei limiti per le sostanze perfluoroalchiliche da parte del Ministero della Transizione ecologica, competente per Pag. 94materia, è urgente, per un duplice motivo, sia poiché costituisce il presupposto del reato di inquinamento, sia per poter imporre i provvedimenti di bonifica ai soggetti responsabili della contaminazione delle matrici ambientali.
  In merito alla fissazione dei limiti sui PFAS nelle matrici ambientale, appare interessante il documento di ISPRA sull'argomento (doc. 152/3).
  Dal documento di ISPRA (152/3) si evince che i limiti da fissare per i PFAS presenti negli scarichi delle acque reflue devono corrispondere a zero, cioè, le sostanze devono essere vietate, e solo per quelle sostanze dove non si può praticare la soluzione del limite zero, vanno fissati limiti molto restrittivi, corrispondenti a quelli che si possono raggiungere applicando le migliori tecnologie di abbattimento. ISPRA suggerisce questa soluzione con limiti così restrittivi, proprio perché i PFAS sono sostanze pericolosissime e anche piccole quantità scaricate si accumulano nell'ambiente.
  Si ritiene questo approccio condivisibile, perché è in linea con il principio di precauzione, che è alla base delle norme ambientali, principio che stabilisce che la tutela dell'ambiente deve essere stabilita ad un livello superiore rispetto alla tutela della salute dell'uomo e, quindi, i limiti allo scarico devono essere inferiori ai limiti delle acque potabili.
  Peraltro, questo approccio è già stato praticato nel decreto legislativo n. 152 del 2006 per gli scarichi di molte sostanze pericolose nel suolo, dove – per esempio – al punto 2.1 dell'allegato 5 della parte terza dello stesso decreto legislativo, vi è un elenco di sostanze pericolose per le quali sussiste il divieto di scarico nel suolo e nel sottosuolo, quando queste sostanze sono presenti negli scarichi idrici delle acque reflue. Il divieto di scarico consiste nel fatto che, per poter scaricare queste acque, non devono essere presenti queste sostanze pericolose. La loro non presenza è attestata dalle analisi, che non devono rilevare queste sostanze, sicché il limite di queste sostanze è zero.
  Ai fini della definizione dei limiti, appare irrilevante l'elevato numero di sostanze perfluoroalchiliche che costituiscono il gruppo dei PFAS (oltre 4.700 sostanze), poiché i limiti non devono essere fissati singolarmente per ogni sostanza, ma può essere fissato un limite per la sommatoria di tutti i PFAS, aggiungendo un limite specifico solo per le poche sostanze più pericolose e più frequenti, quali il PFOS, il PFOA e il cC6O4 che – com'è noto – ha sostituito il PFOA.
  Sul punto, come sopra accennato, va ricordato che la Regione Veneto, su parere dell'ISS, ha fissato i limiti per i PFAS nelle acque potabili, definendo limiti specifici per il PFOS e il PFOA e fissando per tutti gli altri PFAS un limite unico, quale sommatoria di tutte le sostanze.
  Questi limiti hanno permesso alla Regione Veneto di intervenire, installando i carboni attivi sui pozzi dai quali viene attinta l'acqua da distribuire per uso potabile, per depurarla.
  Naturalmente, i limiti per le CSC delle acque di falda dovranno essere molto più bassi di quelli fissati per le acque potabili, per il principio di precauzione, che tutela l'ambiente ad un livello superiore rispetto alla tutela della salute dell'uomo, principio che finora è stato Pag. 95sempre rispettato nella fissazione dei limiti nelle matrici ambientali, che sono sempre stati più bassi rispetto ai limiti che tutelano la salute della popolazione o dei lavoratori. Il principio è corretto, poiché le risorse che utilizza l'uomo vengono attinte dall'ambiente, il quale deve avere limiti di sicurezza più restrittivi per garantire il margine di sicurezza alla risorsa dell'uomo.
  Le stesse valutazioni andranno fatte per fissare le CSC nei suoli per la bonifica dei terreni contaminati da PFAS.
  Per la fissazione dei limiti nelle matrici ambientali è quindi fondamentale tenere conto del principio di precauzione.
  Infatti, il principio di precauzione, che per la tutela ambientale prevede limiti più restrittivi, rispetto a quelli per la tutela dell'uomo, è alla base di tutta la legislazione ambientale, dall'acqua all'aria, ai rifiuti, alle acque di falda, e così via.
  Il principio sopra citato è riportato nell'articolo 174, n. 2, del Trattato 25 Marzo 1957 che istituisce la Comunità europea, ora trasfuso nell'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in vigore dal 1° dicembre 2009. E questo principio è stato ribadito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 28 del 25 gennaio 2010, dove si dice che la normativa ambientale, che discende dalla politica comunitaria in materia ambientale, «mira ad un elevato livello di tutela ed è fondata, in particolare, “sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio chi inquina paga”».
  Pertanto, premesso che la restrizione dei parametri ammessi per la tutela dell'ambiente obbedisce all'esigenza di salvaguardare in via preventiva l'ecosistema, in modo da garantire all'uomo la generale fruibilità di risorse meno inquinate, si ritiene opportuno riportare alcuni esempi concreti, allo scopo di illustrare tale principio in alcune sue applicazioni:

   1. Il limite dello zinco nelle acque reflue è fissato a 1 mg/litro per gli scarichi in fognatura e a 0,5 mg/litro per gli scarichi in corpo d'acqua superficiale, mentre è a 3 mg/litro per l'acqua potabile. Dall'esempio si evince che si considera potabile un'acqua eccedente il limite di accettabilità per lo scarico in fognatura o in corpo d'acqua, e dunque necessitante di un pretrattamento di depurazione. Cioè l'uomo può bere un'acqua che non sarebbe ritenuta accettabile se dovesse essere scaricata come acqua reflua in fognatura comunale o in corso d'acqua superficiale;

   2. Il limite per il cromo esavalente, superato il quale la falda acquifera è da ritenersi inquinata, è di 5 microgrammi/litro; ma la stessa sarebbe classificata come potabile, perché il valore limite del cromo esavalente per il consumo umano è fissato a 50 microgrammi/litro, il che rappresenta un valore di concentrazione 10 volte superiore;

   3. I limiti di soglia che tutelano la salute dei lavoratori esposti alle emissioni di inquinanti nell'ambiente di lavoro sono di gran lunga superiori ai limiti previsti per l'emissione in atmosfera degli stessi inquinanti;

   4. I limiti dei composti organo-clorurati presenti nell'acqua potabile sono più alti dei valori degli stessi fissati a tutela della falda acquifera;

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   5. Gli oli minerali, quando diventano rifiuti, sono classificati pericolosi tout-court e pertanto considerati aventi una frase di rischio R45 (può provocare il cancro), anche qualora la ricerca dei marker cancerogeni, condotta secondo le regole sull'etichettatura delle sostanze pericolose, potrebbe in teoria escluderli da tale classificazione.

  In relazione al suddetto principio, per quanto riguarda i limiti sui PFAS da fissare sulle matrici ambientali, è utile richiamare ancora, perché importante per chiarire il principio di precauzione, il documento di ISPRA (agli atti con il n. 152/3 di archivio della Commissione), sul quale era stato anche sentito il dott. Bratti, Direttore generale di ISPRA, già presidente della Commissione d'inchiesta nella passata legislatura.
  L'approccio di ISPRA, pertanto, è perfettamente in linea con la normativa ambientale, e sarebbe utile da tenere presente per la fissazione dei limiti ambientali.
  ISPRA, peraltro, ha già applicato il principio di precauzione svolgendo una consulenza tecnica, su incarico della procura di Vicenza nel procedimento penale n. 5019/18 R.G.N.R., per l'inquinamento provocato dalle sostanze cC6O4 e Gen X (HFPO-DA) rilasciate dal sito Miteni di Trissino nelle acque sotterranee e nell'ambiente.
  Come già dettagliato al capitolo 8.1, per svolgere la sua consulenza, avendo necessità di fare un confronto con i limiti ambientali di cC6O4 e GenX, ISPRA ha preso come riferimento i limiti per le acque sotterranee destinate al consumo umano (limiti sulla salute), individuati dall'Istituto Superiore di Sanità, con il parere del 2 maggio 2019, prot. 13637, inviato al Ministero della Salute e poi anche alla Regione Veneto e al MATTM (doc. 331/2).
  Nel parere ISS, vengono indicati i limiti di 0,5 µg/l (500 ng/l), per la somma di tutti i PFAS, e di 0,1 µg/l (100 ng/l) come valore di ogni singolo PFAS, quindi il limite di 0,1 µg/l riguarda sia il cC6O4, sia il GenX.
  ISPRA si è correttamente riferita ai limiti sopra riportati, in quanto ha ritenuto che questi limiti sanitari sarebbero comunque più alti dei limiti ambientali, con la conseguenza che, se vengono superati questi limiti sanitari, sicuramente saranno superati anche i limiti ambientali. Dunque, il criterio per accertare compromissione e deterioramento sarà l'aver accertato, per ciascuna delle due sostanze, il superamento nelle acque del valore limite di 0,1 µg/l (100 ng/l).

  Le tabelle riassuntive che seguono illustrano in sintesi la situazione attuale in Italia relativamente ai limiti vigenti sulle matrici ambientali e sanitarie:

LIMITI NAZIONALI

  Matrice

  Valori limite (ng/l)

  Acque potabili

  Nessuno

  Acque di scarico

  Nessuno

  Falda

  Nessuno

  Terreni

  Nessuno

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LIMITI REGIONALI

Regione Piemonte

  Matrice

  Valori limite (ng/l)

  Acque potabili

  Nessuno

  Acque di scarico

  Nessuno

  Falda

  Nessuno

  Terreni

  Nessuno

Regione Veneto

  Matrice

  Valori limite (ng/l)

  Acque potabili

  30 per PFOS – 90 per somma PFOA PFOS – 300 per somma tutti altri PFAS
  Per la zona rossa: assenza PFAS e comunque PFOS PFOA inferiore a 40 ng/1

  Acque di scarico

  30 per PFOS – 500 per PFOA – 500 per somma tutti altri PFAS

  Falda

  500 solo per PFOA – nessun limite per altri PFAS

  Terreni

  500 ng/Kg PFOA per terreni uso verde/residenziale – 5.000 ng/Kg PFOA per terreni uso commerciale/industriale – nessun limite per altri PFAS

LIMITI PROPOSTI DA ISS

  Acque potabili

  100 ng/1 per ogni singolo PFAS – 500 ng/1 come somma di tutti i PFAS

LIMITI PROPOSTI DA ISPRA

  Acque di scarico

  0 ng/1 cioè assenza di PFAS

  Nessuna altra Regione italiana ha finora fissato limiti sui PFAS per nessuna matrice sanitaria e/o ambientale, fermo restando il principio che per la tutela della salute umana (art. 32 della Cost.) ogni Regione può statuire in ordine ai limiti dei PFAS, previo parere dell'Istituto Superiore di Sanità.
  Come si è visto, finora, l'unica Regione che ha fissato limiti, trovandosi in una situazione critica per la presenza del sito Miteni di Trissino, è stata la Regione Veneto, ma sostanzialmente ha fissato solo i limiti per le acque potabili (limiti sanitari), mentre sui limiti ambientali, di fatto, la Regione Veneto ha normato solo quelli per le acque di scarico. La Regione Piemonte, invece, pur trovandosi in una situazione di criticità analoga a quella della Regione Veneto, per la presenza del sito Solvay, si è completamente disinteressata del problema, per altro lasciando da sola la Provincia di Alessandria sulla problematica dei PFAS che si originano dal sito di Spinetta Marengo.
  Va comunque precisato che la Regione Piemonte – a differenza della Regione Veneto – non è intervenuta nel caso di specie, poiché alla Solvay viene contestato l'inquinamento della falda, ma non anche l'inquinamento delle acque potabili – come viceversa è accaduto per la Miteni – che ha provocato l'inquinamento dei pozzi di prelievo delle acque potabili che, incidendo come tali sulla salute umana, sono di Pag. 98competenza delle ASL, le quali com'è noto sono di diretta emanazione regionale.

  In assenza di limiti nazionali o regionali, per quanto riguarda i limiti sulle matrici ambientali, è anche possibile da parte degli enti preposti al rilascio delle singole autorizzazioni ambientali fissare limiti provvisori nei singoli atti autorizzativi, come ad esempio nelle AIA – autorizzazioni integrate ambientali – dove potrebbero essere prescritti, ad esempio i limiti sulle acque di scarico, o come ad esempio nelle autorizzazioni alle bonifiche dei siti contaminati, dove potrebbero essere prescritti i limiti sulla falda e sui terreni.
  Così ha fatto la Regione Veneto, essendo nel 2014 competente per il rilascio dell'AIA, che ha fissato alla Miteni, con il decreto AIA n. 59 del 30/07/2014, i limiti sui PFAS allo scarico nel torrente Poscola, richiamati nella tabella della pagina precedente, limiti che aveva mutuato dal parere ISS n. 0001584 del 16/01/2021. Successivamente la competenza per il rilascio dell'AIA è passata dalla Regione alle Province del territorio, e così anche la Provincia di Vicenza, con la successiva AIA, ha confermato i limiti allo scarico alla ICI 3, subentrata alla Miteni nella gestione degli scarichi.
  Così ha fatto la Provincia di Alessandria, competente al rilascio dell'AIA, che con l'autorizzazione AIA del 26/02/2021 (determina n. DDAP2-155-2021) ha fissato alla Solvay i limiti sui PFAS nel fiume Bormida, che sono richiamati nel capitolo 19 della presente relazione, riguardante il sito Solvay di Spinetta Marengo, e che di seguito si riassumono nella tabella seguente.

Tabella limiti allo scarico di cC6O4

Anno

Valori limiti espressi in nanogrammi/l (ng/l)

  Fino al 31 gennaio 2022

  Nessun limite allo scarico della Solvay, ma solo il rispetto di 900 ng/l come media annuale nel fiume Bormida a valle del punto di scarico

  Dal 1° febbraio 2022
  al 31 gennaio 2023

7.000

  Dal 1° febbraio 2023
  al 31 gennaio 2024

3.500

  Dal 1° febbraio 2024

500

  Va rimarcato, però, che i limiti fissati dalla Provincia di Alessandria sono troppo alti, e che la Provincia di Alessandria avrebbe potuto benissimo, in attesa dei limiti nazionali, utilizzare i limiti suggeriti dall'Istituto Superiore di Sanità, già noti perché espressi con il parere del 02/05/2019, prot. 13637, che potevano essere prescritti per le produzioni e le emissioni dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo, anche per evitare una contaminazione di tutto il bacino del Po, le cui acque vengono già attinte a scopo irriguo ed anche a scopo idropotabile.
  Da tutto quanto sopra considerato, appare evidente l'urgenza che lo Stato fissi i limiti sulle matrici ambientali sia perché sono di sua Pag. 99competenza e sia per avere valori uniformi in tutto il territorio nazionale.
  In conclusione, per le considerazioni sopra esposte, si ritiene che un buon punto di partenza per fissare i limiti nelle matrici ambientali sia il citato parere dell'Istituto Superiore di Sanità del 02/05/2019, prot. 13637, nel quale vengono indicati i limiti di 0,5 µg/l (500 ng/l), per la somma di tutti i PFAS, e di 0,1 µg/l (100 ng/l) come valore di ogni singolo PFAS.
  Sulla base di queste considerazioni, per fissare i limiti dei PFAS nelle matrici ambientali si dispone già di dati dai quali partire, che sono i limiti sanitari individuati dall'ISS con i propri pareri.
  I limiti ambientali dovranno essere proporzionalmente inferiori ad essi, secondo un rapporto che dovrebbe essere individuato dal Ministero della Transizione ecologica.

  Documenti allegati alla presente relazione:

  1.Parere di ISPRA sui limiti agli scarichi (doc. 152/3)
  2. Parere dell'ISS sui limiti dei PFAS nelle acque potabili (doc. 331/2)
  3. Relazione tecnica del consulente della Commissione dott. Andrea Di Nisio sugli aspetti sanitari dell'esposizione ai PFAS (911/2).

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  (1) Invero i limiti della Regione Veneto agli scarichi della Miteni sono già da considerare di per sé alti, poiché non sono conformi al principio di precauzione, che prevede la tutela dell'ambiente a un livello più rigoroso rispetto alla tutela sanitaria. Pertanto, si osserva che i limiti allo scarico nelle acque superficiali che la Regione Veneto ha prescritto alla Miteni avrebbero dovuto essere più bassi dei limiti dei PFAS sulle acque potabili, corrispondenti alla concentrazione di 390 ng/l per la somma totale di tutti PFAS, che la stessa Regione Veneto ha successivamente definito e imposto. Viceversa, la Provincia di Alessandria, a distanza di circa 7 anni dal provvedimento AIA agli scarichi della Miteni, ha prescritto per gli scarichi della Solvay limiti 14 volte più alti pari a 7.000 ng/l contro 500 ng/l, prescritti dalla Regione Veneto.